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Autore: Princess_of_Erebor    03/05/2021    18 recensioni
Una fanciulla inaspettata... E un giovane dottor Enys. Due differenti personalità, una nuova realtà. Sullo sfondo, la selvaggia Cornovaglia del 1700 e alcuni personaggi ben noti, coinvolti in una storia diversa da quella che conosciamo. In questo progetto, voglio creare una protagonista femminile ispirandomi in buona parte alla sottoscritta. E se scrivere è un pò come vivere due volte, mi diletto a prendere vita attraverso le avventure di Jennifer.
Un racconto nato dalla passione per "Poldark" e dall'amore profondo che nutro per un personaggio che ha saputo sfiorare le più profonde corde del mio cuore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dwight Enys, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo II


Nampara, Cornovaglia
23 Luglio 1788





La luna si accingeva a lasciare il posto ai primi raggi di un sole che avrebbe annunciato una magnifica giornata; il suo pallore spettrale andava sbiadendo, mescolandosi col rosa e con l’azzurro che dipingevano il cielo ad oriente, cancellando gli ultimi lembi di un sipario notturno spruzzato di stelle. Un’alba immobile e limpida accolse una fanciulla che cavalcava verso la tenuta di Nampara, il vento tra i capelli e la freschezza negli occhi. Di lì a poco avrebbe compiuto diciassette anni, anche se nessuno, a vederla, avrebbe giurato che ne avesse più di quindici; di certo, nel cuore lei ne sentiva molti di più. Passando sul sentiero accanto alla Grambler – la miniera di suo zio dalla volubile fortuna, nonché il nucleo dell’industria locale – Jennifer notò che le luci erano spente. Non c’era anima vivente. Niente canti di ragazze che andavano a lavorare salutando il nuovo giorno con le loro voci angeliche, nessun cane che abbaiava, né un mulo che ragliava; nei dintorni regnava la calma più assoluta. Poi, ridendo di se stessa e della propria dimenticanza, la giovane rammentò che la sera precedente gli operai avevano terminato in anticipo il turno, e che quella mattina nessuno di loro si sarebbe recato sul posto di lavoro: era la festa di Sawle, e i minatori avrebbero goduto di una meritata giornata di riposo da trascorrere al villaggio a ballare, ad improvvisare giochi e – naturalmente – ad ubriacarsi. Ma la maggior parte di questi operai, insieme a mogli e figli, si sarebbe ritrovata a casa del capitano Poldark, che aveva organizzato una festa non meno allettante dell’altra: quella per il battesimo di Julia Grace, la bambina che sua moglie Demelza aveva dato alla luce il quindici Maggio.
Pregustando il divertimento che prometteva il programma della festa, Jennifer cavalcò con rinnovata impazienza fino a raggiungere le terre di famiglia; al chiarore dell’alba che avanzava intravide i rettangoli appena illuminati delle finestre di Nampara, quindi attraversò il ponte proprio mentre Jud Paynter, borbottando come il suo solito, sistemava i tavoli e le panche in giardino.
“’Giorno, Jud” lo salutò smontando da Fluffy, la sua docile giumenta. “Dormito bene?” gli chiese in aggiunta, per il puro gusto di stuzzicarlo un po’.
“Se per voi dormire bene significa trascinare il fondoschiena fuori dal letto un’ora prima dell’alba, allora questo non è affatto un buon giorno!” ringhiò il servo, lanciandole un’occhiataccia da sotto le sopracciglia spelacchiate.
“Oh, andiamo! Alzarsi di buonora non ha mai fatto male a nessuno”.
“Che io sia dannato se non è un male! Scendi dal letto, inciampi nel buio, ti ritrovi per terra con il collo spezzato e ffft… Sei morto!”.
“E questo non è giusto, vero Jud?”.
“No che non lo è! Non è carino, non è sicuro, non è…”.
