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Autore: Cassidy_Redwyne    04/05/2021    1 recensioni
L’anonima Sheltz Town, dove Rufy e Zoro s’incontrano per la prima volta, è sul punto di diventare teatro di una rivolta.
Per salire di grado Morgan Mano d’Ascia sarebbe pronto a tutto, anche a mettere in pericolo i suoi cittadini attirando una delle flotte più potenti di tutti i mari, interessata all’antico segreto dell’isola, proprio a Sheltz Town.
I cacciatori di taglie di Riadh sono abili, spietati e senza scrupoli. E del tutto impreparati ad affrontare una flotta di tale calibro. Quello che Morgan non ha messo in conto, però, è che pirati e cacciatori di taglie potrebbero mettersi in combutta alle sue spalle. E potrebbero essere gli unici in grado di portare un po’ di giustizia.
***
Per poco non cadde a terra. Spalancò la bocca, la mascella sospesa a mezz’aria.
La faccia squadrata. Gli occhi non particolarmente svegli. I ridicoli capelli biondi.
E l’altro. Capelli corvini e lentiggini.
I pirati a cui aveva intenzione di dare la caccia avevano appena bussato alla sua porta.
***
«Voglio che Zoro si unisca alla mia ciurma» esclamò il ragazzino gioviale.
Riadh strabuzzò gli occhi. «Non se ne parla nemmeno! Giù le mani dai miei cacciatori di taglie!»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Morgan, Nuovo personaggio, Roronoa Zoro
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO IV
 
“I crash landed in a Louisiana swamp
Shot up a horde of zombies, but I come out on top

What’s it all about?
Guess it just reflects my mood
Sitting in the dirt
Feeling kind of hurt”
 
Marco ne aveva visti di posti. Il Babbo lo aveva portato in lungo e in largo, dal torrido deserto di Alabasta alle profondità dell’Isola degli Uomini Pesce, ma raramente aveva visto luoghi così poco ospitali come quello che ora gli si profilava davanti.

«Cos’è esattamente questa… cosa?» proruppe Ace, guardandosi intorno con aria preoccupata.

Marco si voltò a fissarlo. Allora non era l’unico ad aver avuto quell’impressione. Nonostante si trovasse perennemente in disaccordo con il giovane e focoso pirata da poco unitosi alla loro ciurma, stavolta Marco non poteva che convenire con lui.

«Sembrerebbe una palude» disse.

In quel preciso istante, a pochi metri dalla sponda, la loro barchetta si arrestò di botto. Colti di sorpresa, i due pirati si tennero saldamente al parapetto per non perdere l’equilibrio.

Osservando l’acqua sporca e fangosa, Marco ipotizzò che fosse ormai bassa e che la deriva della loro barca si fosse insabbiata. Difficile a dirsi, comunque, perché la superficie era spaventosamente torbida. E puzzava pure, realizzò il pirata dopo un momento.

Si tirò su, fissando Ace con una certa insistenza.

«Scordatelo. Io non scendo» fece lui, capendo al volo. Incrociò le braccia al petto e ricambiò il suo sguardo con sfida.

Marco sospirò. Era troppo stremato dal viaggio – chi aveva dovuto remare fino a lì, ovviamente? – per discutere.

«Grazie dell’aiuto» borbottò, balzando agilmente fuori dalla barchetta.

Il movimento brusco sollevò un getto d’acqua melmosa che colpì Ace in pieno, strappandogli un urlo.

Mentre il moro tentava convulsamente di ripulirsi, tra un’imprecazione e l’altra, Marco sorrise tra sé e sé. Si chinò a tastare il fondo della barca, cercando a tentoni la deriva, che scoprì essere diversi centimetri sotto la sabbia. Capendo che sarebbe stato impossibile liberarla, si alzò in piedi e, recuperata la cima d’ormeggio dalla prua, avanzò nell’acqua scura, con l’orlo dei pantaloni che si inzaccherava sempre più ad ogni passo.

«Forse dovresti scendere» azzardò Marco dopo neanche un metro, sbuffando per la fatica. Non solo non muoveva un dito per aiutarlo, ma non era neanche un peso piuma!

