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Autore: A_Typing_Heart    01/05/2021    0 recensioni
Raim è il lavapiatti di un grande ristorante di Las Vegas e prende il suo lavoro come un banale mezzo di sostentamento per fare una vita tranquilla fuori dai guai che lo hanno segnato. La sua vita procede nella routine finché una sera un nuovo chef bussa alle porte del ristorante per chiedere un lavoro, dando una svolta inaspettata ad entrambe le loro esistenze.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Con umore allegro che sfiorava l’ingenuità mi presentai al lavoro il giorno dopo ed ebbi anche tanto coraggio da entrare fischiettando in cucina, ma il sorrisetto sulla faccia di Leclaire e il modo in cui mi guardò mi suggerirono che dovevo aspettarmi qualcosa. Qualcosa che non erano ringraziamenti e pacche sulle spalle.

«È tutto okay, qui?»

Leclaire non rispose subito e il suo ghigno si allargò. Lo conoscevo abbastanza da dire solo da quello che non prometteva bene; era la faccia di quando trionfava senza discussioni su qualcuno che reputava dovesse essere rimesso al suo posto. La sola domanda era se questo qualcuno fossi io o fosse Sahan.

«Dipende, sguattero.»

«Da che cosa, chef?»

«Ce l’hai un altro posto di lavoro, se lo chef ti sbatte fuori?»

Non potei evitare di mostrare una reazione ed ebbi una vistosa esitazione mentre raggiungevo il lavabo. Mi voltai verso di lui mentre mi arrotolavo le maniche come facevo sempre.

«No, francamente. È questa la novella del giorno? Sono licenziato?» feci riuscendo a far uscire il tono molto calmo. «Perché se è così non ho intenzione di finire il turno e vado dritto all’ufficio di collocamento.»

«Per questa volta sei salvo… per un soffio, però. Ringrazia il tuo nuovo amico Micheaux.»

Non mi erano nuove vaghe minacce di licenziamento, ma questa era così specifica riguardo a Sahan che non mi limitai ad accettarla passivamente.

«In che senso?»

«Con il suo piatto molto richiesto, anche se poco ortodosso, ha salvato il servizio. Non so se Durand sarebbe stato altrettanto comprensivo, se la tua incompetenza non fosse stata coperta da Micheaux.»

«Ha intenzione di spiegarsi o andiamo di filosofia ermetica ancora per molto?»

Il tono della mia risposta – meno che ossequiosa – fu tale a un insulto per l’innata superbia di Leclaire e sbatté con stizza lo strofinaccio sul bancone. Aveva perso il sorriso.

«Sei stato tu a rovinare la mia salsa al pepe.»

«Io? E come avrei fatto, scusi? Lasciando la schiuma del detersivo dei piatti dentro la vaschetta?»

In un altro momento avrei fatto molta più attenzione a come mi rivolgevo al nipote di Durand, ma quell’accusa mi parve così ridicola e pretestuosa che non riuscii a non replicare.

«Non rispondere ai tuoi superiori con quel tono, sguattero» mi ammonì lui. «È una salsa calda. Deve essere coperta e lasciata intiepidire qui sul banco prima di metterla nel frigo. Distratto e ignorante come sei hai sicuramente messo la salsa nella cella dei preparati quando era ancora calda, e l’hai fatta inacidire.»

«Ma se non apro mai la cella dei preparati! Non ho il permesso di farlo, posso solo portare dentro la roba cruda nella cella degli ingredienti!»

«Per questo non puoi farlo, sguattero. Non sei qualificato per maneggiare i preparati. Hai rovinato una salsa per una volta che ti sei permesso di spostarla.»

«Ma non l’ho fatto!»

«Silenzio!»

Dal mio angolo non avevo visto lo chef scendere dall’ufficio e trasalii. Per qualche secondo mentre scendeva i gradini pensai di essermi giocato il posto proprio nel modo in cui avevo sempre cercato di evitare.

«Un cuoco diplomato, seppure senza esperienza, sa bene che non si deve mettere nulla di caldo in frigorifero. Non l’hai fatto certo intenzionalmente, ma se ti abbiamo vietato di mettere mano a certe cose e in certi posti è perché non servono mani in più se sono inesperte.»

Non trovavo così difficile mordermi la lingua dai miei primi mesi di galera.

«Sì, chef.»

«D’ora in poi non toccare più ingredienti e preparazioni se non quando porti dentro i rifornimenti» mi intimò Durand con il tono che avrebbe usato per un bambino cocciuto. «Non toccare la linea dei cuochi e le comande. Non cucinare nella mia cucina, sono stato chiaro? Se Micheaux desidera avvalersi dell’aiuto degli sguatteri senza nozioni di base è qualcosa che riguarderà lui quando sarà responsabile di una sua cucina, e quel giorno se sarà quella la tua strada ti augureremo buon viaggio. Sono stato chiaro?»

«Sì, chef. Non accadrà più» risposi sputando con difficoltà ogni parola.