“Non è appropriato!” lo mise a tacere Jennifer anticipando il finale di una cantilena che, pur conoscendo ormai a memoria, suscitava in lei una certa ilarità ogni volta in cui l’ascoltava. Jud, una pesante panca di legno tra le braccia pronta per essere posata a terra, mise in mostra gli unici due denti superstiti rivolgendo alla ragazza un altro sguardo torvo, stavolta più incisivo del primo.
Lei ridacchiò e, voltandosi per incamminarsi verso le stalle, vide il padrone di casa uscire dalla porta d’ingresso.
“Signorina Poldark! La tua puntualità lascia a desiderare: il gallo ha cantato quasi mezz’ora fa” disse Ross avanzando verso di lei.
“Buongiorno anche a te, capitano. Pensi tu a Fluffy? Io raggiungo le donne in cucina. C’è molto da fare ed è meglio mettersi subito al lavoro!”.
Jennifer lanciò al fratello le redini della giumenta e sbadigliò con indifferenza, quasi non avesse inteso la lagnanza di lui; ma, mentre passava accanto al grande vaso di anemoni, Ross le si parò davanti con fare spavaldo.
“Aspetta un attimo: hai intenzione di cambiarti d’abito per il pranzo, non è vero? Voglio dire, non puoi presentarti vestita come se stessi andando ad un ricevimento di galline!”.
“E privarmi del gusto di vedere il capitano Poldark a disagio di fronte ai suoi amici?”.
“Non sarò io quello a disagio, ma tu. Sembrerai la mia sguattera, anziché mia sorella. Dimmi un po’, dov’è finita la tua femminilità?”.
“Magari nello stesso posto in cui è finita la tua buona educazione”.
Con la mano chiusa a pugno, Jennifer scansò Ross colpendolo sulla spalla e passò oltre, ma dopo tre o quattro passi si arrestò: in quel momento i due si voltarono l’uno verso l’altra guardandosi negli occhi, ed esplosero in una sonora risata.
“Per Giuda! Qui c’è una montagna di cose da fare, e voi perdete tempo con le vostre insulse battaglie verbali!”.
Demelza era apparsa nell’atrio e si stava pulendo le mani sul grembiule; a dispetto del tono di rimprovero, sorrideva, osservando il marito e la cognata con aria divertita. Ai suoi piedi, Garrick abbaiò in segno di saluto e con un balzo corse via per saltellare attorno alla nuova arrivata, che si chinò per dargli qualche vigorosa pacca sui fianchi.
“Buongiorno, Dem! Stavo per raggiungerti in cucina” chiarì Jennifer, “ma com’era da aspettarsi sono stata trattenuta dal tuo uomo. E’ un impertinente, meriterebbe una bella punizione!”.
Nel frattempo, Ross si era avvicinato lentamente a sua moglie assumendo un’espressione di finta colpevolezza che lo faceva assomigliare ad un bambino in attesa del temuto rimprovero materno. Ad un certo punto abbassò il capo, simulando una contrizione che si trattenne dal lasciar sfogare in uno scoppio di risa; infine sollevò lo sguardo su quello interrogativo della donna e, a sorpresa, le offrì le labbra come solo lui sapeva fare, in un bacio morbido e arrendevole che avvolse Demelza in tutta la sua dolce intensità, facendola vibrare come le corde di un’arpa.
