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Autore: Ghostclimber    01/05/2021    2 recensioni
Gokudera ha passato due mesi in Italia nel vano tentativo di dimenticare il Decimo.
Ora è di ritorno, e dovrà decidere se continuare a fingere o guardare in faccia la realtà.
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Genere: Demenziale, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And I am king of this hill of rats
That's why this king is poor
No, I'm not the same as I was before
No one to blame for making this king poor.







Era irrazionale.

Irrazionale, stupido e potenzialmente pericoloso.

Forse era tutta quella sdolcinatezza che circondava Reborn, forse era la definitiva rottura con Bianchi, forse era la visione di quel Lambo adulto così calmo, pacato e maturo.

Reborn chiuse a chiave la porta di casa propria; aveva tutto il tempo del mondo a disposizione: Nana non sarebbe partita prima di qualche ora, Dame Tsuna era appiccicato a Gokudera, Bianchi era scomparsa e i bambini erano a scuola. Non si era neanche preso la briga di avvisare che se ne stava andando, tanto nessuno avrebbe fatto caso a lui.

Fissò il Bazooka dei Dieci Anni e si ripeté che era irrazionale.

Poi lo puntò contro di sé e sparò.

 

“Reborn, dannato idiota.” disse Reborn adulto, ritrovandosi nella casa vuota con ancora la stilografica in mano, “Dannato idiota.” ripeté. Si alzò in piedi, di fretta, prese le chiavi dal piattino in cui le aveva sempre appoggiate, aprì la porta e corse fuori alla disperata.

Lambo era tornato un paio d'ore prima dal suo viaggio imprevisto nel passato, e quando Reborn era rientrato dalla pasticceria con le brioches l'aveva trovato in lacrime. Tira e molla, gli aveva fatto confessare quel che lo angustiava: era tornato in tempo per avvisare tutti che Viola era incinta, ma l'effetto del bazooka era terminato proprio mentre cominciava la frase.

Reborn l'aveva accolto tra le braccia, l'aveva consolato come poteva e quando Lambo, complice la tristezza e la notte quasi in bianco passata a fare l'amore, si era riaddormentato, Reborn aveva cercato di fare mente locale. Dalla sua posizione, non c'era niente che potesse fare, ma ricordava in maniera molto vaga di aver usato il Bazooka lui stesso, in preda ad una frenesia di quella che allora non aveva saputo riconoscere come gelosia, e intendeva fare tutto ciò che era in suo potere per avvertire Gokudera che non andava tutto bene, che il suo gesto avventato aveva avuto conseguenze e che dovevano fare qualcosa, fosse anche andare a prendere di peso Viola e portarla in Giappone.

Per cui corse a perdifiato, diretto verso il centro città, guardandosi intorno nella speranza di scorgere un viso noto, con la chiarissima intenzione di cambiare il passato di Lambo.

Non gli venne nemmeno in mente di scriversi un messaggio.

 

Reborn fissò il tavolo.

C'erano due tazze, un pacchetto di una pasticceria da cui si alzava un profumino delizioso, una brocca di spremuta e un cesto di frutta, ma soprattutto c'erano due tazze.

Silenziosamente, Reborn si diresse verso la propria stanza da letto.

Ciò che vide lo sconvolse.

Lambo, il Lambo adulto, giaceva nel suo letto, un po' scomposto, il viso arrossato di lacrime, un evidente succhiotto sul collo e un pigiama molto familiare addosso.

La stanza odorava di sesso, quell'odore che ricordava alla lontana il muschio umido scaldato dal sole. Reborn era così scioccato che ci mise un bel po' ad elaborare: di lì a dieci anni, lui e Lambo sarebbero stati amanti.

Quel dannato Bazooka andava decisamente distrutto il prima possibile.

Tornò in cucina e lesse il biglietto che la sua versione futura stava scrivendo: “Ciao, splendore. Vado da Tsuna, mi ricordo di aver usato il Bazooka dopo che sei piombato in salotto dieci anni fa. Non ricordo dov'ero allora, ma se il mio io passato arriva da Tsuna, lui potrà dirmi ch” Reborn imprecò a mezza voce.

 

Gokudera guardò verso il basso, ancora convinto di essere nel bel mezzo di uno di quei sogni meravigliosi che poi scoppiavano e lo costringevano a risvegliarsi da solo, con in più il ricordo di qualcosa mai accaduto nella realtà a tormentarlo.

La mano di Tsuna stava tracciando dei piccoli cerchi sul suo petto, il suo indice ogni tanto gli sfiorava il capezzolo attraverso la stoffa; era chiaro che il suo gesto non fosse intenzionale, non stava cercando di sedurlo, eppure Gokudera era tormentato dalla sensazione che gli dava quel dito delicato che lo sfiorava.