«Non voglio sentire che hai combinato qualcos’altro, o il nostro au revoir sarà immediato. Capito?»

«Sì, chef.»

«Bene.»

Quando si voltò si rivolse a chef Malone che era appena rientrato dalla sala e gli chiese notizie del prezzo dei gamberoni rossi che sperava di ottenere da un nuovo fornitore. Leclaire aveva recuperato quel sorriso lezioso mentre triturava erba cipollina e seppi che addossare a me la colpa della salsa rovinata aveva reso giustizia al suo ego senza dover sbattere contro l’innegabile bravura di Sahan. Anche se ero rasserenato che non avrebbero cercato di rimarcare le colpe di Sahan mi bruciava che mi venisse data la responsabilità di un errore quando non avevo neanche le responsabilità di un qualsiasi commis in quel ristorante.

Lavorai con umore molto rabbuiato rispetto a prima e neanche l’arrivo di Sahan e il sorriso che mi rivolse mi fecero sentire meglio. Lui se ne accorse subito e mi venne vicino prima ancora di salutare chiunque altro.

«Che succede, Raim? Hai un’aria così cupa» osservò, con l’aria preoccupata. «Ti senti male ancora per ieri sera?»

«No, sto bene.»

«Non mi sembra proprio.»

Appoggiò la mano sulla mia fronte come a sentirmi la febbre, ma io alzai gli occhi al di sotto del suo polso verso Leclaire; era troppo impegnato a porzionare un grosso salmone facendo scuola a Isabel per notare l’arrivo di Sahan. Lo acchiappai per il braccio.

«Andiamo nello spogliatoio» gli sussurrai, e gli feci strada. Lui non si oppose e mi seguì dentro lo spogliatoio, un locale angusto con una panchina sotto la quale si infilavano le scarpe buone e degli armadietti per stipare oggetti e vestiti di ricambio del personale.

In due ci si stava appena a una distanza di cortesia e mi incuneai in un angolo per lasciare più spazio a Sahan per indossare l’uniforme; nel frattempo lo intrattenni con la cronaca dei rimproveri che Durand e nipote mi avevano impartito. Naturalmente l’espressione di Sahan si infiammò immediatamente: era il ritratto perfetto di un temperamento latino, anche se non saprei dire se i mediorientali godano della stessa fama.

«Questo è scandaloso!» sbottò, del tutto dimentico dei bottoni da allacciare della sua elegante giacca bianca. «È ripugnante, ingiustificabile, assolutamente inconcepibile!»

«Sahan.»

«Ha dato la colpa a te per non ammettere un errore di suo nipote! Che meschino!»

«Sahan, adesso calmati» feci con il tono più basso possibile. «Ti sentiranno.»

«Oh, mi sentiranno eccome! Non basta trattarti come un minorato, sei anche il capro espiatorio per un errore che potrebbe capitare per distrazione a chiunque! Diamine, che cosa sarebbero capaci di fare se quel ragazzo commettesse un crimine? Sono due pazzi!»

«Shh, Sahan! Ti prego, non voglio che ti licenzino!»

Mi si fece incontro come se volesse prendermi a pugni e nonostante io fossi due volte più largo di spalle e trenta centimetri più alto ebbi paura della sua rabbia; ribolliva come un pentolone… di lava, per quanto strano fosse era quello il paragone che mi venne in mente.

«Chi pensi che io sia? Uno così egoista da pensare che sia giusto lasciare a te la colpa pur di conservare un posto di lavoro? Non sono un vigliacco e non mi arrampico sui cadaveri degli altri per arrivare in cima!»

Da quando ero uscito di galera non avevo più incontrato una persona che mi sembrasse tanto minacciosa, e dire che era a una buona distanza dal coltello da cucina più vicino. La mia replica tardava ad arrivare – ero troppo scioccato da un lato del suo carattere che non avevo immaginato esistere – e Sahan spalancò la porta uscendo come una furia dallo spogliatoio. Non appena mi ripresi un momento mi sentii come cadere lo stomaco e gli corsi dietro.

«Sahan!»

Ma era troppo tardi: era già arrivato alla postazione del pesce di Leclaire. Mettendo i brividi non solo a me prese il coltello abbandonato lì e lo piantò in verticale sul tagliere di legno. Naturalmente tutti lo guardarono con sorpresa e paura.

«La tua arroganza è così spropositata, chef Leclaire, da non poter accettare di aver messo una salsa nel frigorifero per sbaglio?» gli fece con gelido disprezzo. «Tu, chef ventiquattrenne, non sei capace di scusarti di un errore di distrazione e ti credi tanto importante da permetterti di sacrificare uno sguattero, no…»

Leclaire lo guardava a occhi sbarrati, non si era ancora ripreso dallo shock.

«Tanto importante da sacrificare un uomo, il suo posto di lavoro, il suo stipendio e tutto ciò che ne consegue sull’altare della tua vanità? Possibile che non ti vergogni neanche un po’ di comportarti come un bambino che scarica le sue marachelle su un altro?!»