Jennifer si ritrovò a sorridere, affascinata: una scena del genere le era ben familiare, eppure si emozionava ogni volta come se fosse la prima. Del resto, con Ross e Demelza non poteva essere altrimenti. Ciò che li univa era quel tipo di sentimento che ti sfiora il cuore e poi lo afferra, per non lasciarlo più. Un amore autentico che cresce giorno dopo giorno senza temere avversità alcuna, in quanto possiede le armi necessarie a sconfiggere ogni sorta di nemico; un amore che mette radici profonde, divino nella sua purezza e solido nelle sue umane fragilità. Aveva avuto il privilegio di vederlo sbocciare negli occhi di entrambi, suo fratello e sua cognata, benché in tempi diversi. Chissà se, in futuro, una simile buona sorte avrebbe bussato alla sua porta indossando i panni di un uomo capace di toccarle il cuore… Si sarebbe rivelata una sfida interessante, considerando la sua indole ribelle. Era pronta a scommettere che nessun ragazzo disponesse delle qualità adatte a tenerle testa, o a soddisfare i più reconditi bisogni e desideri del suo intimo. Forse – come aveva detto più volte a Jinny – il vero amore esisteva soprattutto nei libri e nelle fantasie degli spiriti romantici; forse, di quelle rare eccezioni che poteva vantare la vita reale, lei non era destinata a far parte. Il che, per certi versi, non sarebbe stato poi così grave: innamorarsi era qualcosa che al momento non rientrava nei suoi obiettivi. Si era domandata spesso cosa fosse l’amore per lei. Un raggio di sole che ti asciuga il viso dopo la tempesta… Una corsa a perdifiato nei campi, o a piedi nudi sulla sabbia… Il suono spumeggiante delle onde che si annullano sugli scogli… Le fusa di un gattino sul grembo… Le grida dei gabbiani che si librano sul mare… L’amore non era altro che il sorriso ancestrale della natura, unito a quello delle persone la cui presenza nella vita rappresentava una benedizione.
“Sei qui, finalmente! Be’, che fai lì impalata? Ci serve aiuto con le torte!”.
Riemergendo pigramente dai propri pensieri, Jennifer distolse l’attenzione dai coniugi Poldark e si accorse che a parlare era stata Jinny, affacciata all’entrata principale, il volto impaziente; le corse incontro senza indugiare oltre, seguita poco poco da Demelza. In cucina Verity e Prudie erano già all’opera e, non appena le donne furono al completo, si diedero da fare con le torte e con gli strati di carne dei pasticci, per poi dedicarsi ai capponi e alle anatre.
Ross e Demelza avevano optato per un pranzo tradizionale, di quelli che soddisfano ogni genere di aspettativa, a differenza di quanto avevano stabilito per il banchetto del giorno prima – al quale avevano preso parte ospiti dai palati più esigenti. Per la seconda festa in onore della loro primogenita, marito e moglie avevano ritenuto infatti che ricette sofisticate e moderne sarebbero risultate fuori luogo, dal momento che gli invitati appartenevano ad un rango inferiore al loro; molti non avrebbero gradito e, quel giorno, tutti dovevano sentirsi a proprio agio e divertirsi. Dopo sei ore ogni cosa era pronta e cominciarono a comparire i primi ospiti, scortati da un sole sfolgorante che aveva deciso di contribuire alla riuscita della giornata, evitando di abbandonarsi ai suoi capricci abituali. Mentre i padroni di casa attendevano l’arrivo dei consueti ritardatari, Jennifer andò a cambiarsi nella sua stanza, o meglio nella stanza di cui si serviva ogni volta che si tratteneva a Nampara per un’occasione speciale; si sfilò la vecchia camicia di Ross, i pantaloni al ginocchio – stracci da lavoro, come li definiva – e indossò l’elegante abito cremisi acquistato qualche settimana addietro in uno dei migliori negozi di Truro. Sua cognata e sua cugina gliel’avevano caldamente consigliato per via del colore, che a loro parere metteva in risalto la sua deliziosa pelle lattea. Poi si sedette alla toeletta per spazzolarsi con cura i lunghi capelli scarmigliati, una consuetudine a cui non sapeva rinunciare, specialmente quando era pensierosa o stanca. Finito che ebbe di sistemarsi, si guardò compiaciuta allo specchio e tornò in cucina per vezzeggiare la sua adorata nipotina; quando uscì, trovò Ross in giardino che conversava con Zacky Martin e con un altro paio di affittuari. Lui la vide avvicinarsi con Julia in braccio, sorridente e sbarazzina, incantevole e radiosa come non mai, e di colpo realizzò che sua sorella non aveva più l’aspetto dell’acerba ed esile ragazzina conosciuta al ritorno dall’America: adesso era una splendida creatura che il tempo aveva maturato in donna.
“Buongiorno, Jennifer” la salutò Zacky togliendosi il cappello e rivolgendole un piccolo inchino. “Diventate ogni giorno più bella… Immagino che abbiate una schiera di ammiratori al vostro seguito!”.
