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Autore: shatiaslove    04/05/2021    0 recensioni
«Buon anno nuovo, Rain!» alza il suo bicchiere di plastica al cielo, facendo dondolare così tanto il liquido al suo interno che mi finisce in testa.
«Che schifo» dico solamente.
Che il 2017 cominci. Facendo schifo.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter One

 
 
 
31 Dicembre 2016,
Los Angeles, California
 
La sera del 31 Dicembre divide sempre le persone: c’è chi ha voglia di festeggiare, ubriacarsi, ballare e ubriacarsi ancora, e chi ha voglia di seppellirsi vivo e morire soffocato dentro una bara di plastica – perché c’è crisi.
E poi ci sono io, che mi chiedo perché abbia deciso di venire a questa festa, ma di morire non ne ho proprio voglia. Allora sto seduta sullo stretto divano di pelle che una poltrona in casa mia è più grande e mi guardo attorno stranita, sperando di riconoscere uno dei miei pochi amici di Los Angeles. Che poi, amici si fa per dire, perché in realtà si tratta di persone conosciute tre mesi fa, quando la mia famiglia ha deciso di trasferirsi a Los Angeles da Phoenix e il mio cane ha deciso di provare a mangiare i cani dei miei cosiddetti amici. La storia è finita bene, comunque, ha solo ferito lievemente uno dei tre cuccioli e terrorizzato a morte gli altri. Nulla di grave.
Bevo un sorso di qualunque cosa ci sia dentro il mio bicchiere e faccio una smorfia quando l’alcol mi brucia la gola. Fa pure abbastanza schifo, tra l’altro; sembra di bere pipì di pipistrello. Non che l’abbia mai provata, non che sappia se i pipistrelli facciano davvero pipì, ma suppongo di sì.
Sbuffo e poggio il bicchiere di plastica sul tavolino di fronte a me, ripieno di bicchieri simili al mio e filtri di sigarette abbandonati a se stessi, un po’ come me.
«Cristo Santo, ho voglia di morire» borbotta una ragazza col puzzo di alcol addosso, neanche si fosse fatta un bagno in un mare di alcol. Anche se non ritengo l’idea poi così improbabile. Comunque si siede accanto a me e questa volta la voglia di morire viene a me, tra il suo odore nauseante e il piccolo spazio di divano che mi è rimasto. Io non ho neppure fatto nulla di male, nella vita, per meritarmi una serata così; anzi, ho sempre studiato, ho sempre rispettato i miei genitori, ho sempre comprato la musica, anziché scaricarla illegalmente (non è vero), ho sempre mangiato i broccoli nonostante siano un aborto mancato. Non è giusto, non merito affatto questa serata.
«Rain, eccoti, è da tre ore che ti cerco!» Laila, una delle mie cosiddette amiche, mi viene incontro, facendosi spazio tra i mille corpi danzanti in mezzo alla sala, un bicchiere stretto tra le mani e un sorriso impresso sul viso.
Accenno un sorriso e mi alzo in piedi, distanziandomi dalla ragazza ormai più morta che viva. «Come no» sussurro, cercando di non farmi sentire da Laila, che si sta avvicinando a me in tutta la sua maestosa bellezza. Ecco, un’altra cosa che non mi meritavo era essere carina. Carina e basta. Con un’amica così che se Gigi Hadid la vedesse, le si inchinerebbe di fronte. La vita è ingiusta. Dà troppo ad alcune persone e troppo poco ad altre.
«Vieni, ti presento alcune persone» mi stringe il polso e mi porta chissà dove. Mi lascio guidare, perché non ho affatto voglia di replicare. Così mi ritrovo in una saletta privata del locale, comunque asfissiante e affollata, che neanche le Chiese durante la messa di Natale. «Rain, loro sono Michael, Luke ed Ashton. Calum lo conosci già» dice, indicandomi i quattro ragazzi di fronte a me, di cui ho già dimenticato i nomi, eccetto quello di Calum, una delle tre persone conosciute a Settembre, insieme a Laila e Sasha.
«Piacere» uno dei ragazzi, con i capelli biondi e gli occhi azzurri, mi porge la mano, che stringo velocemente.
«Piacere mio» dico al ragazzo, tanto bello che potrebbe benissimo essere preso per Apollo.
«Dieci, nove, otto…» sentiamo urlare dall’altra stanza. Alzo gli occhi al cielo e spero che Dio mi mandi una gioia, o che magari Zeus mi fulmini, uccidendomi prima di cominciare un altro anno di merda.
«Come hai detto che ti chiami?» chiede uno dei ragazzi, avvicinandomisi anche troppo per i miei gusti.
«Non l’ho detto.»
Ridacchia, per poi porgermi la mano. «Sono Michael.»
«Lo so» in realtà, no. Credevo lui fosse Alcol. No, forse nessuno di loro si chiama Alcol. Ma chi se ne frega.
«Come ti chiami, quindi?»
«Cinque, quattro, tre…» continuano ad urlare dall’altra stanza, biascicando i numeri, visto tutto l’alcol ingerito. Più di uno nella folla si confonde, e urla altri numeri a casaccio, come “dodici”, “venticinque”, “settecentosessantasei”.
«Rain.»
«Buon anno nuovo, Rain!» alza il suo bicchiere di plastica al cielo, facendo dondolare così tanto il liquido al suo interno che mi finisce in testa.
«Che schifo» dico solamente.
Che il 2017 cominci. Facendo schifo.



~ Questa storia è stata scritta tra il 2016 e il 2017.



 
   
 
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