Dopo quello scoppio cadde un silenzio attonito sulla cucina. In quel breve momento guardai tutti gli chef presenti e Durand mi fissava come se avesse voluto perforarmi. Mi venne istintivo scuotere la testa per negare di avergli chiesto di prendere le mie difese e al contempo per tentare di non farlo arrabbiare. Non ebbi successo nel mio secondo obiettivo e temo neanche nel primo.

«Come, prego?» scandì Leclaire, indignato.

«Micheaux, non sta a te! Io sono lo chef e io…»

«Oh, voi, chef Durand! Il più parziale dei giudici, visto che l’errore è di suo nipote!» l’interruppe Sahan, e io tentai invano di indicargli senza parole di tacere subito. «Non che dovrebbe sorprendermi, dopotutto!»

«Non rispondermi, Micheaux! Come ti permetti di accusarmi di fare delle preferenze? Assumo e tengo solo chi vale più del minimo che mi aspetto per lavorare in un ristorante d’eccellenza come questo!»

Era l’inizio della catastrofe. Sapevo che da lì non ci sarebbe stato ritorno e mi avvicinai per trascinare Sahan dove potesse sbollire senza dire qualcos’altro di offensivo per gli chef, ma quella sua lingua era tagliente quanto il suo coltello di acciaio damasco.

«Per anni ho pensato che mio padre parlasse della sua condotta per giustificare quello che sembrava essere il suo unico fallimento in carriera» sbottò, spostando il mio braccio. «Ma a quanto pare aveva ragione!»

Durand sbatté la mano sul banco con uno schianto che fece accorrere preoccupato anche il maître di sala. Isabel strizzava il torcione fra le mani dal nervosismo.

«Il tuo aspetto è differente, ma sei tale e quale a tuo padre» commentò Durand, con una smorfia sul viso. «Così sciocco, arrogante e bugiardo! Un piantagrane, che per quanto bravo possa essere verrà sempre buttato fuori a calci per il suo atteggiamento; sempre alla ricerca di qualcosa da criticare per sentirsi superiore! Ti ricorda qualcosa? Questo era tuo padre alla tua età, e così sei anche tu!»

«Non mi sento insultato, visto che è un tale meschino manipolatore a dirlo!»

Non sembrava affatto che non se la fosse presa: gridava con tutto il fiato e solo la barriera del mio braccio gli impedì di andare incontro allo chef con l’aria di uno pronto a una scazzottata. Non avevo affatto avuto l’impressione che Sahan fosse così aggressivo e ne ero turbato.

«Sahan, adesso basta!» sbottai, e passandogli il braccio intorno alla vita lo trascinai verso la porta di servizio. «Chiudi quella bocca, basta!»

«Non mi aspettavo che ammettesse il torto che ha fatto a mio padre, non dopo aver visto che ha insegnato il trucco a suo nipote!»

«Sahan!»

«Fuori dalla mia cucina, Micheaux!» tuonò Durand, facendomi sprofondare il cuore nello stomaco. «Non m’importa dove vai, ma non rimettere mai più piede in un locale dove io sono il responsabile!»

Lo ammetto: in quel momento tappai letteralmente la bocca di Sahan mentre lo trascinavo fuori dalla porta di servizio e in pratica lo sollevai di peso per scendere i gradini. Lui si dimenava come un pesce appena pescato, ma lo lasciai solo una volta arrivati vicino al cancello. Lui mi fissava incarognito ma io non ero meno arrabbiato.

«Come ti permetti di trascinarmi come un buttafuori?!»

«Ho dovuto farlo, non ti rendi conto che hai perso la testa?!»

«Cercavo di prendere le tue difese!»

«Non è vero!»

Finalmente qualcos’altro intaccò l’ostinata furia di Sahan e abbassò il braccio con cui indicava la cucina. Era confuso; si guardò intorno come se si fosse finalmente reso conto di essere fuori e di che cosa aveva appena combinato. Dopo aver gridato così la sua voce uscì un po’ arrochita.

«Certo che stavo… avrebbe dovuto prendersi la colpa, non può…»

«Io non rischiavo nulla, sono stato rimproverato ma non certo licenziato. Non c’era alcuna ragione di scoppiare in quel modo, litigare con gli chef e urlare insulti. Sei davvero così?» gli domandai, sapendo che avrei colpito al centro. «Sei così facile alla rabbia, maleducato e privo di diplomazia?»

Sahan non mi guardò, si mordicchiò il labbro e finalmente si decise ad abbottonarsi la giacca con le dita che tremavano.

«N-no, io… mi dispiace molto…»

«Con questa scenata assurda hai buttato al vento tutto il nostro impegno per salvare il servizio di ieri.»

«Non…»

«Ora lo chef ti ha buttato fuori e io sono di nuovo da solo in una cucina dove nessuno mi tratta come una persona, e forse sarò trattato ancora peggio da adesso. Sarai anche onesto, ma hai un carattere tremendo.»