“Ho qualche dubbio in proposito” interloquì Ross inarcando un sopracciglio con fare ironico, “dato che gli sciagurati che si arrischiano ad avvicinarsi finiscono col darsela a gambe levate, dopo aver scambiato qualche parola con lei!”.
Jennifer gli scoccò un’occhiata affilata ed era sul punto di ribattere, quando la piccola Julia sollevò le manine chiuse a pugno emettendo dei gridolini di felicità tra le sue braccia, come divertita dall’ennesimo battibecco tra la zia e il papà.
In quel momento, sul ponte di assi apparvero i membri della famiglia Daniel dal più giovane alla più anziana, quindi Ross abbandonò la conversazione per andar loro incontro e dargli il benvenuto. Ora gli ospiti erano al completo e, nel giro di qualche minuto, sulle panche disposte attorno ai tavoli che Jud aveva sistemato in giardino non vi era un solo posto libero. Le prime portate furono servite da Prudie e Jinny e, a giudicare dai sorrisi soddisfatti che spuntavano qua e là tra i commensali, la qualità del cibo era davvero ottima (per non parlare della quantità, degna di un esercito!). Prima di soddisfare il proprio appetito, Jennifer vezzeggiò Julia ancora un po’ finché la piccolina non si addormentò beata; allora la adagiò dolcemente nella culla all’ombra degli alberi, e prese posto a tavola tra Demelza e Verity, alzandosi di tanto in tanto per dare una mano e per controllare che ogni cosa fosse al suo posto. Il pranzo volgeva al termine, quando si alzò di nuovo per ritirare le grosse caraffe vuote; uscendo dalla cucina quasi si scontrò con Jinny, che aveva appena riempito e distribuito nuove caraffe di birra. A quel punto, come leggendosi nel pensiero, entrambe decisero di concedersi una pausa e sedettero in disparte l’una accanto all’altra, a chiacchierare indisturbate. Jen e Jin, la mora e la rossa, così le chiamavano alcuni abitanti di Mellin; si erano conosciute due anni prima, quando Jinny era stata assunta come domestica a Nampara, e da allora erano inseparabili. La differenza d’età e di classe sociale non costituiva alcun ostacolo per la loro amicizia, che cresceva pura e salda.
“Devo ancora decidere se perdonarti lo scherzetto di ieri” disse Jinny, fissando il boccale con aria pensosa dopo aver sorseggiato la sua birra.
Per tutta risposta, Jennifer afferrò una ciocca dei capelli castano ramati dell’amica e la tirò verso il basso, ridendo. “Non vorrai fare l’offesa con me! Come ti dicevo stamane, ho avuto un piccolo malessere… Ma sono lieta di vedere che ti sono mancata!”.
“Puoi ben dirlo! Senza la tua vicinanza e il tuo supporto, mi sono sentita come un pesce fuori dall’acqua! Ma più di ogni altra cosa, mi sono mancate le nostre risate”.
“Deduco che il pranzo di ieri non è stato tranquillo e piacevole al pari di questo”.
“Oh, Jen! Come avrebbe potuto esserlo, in mezzo a tutti quei ricconi?”.
“Suvvia, alcuni di loro non sono poi tanto male”.
“Non scherzare! Tuo cugino, per esempio, avrebbe potuto mostrarsi un po’ più educato e meno sprezzante nei miei confronti. E’ stato particolarmente sgradevole!”.
“Francis diventa sgradevole ogni volta che alza il gomito, lo fa con chiunque!”.
“E’ così diverso da tuo fratello! Lui sì che…”.
Ma la frase rimase tronca. Jinny si era voltata a guardare un uomo appena sceso da cavallo, al quale Ross stava andando incontro.
Fu allora che Jennifer lo vide: alto, impacciato, sorridente. Avrà avuto vent’anni, o poco più. Venti primavere di raggi dorati accecanti, tra i capelli scompigliati dalla brezza marina; venti estati avevano donato l’azzurro più terso del cielo ai suoi occhi, che sprigionavano assennatezza e dolcezza in egual misura.
