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Autore: trollpazzo    04/05/2021    2 recensioni
Si può davvero scappare dal passato?
Aurora se non altro ce l’ha messa tutta. Dopo la guerra, ha lasciato Hogwarts ed è volata negli Stati Uniti, cercando di cancellare ogni traccia di sé. Ma i suoi segreti hanno radici troppo profonde per riuscire davvero a liberarsene. Come una gabbia, non la lasceranno mai davvero andare…
Quando viene cacciata dall’FBI e torna in Inghilterra, quello che la attende è un puzzle sanguinoso. Qualcuno sta assottigliando il confine tra il mondo della magia e il mondo dei babbani. E Aurora ha la brutta sensazione di sapere perfettamente chi sia il colpevole…
Ma non è così sola come ha sempre pensato.
Un ex Auror e poliziotto babbano che si è autoproclamato suo padre molti anni prima. Una legilimens naturale che passa ogni giorno cercando di non impazzire. Un disastro umano che cerca sempre di far sorridere gli altri. Un Harry Potter che non riesce a trovare pace dopo la guerra. I Sandman, una squadra speciale che agisce nel sottile confine tra la magia e il mondo babbano, forse sono la sua unica speranza per indagare senza finire trascinata nell’oscurità dai fantasmi del suo passato.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo Quattro



- Mi sono sempre chiesto… - il dottor Campbell si appoggiò alle sbarre, comodamente seduto sulla sua branda. – E se la psicopatia fosse un’altra forma di genialità? –

- Ti stai autodefinendo genio? – Aurora era accovacciata contro le sbarre dalla parte opposta della cella, l’uscita alla sua sinistra, aperta, e un quaderno pieno di appunti fitti sulle sue ginocchia.

- Beh, - suo padre sorrise, scrollando le spalle. – Sono oggettivamente un genio della medicina… Ma non stai davvero cogliendo quello che intendo –

Aurora inclinò la testa, incuriosita. Il sorriso del dottor Campbell si fece più ampio, come sempre quando riusciva a catturare l’attenzione di sua figlia.

- Vedi, se fossi stato frenato dalla compassione, dall’empatia… Non avrei mai potuto portare avanti le mie ricerche –

- Intendi le tue uccisioni, - lo fermò Aurora.

- Esperimenti, bambina mia, - fu la risposta. – Non potevate mettermi davanti un mondo molto più ampio di quello che ho sempre conosciuto e pensare che me ne sarei stato tranquillo. Ci sono così tante domande senza risposta sulla magia! Perché scorre in bambini Babbani? Perché invece alcuni nascono in famiglie magiche ma sono magonò? Come funziona la magia sui Babbani in confronto a come funziona sui maghi? Cosa determina che un mago sia più potente di un altro? Può essere acquisita? Passata a qualcun altro? Quali sono i suoi limiti? –

Il dottor Campbell scosse la testa, come per tirarsi fuori dal suo entusiasmo. – Certo, - ammise. – I miei esperimenti sono stati un po’… brutali, alcuni di loro –

Aurora emise uno sbuffo.

- Sai, - suo padre sorrise, più sincero. – Mi piace, parlarne con te. Potrei passare giornate intere a confrontare opinioni e discutere con il mio piccolo genio –

Aurora sorrise, ma afferrò quaderni e penna d’oca e cominciò a rimettere tutto nella borsa nera. – Dovrei andare, – disse.

- Di già? – esclamò il dottor Campbell. – Sei sempre più impegnata, in questo periodo! Dimmi, sei all’ultimo anno di Hogwarts, non è vero? –

- L’ottavo anno, sì, - rispose Aurora, sistemandosi la borsa a tracolla. – Stanno facendo recuperare l’ultimo anno a chi l’ha perso per via della guerra –

- Sono felice che ti permettano di finire la tua istruzione, - affermò il dottor Campbell. – Non possono tenere mia figlia in panchina! -

Aurora sorrise di nuovo, ma sembrava sempre più forzato. La sua mano destra cominciò a tremare mentre si alzava.