Stranamente, Ace obbedì senza protestare. Quando Marco lo udì scendere, tirò la cima e la barca filò leggera dietro di lui. Superati i pochi metri che lo separavano dalla sponda, uscì dall’acqua e, con l’aiuto di Ace che spingeva da poppa, trascinò l’imbarcazione sulla riva sabbiosa.

«E adesso?» domandò Ace.

Mollata la fune, Marco fu libero di guardarsi intorno. Davanti a loro si ergevano alberi e arbusti che probabilmente non avevano mai visto la mano dell’uomo, le cui fronde rigogliose coprivano quello che forse un tempo era stato un sentiero, ormai interamente ricoperto dal verde. Intorno, solo silenzio.

Marco scacciò con la mano un ramo che gli stava solleticando una guancia. Quel posto non gli piaceva per niente.

«Proseguiamo» mormorò in tono che non ammetteva repliche, mettendosi in marcia.

Ace sbuffò e per un attimo Marco temette che si sarebbe rifiutato di seguirlo. Osservandolo con la coda dell’occhio, però, vide che il ragazzo gli stava venendo dietro, e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

L’ultima cosa che desiderava, in quel momento, era fare da balia ad Ace D. Portgas.

Dopo aver tentato senza successo di sconfiggere il Babbo in combattimento e dopo che i suoi Pirati di Picche si erano uniti alla ciurma, tutti speravano che Ace piegasse il capo e iniziasse a dimostrare loro un po’ di lealtà, ma così non era stato. Il giovane pirata aveva continuato a fare di tutto per tentare di uccidere Barbabianca, ovviamente senza alcun risultato. E, con tutto quello che era successo di recente, la ciurma aveva deciso di spedire Ace insieme a lui e di impegnarlo nella ricerca di Thalef, così che non fosse d’intralcio al Babbo per un po’.

Ma Marco aveva problemi più urgenti a cui pensare, anziché preoccuparsi di quel ragazzino ribelle che sembrava godere nel rallentarlo, come capire cosa fosse successo a suo fratello, apparentemente scomparso nel nulla durante un giro d’avanscoperta.

In ogni caso, non era preoccupato per Thalef. Malgrado avesse ancora molto da imparare, il giovane pirata era perfettamente in grado di cavarsela da solo, ed era certo che non gli fosse successo nulla. Andiamo, erano nel Mare Orientale. Probabilmente era accaduto qualcosa alla sua barchetta e, per non affogare, era stato costretto a recarsi sull’isola prima di loro. Avrebbero setacciato il porto ed ogni locanda della città, cercando di non dare nell’occhio e, dopo averlo trovato, avrebbero aspettato il Babbo per mettere in atto il piano. Certo, se solo quel ribelle di Ace si fosse attenuto agli ordini.

Con l’immagine di Thalef che gli danzava dietro le palpebre, avanzarono tra gli arbusti nel più completo silenzio, interrotto solo dai rami che si spezzavano sotto le suole delle loro scarpe e il respiro che si faceva sempre più pesante per la mancanza di aria.

«Ah, che schifo!» esclamò Ace all’improvviso.

«Che succede?»

Marco si voltò nella sua direzione, giusto in tempo perché un nugolo di zanzare gli volasse dritto in faccia. Tossì e sputò, agitando convulsamente le mani per liberarsi degli animali, e solo il pensiero che se avesse aperto la bocca gli si sarebbe riempita di insetti lo trattenne dal bestemmiare.

Quando riuscì finalmente a riaprire gli occhi, si trovò davanti il sorriso sornione di Ace.

«Ops…»

Marco sospirò. «Fa’ attenzione al sentiero» borbottò poi, riprendendo a camminare, scacciando con le dita qualche zanzara superstite.

Aveva notato che la terra asciutta si stava facendo sempre più rarefatta, sostituita dal fango muschioso della palude, tanto che ben presto furono costretti ad avanzare sempre più lentamente, mettendo un piede dietro l’altro come se stessero camminando sopra una fune. Tutt’intorno, pozze di acqua torbida coperte di muschio che fecero loro storcere il naso per la puzza.

«Be’» commentò Ace, «di certo non corriamo il rischio di incontrare qualcuno, in questo posto.»