“Buon Dio! E quello chi è? Sembra il principe descritto nel libro di fiabe di Betsy… E’ un capolavoro di bellezza!” esclamò Jinny rapita con lo sguardo fisso sullo sconosciuto, facendo sobbalzare l’amica che le sedeva accanto. Le sue appassionate considerazioni avevano dato voce ai pensieri di Jennifer, che mai aveva visto un uomo tanto attraente e che, colta di sorpresa, per poco non si rovesciò sul vestito nuovo il contenuto del boccale quasi pieno che reggeva in mano. Subito si ricompose, ostentando un’indifferenza che non le apparteneva.
“Se Jimmy ti sentisse parlare in questo modo, suppongo che avrebbe qualcosa da ridire” commentò, un sorrisetto malizioso disegnato sul viso improvvisamente arrossato.
“Jim ed io non siamo fidanzati” replicò distrattamente Jinny, come se non avesse colto l’insinuazione di Jennifer.
“Non ancora, ma lo sarete”.
“La smetti di seccarmi? Devo scoprire chi è quel biondino caduto dal cielo! Non l’ho mai visto qui”.
“Dev’essere un amico di Ross e Demelza”.
“Un conoscente, vorrai dire. Altrimenti sarebbe stato invitato”.
“Come sai che non ha ricevuto un invito ufficiale?”.
“Andiamo, Jen! Nessuna persona rispettabile si presenterebbe a metà dei festeggiamenti, per giunta senza recare con sé un dono per la bambina!”.
“Magari non è una persona rispettabile. Non è raro che quelli della ‘gente alta’, come li chiami tu, si rivelino indegni di stima”.
Jinny esplose in una delle sue briose risate contagiose. “Ti ricordo che tu sei una di loro, mia cara amica!”.
Jennifer scosse la testa rivolgendole un’occhiata di affettuoso biasimo. “Sai bene che non mi sento un’aristocratica”.
“A giudicare dal modo in cui veste, non saprei dire con precisione a quale classe sociale appartiene” rifletté Jinny, esaminando lo straniero con scrupolosa attenzione.
“Non ha i modi e l’aspetto di un gentiluomo avvezzo al lusso” disse Jennifer tra sé e sé, fissando con crescente curiosità quell’affascinante giovanotto che parlava con suo fratello e che, in quel preciso momento, si dirigeva verso uno dei tavoli più vicini preceduto dal suo anfitrione.
“Gradite qualcosa per rinfrescarvi? Ecco a voi, birra di nostra produzione. Avete fatto una lunga cavalcata, e ringraziamo il tempo che ha deciso di essere clemente!” disse Ross, porgendo al nuovo arrivato un grosso bicchiere riempito fino all’orlo di birra fresca.
“Giornata incantevole, davvero!” osservò il giovane, in apparenza più compiaciuto dal primo sorso di birra che dal clima. “Siete gentile ad accogliermi in casa vostra, signore. Ad ogni modo, non è mia intenzione recare disturbo a voi e alla vostra famiglia. Se avessi saputo della festa sarei venuto un altro giorno, ma immagino che Joan non ne sapesse nulla, altrimenti mi avrebbe informato”.
“In effetti, pochi tra gli invitati di ieri sapevano che avremmo dato una seconda festa per il battesimo di Julia” spiegò il padrone di casa, versandosi del gin. “L’idea è stata di mia moglie: voleva evitare di mescolare la panna con le cipolle, se capite cosa intendo”.
Rise, scoprendo i denti brillanti; il ragazzo si limitò ad annuire, abbozzando un sorriso. Non parlava molto e sembrava a disagio, eppure al capitano Poldark non sfuggirono le sue maniere schiette e gli occhi intelligenti.
“Non disturbate affatto, signor Enys. E’ un piacere avervi con noi. Il mio servo si sta occupando del vostro cavallo, dunque non avete scampo: dovete unirvi ai festeggiamenti!” riprese Ross, battendo energicamente la mano sulla spalla dell’ospite mentre si allontanava con lui.