- Tesoro? – la chiamò suo padre. – Cosa non mi stai dicendo? –

- Nulla, ovviamente, - fu la risposta rapida.

- Bambina mia, ti ricordo che sono un dottore, so riconoscere i tuoi segnali di stress -. Suo padre la guardò con occhi comprensivi. – Qualunque cosa sia, puoi parlarmene. Sono tuo padre –

Aurora chiuse la mano a pugno e fece un respiro profondo. Poi…

- Tornerò negli Stati Uniti, - disse. – Voglio studiare psicologia –

- Beh, è una materia incredibilmente affascinante! – esclamò il dottor Campbell. – Sono fiero della tua scelta! Hai già pensato a quale carriera vuoi intraprendere? Capisco che non ti interessa seguire il mestiere di famiglia… E con questo intendo la medicina, ovviamente –

- Profiler, - lo interruppe Aurora. – Voglio fare domanda per Quantico il prima possibile –

Il sorriso del dottor Campbell gli si gelò in volto. – L’FBI? – ripeté. – Pensi che ti accetteranno? Tuo padre è un serial killer… -

- Quello che voglio davvero dire, - sbottò Aurora. – E’ che è finita, questa è la mia ultima visita -. Evitò il suo sguardo. – Non tornerò –

A quelle parole, suo padre balzò in piedi. – Cosa? –

- Questo è un addio, dottor Campbell -. Detto questo, Aurora si voltò.

- No! – esclamò suo padre. – Non puoi andartene… ti prego, sei mia figlia! E la mia unica connessione con il mondo esterno, con la mia famiglia! Non è… non è quello che voglio! –

- Beh, forse è un bene! – esclamò Aurora.

Ma era ancora troppo vicina alla linea rossa. Quella sottile, innocua linea che segnava fin dove l’incatenato dottor Campbell poteva arrivare. Aurora era ancora troppo vicina, e suo padre si mosse rapidamente. Le afferrò il polso.

- Non puoi andartene! – sibilò.

Aurora era congelata. Riuscì solo a guardare suo padre, che la fissava come un predatore, gli occhi freddi e allo stesso tempo furiosi.

- Sei
mia figlia! Non puoi andartene! –

Razionalmente, Aurora sapeva che bastava uno strattone deciso per liberarsi della presa di suo padre. Il dottor Campbell era ancora in manette e non poteva esercitare tutta la sua forza, le sarebbe bastato uno strattone rapido e sarebbe stata libera.

Ma era congelata. Come quando in un sogno cerchi di correre, ma le gambe sono deboli, tremanti, lente…

Sentì una presa ferrea per le spalle e poco dopo fu fuori dalla cella di suo padre, il cuore martellante, i polmoni di marmo.

- …ra? Aurora? Mi senti? –

Sbatté le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco lo sguardo preoccupato del signor Stevens, la guardia di suo padre. Era stato lui a portarla via dalla cella.

- Stai bene? – le chiese.

Aurora fece un paio di respiri profondi. Era ancora instabile sulle gambe, le braccia tremavano. La mano destra sembrava impazzita. Il cuore le martellava. Le sembrava che non importava quanto respirasse a fondo, non le arrivava aria ai polmoni.

- Sto bene, - affermò. – Devo solo… uscire –

Il signor Stevens annuì e la accompagnò via per il corridoio. Alle loro spalle risuonavano le grida del dottor Campbell.






- Assolutamente no -.

Aurora non si era esattamente aspettata che Sam sarebbe stato entusiasta della sua idea, ma sperava di iniziare la loro conversazione in maniera meno drastica.

Seduta davanti la scrivania, lo osservò alzarsi e cominciare a camminare avanti e indietro.

