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Autore: shana8998    04/05/2021    0 recensioni
Lucille è una strega. La sua congrega, scacciata da Cesarine in Francia, è stata costretta a rifugiarsi fra le strade di New York.
Zane è un cacciatore, ha giurato fedeltà alla Chiesa e da sempre vive secondo un unico, ferreo principio: uccidere le streghe. La sua strada non avrebbe mai dovuto incrociare quella di Lucille, eppure un perverso scherzo del destino li costringe ad incostrarsi sulla riva dell'Hudson.
Anche se quella tra streghe e la Chiesa è una guerra antica come il mondo, un nemico crudele ha in serbo per Lucille un destino peggiore del rogo. E lei, che non può cambiare la sua natura e nemmeno ignorare i sentimenti che le stanno sbocciando nel cuore, si troverà di fronte a una scelta terribile.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Sovrannaturale
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                                                                                        Strega

C'è qualcosa di spettrale in un corpo toccato dalla magia. Quasi tutti notavano per prima cosa l'odore: non la puzza di marcio tipica della putrefazione, ma un miasma dolciastro nelle narici, un sapore acre sulla lingua.
Qualcuno, di rado, percepiva anche un fremito nell'aria. Un'aurea che aleggiava sospesa sul cadavere del malcapitato: perché è di questo che si parla, di malcapitati.
Persone normali, anonime. Vittime. Le stesse che venivano colpite da sortilegi e irreversibilmente, perdevano da prima se stesse e poi la vita.
Nell'ultimo anno erano stati trovati tredici cadaveri: più del doppio dell'anno precedente.
La Chiesa, il corpo di polizia, l'intero stato si era sforzato di mantenere il segreto riguardo le circostanze di quelle terribili morti e tutte le vittime erano state dapprima seppellite in bare chiuse e in seguito, seguendo un repentino cambio di programma, bruciate.
Streghe: qualcuno aveva azzardato questa parola durante un notiziario.
Pensare che nel ventunesimo secolo possano esistere donne dotate di certi poteri ed in grado di possedere altri umani o di lanciare malefici e chissà quale altra follia, è da pazzi. Eppure è così. Le streghe esistono, sono esseri letali ed io sono una di quelle.
«E' di stamane la notizia del ritrovamento del settimo cadavere, Camila Labelle, figlia dell'imprenditore Ector Labelle. La ragazza, appena maggiorenne, giaceva esanime sulla riva del fiume Hudson[...]»
Camila era scomparsa nel cuore della notte e, con mio grande sgomento, era riapparsa - con la gola squarciata - sulla riva di quel maledetto fiume. Sapevo di trovarla li. Avevo captato la sua vita spegnersi, forse, un attimo prima che accadesse ed ancor prima di vederla nella mia testa, con la mera speranza di trovarla  prima che la vita le venisse meno. Una volta arrivata sulla riva dell'Hudson, però, potei solo constatarne la morte.
Comunque,  la cosa peggiore non era di per se la morte ma il modo in cui era morta.
I suoi lineamenti erano cambiati - troppo cambiati.
A ventiquattro anni era diventata vecchia.
Le rughe, la cataratta, i capelli bianchi. A quel punto non c'era molto da capire: era stata vittima di un sortilegio.
Chi poteva avercela con lei? Camila era una ragazza adorabile. Al College era un'allieva modello. Studiosa e dalla media altissima in quasi ogni materia; faceva parte di diversi corsi extra-scolastici ed anche in quelli emergeva come la punta della stella di un albero di Natale.
Per non parlare, poi, del suo modo di rapportarsi agli altri. Le avevo dato l'appellativo "Caramellina" proprio per il suo eccesso di dolcezza e carineria verso tutti, anche verso chi non era affatto dolce e carino con lei.
Ma se Camila poteva non aver nemici, suo padre Ector - il ricco imprenditore Ector - invece, ne aveva accumulati molti.
Ero quasi certa che uno di questi portava la gonna e lavorava in qualche casino della zona.
E' consuetudine delle streghe, quella di appoggiarsi nei bordelli. Li è più semplice procurarsi la linfa vitale.
Le Mantidi rosse.
Le chiamano così proprio per la loro predilezione nel togliere la vita agli uomini. Per questo, il più lavora come escort nei casini di New York. Proprio come la mia amica Colette...