Come morsa da un serpente Jinny scattò in piedi, e Jennifer, che spesso indovinava i pensieri di lei prima ancora che venissero formulati ad alta voce, l’afferrò decisa per un braccio.
“Non essere impudente! Si accorgeranno che li stai seguendo per origliare, non ci farai una bella figura!”.
“Oh, ma io non intendo origliare. Sto andando a rassettare la stanza di Jim, e tu verrai con me!”.
Prima che Jennifer avesse il tempo di protestare di fronte a quello che era un palese pretesto per avvicinarsi all’uomo misterioso, fu presa per mano e trascinata via da una Jinny impicciona come non l’aveva mai vista. Passando come una furia davanti all’uscio spalancato di Nampara, entrambe travolsero una piccola panca di legno a sinistra dell’ingresso, rovesciandola, e quasi inciamparono nella piccola Inez Mary, sorella di Jinny, il naso coperto di lentiggini e i riccioli rossi che saltellavano selvaggi al ritmo dei piedini nudi sull’erba. Quindi svoltarono l’angolo, raggiunsero l’estremità orientale dell’edificio e si introdussero nella stalla, dove salirono fino al soppalco in cui si trovava il giaciglio di Jim Carter.
“Sul serio, cosa direbbe Jimmy se ti vedesse tanto interessata ad un altro”? azzardò di nuovo Jennifer, seguendo per metà divertita e per metà infastidita i movimenti dell’amica che, in piedi sul consunto materasso, apriva con cautela la piccola finestra dai vetri incrostati di sale, nel tentativo di fare meno rumore possibile. “Senza contare che impicciarsi delle faccende altrui non porta mai niente di buono”.
“Si chiama curiosità, mia cara” replicò Jinny senza scomporsi. “Noi donne siamo fatte così: ci sentiamo realizzate, quando abbiamo la possibilità di ficcare il naso negli affari dei vicini o dei parenti, come dice la signorina Verity. E sebbene in questo caso non si tratti né degli uni né degli altri, muoio dalla voglia saperne di più su quel bel forestiero! Lo vuoi anche tu, non provare a negarlo! Ce l’hai scritto in faccia. E poi, non stiamo facendo niente di male”.
“Va bene, mi arrendo!” sbottò Jennifer prima di sporgere leggermente il capo fuori, imitando Jinny. A pochi metri sotto di loro, ignari di essere osservati, i due signori conversavano coi bicchieri in mano in un angolo appartato del giardino, passeggiando pigramente tra i cespugli di rosmarino e di lavanda mossi da una gentile brezza estiva. Ma il più splendente di tutti era il cespuglio di rose di una specie rara, che troneggiava in mezzo ad una gran varietà di piante e fiori: lo sconosciuto ne ammirò la limpidezza del bianco e l’eleganza del rosa, guardandosi attorno con interesse.
“L’amore di Demelza per i fiori ha donato nuova luce a questo posto” disse Ross, in risposta ai cortesi complimenti del visitatore; il suo sguardo – sovente considerato freddo dagli estranei e da coloro che credevano di conoscerlo – si colmava di tenero orgoglio ogni volta in cui parlava della donna che amava sopra ogni cosa, in quel mondo ingannevole che si era dimostrato magnanimo con lui, liberandolo dalla sua antica disillusione e restituendogli parte della fiducia che aveva sepolto in guerra; un mondo che gli aveva impartito una meravigliosa lezione sul vero amore, poiché adesso il senso dei suoi giorni era racchiuso nei vivaci occhi di sua moglie.
“Ebbene, signor Enys…” proseguì, dopo qualche istante di silenzio.
“Vi prego, chiamatemi Dwight” lo interruppe il gentiluomo con garbo, senza riuscire a dissimulare un candido imbarazzo.