- Sam, - insisté. – La stanza di Jonathan era piena di disegni realizzati da mio padre! –

Lui si appoggiò alla scrivania e la guardò negli occhi. – Abbiamo un sospettato, possiamo trovarlo con un incantesimo di localizzazione e interrogarlo, non ci serve tuo padre –

- Ma è stato mio padre a convincerlo a compiere omicidi! – esclamò Aurora. – Ho bisogno di parlargli, di capire cosa ha detto a Jonathan e perché ha deciso di dargli dei disegni per realizzare gli omicidi, e dobbiamo anche sapere quanto gli ha detto del mondo della magia –

- No, - replicò Sam. – No, non puoi tornare da lui –

-Dobbiamo andare fino in fondo, - affermò lei. – Mio padre è pericoloso anche dalla sua cella, dobbiamo sapere quanti danni ha fatto e… -

- Ma non devi essere tu ad affrontarlo, - la interruppe lui. – Manderò Diana a parlargli –

- Un legilimens naturale l’ha interrogato dopo il suo arresto, - replicò Aurora. – Sai che non sarebbe in grado di carpire niente –

Sam scosse la testa. – Ci deve essere un altro modo! –

- Non c’è, - affermò lei. – Parlerà solo con me –

Sam si appoggiò alla scrivania e la guardò negli occhi. Aurora vide una rassegnata disperazione.

- Non posso lasciartelo fare –

Aurora sospirò e ricambiò lo sguardo, triste ma determinata. – Non ti sto chiedendo il permesso -





Harry, Jonah e Diana osservarono Sam aprire la porta del suo ufficio con l’espressione più scura che gli avessero mai visto in faccia. E loro c’erano, quando la macchinetta del caffè aveva smesso di funzionare per una settimana.

- Prendete l’occorrente per un incantesimo di localizzazione, - Sam ordinò. – Vi voglio in sala briefing tra dieci minuti –

Senza aggiungere altro, li superò per precederli in sala briefing. O per andare a imprecare da qualche parte dove non potessero sentirlo. Vista la sua espressione, entrambe le ipotesi erano plausibili.

Aurora era ancora nell’ufficio di Sam. Lo osservò andarsene con un sospiro. Quando si accorse che la stavano guardando, voltò loro le spalle e andò direttamente al caminetto, afferrando una manciata di metro polvere, sussurrando qualcosa e lanciandola nelle fiamme. Senza guardarsi indietro, entrò nel camino e scomparve in una fiammata verde.

Harry e Jonah si voltarono verso Diana.

- Cosa sta succedendo? – chiese Harry.

- Non spetta a me parlarne, - fu la risposta.

- Andiamo! – esclamò Jonah. – Il capo è ad un secondo dall’esplodere e la nuova Sandman si è appena volatilizzata non-si-sa dove! Dacci una mano a capire cosa sta succedendo! –

Diana strinse le labbra e non rispose.

- Puoi solo rispondere ad una domanda? – tentò Harry.

- Staranno bene, - affermò Diana. – E’ un momento difficile, ma non è il primo che affrontano -. Lo guardò negli occhi. – Staranno bene –

Harry annuì, provando ad abbozzare un sorriso.

- Va bene, - Jonah alzò le mani in segno di resa. – Siamo condannati all’oblio, non sapremo mai cosa sta succedendo nel nostro stesso distretto, possiamo solo osservare il capo precipitare in un abisso di… -

- Ma smettila, - lo interruppe Harry con uno sbuffo. – Abbiamo un incantesimo di localizzazione da preparare e un capo da non far innervosire ancora di più –

- Sbrighiamoci, - affermò Diana.





Aurora inciampò fuori dal caminetto all’ingresso del Bentley Psychiatric Hospital, l’ospedale psichiatrico per i peggiori criminali babbani e magonò, quelli più folli e incontrollabili, e quelli che erano entrati in contatto con la magia con conseguenze disastrose.