Marco non replicò, ma in cuor suo stava sperando lo stesso. Dopotutto, era per quella ragione che avevano deciso di sbarcare in quel luogo inospitale. Sia lui che Ace erano armati e pronti ad ogni evenienza, ma Marco voleva evitare di dare nell’occhio e non avrebbe voluto coinvolgere dei civili inutilmente. Il Babbo era stato irremovibile su quel punto. Avevano raggiunto l’isola della conchiglia con uno scopo ben preciso, ma dovevano agire in fretta e senza arrecare inutili danni.

Su quell’ultimo punto Marco non era molto sicuro, dato che non poteva fidarsi di Ace. Avrebbe voluto considerarlo un fratello come tutti gli altri, lo desiderava davvero, ma il suo comportamento ostinato, che tanto divertiva lui e i suoi compagni, mentre attentava con scarso successo alla vita del Babbo, in quell’occasione rischiava solo di rallentarlo. Strinse i denti, ripensando alle risate di Izo, Satch e gli altri, quando era stato deciso che Ace partisse con lui. Sulla Moby erano già in corso le scommesse, con chi credeva che Marco sarebbe riuscito a domare i bollenti spiriti di Pugno di Fuoco e lavrebbe fatto tornare a bordo docile come un agnellino, e chi sosteneva che Ace sarebbe riuscito a far vacillare persino la sua incrollabile pazienza.

Lanciò un’occhiata di sbieco al moro, che in quell’istante stava lottando contro i rami di un albero, dietro di lui, e si trattenne dal levare gli occhi al cielo.

Dopo quella che parve loro un’eternità, i due pirati sbucarono finalmente fuori dalla fitta vegetazione. Di fronte a loro si apriva un vasto spiazzo erboso privo di alberi.

Un particolare, in mezzo a quella radura, attirò la sua attenzione.

«Merda» fece Marco, passandosi le mani fra i capelli.

Ace seguì il suo sguardo e spalancò la bocca. «Non posso crederci! Chi diavolo abiterebbe in un posto del genere?» Senza attendere risposta, aggiunse, cogitabondo: «Un orco, forse.»

Davanti a loro si ergeva una casetta, così fuori luogo rispetto all’ambiente circostante che sembrava precipitata lì dal cielo. Situata all’ombra degli alberi, era piccola, con una facciata di mattoni in pietra e due finestrelle rettangolari dal quale non sembrava provenire alcuna luce. La flebile speranza che fosse disabitata si disintegrò quando Marco vide levarsi un filo di fumo dal comignolo.

«Vuoi andare a chiederglielo?» fece il biondo indietreggiando, di colpo all’erta.

Malgrado stesse calando la sera, erano comunque troppo esposti in quel punto e, se non si fossero immersi subito nella boscaglia, avrebbero rischiato di essere visti.

«Be’, perché no?» esclamò Ace d’improvviso, illuminandosi.

Sotto gli occhi perplessi di Marco, il ragazzo si avviò passo svelto in direzione della casa.

Marco gli andò dietro, afferrandolo per un braccio e costringendolo a fermarsi. «Che stai facendo, sei impazzito?»

Ace si voltò verso di lui, liberandosi con uno strattone. «Vado a bussare a quella porta» disse poi, e sembrò godere della confusione comparsa per un momento sul volto impenetrabile del compagno. «Magari possono dirci come uscire da questa schifosa palude. E darci qualcosa da mangiare. Tu non hai fame?»

Marco fece appello a tutto il suo autocontrollo. Fortunatamente per Ace, ne aveva in abbondanza. «Non puoi. Potrebbero sapere chi siamo. Rischi di mandare tutto all’aria, Ace, non lo capisci?»

Uno scintillio balenò negli occhi neri di Ace. «Forse voglio mandare tutto all’aria. Non me ne frega niente della vostra ciurma e del vostro piano. Tantomeno di quel Thalef. Sono i tuoi uomini, non i miei.»

Marco arretrò d’istinto. Quelle parole lo avevano colpito come uno schiaffo. «Quegli uomini sono la tua nuova famiglia» disse poi, senza riuscire a capacitarsi del fatto che per Ace non fosse altrettanto ovvio.

Per tutta risposta, il moro sbuffò e scosse la testa, senza mai smettere di fissarlo. «Voi non sarete mai la mia famiglia.»

Detto ciò, gli diede le spalle e fece rotta verso la casetta di pietra.