 “La signorina Pascoe mi ha parlato bene di voi, Dwight. Ieri, a tavola, raccontavo della tormentosa notte in cui è nata Julia spiegando quanto sia raro, oggigiorno, trovare dei validi dottori che in caso di bisogno diano la loro disponibilità immediata, anche qualora si renda necessario uscire di notte e col maltempo; a sorpresa, Joan è intervenuta dicendo di conoscerne uno tanto giovane quanto promettente. La cosa ha suscitato il mio interesse, così dopo pranzo abbiamo scambiato due parole in privato e lei mi ha riferito di un amico, laureato in medicina da circa sei mesi, che la sua famiglia ospita da qualche tempo e che attualmente è in cerca di un nuovo alloggio, oltre che di un impiego. Ho detto che forse avrei potuto fare qualcosa, perciò mi sono preso la libertà di chiederle di invitarvi a passare”.
Dwight sorrise, il volto arrossato per via del riferimento ai complimenti della Pascoe e per la preferenza accordatagli dal capitano Poldark.
“Vi ringrazio signore, apprezzo molto il vostro interessamento”.
Dall’alto (che poi così alto non era) del suo nascondiglio, Jennifer osservava la scena animata da quel trepidante senso di colpevolezza frammista ad eccitazione che si prova spiando qualcuno dal buco della serratura. Al riparo dalla confusione dei festeggiamenti e certa di non essere scoperta – almeno così sperava – poté osservare meglio il ragazzo: pareva davvero un principe saltato fuori da un racconto per bambini. Il viso fresco dai lineamenti armoniosi era di una bellezza raffinata quanto i suoi modi, nonostante questi tradissero una giovanile insicurezza; lo sguardo risoluto e dolce al contempo faceva pensare ad un carattere forte, arricchito da una generosa sensibilità; la fronte alta, sotto i capelli ondulati e biondi come il grano maturo, rivelava una giudiziosa serietà che, tutte le volte in cui lui sorrideva, cedeva il posto alla timidezza. La fanciulla ne era incantata. I suoi occhi non volevano saperne di staccarsi da quella visione. Possibile che fosse una persona in carne ed ossa, e non il frutto delle proprie fantasie? Peccato che lui avrebbe presto intrapreso la carriera di medico; un mestiere che, purtroppo, la riguardava da vicino.
“Un dottore… Interessante! Potrei rompermi una gamba, o beccarmi un raffreddore” mormorò ad un tratto Jinny. Aveva interrotto il corso dei pensieri di Jennifer e scordato la sua posizione precaria, guadagnandosi una gomitata indignata dall’amica che, allarmata, d’istinto ritrasse il capo dalla finestra; fortunatamente, quello di Jinny era stato poco più di un sussurro udito soltanto dagli uccellini cinguettanti sui rami del biancospino.
“Joan Pascoe mi ha detto che intendete proseguire qui i vostri studi” continuò Ross, bevendo l’ultimo sorso di gin. “Una scelta sensata, dato che da queste parti la vita è decisamente meno cara che a Londra”.
“Pensavo di affittare una casa di modeste dimensioni e di mantenermi prendendo qualche paziente” disse Dwight, i capelli che sfolgoravano al sole del meriggio come sinuose spighe dorate.
“Un’ottima idea. C’è carenza di medici nella zona, e voi sareste più che benvenuto, ve lo assicuro!”.
“Credevo ce ne fosse uno che gode di una certa reputazione, ma forse sono male informato”.
Ross si lasciò sfuggire una smorfia di disprezzo al pensiero di Thomas Choake, un vecchio insolente e cocciuto dalla mentalità ristretta e le idee antiquate.
“Sì, abbiamo un dottore nel distretto, l’unico disponibile nel raggio di chilometri. Peccato che non goda esattamente della mia stima. In ogni caso, se la vostra idea è quella di stabilirvi qui, credo di potervi aiutare: sono socio di una miniera, Joan ve lo avrà detto. C’è bisogno di un chirurgo e potrei farvi avere il posto, se foste interessato. In questo modo, avreste la possibilità di specializzarvi nelle malattie che affliggono i minatori”.
Il viso di Dwight si illuminò come quello di un bambino davanti ad una montagna di giocattoli. “Dovete avermi letto nel pensiero! Mi interessano in modo particolare le affezioni polmonari e i disturbi legati all’apparato respiratorio. E poi ci sono la febbre, le patologie infettive…”.