«Non… non è il mio carattere, Raim, te lo giuro…» fece lui, poco più forte di un sussurro. «Non sono… ti giuro, non sono una persona rabbiosa, e non amo affatto le schermaglie, e…»

«Ma da quando sei arrivato non hai fatto altro che schermaglie contro Durand e suo nipote! Sei venuto per fargli scontare qualsiasi cosa abbia fatto a tuo padre? Perché se è così servirti di me è stato da infame!»

«No!»

Mi strinse la spalla con inaspettata forza e l’espressione spaventata. Sì, era proprio spaventato.

«Non dirlo, non pensarlo nemmeno! Non ti userei mai, io non vedo le persone come strumenti per ottenere dei risultati! Siamo amici e…»

Si interruppe e lasciò la presa sulle spalle.

«Siamo ancora amici… vero, Raim?»

«Non lo so, Sahan» risposi onestamente. «In questo momento sono molto deluso… ti credevo una persona diversa. Quello che hai appena fatto è stato irrispettoso e maleducato, e anche stupido…»

«Ma tu sai di non essere responsabile! Sai che ti hanno scaricato la colpa!»

«Certo che lo hanno fatto, non ho mica detto che sono due santi… ma urlare e disturbare tutti durante la preparazione è stato sgradevole. Il maître è venuto a vedere che cosa stava succedendo, Isabel era turbata… hai reso tutti inutilmente nervosi. Avresti potuto chiedere allo chef di parlare nel suo ufficio, se proprio ci tenevi a insistere.»

Ce l’aveva scritto in faccia che era mortificato. Io ero ancora arrabbiato, deluso, e triste all’idea di aver già perso l’unico amico che avevo mai trovato in quel posto. Sospirai e senza sapere che altro aggiungere mi limitai a stringergli un po’ la spalla e a strofinargli la mano sul braccio in un conforto muto. Dopo quella che parve una lunga, imbarazzante eternità, Sahan deglutì rumorosamente.

«Vado… a riprendere la mia borsa.»

Per un momento pensai di offrirmi di andare io, ma credevo fermamente che Sahan dovesse rientrare e speravo che cogliesse l’ultima occasione per scusarsi, anche se non avevo speranze che Durand tornasse sulla sua decisione. Lo seguii verso la porta ma quella venne aperta dallo chef Durand in persona.

«Ah, sei ancora qui.»

«S-sì… ho… lasciato il mio cambio nello spogliatoio. Lo prendo e vado via, chef.»

«Stammi a sentire, Micheaux.»

Durand chiude la porta alle proprie spalle. Ero stupito, era la prima volta che vedevo lo chef sul retro del ristorante. Era un po’ come vedere la Regina Vittoria nei più squallidi sobborghi di Londra.

«Mi spiace per quello che vi ho detto prima» disse precipitosamente Sahan. «Sono stato uno sfrontato e credo che gli avvenimenti passati tra voi e mio padre mi abbiano–»

«Non ti ho appena detto di ascoltare?»

Sahan tacque e Durand sospirò massaggiandosi la fronte. Se non mi è venuta l’ulcera quel giorno penso che non verrà più per tutta la vita, ero nervoso e teso più di quando mi ero trovato davanti a un giudice.

«Micheaux, è ovvio dal tuo piatto di ieri che hai studiato e appreso molto più di tuo padre. Che hai una visione più aperta della sua. Io penso che lavorare con Aurélien sarebbe di aiuto a entrambi, tu conosci i più profondi segreti della tradizione francese e lui, con il suo ultimo stage al Nanbook di Los Angeles, può di certo insegnarti qualcosa sulla cucina indiana, che credo ti interessi.»

Non vedevo l’espressione di Sahan, dato che ero alle sue spalle, ma il mio stomaco solleticava come ci avessi fatto scoppiare dentro una lattina di cola. Non ero sicuro che stesse per dire quello che mi sembrava di capire.

«Tuttavia, per una collaborazione utile, devi moderare il tuo temperamento. Sei capace di non scoppiare in sterili polemiche e lavorare con gli altri, o sei stato mandato via da Arnaud per questo?»

«N-no, chef, è… stata una divergenza di vedute sulla cucina, come avete intuito» replicò Sahan, raddrizzandosi e mettendo le mani dietro la schiena. «Io… non si ripeterà più una scena come quella di oggi, chef. Io non sono fatto così, mi dispiace.»

Durand scandagliò la faccia di Sahan, poi fissò me.

«Manning.»

Non mi chiamava per nome da mesi, credevo che non lo ricordasse neanche più.

«Sì, chef?»

«Sei responsabile della condotta di Micheaux. Tienilo a freno o la prossima volta dirò adieu ad entrambi.»

Colsi immediatamente l’obiettivo manipolatorio di quella responsabilità, ma come lui anche io pensai che la mia testa fosse il solo prezzo che potesse comprare i servigi di Sahan nella cucina di un uomo che non rispettava come persona. Annuii.