«L'hanno trovata» Dissi ancor prima che mi facesse entrare nella sua stanza «E' stata una strega. Una di voi.».
Colette mosse un passo indietro: il viso contrito.
Entrai nella sua stanza lasciando che la luce rossa, che traluceva dalla abat-jour sul piccolo comodino bianco, mi invadesse il viso.
Chiuse la porta alle mie spalle e respirò pesantemente.
«Parli di noi streghe come se il nostro sangue non ti appartenesse».
Erano settimane che lei ed io litigavamo in balia delle incomprensioni, di quel mio rifiuto.
Non volevo essere una strega. Non ero una Sanguinaria come loro, non avevo mai ucciso nessuno. Io sentivo e vedevo la gente morire per colpa delle Mantidi e l'unico mio desiderio era quello di poter salvare almeno una vittima.
Altre avrebbero pregato per partecipare a quel Purgatorio.
«Quanti nei hai uccisi, Colette? Tre, dieci, venti? Quanti, solo questa settimana?»
Colette serrò la mascella e le sue gambe esili e ambrate percorsero velocemente la stanza per un paio di volte. I nervi la stavano divorando. Raccolse alcuni indumenti sparsi e li risistemò maldestramente dentro il cassetto di un comò.
«Non abbastanza e comunque non una ragazza. Mai, una ragazza!»
Quando avevamo incominciato ad odiarci io e lei? Quando, le nostre strade avevano fatto capolino dinnanzi ad un burrone ed io ero rimasta indietro?
Colette, da quel burrone, si era lanciata.
Aveva accolto la sua maledizione come un dono ed era fiera delle sue origini, di quella stirpe maledetta.
«Lucille-» si fermò di colpo difronte a me raccogliendo le mie mani nel suoi palmi «posso giurarti che  nessuna delle streghe qui dentro ha torto un solo capello a quella ragazza». Il viso di Colette sprigionava nel mio petto una terribile incertezza. Avevo la mesta sensazione che quel sorriso triste e quegli occhi lucidi fossero solo apparenza. Una maschera posta sul viso di una verità che mi avrebbe fatto soffrire.
Ma Colette era come una sorella per me. Non ricordavo un solo momento trascorso senza di lei. Le disavventure, la migrazione verso il nuovo stato, avevo passato tutto con lei.
«Voglio crederti» Le avvolsi un braccio sulle spalle appena coperte da un filo di raso bianco «Scusa se ho dubitato di te, Colette.».
Ricambiò la mia stretta «Giuro che ti aiuterò a trovare chi le ha tolto la vita. So che eravate amiche e ti conosco, stai soffrendo»
La sua mano esile si mosse lungo il mio braccio, trascinandosi le dita fino a sfiorare le mie vene. Le carezzò delicatamente «Lo sento dal tuo sangue.»
Ci sono molte, moltissime cose che le Mantidi sanno fare ed una di quelle è persuadere chiunque esse vogliano.
Sono ammaliatrici, in grado di farti fare qualsiasi cosa.
Ritrassi il braccio e le pagliuzze d'oro nei suoi occhi da cerbiatta smisero di brillare all'istante.
Il volto di Colette tornò serio, seccato.
«Ora...devo proprio andare.»
Ultimamente, dopo che i suoi poteri da strega si erano manifestati in tutta la loro brutale magnificenza, Colette mi metteva a disagio.
«Dove?» Si mosse verso il piccolo baldacchino coperto di pompose coperte di tulle bianco e rosato, lasciandocisi cadere sopra di schiena. Intrecciò le braccia sotto la nuca e spostò lo sguardo su di me «A casa? In ostello? Dov'è che andrai?»
Ci volle un attimo perché la sua voce balzasse da uno stato d'animo all'altro: ora era irritante.
«Voglio schiarirmi le idee. Fare un giro in centro, magari.» Il mio sguardo planò alla moquette vinaccio ed alle ciabatte con un accenno di tacco e tante, tante, piume incollate sulla fibbia.
«Fa come ti pare» Sospirò ruotando a pancia in giù «ma cerca di non farti beccare. Ora che loro sanno che è stata una strega, non tarderanno a cercarci.»