“La malnutrizione” soggiunse il suo attento interlocutore.
“Purtroppo è alquanto diffusa, e non solo tra i minatori. Vedete, c’è così tanto da imparare e da sperimentare, che sono pronto a lavorare giorno e notte senza chiudere occhio, se necessario!”.
“Questo è lo spirito giusto” affermò Ross sorridendo, “ma vi occorrerà riposare in maniera adeguata per svolgere bene il vostro lavoro, voi lo sapete meglio di me!”. Per un attimo osservò, sorpreso e compiaciuto, quel giovanotto dall’aria sveglia la cui timidezza pareva averlo abbandonato. “Di materiale per i vostri studi ce n’è in abbondanza. La miniera è piccola, conta meno di un centinaio di uomini, ma se deciderete di accettare l’impiego potreste guadagnare abbastanza per mantenervi. E naturalmente, farete esperienza. Prendetevi del tempo per pensarci su!”.
“Non ho bisogno di pensarci, signore” si affrettò a rispondere Dwight. “E’ proprio questo il genere di lavoro che sto cercando. Accetto!”.
“Molto bene! Resta un’ultima questione da risolvere: l’alloggio. Ne ho in mente uno che potrebbe fare al caso vostro. Ne parlerò col proprietario, il signor Horace Treneglos, anche se non credo che ci siano impedimenti. Vi farò sapere entro la settimana. Adesso, permettetemi di offrirvi una fetta di torta e un bicchiere di brandy: anche voi avete qualcosa da festeggiare!”.
Enys sorrise, le guance tinte di un rossore acceso dall’imbarazzo e dall’entusiasmo.
Con un gesto della mano, Ross lo invitò a seguirlo; gli piaceva sul serio, quel ragazzo.
“Vi sono molto obbligato, signor Poldark”.
“Per favore, chiamatemi Ross”.
Eee…tcciù!
I due sollevarono il capo guardando nella direzione da cui era giunto quel suono secco ed improvviso. Non videro nessuno, ma la finestra della stalla che dava sul retro era spalancata, e il sorrisetto che il signore di Nampara non riuscì a trattenere suggeriva che egli aveva indovinato più di quanto avrebbe dovuto, ed era pronto ad indovinare cosa sarebbe accaduto di lì a poco, pregustandone gli effetti.





**-**





Nota dell’autrice:

Dopo aver apportato una piccola modifica al testo, mi sono resa conto di aver cancellato per errore la nota autrice. Ritengo dunque doveroso porre rimedio, riassumendo quanto detto nell'originaria.
E' mia premura sottolineare che nella stesura di questo capitolo ho voluto rendere piena giustizia ai personaggi canonici, incluso il protagonista maschile, al quale sono particolarmente affezionata: Dwight Enys, che come nel romanzo non è un ex commilitone di Ross, bensì un giovane appena laureato in medicina che alloggia a Truro dai Pascoe. L'unico personaggio il cui carattere ho voluto distaccare dall'originale è Jinny Martin, tuttavia non mi concederò altre libertà del genere in futuro. Tengo a precisare che questo episodo, come l'intera storia che ho concepito e che mi accingo a scrivere, si ispira al romanzo di Graham più che alla serie televisiva.
Come ultima cosa, voglio rendervi partecipi di un fatto curioso: avevo già scelto il nome della protagonista, quando sono venuta a conoscenza delle sue origini. "Jennifer" deriva infatti da "Jenifer", la forma cornica del nome Ginevra. Il suo uso rimase confinato alla Cornovaglia fino all'inizio del XX secolo, quando venne usato da George Bernard Shaw per un personaggio della sua opera del 1906 intitolata "Il dilemma del dottore" (Fonte Wikipedia). L'ho trovata una coincidenza interessante, che mi piace interpretare come un segno di buon auspicio.
Ringrazio tutti coloro che passeranno a leggere e/o a lasciare il loro commento. A presto!

Claudia




 
  
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