«Sì, chef. Non avrete più di che lamentarvi.»

«Auguratevelo entrambi» fece in una velata minaccia. «Ricomponetevi, ripulite le scarpe e rientrate. C’è molto lavoro da fare, abbiamo un ricevimento da ventotto commensali questa sera. Micheaux, data l’eccezionalità del servizio farai da commis a Baader, che ha un dolce a richiesta da preparare.»

«Oui, chef.»

«Manning, tieni pulite le postazioni, ma non spostare niente senza chiedere.»

«Io… sì, chef.»

Durand tornò dentro, lasciandoci lì fuori a fissarci l’un l’altro con stupore assoluto. Non solo Sahan non era più licenziato ed era stato assegnato alla postazione dei dessert, ma persino io ero stato insignito di una maggiore utilità che mi permetteva di uscire dal mio angolo. Mi aveva persino chiamato per nome, che diamine, era una cosa grossa.

Prima ancora di riuscire a riprendere la parola Sahan mi abbracciò forte.

«Non combinerò altri disastri, Raim, te lo prometto!»

Certo, quell’eccesso di affettuosità mi turbò un po’, ma durò pochissimo perché mi resi conto che era davvero successo: Durand aveva cambiato idea, Sahan sarebbe rimasto con noi. Sorrisi e gli battei la mano sulla schiena.

«Fai tesoro della tua seconda occasione… i nostri comportamenti hanno sempre conseguenze, anche per un ragazzo come te.»

«Mi vergogno di come mi sono comportato… hai ragione, su tutto… Raim, mi dispiace così tanto! Sei dovuto intervenire tu per non farmi fare qualcosa di ancora peggio!»

«Sì, sì… avanti, non servono così tante scuse.»

«Ma ti ho deluso ed è la cosa di cui mi vergogno di più…»

«Su, è un’altra occasione per entrambe le cose. Per fare una bella figura con gli chef e per farmi vedere che eri solo troppo nervoso, oggi… può capitare, no? Su, basta con quella faccia afflitta. Siamo ancora amici, anche se ci conosciamo poco.»

Finalmente riuscii a vedere di nuovo il suo sorriso. Mi strinse la mano con entrambe le sue.

«Ti mostrerò che sono come mi immaginavi! Dopo il servizio usciamo a festeggiare, ti porto in un bistro delizioso di cui conosco lo chef e prendiamo vino, anatra, tutto quello che ti va di provare! Offro tutto io!»

Con un risolino che sembrava pregustare la cena mi batté piano sul dorso della mano, poi strofinò con vigore le scarpe da lavoro sullo zerbino esterno. Scrollai le spalle, ma in realtà mi emozionava non poco l’idea di andare a cena in un posto che piaceva a uno chef preparato come Sahan e vedere che cosa fosse abituato a mangiare.

Per tutto il giorno lo guardai lavorare a una serie di complicate mansioni al reparto dei dolci ogni volta che riuscivo ad alzare gli occhi da spugna e strofinaccio, ma parlammo appena anche nella pausa pre-servizio, per stanchezza o nervosismo non saprei dirlo. Andò tutto liscio, non ricevemmo critiche e Baader anzi strinse la mano a Sahan per congratularsi del suo lavoro.

Com’era normale, fummo io, Sahan e Isabel a sistemare e ripulire dopo il servizio, con Isabel che terminò la sua zona pochi minuti prima di noi e se ne andò dopo uno stanco saluto. Ero anche io piuttosto stanco e dato che il silenzio di Sahan persisteva immaginai fosse anche lui esausto, ma poi mi saltò letteralmente addosso non appena appesi l’ultima pentola di rame.

«Hai finito, Raim? Sei pronto? Andiamo?»

«Oh… non sei stanco? È stata una lunga giornata…»

«Non abbastanza da andare a letto senza cena, e tu?»

Il mio stomaco decise di rispondere da sé brontolando. Sahan marciò spedito verso lo spogliatoio.

«Allora muoviti, la Jarretière ci aspetta!»

«Ja… Jarreti… Giarrettiera? Sahan, non sarà mica un night club, vero?»

Si fermò sulla porta dello spogliatoio e mi fece un sorriso malizioso.

«Hai l’età per entrare, no?»

Non lo nego, ero preoccupato dalla prospettiva… ma poi andai a cambiarmi anch’io. Non vedevo come una o due ragazze impegnate a ballare potessero impedirmi di bere e mangiare, e un uomo nato e cresciuto a Las Vegas, se non ha vissuto invano, matura una difesa naturale verso ballerine e spogliarelliste tale e quale a un vaccino per il morbillo.