Mi abbottonai la zip della felpa sin sulla gola, «Vale anche per te» e raggiunsi la porta, «sono quasi certa che incominceranno proprio dai bordelli, perciò...cerca di non esserci quando loro saranno qui.».
Lasciai che la manopola scivolasse nel mio palmo e la girai. Uscii dalla stanza, prima che Colette potesse aggiungere altro, calandomi sulla testa il cappuccio. Speravo che il buio di quel corridoio mi divorasse allo stesso modo dei pensieri martellanti nella mia testa.
Un attacco da parte di una Mantide prevedeva una ed una conseguenza soltanto: la caccia alle streghe.
Si sarebbero mossi tutti, dalla Chiesa alle autorità...ai Cacciatori.
Ciò che mi preoccupava di più, in quel momento, erano proprio loro.
Giravano leggende sulle atrocità che loro riservavano a noi streghe. Catturarci non significava soltanto farci confessare il misfatto, no. Saremmo state vittime di violenze indecenti - torture -, che ci avrebbero portato solo a pregare la morte.
Mi colse il terrore di trovare Colette proprio come Camila. Uccisa, questa volta, da un Cacciatore.
Uno spasmo mi fece quasi piegare, mentre scendevo lungo la scalinata di legno stretta e scricchiolante del piano riservato alle cortigiane.
«Lucille? Sei tu?» Incespicai sull'ultimo scalino quando la voce di Babette mi solleticò la nuca.
La vecchia strega, cieca e avvizzita, si caracollò annaspando nel buio dei suoi occhi vitrei con un braccio sollevato alla ricerca della ringhiera di legno.
«Baba, sono io.» 
La sua mano rugosa mi sfiorò una guancia. «Piccola mia, vai di già?»
C'era un ritaglio nel mio cuore che rievocava il periodo passato in Francia, quando ancora Colette ed io eravamo poco più che bambine e Babette si prendeva cura di noi.
Annuì un paio di volte ed io mi interruppi «Si, ho-».
 «So quello che ti passa per la testa, piccola mia. Ma non ti preoccupare, vedo un futuro stupendo per te.»
Sorrisi dimenticandomi all'istante ogni preoccupazione, proprio come quando, da piccola, incominciavo a vedere volti sconosciuti spegnersi e correvo nel suo letto in preda alle lacrime.
«Ho paura» Mormorai. Era difficile impedire alla voce di non scappare dalle mie corde vocali rotta.
Avrei voluto piangere stretta fra le sue braccia.
«Tutte ne abbiamo. Ma non accadrà nulla se resteremo unite.»
Non avrei mai detto a Babette del mio rifiuto. Non avevo accettato il rito di purificazione, nè il battesimo da strega. Ma a lei dissi che li avevo rimandati perché questo era quello che la mia anima magica mi diceva di fare.
Baba non obiettò, ma io sapevo che era in attesa. Avrebbe assistito alla funzione in lacrime, proprio come aveva fatto per Colette.
«Torna presto, Lucille» Mi diede due buffetti sulla guancia. Di colpo ripiombai nel presente ma tutto mi era più chiaro.
Dovevo tornare sulla riva di quel fiume. Solo li avrei trovato degli indizi.
Annuii regalandole un bacio sulla fronte e poi corsi verso la porta di vetro. La campanella tintinnò ma, ancor prima di quel suono, avvertii l'aria gelida di Novembre graffiarmi le guance.
Mi calai nel gelo dell'autunno perdendomi fra la folla di gente che rincasava da una lunga giornata di lavoro o da una passeggiata e sperai, ancora una volta, di sparire fra di loro.

L'Hudson era illuminato da un faro sul cavalcavia sopra la mia testa. La luce bianca del led rendeva il manto del fiume un'enorme distesa nera, e l'erba grigia e spenta.
Percepivo il cuore di Camila: non mi parve strano. Avevo già avuto una sensazione simile nonostante la vittima fosse già morta. Era successo con Matisse, il mio gatto.
A cinque anni, Colette aveva incominciato a mesticare con gli incantesimi ed uno di questi prevedeva un sacrificio. Il mio gatto.
Ricordo vividamente che lo cercai per due notti e due giorni avvertendo il suo cuoricino battere all'impazzata nella mia testa. Poi, quando raggiunsi un punto nel bosco attorno casa e vidi quella grande bruciatura sul terriccio, il suo cuore smise di rimbombarmi nella testa.