L’ingresso era quasi accogliente, con luci calde e un tappeto davanti alla reception. - Campbell? –

Aurora si voltò verso la receptionist: caschetto nero, corposa, occhi scuri e un caldo sorriso sempre a disposizione…

- Maggie? -. Aurora sorrise, avvicinandosi.

Maggie era la receptionist che le offriva cioccolatini quando andava alle visite di suo padre, che le risentiva i compiti mentre aspettava che Sam venisse a prenderla, che la abbracciava senza fare domande quando la vedeva uscire tutta tremante da una visita non finita bene…

- Sei proprio tu! – esclamò Maggie. – Cavolo, non ti vedo da dieci anni! Quando sei tornata? –

- Qualche giorno fa, - rispose Aurora. – Lavori ancora qui, vedo –

- La paga è buona e posso avere cioccolatini gratis, - rispose Maggie con un sorriso. Diede un’occhiata più accurata ad Aurora e si accigliò. – Sei ancora troppo magra -

- Sto bene, - fu la risposta.

- E vedo che le tue capacità recitative sono ancora meno convincenti di dieci anni fa, - ribatté Maggie senza perdere un colpo. Aurora sbuffò.

- Sono qui per… -

- Il dottor Campbell. Ho chiamato il signor Steven non appena ti ho riconosciuta, sta arrivando –. Maggie la squadrò. – Sicura di volerlo vedere? –

- E’ per un caso, - rispose Aurora. La receptionist si limitò ad annuire, ma la sua espressione restò accigliata.

L’arrivo del signor Stevens salvò Aurora da altre domande.

- Bob! – Aurora si voltò verso di lui.

- Non mi chiamo Bob, - fu la solita risposta della guardia. Le fece cenno di seguirlo e la condusse oltre la prima porta blindata, su per le scale e per i vari corridoi.

- Frank? – Aurora riprovò. – Tom? –

- Non ci sei neanche lontanamente vicina, - il signor Stevens la guardò con un sorriso. – Dovresti arrenderti, sono vent’anni che provi ad indovinare –

- E prima o poi ce la farò, - affermò lei. – Nel frattempo, ti chiamerò Bob –

Il signor Stevens sbuffò ma non rispose mentre la conduceva oltre un altro corridoio e un’altra porta blindata.

Il che non aiutò Aurora a distrarsi da ciò che stava per fare. Da tutti i ricordi che stava cercando di ignorare. La sua misura standard per affrontare i problemi: ignorali finché non spariscono. Funzionava con le ferite sul campo, ma sembrava non funzionare molto bene con quei maledetti ricordi che continuavano a tornare.

Uno penserebbe che i peggiori sono quelli violenti. Quelli di quando ha scoperto che tipo di persona fosse suo padre. Quando l’ultima vittima del dottor Campbell era strisciata sul pavimento del seminterrato verso di lei implorando aiuto, e la prossima cosa che Aurora ricordava era essere raggomitolata nell’armadio mentre chiamava la polizia, ascoltando con il fiato in gola suo padre che la cercava per casa, sempre più allarmato.

Ma no. Quelli non erano i ricordi peggiori.

I ricordi peggiori erano le sere pigre in cui il fuoco scoppiettava nel caminetto e lei si accoccolava sul maglione blu di suo padre, inspirando l’odore di tè, mentre la voce morbida e rassicurante la cullava nel sonno. Quando il dottor Campbell le scompigliava i capelli, chiamandola il mio genietto e aiutandola a correggere i compiti. Quando facevano le gite in auto, tutti e tre insieme, e suo padre alzava il volume della radio non appena c’erano le loro canzoni preferite, e si mettevano a cantare a squarciagola, stonati, fingendo di star suonando gli strumenti. Quando Aurora si sentiva male e il dottor Campbell passava la notte seduto vicino al suo letto, pronto a rassicurarla, a riscaldarla, a darle lo sciroppo e aiutarla a riaddormentarsi.