 

*

 

Come ebbi modo di scoprire poco dopo, La Jarretière era un locale piccolo, piuttosto intimo e piacevole, francese quanto il Posticino era italiano: piccole coccarde rosse, bianche e blu legavano i tovaglioli sul tavoli, ogni centrotavola aveva lo stemma del giglio, e sulle pareti di un delicato color tortora c’erano serigrafie della torre Eiffel, dell’Arco di Trionfo, di mongolfiere e strumenti di pittura, e una serie di bandierine francesi era allineata nella teca dei dolci accanto all’ingresso. Anche il menu era in due lingue.

«Non è un posto pensato per turisti di lusso, ci sono fin troppi ristoranti d’alta cucina francese a Las Vegas» mi disse Sahan quando notai il menu in francese. «È un posto autentico e semplice per i francesi che sono in viaggio qui… per sentirsi un po’ come a casa. Lo chef è Étienne Vichyse, abbiamo fatto la scuola di cucina insieme…»

La cameriera che ci aveva accolto aveva riportato il nostro arrivo allo chef, che infatti apparve appena pronunciato il suo nome. Scambiò saluti affettuosi con Sahan parlandogli in fitto francese, poi gli venni presentato io. Vichyse parlava un inglese con un accento pesante che Sahan non aveva, e dopo qualche frase di cortesia si ritirò in cucina augurandoci una piacevole serata. Mi aveva fatto una buona impressione.

«È simpatico!»

«Perché la cosa sembra sorprenderti?»

«Beh, i francesi che conosco io sono arroganti e indisponenti, per dirne il meglio.»

Sahan tossicchiò, con un vago sorrisetto che nascose dietro il menu.

«Posso farti notare che sono francese anch’io?»

«Non sei proprio francese, no? Voglio dire… Sahan è un nome francese?»

«No, è vero. Ho un nome turco, l’ha scelto mia madre… era turca anche lei, ma io sono comunque nato a Nizza e cresciuto a Parigi, e non so neanche una parola della lingua turca… ah, però ho imparato a cucinare i piatti che per mia madre erano tradizionali. Questo sì.»

Non si sbottonò oltre sulla madre o le sue origini mediorientali, e per i minuti seguenti mi feci illustrare praticamente ogni piatto del menu: non sapevo nulla di concreto sulla cucina francese se non qualche nome delle salse, e trovai che la cucina della Jarretière era molto più povera e semplice di quella del Liaison… almeno, per come me la presentò Sahan. Per me una porzione di gnocchi di luccio in salsa erano ben oltre il semplice e povero.

Alla fine, dopo aver ordinato zuppa di cipolle, sformato al Munster, una crêpe salata con prosciutto e uovo e quenelle de brochet – vale a dire quella specie di polpetta di luccio – fummo serviti con il vino e lasciati soli a parlare nell’attesa.

«Allora… che ne pensi del mio posticino?»

«È accogliente» risposi, ed ero sincero. «Non credo che a vederlo sarei mai entrato, però… anche se lavoro al Liaison la cucina francese mi mette in soggezione, capisci che cosa intendo?»

«Ti ho portato qui per farti vedere che dietro le cucine di eccellenza c’è una tradizione di cucina tramandata da contadini, allevatori e pescatori… quella francese non fa eccezione. L’elaborazione di salse e cotture lunghe e ricercate è venuta dopo.»

Si interruppe per sorseggiare il vino.

«Pensi che un tempo contadine e mogli di allevatori e pescatori avessero tempo di cuocere in questo modo, con tutti quegli ingredienti? Allevavano i bambini piccoli, pulivano la casa, facevano la spesa… lavavano i panni nelle fontane e nei fiumi, per la miseria! Se oggi fare i lavori domestici richiede tutto quel tempo figurati come poteva essere!»

«Oh… hai ragione, Sahan. Non ci avevo mai riflettuto, ma ha senso.»

«Le malelingue dicono che i cuochi dei nobili si inventassero lunghe e complesse cotture per rendere il cibo prelibato in modo che fossero difficili da replicare, e rendersi difficili da rimpiazzare…»

Risi appena.

«Ma sono malelingue, giusto?»

«Ma naturale! Il motivo è che i francesi sono artisti, ma vogliono fare anche gli ingegneri. Hanno solo combinato le due cose!»

Questa volta risi decisamente più convinto, ma poi posai il bicchiere. Ritenevo che quello fosse il momento adatto per fargli la domanda che mi stavo rigirando nella testa da tutto il servizio.

«Senti, Sahan… forse è una domanda inappropriata, e se lo è basta dire che non vuoi rispondere…»

«Oh, non essere così cerimonioso, Raim! Che c’è? Spara.»

«Beh, io… mi domandavo che cosa fosse quella… questione tra Durand e tuo padre, quella cosa successa a Vienna.»

Sahan si fece pensieroso e guardò verso la porta.

«Mh… se mi fai parlare di questo mi serve anche un dolce, è una questione amara nella famiglia Micheaux.»

Feci immediatamente marcia indietro alzando le mani.

«Allora non c’è bisogno che rispondi! Solo che salta fuori di continuo e mi faccio delle domande…»

Sahan esitò ancora, roteando il calice del vino, poi sospirò.