Tuttavia, nell'incredulità e nella disillusione di Gokudera si stava facendo strada la consapevolezza che era tutto troppo fisico per essere solo un sogno. Di solito, nei suoi sogni si intrometteva sempre qualcosa di assurdo o del tutto irrazionale, e generalmente Gokudera riusciva a inserirsi nel proprio sogno lucido solo cercando delle incongruenze nel filo logico degli avvenimenti.

Invece, stavolta non c'era la minima inconsistenza.

Gokudera, dopo una buona mezz'ora di ragionamento furioso, chiamò: “Decimo?”

“Sì, Gokudera kun?”

“Tutto questo è... è reale?” Tsuna rise piano.

“Lo so, sembra un sogno anche a me. Go... Hayato kun, io sto così bene.”

“Anch'io, Decimo.” rispose Gokudera, ricacciando indietro le lacrime e cercando di convincere il proprio cuore a non schizzargli fuori dal petto all'udire la sua voce che pronunciava il suo nome.

“E dai, piantala di chiamarmi così, ci siamo baciati, direi che adesso hai il diritto di chiamarmi Tsuna, non pensi?” Gokudera si immobilizzò.

Ricordava un pomeriggio particolarmente irritante in cui Viola l'aveva costretto a sedersi sul pavimento e l'aveva sottoposto ad una specie di terapia d'urto da psicolabile per costringerlo a pronunciare il nome “Tsuna”, pomeriggio culminato ovviamente con lui che riusciva finalmente a cavarsi quelle due sillabe e lei che rideva come un dannato babbuino di fronte al suo rossore.

“Dai...” insistette Tsuna, “Almeno provaci. Per favore?”

“Decimo, io... cioè, voglio dire.”

“Guarda che ti faccio il solletico finché non lo fai!” minacciò Tsuna, poi si voltò tra le sue braccia e mise in atto quanto promesso.

Gokudera temette di impazzire.

Le mani del Decimo erano ovunque, sulla sua vita, sul suo petto, sulle sue braccia, il suo corpo era letteralmente spalmato sopra di lui e il battito cardiaco di Gokudera aveva ormai superato la soglia di allarme.

La risata, durante un attacco di solletico, non è altro che una reazione isterica ad una situazione fastidiosa. Ma Gokudera, pur non avendo la minima intenzione di mostrare fastidio al Decimo nell'improbabile ipotesi in cui lui sapesse quest'informazione, scoppiò a ridere, non poté evitarlo. Tsuna si bloccò, le mani immobili sul suo torace, e lo guardò come se fosse qualcosa di meraviglioso. Gokudera smise pian piano di ridere, poi lo guardò, incapace di togliersi il sorriso dalle labbra, e disse a bassa voce: “Tsuna.”

Tsuna sorrise, una curva luminosa per cui Gokudera avrebbe potuto fare il giro del mondo di corsa in venti minuti, oceani compresi, poi lasciò cadere la testa sul suo petto e vi strofinò il viso.

“Gnaaa, ma allora Bakadera è capace di dire il nome di Tsuna...” disse una vocina. Tsuna saltò su dal petto di Gokudera con un balzo degno di un gatto terrorizzato, mentre l'altro si alzava maledicendo le mucche.

“CHE COSA DIAVOLO CI FAI QUI?! DOVRESTI ESSERE A SCUOLA!” tuonò, dopo aver insultato tutti i bovini, umani e non, che calpestavano il pianeta Terra, hamburger compresi.

“Veramente la scuola è finita venti minuti fa.” gli fece presente Lambo, con un dito nel naso.

“Oh, cielo, siamo stati qui a fare niente per cinque ore?”

“Erbivoro.”

“Meeerdaaa...” gemette Tsuna, di cuore, poi una palletta di piume gialle gli becchettò un orecchio con violenza, “AHIO!”

“Lascialo in pace, dannato pennut... AHIO!” Gokudera, che stava cercando di intervenire in difesa di Tsuna, venne colpito da un tonfa che, l'avrebbe giurato, fino a pochi secondi prima non c'era.

Come se non fosse successo nulla, Hibari proseguì: “Ho riportato a casa il ragazzino. Dimenticarsi i bambini a scuola è contro le regole. Sarai sanzionato.”

“Lambo! Tu sei perfettamente in grado di tornare a casa a piedi dalla scuola!” disse Tsuna. Lambo arrossì come un peperone e non disse nulla, tutto preso nell'apparente tentativo di scavare un buco nel pavimento con la punta della scarpa.

Gokudera intercettò lo sguardo di Tsuna, poi prese in mano la situazione: “Hibari, gr... grz...”

“Grazie per aver riportato a casa Lambo.” gli venne in soccorso Tsuna, “Doveva tornare a casa da solo ma sono giornate un po' strane. In ogni caso, grazie.” Hibari annuì, solenne, poi si avvicinò a Tsuna. Era cresciuto parecchio, e torreggiava sopra di lui. In un sibilo minaccioso, disse: “Se mi hai fatto far tardi all'appuntamento con Haneuma ti mordo a morte.”, poi se ne andò senza aggiungere altro.