Quelli erano i ricordi peggiori. I ricordi che continuavano a insinuarsi nei momenti in cui era meno preparata, i ricordi che la portavano a sperare che forse, solo forse, quel padre amorevole che era sempre stato lì per lei esisteva ancora. Che forse, solo forse, quell’amore era reale.

Era una speranza terribilmente pericolosa. Una che, soprattutto adesso, non poteva permettersi.

- Ci siamo -. La voce del signor Stevens la riportò alla realtà. Erano nel corridoio spoglio dalle pareti rosse, davanti all’ultima porta blindata. L’ultima barriera tra lei e suo padre. – Il dottor Campbell è ammanettato, la corda lo tiene legato al muro, non può superare la linea rossa, quindi stai attenta a non oltrepassarla per nessun motivo -.

Aurora fece un respiro profondo.

Poteva farcela. Era qui per un motivo. Avrebbe fatto aprire quella porta, preso le informazioni che le servivano, e sarebbe tornata dalla squadra.

Fece un cenno secco al signor Stevens, che aprì l’ultima porta blindata. Senza esitare ancora, Aurora oltrepassò la soglia.

Quando Harry, Jonah e Diana entrarono in sala briefing, Sam era ancora teso come la corda di un violino. Continuava a controllare il cellulare e a camminare avanti e indietro davanti la lavagna. Harry e Jonah si scambiarono uno sguardo preoccupato: non lo avevano mai visto così.

Quando sistemarono l’occorrente sul tavolo, Sam provò a darsi un contegno. Fece un respiro profondo, pose il cellulare in tasca e si concentrò sul caso.

C’era un motivo se era il capo della squadra Sandman. Era bravo nel suo lavoro, e ad arrivare in fondo ad ogni caso senza lasciarsi distrarre.

Ma a giudicare dalla micro ruga sulla fronte di Diana, la testa del loro capo non era ancora sgombra dalle preoccupazioni.

Jonah sospirò: prima Harry che non voleva parargli del suo rapporto con Aurora, adesso Diana che si rifiutava di rivelare perché Sam era così teso… Jonah cominciava a sentirsi escluso dalla sua stessa squadra.

Adorava Aurora e il modo in cui analizzava gli indizi, componendo un puzzle che gli altri non avevano idea esistesse, ma tutti sembravano sapere qualcosa su di lei che lui ignorava. E non ritenevano che dovesse saperlo.

(Tutti lo lasciavano indietro, alla fine)

Qualcuno gli strinse la mano: Diana. Lo guardò con quell’espressione esasperata da “stai di nuovo pensando troppo, Millis”. Jonah sorrise e si ricompose: avevano un sospettato da trovare.

- Tutto pronto, - affermò Harry, sistemando la ciotola di pozione accanto alla cartina di Londra. – Datemi le informazioni -. Afferrò la pergamena e la penna d’oca che aveva posato sul tavolo.

- Jonathan Hedge, trentaquattro anni, costituzione debole, quasi morto per uno scherzo dei suoi coetanei quando aveva dodici anni, rinchiuso in casa da allora, con contatti solo con i suoi genitori e come unica amica la governante, - Sam elencò.

Harry finì di scrivere le informazioni e gettò la pergamena nella pozione. Subito il foglio prese fuoco e Jonah si sbrigò a gettare la pozione sulla cartina. Gran parte si ridusse in polvere, ma un piccolo grumo di pozione cominciò a percorrere la cartina.

La torre di Londra… Westminster Vistoria… Hyde Park Chelsea… Kensington… Notthing Hill. Lì, il grumo si arrestò.

- Notthing Hill! – esclamò Harry. – Cosa c’è a Notthing Hill? –

- Riprendi i file della famiglia Hedge, - ordinò Sam. Sembrava aver capito qualcosa. Diana li chiamò con un veloce accio e li porse a Sam, che li sfogliò rapidamente.

- L’appartamento della governante è a Notthing Hill! –

- Jonathan potrebbe voler uccidere anche lei, forse la vede come una complice della sua infanzia rovinata! – esclamò Jonah.