Marco lo osservò incamminarsi, le parole di lui marchiate a fuoco nella sua testa. Poche cose lo scalfivano, e tra quelle rientrava attaccare la sua famiglia. Dopo che lo avevano risparmiato, dopo che lo avevano accolto a bordo come un fratello. Aveva dovuto trascinare con sé quella zavorra fin sull’isola, si era dovuto sorbire tutti i suoi capricci, e doveva anche stare a guardare mentre quell’idiota mandava in fumo tutti i suoi piani!

«Non ti azzardare» sibilò, cercando di non alzare la voce. «Non ci provare neanche!»

Si mise a correre nella sua direzione, ventilò l’idea di usare i poteri del frutto, che in meno d’un attimo gli avrebbero consentito di raggiungerlo, poi ci ripensò, perché non voleva ferire inavvertitamente il fratello e, mentre era tutto preso dalle sue riflessioni, Ace era già bell’e arrivato a destinazione.

Il moro salì rapido i gradini che portavano all’ingresso, si voltò un’unica volta nella sua direzione con un’espressione furbetta e, senza smettere di fissare Marco, bussò alla porta.

 

***

 

«Te la sei cavata, Alma» disse il capo. «Ma non mi aspettavo niente di meno dalla figlia di Ririka.»

«Grazie» sorrise lei, che in quel momento si stava allacciando il grembiule, pronta ad entrare in turno.

I primi clienti serali stavano iniziando ad arrivare, facendo tintinnare il campanello all’ingresso, e ben presto, così le avevano detto le sue colleghe, il locale sarebbe stato pieno zeppo.

La giornata era volata e, tolto il piccolo intoppo generato dai Marines, era filato tutto liscio. La sua mente andò di colpo a Riadh, a com’era stato prelevato di malo modo da lì, e si augurò che l’amico non si fosse cacciato in qualche guaio. Poi tornò ad osservare il locale, che pian piano andava riempiendosi. Certo, non poteva negare che un po’ le mancasse il Food Foo. Se fosse stata lì, in quel momento, probabilmente avrebbe visto arrivare Aibell, Riadh e i suoi uomini, appena tornati da un’intensa giornata di lavoro e vogliosi di rinfrescarsi la gola. Avrebbe assistito ai battibecchi di Zoro e Dawn, agli aneddoti di Riadh, agli incontri di Aibell con i suoi clienti. 

Alma sospirò piano. Nulla di tutto ciò sarebbe accaduto quella sera. Se non altro, pensò, sarebbe stata una serata tranquilla, senza i suoi focosi amici a piantare grane.

Vedendo che una coppia le stava facendo un cenno dal tavolo, si affrettò ad avvicinarsi per prendere l’ordinazione.

«Due pinte di birra» le disse l’uomo, sorridendole, la mano stretta a quella che doveva essere la sua compagna, sul tavolo.

«Subito.»

Alzando gli occhi dal loro tavolo, Alma intercettò per una frazione di secondo lo sguardo di un uomo, in un angolo del locale. Il genere di individuo che si sarebbe aspettata di trovare in una bettola del porto. Sedeva da solo, in disparte, aveva folti capelli grigi e l’aspetto trasandato. Quasi stonava con il resto dei presenti.

Alma abbassò subito lo sguardo e tornò a passo svelto al bancone, sapendo che non era così che si sarebbe dovuta comportare. Ma lo sguardo di quell’uomo l’aveva turbata. Solo quando si trovò dall’altra parte del bancone, al sicuro, fu in grado di alzare di nuovo gli occhi. Lui la stava ancora fissando.

Vorrà solo ordinare.

Deglutendo a vuoto, Alma riempì due calici di birra e lì portò al tavolo della coppia.

Loro la ringraziarono, ma lei udì a malapena le loro voci, concentrata com’era sulla sua prossima mossa. Facendo un respiro profondo ed ignorando il tamburellio del suo cuore nel petto, Alma prese il coraggio a due mani e si avvicinò al tavolo dello sconosciuto.

«Vuole ordinare?» Aveva sperato che la sua voce suonasse tranquilla e sicura di sé, ma il tremolio tradì la sua apparente calma.

L’uomo sorrise, mettendo in mostra i due denti davanti che gli mancavano. Alma si sentì venire meno, ma si sforzò di sorridere a sua volta.

«Saké» rispose lui, dopo un lungo momento.