Almeno cinque minuti più tardi, quando Lambo si era già tolto la divisa per mettersi in tuta e il suo sederino spuntava dal frigorifero mentre lui cercava qualcosa di commestibile, finalmente Tsuna ricollegò i puntini: “Haneuma... DINO?!”

 

Reborn si fermò di colpo.

Aveva appena realizzato di avere ancora in mano la penna stilografica: tutto ciò che gli restava da fare era trovare qualcosa su cui scrivere.

Entrò di corsa in un bar, ghermì una manciata di tovaglioli di carta e uscì prima che la gente avesse il tempo anche solo di rendersi conto che qualcuno era entrato.

Tolse il tappo alla penna, se lo mise in bocca, appoggiò i tovaglioli al muro e scrisse, in stampatello bello grande per evitare che l'inchiostro sbavasse rendendo incomprensibile le lettere: “VIOLA È INCINTA, PORTALA VIA”.

Uno sbuffo di fumo rosa; quando Reborn riuscì a diradarlo, si ritrovò nella cucina di casa propria, nel tempo in cui viveva normalmente.

Il tovagliolo era ancora stretto nella sua mano.

 

Reborn piazzò il Bazooka dei Dieci Anni in un vecchio e fatiscente canale di scolo in disuso.

Si allontanò a passi rapidi, e quando fu a distanza di sicurezza estrasse una granata che aveva sgraffignato a Lambo. Staccò la spoletta con un gesto secco, poi la lanciò.

Pochi secondi dopo, il Bazooka era distrutto.

Qualunque cosa il suo io futuro intendeva dirgli, al momento non aveva la minima importanza.

L'unica cosa che contava, per lui, era che Lambo non si ritrovasse mai a proiettarsi nel futuro solo per trovarsi tra le braccia di un Reborn adulto, affascinante e fino a un secondo prima intenzionato a farlo suo.

Aveva notato degli strani comportamenti nel bambino, ultimamente, e aveva il forte sospetto, intensificato anche da qualche indizio colto dai discorsi di Tsuna e Gokudera su due maschi che possono stare insieme, che Lambo avesse una vaga cottarella per lui.

Ecco, intendeva soffocarla sul nascere, null'altro.

Sarebbe stato troppo, per lui.

Avrebbe dovuto respingerlo per anni, ferirlo come mai aveva fatto prima di allora: per quanto la sua versione futura fosse indubbiamente affascinante, adesso non era altro che un ragazzino di undici anni. Non solo sarebbe stato amorale, ma per Reborn andava al di là di ogni concezione. Non avrebbe mai e poi mai potuto tenere tra le braccia un bambino con intenti romantici.

Avrebbe semplicemente continuato a comportarsi come si comportava ora, e se un giorno Lambo fosse stato ancora di quell'idea, forse avrebbero potuto provare ad uscire.

Forse.

Sempre se il ricordo di Romeo non si fosse insinuato di nuovo nella mente di Reborn.

Senza il minimo rimpianto per la distruzione del Bazooka, Reborn si ficcò le mani in tasca e tornò verso casa Sawada.

 

“Ah-ah-ah!” disse Tsuna, in tono di rimprovero, mentre Reborn rientrava.

Gokudera si immobilizzò con in mano una pila di contenitori di cibo da asporto e arrossì. Reborn, ancora non visto, lasciò scorrere lo sguardo da uno all'altro.

Gokudera prese un bel respiro, arrossì ancora un po', poi disse: “Ok, ce la posso fare. Vado a buttare la spazzatura... T... Ts... Tsuna!” il suo interlocutore, futuro Decimo Boss dei Vongola, la Famiglia mafiosa più potente del mondo intero, altrimenti noto come Dame Tsuna, sorrise come un beota.

“Ah, allora sai dire il suo nome.” disse Reborn, facendo sussultare entrambi, “Cominciavo a pensare che avessi un impedimento di pronuncia.”

“Senti.” disse Tsuna, ma Gokudera lo precedette. Si infilò i cartoni sotto un braccio, e con la mano libera indicò Reborn, poi Lambo, che per una volta tanto non stava facendo caciara ma era solo seduto al tavolo della cucina, intento a bere un bicchiere di latte.

“Uno e uno due. Quella è la porta, andatevene a quel paese insieme.” Tsuna scoppiò a ridere, poi disse: “Non so come interpretare il fatto che al grande Reborn e a un ragazzino di undici anni è venuta in mente la stessa identica battuta!”

 

Inutile dire che per Tsuna la giornata si concluse con un grosso bernoccolo sulla sommità della testa.

 
   
 
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