Capii che fosse morto li.
Non ho mai perdonato Colette per quel gesto, anche se Baba la giustificò dicendo che per lei gestire le sue pulsioni da Mantide, alla sua giovane età, non era facile.
Poteva provarci. Poteva farlo per me.
Ad ogni modo, adesso stavo provando la stessa sensazione. Un misto di angoscia e fretta che mi obbligava a correre fra l'erba scura e umida, incespicando qua e la, quasi da costringermi a raddrizzarmi prima di finire per terra.
Solo quando il cuore di Camila divenne un soffio nella mia testa mi fermai.
Li, nel punto dove l'avevo vista morire, c'era dell'erba schiacciata. Se avessi osservato un po' meglio, avrei potuto vedere la sagoma del suo corpo.
Mi chinai poggiando una mano li dove potevo immaginarla riversa.
Sfiorai l'erba, era calda sotto il mio palmo. Non tenni conto di quel dettaglio: la mia pelle aveva arso altre volte per lo stesso motivo.
Noi streghe percepiamo il calore di un corpo morto anche dopo settimane.
Ciò che, però, mi colse del tutto impreparata fu la sabbia depositata sui fili d'erba.
Sabbia che nessun cadavere, vittima di una Mantide, lascia dietro se.
La sabbia era più il risultato di un rito esoterico, una possessione più forte di quella prodotta da una Sanguinaria.
Chi era in grado di un simile sortilegio? Ci vogliono decine di linfe vitali per poter possedere in tal maniera qualcuno.
E poi, il corpo di Camila era avvizzito, imbruttito. Tutto mi sapeva di vendetta, di perfidia. Le Mantidi cacciano per fame, per-
«Ferma li, strega!»
Il cuore fece un tuffo nel vuoto del mio petto.
Gli occhi, al contempo, mi pizzicarono come se ci avessi spruzzato del limone.
Alzai il capo di scatto, dritto sull'unica sagoma ,oltre la mia, su quella riva.
«U-Un» I tremori mi pervasero a tal punto che fu impossibile non traballare risollevandomi.
«Cacciatore...».
Nel buio non potevo vedere che la canna della sua pistola riflettere il bagliore del lampione sulle nostre teste.
Mossi, per istinto, un passo indietro e lui gridò ancora.
«Non un altro passo o sparo!»
Nel marasma confuso dentro la mia testa riuscii a farmi coraggio: se avesse voluto spararmi lo avrebbe già fatto.
Sollevai, così, entrambe le braccia, «Non sono una strega.», pregando clemenza dentro di me.
«Fa silenzio!»
Intimò ancora, questa volta venendo verso di me.
«Credimi, ti stai sbagliando! Non sono una strega, la ragazza che è morta qui era una mia amic-» Sollevò un braccio al cielo e sparò un colpo che d'istinto mi portò a rannicchiarmi verso terra stringendomi sul capo le braccia. Serrai gli occhi.
«Dimmi il tuo nome, strega!» E quando tornai a guardare, l'unica cosa che vidi fu la punta dei suoi stivali.
Era ad un passo da me e ciò mi tolse il fiato.
«Non uccidermi ti prego» Lo supplicai tremante «Non sono una strega». Il volto bruciò intensamente sotto i flotti di lacrime che me lo stavano graffiando.
Il cacciatore afferrò il mio polso sinistro con irruenza e lo scoprì dalla manica della felpa.
Fu allora che mi diedi la forza per guardare il suo viso e i suoi occhi chiari si spalancarono tristemente sorpresi.
«Non c'è.» Proferì senza fiato «La stella non c'è!» e poi con rabbia.
Mi lasciò andare il braccio con uno strattone.
«Te lo avevo detto, non sono una strega» Mi risollevai, ed ora, la mia voce aveva riacquistato tutta la sua tenacia.
Aggrottai la fronte e lo fissai con un cipiglio marcatissimo mentre mi asciugavo le lacrime con la manica della felpa.
Lui mi fissò per un istante, inespressivo, come se fosse normale aggredire una persona in quel modo.