«Mh… beh, tu sei stato molto onesto e mi hai raccontato di te, quindi lo farò anch’io. Innanzitutto è una vecchia questione, perché mio padre e Durand si conoscono da quando erano ragazzini.»

«Sono amici d’infanzia?»

«Sì. Durand aveva una zia che viveva vicino ai miei nonni, a Nizza, e ci veniva per le vacanze. Si sono conosciuti così, e mio padre trasmise a Durand l’interesse per la gastronomia… sai, i Micheaux sono cuochi da generazioni, quindi lui sapeva già che cosa avrebbe fatto della sua vita.»

Involontariamente pensai che a quanto ne sapevo nella famiglia di mio padre erano tutti panettieri tranne lui, che aveva passato la vita con vodka e cocaina di scarsa qualità. A me non era mai passato per la mente di fare il panettiere, però.

«Fecero la scuola di cucina a Parigi insieme, e poi si separarono per fare diverse esperienze… avevano preso voti massimi ed erano stati molto richiesti nelle cucine prestigiose. Mio padre andò in Inghilterra, in Spagna, in Italia e in Russia, e andò anche in Giappone per un periodo. Ero piccolo quando ci andò e mi mandava un sacco di cartoline.»

Sorrisi all’idea di un piccolo Sahan che leggeva con entusiasmo cartoline di saluti affettuosi del padre, e pensai che era stato molto più presente del mio nonostante io lo avessi avuto in casa tutto il tempo.

«Non sai che cosa fece Durand in quel periodo?»

«No, anche se erano molto amici io non avevo mai avuto modo di incontrarlo e non mi venne mai detto… ma di certo Durand amerebbe spiegartelo per filo e per segno, se glielo chiedessi.»

«Già, ma io non amerei starlo a sentire» commentai di slancio. «Quindi, Vienna?»

«Mio padre venne assunto per un praticantato di pasticceria in un celebre laboratorio viennese, e trovò Durand tra i praticanti scelti. Però la chef aveva intenzione di assumere soltanto due dei sette che aveva chiamato e avrebbe scelto in base alla rapidità con cui avrebbero imparato e al loro impegno… sono molti nell’ambiente a fare questo tipo di scremature, per dedicare il tempo solo a chi ha il potenziale adeguato» mi spiegò, vedendomi accigliato. «Non sono insegnanti, ma imprenditori. Investono su chi può diventare un collaboratore utile.»

«Sì… non mi piace come concetto ma lo capisco» feci, e giocherellai con la coccarda del tovagliolo. «Fammi indovinare… Durand tagliò fuori tuo padre con qualche tiro mancino?»

«Sì, indovinato. Rovinò intenzionalmente le sue farciture per l’assortimento di pasticceria che la chef avrebbe dovuto valutare per scegliere i due allievi. Fu un basso, volgare sabotaggio, e come se questo non fosse già abbastanza brutto lo fece proprio ai danni del suo amico, quando avrebbero potuto passare entrambi.»

«Già… già, perché? Se proprio voleva il posto poteva sabotare l’altra persona, quella che è passata insieme a lui… la terza migliore, diciamo. Avrebbe avuto comunque il posto, no?»

«Voleva essere il primo, e mio padre era migliore di lui. Non avevano mai litigato per qualcosa, non c’erano tensioni tra loro… la sola ragione è che volesse passare lui per primo.»

Meditai un momento, sfiorandomi la barba com’era mio solito.

«O forse lo voleva fare proprio fuori… insomma… far vedere che lui poteva restare in quel posto prestigioso e tuo padre no… forse sentiva di perdere sempre in competizione con lui.»

«Oppure Durand è un infame e ha sempre fatto così con tutti i collaboratori che riteneva una minaccia per la sua gloria» ribatté Sahan velenoso. «Non lo so, ma qualsiasi sia la ragione è un abietto.»

«Beh, sì. Non è affatto un comportamento onesto.»

«Tu che cosa avresti fatto, Raim?»

La domanda mi prese decisamente di sorpresa, tant’è che esitai parecchio a replicare.

«Cosa avrei fatto… in che situazione?»

«In quella di Durand. Se tu avessi avuto l’occasione tra sette di essere preso per studiare con un maestro eccellente… e il tuo amico fosse tra loro… che cosa faresti?»

Mi sembrò strano che mi facesse quella domanda, così strano che non mi parve il caso di liquidare la cosa con un banale ma sincero “non quello che fece lui”. Ci pensai su e Sahan non mi fece fretta, sorseggiando il vino in silenzio.

«Vuoi dire se io volessi un posto in un ristorante importante che vuole gente come te, ci fossero due posti, fossi certo che uno è tuo e io non mi sentissi all’altezza?»

Sahan non replicò, fece un cenno del capo come a trovare accettabile il mio riadattamento. Quindi sorrisi, sicuro della mia risposta.