«Certo» fece lei, girando sui tacchi.

Mentre si recava al bancone, poteva sentire gli occhi di lui bruciarle sulla schiena.

«E così, hai conosciuto Squalo.»

Mentre afferrava una bottiglia di sakè, Alma si voltò verso il capo. «Eh?»

Lui indicò con un cenno l’uomo sdentato in fondo al locale. «Squalo» ripeté, indicandosi poi i denti davanti, come ad indicare che fosse quella la ragione del soprannome affibbiatogli.

Alma non replicò. Afferrò un bicchiere e fece per stappare la bottiglia, cercando di ignorare l’ansia che le serpeggiava nel petto. Quell’uomo non le aveva fatto nulla e, malgrado l’aspetto poco rassicurante, non c’era motivo perché lei reagisse in quel modo. Eppure, aveva captato qualcosa in lui, qualcosa che l’aveva messa in allarme, come un cerbiatto quando sente avvicinarsi un cacciatore in punta di piedi. Non lo può ancora vedere, non sa che è lì, ma sente scricchiolare le foglie del sottobosco, e sa che deve tenersi all’erta.

«No, no» esclamò il capo, facendola di tornare di colpo alla realtà. «Portagli pure tutta la bottiglia. A Squalo piace trincare.»

Alma annuì, affrettandosi a poggiare bicchiere e bottiglia su un vassoio, e poi fece per dirigersi al suo tavolo, dal quale Squalo continuava a fissarli.

«Ah, Alma» la chiamò il capo, come si fosse ricordato all’improvviso di qualcosa.

Lei si arrestò, voltandosi nella sua direzione con aria confusa.

«Non ti preoccupare per lui» le disse, quasi le avesse letto nel pensiero. Forse aveva notato l’improvviso pallore sul suo volto. «È un tipo un po’ strano, ma non è cattivo.» Dopo una pausa, in cui evitò di guardarla, aggiunse: «È solo… sensibile al fascino femminile, ecco. Ma se non attiri l’attenzione e ti comporti bene, non ti darà fastidio.»

Alma deglutì a vuoto. «Va bene» mormorò poi, debolmente.

Lei non attirava mai l’attenzione. Lei si comportava bene. Se lo ripeté come un mantra, mentre si avvicinava a passo lento al tavolo dell’uomo.

Lei non attirava mai l’attenzione. Lei si comportava bene.

«Ecco il sakè» mormorò.

Poggiò sul tavolo il bicchiere e la bottiglia il più rapidamente possibile ma, quando ancora la sua mano era nella sua traiettoria, l’uomo ebbe un fremito e le afferrò di scatto il polso.

Lo stomaco di Alma si capovolse.

«Come ti chiami?» chiese l’uomo, scrutandola con i suoi occhi da cacciatore.

La sua presa sul suo polso era dolorosa, e stringeva così forte che Alma per un momento temette che le avrebbe spezzato l’osso, mentre l’attirava a sé.

Il cuore che le scoppiava nel petto, Alma artigliò il vassoio con la mano libera, ponendolo davanti a sé come uno scudo, e si guardò intorno alla ricerca d’aiuto, tra i numerosi avventori che chiacchieravano e le cameriere che giravano fra i tavoli. Incrociò infine lo sguardo del suo capo, in quel momento dietro la cassa che, accortosi della situazione, si limitò a farle un cenno con il capo, come a dire “Lascialo fare.”

«Alma» disse lei con un filo di voce, cercando di sottrarsi a quella stretta.

Lui, però, non sembrava avere alcuna fretta di lasciarla andare, le unghie sudice piantate nella sua carne. Lei non lo guardava, la gola arsa e una smorfia di terrore sul volto. Teneva gli occhi fissi in quelli del capo, ma lui distolse in fretta lo sguardo da lei e da quella scena, come se la cosa non lo riguardasse.

«Sei nuova?»

«Sì» rispose lei, rigida come un ciocco di legno, sempre senza guardarlo.

Con la coda dell’occhio, vide che il sorriso sdentato dell’uomo si era fatto più largo. «Allora ci rivedremo, pupa.»

Fu con quelle parole nient’affatto rassicuranti che infine la lasciò andare.