«Gradirei delle scuse, comunque»
Le sue palpebre si abbassarono di un millimetro «Che ci fai qui? E' notte e questa è la scena di un crimine.»
Anche se mi parlava con molta più pacatezza, il fatto che non mi avesse chiesto scusa marcava il mio pensiero sui cacciatori.
Erano assassini. Punto.
Che la polizia e la Chiesa li avesse assoldati per proteggere le persone mi lasciava perplessa proprio per questo.
«Come ti ho detto, era una mia amica.»
«Ah.»
Ah?
«Bene-» Gesticolai facendo un passo indietro «credo sia ora che io vada.»
«Non così in fretta.» Ebbi nuovamente uno spasmo «Sei un umana, dico bene?»
Annuii.
«Allora perché quella sabbia ti è rimasta attaccata alle dita?» Indicò, con l'indice di una mano ed il cenno del capo, le mie dita.
Le guardai. Dannazione! Era veramente ancora li!
Corsi verso la riva del fiume. «Devo essere inciampata e forse ho toccato la sabbia sulla riva».
Strofinai per bene le mani nell'acqua, quasi a ferirle ma, per fortuna, la sabbia sparì.
«Ecco, vedi? E' andata via.» Gli mostrai i palmi delle mani ben aperti e dietro essi un enorme e tirato sorrisone.
Sembrò convinto. Io ero confusa, invece. Quella sabbia sarebbe dovuta restare sulle mie dita per un bel po' di giorni avendo io il sangue di una strega.
«Bene.»
Dentro di me, mi sentii quasi salva.
«Ora mi lasci andare?»
Incrociai mentalmente le dita. Non bastò.
«Non è il caso che un'umana giri di notte per le strade di New York con i tempi che corrono. Ti accompagno a casa.»
Deglutii a vuoto. 
Casa? Quale casa? Quella con Babette e Coco, l'ostello-barra-night club-barra covo delle Mantidi? 
Scossi la testa; le labbra tiratissime «No, guarda non è il caso.»
«Non ti sto facendo un favore, devo farlo. Perciò è meglio che ti muova, inizia a far freddo sulla riva.»
Decisamente, aveva dimenticato le buone maniere a casa.
«E' che io una casa non ce l'ho.» Mi affrettai a dire. Era già in marcia e pareva non considerarmi affatto.
«Ehy, mi hai sentita?» Affondai un piede nella melma umida rischiando di finirci di faccia. Per fortuna mi ripresi in tempo.
«Dico a te, Cacciatore!»
Il ragazzo si voltò troppo in fretta: quasi ci andai a sbattere.
«Si, ti sento. Puoi anche non gridare.»
«Allora se mi hai sentita, perché non mi lasci andare?»
Sollevò entrambe le sopracciglia «E' dove? Hai detto che una casa non ce l'hai.»
Eh...be', l'avevo detto.
Mi morsi un labbro.
«Ok. Non mi sembra che ci siano molte altre opzioni, perciò-»
«Perciò» mi sovrastò «non ti costerà nulla seguirmi. Faremo il giro di ronda e poi ti porterò a casa mia.»
Le guance mi si gonfiarono di colpo. Sbottai in una tronfia risata.
«Non dire cretinate! Non andrò a casa di uno sconosciuto! Potresti...Potresti farmi miliardi di cose terribili!»
Mi rifilò un'occhiata eloquente «Giusto. Mentre qui, sulla riva dell'Hudson, sola, di notte, con degli assassini in giro, sei più al sicuro. Giustamente.»
Adesso mi mordevo l'interno della guancia cercando di non piangere nuovamente.
Come diavolo mi ero cacciata in una situazione così assurda?!
«Rilassati. Non ti farò niente e poi...non sei il mio tipo.»
Non son-Come prego?
«Ma certo! Con queste parole ti sei conquistato tutta la mia fiducia!»
Tornò a camminare disinteressato quasi più di prima. Però ridacchiò.
«Se la fai lunga!»
«Che insolente! Non ti hanno insegnato le buone maniere?»
«Tic-tac, tic-tac, il tempo scorre!»
«Oh sei veramente insopportabile!»
Le sue spalle vennero scosse dal fremito di una risatina. La seconda da quando lo avevo incontrato.
Era decisamente la peggior situazione che potesse capitarmi.

 
   
 
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