Sam consegnò loro la foto del quartiere e tutti e tre si Smaterializzarono.





- Aurora! -. Il dottor Campbell le sorrise, caloroso. – La mia bambina –

La sua cella era molto più accogliente dell’ultima volta che ci era stata: un bel tappeto morbido, scaffali per i suoi libri di medicina, una scrivania, persino una poltrona accanto al letto. Niente gabbia al centro della stanza con un misero letto scomodo.

- Come stai? – continuò il dottor Campbell. – Hai delle occhiaie… Non stai dormendo? –

- Tu sei fresco come una rosa, invece, - rispose Aurora. Ed era vero: nella sua tuta bianca con un cardigan beige sopra, il dottor Campbell era ben pettinato, gli occhi verdi vivaci, un sorriso rilassato in volto… L’unico segno che erano passati dieci anni dalla sua ultima visita erano i capelli ingrigiti. Non che non gli donassero, ovviamente.

Era esasperante.

- Beh, sono diventato vegano, - lui continuò a parlare. – E non vedo tua madre da vent’anni -. Sorrise come se avesse appena fatto una battuta che potevano capire solo loro due. Aurora non reagì.

- Ma dimmi! – esclamò allora il dottor Campbell. – Come stai? Come sta tua madre? C’è una poltrona proprio alle tue spalle, perché non ti fermi e non chiacchieriamo un… -

- Hai un imitatore -. Aurora lo interruppe.

Il dottor Campbell sbatté le palpebre, poi il suo volto si aprì in un sorriso. – Davvero? Beh, sono lusingato! –

Aurora scosse la testa, sospirando. In fondo cosa poteva aspettarsi?

- E anche molto preoccupato, - suo padre si affrettò ad aggiungere.

- Puoi smettere di recitare, - affermò Aurora. – So che lo stai aiutando –

- Cosa? – il dottor Campbell sollevò gli occhi su di lei, e le parve che fosse davvero sorpreso.

Non lasciarti ingannare.

- Non lo sto aiutando! –

- Sì, invece! – Aurora tirò fuori i disegni che aveva preso dalla stanza di Jonathan. – Questi li hai disegnati tu –

- Sì, ma… -

- Adesso dimmi solo cosa gli hai detto e… -

- No, - la interruppe suo padre. – Quelli mi sono stati rubati! Sono parte del mio studio! –

Aurora assottigliò gli occhi. Anche se studiava suo padre da vent’anni, in questi momenti trovava difficile capire quanto stesse dicendo la verità e quanto stesse mentendo.

- Terzo scaffale, volume quindici, - la esortò il dottor Campbell. – Controlla tu stessa –

Lei recuperò in fretta il volume indicato e cominciò a sfogliarlo. Non ci mise molto ad arrivare alle pagine strappate.

- Visto? – suo padre si era spostato davanti la scrivania addossata alla parete. Vicino allo scaffale, ma ancora a circa un metro di distanza.

- Sono stato derubato! – esclamò. – E’ un oltraggio! –

- Sono morte sette persone, - Aurora gli gettò un’occhiata seccata.

- Certo, - il dottor Campbell si sbrigò a dire. – Anche quello è un oltraggio. Ci possono essere… diversi tipi di oltraggio –

Aurora riusciva a sentire il mal di testa in arrivo.

- Jonathan Hedge, - disse. – Lo ricordi? –

- Tesoro, - il dottor Campbell sospirò. – Lo sai, aiutare la polizia… - scosse la testa. – Va contro tutto ciò in cui credo –

- La sua stanza era piena di tuoi disegni, - affermò Aurora. – E ha già ucciso sette persone imitando la tua Dozzina. In più, è stato un tuo paziente circa due anni fa –

- Ho molti pazienti, - fu la risposta rilassata.