Alma si allontanò come se avesse preso la scossa, massaggiandosi il polso dolorante, i segni delle sue unghiate rimasti impressi sulla pelle. Aveva la nausea, come se avesse mangiato qualcosa che le aveva dato fastidio.

Le ultime parole di lui, suonate al pari di una minaccia, continuavano a rimbombarle nella testa.

Fece un respiro profondo, mentre raggiungeva il bancone, dal quale il capo le fece un breve cenno, come fosse soddisfatto di come aveva gestito la cosa. Dopotutto, lei era un’esperta nella tecnica dell’indifferenza. Era abituata a lasciarsi scivolare addosso i commenti sconci, gli sguardi lascivi e le mani che s’infilavano sotto il grembiule.

Sì, si disse, sarebbe andato tutto bene.

Si sarebbe comportata meglio, e non avrebbe più attirato la sua attenzione.

 

***

 

«Marco la Fenice» lesse Aibell, srotolando l’avviso di taglia sul tavolo.

Un tizio dalla faccia squadrata, gli occhi non particolarmente svegli e ridicoli capelli biondi – che alla ragazza ricordarono vagamente un ananas – ricambiò il suo sguardo dal manifesto.

«Non riesco a credere che un tizio con questa faccia possa valere tutti questi milioni» borbottò fra sé, grattandosi la nuca.

In fin dei conti, poco le importava. Se quello era uno degli uomini più forti della ciurma di Barbabianca e stava davvero venendo lì a Sheltz Town, non se lo sarebbe fatto certo sfuggire. Si aspettava di doversi battere con pirati dall’aspetto feroce, dei veri bruti, ma quel tipo non la metteva granché in soggezione, e non poteva che essere un bene. Avrebbe fatto meglio il suo lavoro.

La sua mente corse a Riadh, che probabilmente doveva aver concluso da un pezzo il suo colloquio con Morgan. Chissà cosa gli aveva raccontato, chissà se anche lui ricopriva un ruolo nella faccenda, come lei credeva che fosse. Non vedeva l’ora di saperne di più.

Srotolò con cura gli altri avvisi di taglia sul tavolo, studiando i volti e le cifre dei membri della ciurma di Barbabianca, i palmi che le prudevano dall’eccitazione. Accanto a lei, oltre a tutte quelle pergamene, un bicchiere di sakè che ogni tanto si portava alla bocca, gustandoselo con calma, e un coltello infilato per metà nel legno del tavolo. Non ricordava come fosse finito lì – forse stava litigando con qualcuno – ma osservandolo Aibell si compiacque, come potesse già immaginarlo nelle schiene di quei pirati. Anche se, a pensarci bene, era davvero improbabile che usasse un coltello da cucina. Lanciò una fugace occhiata al fucile d’assalto appeso a un gancio del muro, all’ingresso, e sorrise, prima di abbassare di nuovo gli occhi sui manifesti.

«Marco la Fenice» ripeté, riponendo testa-d’ananas in fondo al tavolo. «Jaws» continuò, osservando la foto di un omone dalla faccia allungata che pareva un gorilla. «Satch» proseguì, spostando il volantino di un tizio dall’assurda capigliatura bombata e l’aria elegante, che poco si addiceva a quella di un pirata. Alzando il manifesto dell’uomo successivo, Vista, vide che vi erano dozzine e dozzine di altri avvisi di taglia, e gli occhi le si illuminarono.

Ma quanti cazzo sono?

Quando Riadh avesse sguinzagliato i cacciatori della Gilda, certo, non sarebbe stato facile stare al loro passo, ma nella ciurma di Barbabianca c’era tanta di quella carne fresca che ognuno sarebbe riuscito ad averne un pezzetto. O, almeno, così sperava.

«Questo deve essere quello nuovo» mormorò poi tra sé Aibell, soffermandosi sul ritratto di un giovane dai capelli corvini e le lentiggini. E una ricompensa di quattrocento milioni di berry.

Fu in quel momento che bussarono alla porta.

Aibell alzò gli occhi dall’avviso di Ace D. Portgas con uno sbuffo, lanciando un’occhiata alla porta chiusa e poi al tavolo ingombro di carte, il coltello che spuntava a metà dal legno, il disordine e la sporcizia sul pavimento. Chi diavolo poteva essere, a quell’ora?

Forse un cliente.