«Ti chiederei in ogni modo di aiutarmi a fare una bella figura… e tu lo faresti, visto che siamo amici.»

Lui sorrise di rimando.

«Certo che lo farei… anzi, lo sto già facendo.»

«… Eh?»

«Finché rimarrò al Liaison cercherò di insegnarti come usare tutte le doti che hai, così non avrai più bisogno di essere legato per forza al resort e al debito con il tuo amico! Potrai lavorare dove vorrai, anche se non come cuoco.»

Ci fu una pausa per l’arrivo della zuppa di cipolle, che era davvero invitante come Sahan commentò, ma non abbastanza da distrarmi completamente.

«Lo pensi veramente?»

«Oh, penso che tu possa lavorare come cuoco, se lo volessi. Hai un ottimo gusto, solo che per avere conoscenza e manualità serve molta pratica e impegno. Non è qualcosa che possa darti io in modo passivo, così, lasciandotela tra le mani come un tozzo di pane.»

«No, io… so benissimo di non esserne portato… intendevo solo dire se pensi davvero di fare questo per me… e perché, soprattutto.»

«Perché te lo meriti… scusami, ma a me che uno lavori come sguattero non basta per considerarlo un paria» commentò caustico, rivolto piuttosto ovviamente a Durand. «Ora dedichiamo i nostri cuori e pensieri a qualcosa che lo merita più di certa gente con la toque sulla testa, come questa deliziosa zuppa!»

Sorrisi e mi armai di cucchiaio.

«Ha un odore fantastico.»

«Assaggia il formaggio da solo, prima… è Groviera, un formaggio svizzero molto rinomato e con un sapore caratteristico! Nel menu del Liaison non hanno nessuna portata che lo utilizza, quindi è una novità assoluta per te, immagino…»

Obbedii e assaporai il formaggio, che effettivamente sentivo diverso da quelli assaggiati al Posticino. Mentre mangiavo la zuppa – che trovavo molto più gustosa di quanto avrei immaginato un piatto a base di sole verdure – Sahan mi spiegò per filo e per segno il procedimento per caramellare le cipolle con il vino e le varianti che aveva imparato in diverse zone della Francia. Personalmente apprezzai di più il consistente sformato di patate e formaggio Munster, del quale Sahan mi illustrò la ricetta, e la crêpe salata era morbida e croccante insieme, assolutamente deliziosa.

«Non avrei mai creduto di essere il tipo di persona che apprezza una cosa raffinata come la crêpe» commentai mentre la finivo assicurandomi di non lasciare tracce di tuorlo d’uovo nel piatto.

«Davvero ti è piaciuta?»

«Moltissimo. Ne mangerei una tutte le mattine.»

«È il piatto preferito di mio fratello!» mi rivelò con entusiasmo. «L’ho fatto tantissime volte per lui quando faceva la scuola, potrei prepararla anche bendato~»

«Ti terrei sul mio comodino, se solo fosse grande abbastanza.»

Sahan ridacchiò.

«Anche io ho un comodino minuscolo… in compenso, il letto è grande. Se volessi fermarti da me qualche volta ti preparo le crespelle per colazione!»

Ancora una volta ebbi la netta impressione che ci fosse della malizia in quell’invito, ma cercai di affrontarlo con uno spirito più morbido e quindi sorrisi prendendo la bottiglia per versarmi altro vino.

«Non sono ancora abbastanza ubriaco per non riuscire a salire le scale di casa mia.»

«Lo spero davvero, Raim… se devo ospitarti a casa mia mi augurerei che tu fossi in piena salute. Non so se sei il tipo che considera divertente ubriacarsi fino a non sapere più che cosa sta facendo, ma io sono rimasto ragazzino dentro: il mio genere di serata divertente è cinema, cena e sala giochi.»

«Sala giochi, hai detto?»

Sahan fece un sorriso smagliante.

«Io adoro i giochi arcade! Sai, Shark attack, Street fighters, Arkanoid, Bubble puzzle…»

Mi venne istintivo nascondere l’ilarità e bevvi un sorso di vino restando distaccato, come annoiato dalla conversazione.

«Immagino che tu non li conosca» commentò con vago dispiacere Sahan. «Io li trovo un sacco divertenti…»

«Non li conosco, eh?»

Abbassai il bicchiere e mi sfuggì un’esclamazione divertita.

«In qualche deposito c’è ancora qualche macchina con il mio nome memorizzato nei record.»

Sahan si entusiasmò immediatamente e per tutto il resto della cena – conclusasi con una deliziosa crème brûlée agli agrumi – ci immergemmo in ricordi e racconti delle sale giochi, dei giochi preferiti e quelli in cui eravamo completamente negati; e sull’onda di quell’argomento finimmo a parlare di musica vecchia di venti anni, sport praticati in strada e dei rispettivi cani che avevamo avuto da bambini.

Come aveva detto Sahan, non dedicammo più neanche una parola a Durand e alle macchie che la sua uniforme bianca e dorata nascondeva.

   
 
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