- Sei un genio della medicina rinchiuso in gabbia, - disse lei. – Vuoi farmi credere che non ricordi ogni tuo singolo paziente? –

- Questa tua affermazione suona un po’ accusatoria, non credi? – fu al risposta.

Aurora fece un respiro profondo e chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi. Sapeva che suo padre aveva quel modo sottile di infilarsi sottopelle e manipolarla, e questa volta non poteva lasciarglielo fare. Non era un più una ragazzina spaventata, era una profiler laureata a Quantico che aveva lavorato con l’FBI. Aveva passato tutta la vita a studiare come entrare nella mente degli assassini, scovarne i punti deboli e colpire dove faceva più male, o manipolarli con un tocco gentile.

Suo padre era solo l’ennesimo assassino che si ritrovava a profilare. Doveva esserlo.

Riaprì gli occhi, invasa da una strana calma. Inclinò la testa, studiando suo padre.

- Mi aiuterai, - affermò.

- Bambina mia, - il dottor Campbell sorrise. – Sai che non aiuto la polizia… -

- Mi aiuterai perché hai paura, - lo interruppe lei.

- Io? Paura? – suo padre ridacchiò.

- E’ evidente, - rispose lei, calma. – Il modo in cui ti muovi, il tuo sguardo che continua a scattare sulla porta e poi a tornare da me -. La realizzazione la colpì immediatamente. – Hai paura che me ne andrò di nuovo. Che uscirò da quella porta e non tornerò mai più –

Adesso era evidente. Il disagio, il leggero nervosismo. Stava toccando i nervi giusti.

- Aiutami con questo caso, e tornerò, - promise Aurora.

Gli occhi di suo padre scattarono su di lei.

Bingo.

Più tardi avrebbe fatto i conti su quello che significava ciò che aveva appena promesso, ma adesso l’unica cosa importante era che funzionasse.

- Jonathan Hedge, - il dottor Campbell parlò con voce calma… soddisfatta, quasi. – Due anni fa, i suoi genitori lo portarono qui, disperati, ma l’unica che rimase con lui tutto il tempo fu la sua governante. Erano incredibilmente vicini, e lei passò tutto il tempo a parlarmi di quanto lui fosse una brava persona che meritava molto più della vita a cui i suoi genitori lo stavano costringendo. Jonathan rimase incosciente per gran parte del tempo –

E Aurora capì.

Era così raro che non ci aveva pensato! Il suo profilo era giusto, solo leggermente fuori strada. Il loro killer non stava cercando vendetta per sé, ma per una persona a cui teneva. Non usava le pozioni perché fisicamente incapace, ma perché fisicamente più debole delle sue vittime, tutte uomini sui trent’anni, forti e vigorosi.

Sam e gli altri stavano inseguendo il sospettato sbagliato! Doveva avvertirli immediatamente!

- Grazie, dottor Campbell! – esclamò mentre bussava perché il signor Stevens le aprisse. Corse verso l’ingresso mentre tirava fuori il cellulare.

Sperava solo di essere ancora in tempo.





ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Lo so scusate! Ci ho messo un bel po’ a mettere insieme questo capitolo, era già scritto ma non in ordine cronologico, tutti ritagli di scene, frasi e considerazioni da rimettere insieme… e gli studi mi stanno uccidendo, gli insegnanti si sono svegliati tutti insieme in vista degli esami…

MA!

Ecco il capitolo! Spero davvero che vi piaccia, e che non ci siano errori! (Lo sto finendo di correggere alle due del mattino, pietà! Ma, ovviamente, se ci sono errori fatemelo sapere così correggo subito! O meglio, subito dopo qualche disperata ora di sonno :D)

Grazie a tutti i lettori silenziosi! Grazie a chi ha messo la storia tra le preferite e chi tra le seguite, e grazie davvero a fenris e Theodred per le recensioni! Sono sempre felice di sapere cosa pensate di questa piccola follia e di come posso migliorarla!

A presto con il prossimo capitolo!

   
 
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