Strano. I suoi clienti si contavano sulle dita di una mano mozza, e quei pochi di solito non s’arrischiavano a venire lì, specialmente al calar della sera. Tuttavia, malgrado non ricevesse spesso visite, a volte qualche sporadico individuo, che aveva sentito le voci in giro su di lei e voleva scoprire se fossero vere o meno, era capitato. C’era chi trovava eccitante in modo morboso il fatto che, dopo aver fatto la scopata del secolo, non sapesse se si sarebbe svegliato il giorno dopo oppure no. Aibell non riusciva a capire quelle dinamiche, ma in fin dei conti non le importava granché. L’importante era che pagassero.

Si alzò in piedi con uno sbuffo, lanciando un’ultima occhiata al marasma che aveva lasciato sul tavolo prima di recarsi alla porta. Poggiò la mano su una maniglia ma, prima di abbassarla, si premurò di guardare dalla finestra, dalla quale cominciavano a intravedersi le ombre della sera, stando attenta a non essere vista dall’esterno.

Per poco non cadde a terra. Spalancò la bocca, la mascella sospesa a mezz’aria.

La faccia squadrata. Gli occhi non particolarmente svegli. I ridicoli capelli biondi.

E l’altro. Capelli corvini e lentiggini.

I pirati a cui aveva intenzione di dare la caccia avevano appena bussato alla sua porta.

 

 
Questo capitolo necessita di due precisazioni. Innanzitutto, una mia decisione che interferisce con la storia principale: Ace si unisce alla flotta di Barbabianca (e gli è ostile) due anni prima della narrazione. Inizialmente, la mia storia doveva collocarsi in quel lasso di tempo, poi sono stata costretta ad ambientarla in tempi moderni (non me ne voglia Chaplin, lol), quindi in teoria Ace dovrebbe essere fedelissimo al Babbo, anzi, dovrebbe già essere sulle tracce di Teach. Qui non è così, anche se mi sono immaginata che, ai tempi di Alabasta, tutto sia più o meno come nella storia principale. Insomma, qui le cose accadono solo molto più velocemente.
 
Altra precisazione, direttamente collegata a questa. Marco ed Ace non sono ancora culo e camicia, e spero di non cadere nell’OOC perché il loro rapporto prima che Ace giurasse fedeltà a Barbabianca è abbastanza oscuro, se non che Marco gli fa capire la filosofia che c’è tra di loro ** Quindi, insomma, sono andata molto di fantasia, con Marco che è diviso tra i suoi doveri fraterni e l’irritazione che gli suscita questo combinaguai che si diverte a fare sempre il bastian contrario. Per quanto riguarda Ace, mi sono immaginata che la sua forzata permanenza sulla Moby, unita al fatto che molti membri degli Spade Pirates lo stessero “tradendo”, avvicinandosi sempre di più a Barbabianca, potessero provocare in lui un fastidio e un dolore tali da farlo agire in questo modo indisponente :P Però, ecco, è opera della mia più becera fantasia e libera interpretazione dello speciale su Ace, quindi mi scuso se non apparirà molto accurato :)
 
Non ho nulla da dire sulla scena di Alma se non… POVERINA ç-ç Ed è solo l’inizio delle disavventure per la nostra locandiera.
 
La palude come dimora di Aibell, comunque, è motivo di grande ilarità tra me e la mia migliore amica da tempo immemore. Per un certo momento abbiamo pure parodiato il nome della cittadina in “Shrek Town” per ovvi motivi, immaginandoci Aibell che si affacciasse alla soglia davanti ai due pirati ed esclamasse “Questa è la mia palude”. Per questo non ho potuto che far pronunciare ad Ace la frase sull’orco, lol. Tra l’altro, io ho una vera e propria passione per le paludi (sì, sono pronta per un TSO). Però non so, sono dei posti che mi affascinano moltissimo, specialmente i bayou della Louisiana con tutti i riti legati ai Cajun! **
 

Sono molto emozionata all’idea di pubblicare il prossimo capitolo, che è quasi delirante. Riuscirà Aibell nella sua impresa? Ovviamente è una domanda retorica, le prenderà di brutto XD 

Ringrazio di cuore _Fenixx per la recensione e chi ha dato alla storia anche soltanto un
occhiata!

Un bacio e a presto,
Cassidy.

  
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