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Autore: Shoshin    05/05/2021    1 recensioni
Era la bambola di un bambino, aveva le guance paffute e stava a cavalcioni sopra una carpa dorata.
Oji gliela mise davanti agli occhi. «È il tuo amico».
Sari inclinò la testa, dubbiosa. Il mio amico? Non conosceva nessuno con quell’aspetto.

{Missing moment di Thinking out Loud, post settimo capitolo}
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Misako Kurata, Nuovo Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Sari Hayama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ticking Away'
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A sunrisesunset,
che ci supporta e ci ispira
la fanfiction non sarebbe nata senza di te
è per te ♥


Koinobori
鯉幟

Sari si girò sul materasso, portandosi le coperte sopra il viso. La luce che filtrava dalla finestra le dava fastidio e non voleva alzarsi, quel giorno. Sentì però dei rumori provenire dal piano inferiore, il vociare della mamma e la risposta della nonna. Aprì gli occhi, sotto le coperte, e si ricordò che oggi il giorno era tutto dedicato a lei e Oji.
Spostò le coperte e si stiracchiò, ancora distesa a letto. Indossò le ciabatte e, con passo lento, scese al piano inferiore.
«Nonna!» Esclamò non appena la vide, in piedi in mezzo alla cucina. Maro era come sempre sulla sua testa, se ne stava seduto ai piedi di un’asta dalla quale si potevano notare delle figure di carta, raffiguranti delle carpe koi come sospinte dal vento. La nonna allargò le braccia e le sorrise, e Sari non ci pensò due volte prima di tuffarsi in lei. Sentì le sue braccia confortanti stringerla e si lasciò cullare dal suo calore.
«Buongiorno, bambina». Le disse prima di darle un bacio tra i capelli. «Auguri!»
Sentì la mamma aprire dei pensili ed appoggiare qualcosa sul tavolo. «Vieni a fare colazione, Sari». Disse la madre, versando il latte nei cereali che aveva preparato.
Annuì, sulla stoffa del kimono della nonna e sciolse l’abbraccio. «Oji dorme ancora?» Domandò prendendo il cucchiaio tra le mani e cominciando a masticare.
«Sì, quando si sveglia e torna papà dalla sua corsa, appendiamo i Koinobori». Le rispose, portandosi la tazza di caffè alle labbra.
«Viene pure nonno?» Si era guardata intorno, ma non l’aveva visto da nessuna parte.
«Lavora, nonno. Viene stasera a cena, però». Sari annuì e continuò a mangiare la sua colazione.
Prima che Oji si svegliasse era persino riuscita a lavarsi i denti e fare la doccia. Era un dormiglione il fratello, ecco cos’era. Se fosse stato per lui, forse, avrebbe potuto dormire tutta la giornata e non alzarsi affatto dal letto. La mamma le diceva sempre che era piccolo e che aveva bisogno di dormire. Quel giorno era dedicato anche a lui, soprattutto a lui.
Sentì qualche rumore provenire dal giardino e quando si affacciò dalla finestra di camera sua, vide il padre piantare un’asta. Avrebbe fatto sventolare tutti loro al vento, facendoli nuotare controcorrente, combattendo la forza dell’acqua che cercava di farli tornare indietro, portandoli via.
Quando scese di nuovo al piano inferiore, Oji era sveglio, aveva fatto colazione e tra le braccia stringeva una bambola.
«Che cos’è?» Chiese, avvicinandosi per vederla meglio. Era la bambola di un bambino, aveva le guance paffute e stava a cavalcioni sopra una carpa dorata.
Oji gliela mise davanti agli occhi. «È il tuo amico».
Sari inclinò la testa, dubbiosa. Il mio amico? Non conosceva nessuno con quell’aspetto. Sana si era voltata verso di loro, Sari vide la sua bocca incurvarsi un po’ verso il basso, ma cercò di cancellare velocemente la sua espressione. Nonna Misako invece la guardava con degli occhi strani, come se avesse dovuto studiarla. C’era qualcosa che non le piaceva in quella situazione. «Il mio amico?» Domandò, quindi, cercando di comprendere.
Oji annuì, allungando le mani verso di lei, avvicinando la bambola a Sari. «Mamma me l’ha regalata. Si chiama Kintaro. È il tuo amico».
Schiuse gli occhi, sentendo quel nome. Il suo corpo si raggelò. Kintaro. Oji stava dicendo che quella bambola di bambino che cavalcava una carpa koi si chiamava Kintaro. Kintaro, lo stesso nome di quel bambino che non l’aveva salutata, che le aveva fatto ascoltare una canzone ed era sparito per sempre. Allungò una mano, avvicinandola alla bambola. Le sopracciglia si incurvarono verso il basso, le dita strinsero quella bambola di pezza, rubandola dalle mani dal fratellino.
«Non scherziamo». Disse, lapidaria, gettandola a terra, salendoci sopra con i piedi, cercando di cancellarla.
«Sari!» Esclamò la mamma, facendole spostare il piede dalla faccia di quel bambino. Raccolse quel gioco e lo sbatté per pulirlo dalla polvere o da qualsiasi cosa lo avesse potuto sporcare.
«Non è Kintaro, quello lì». Disse, sentendo gli occhi bruciarle. Era uno scherzo, quello. Tutto uno scherzo del fratellino che adorava renderle la vita difficile, come quando battibeccavano. Aveva detto quel nome soltanto per farle uno scherzo.
Vide nonna Misako chiudere gli occhi e sospirare. Aveva le mani nascoste dentro le maniche del kimono e a Sari sembrò che fosse triste. Corse verso di lei e l’abbracciò, stringendosi alla stoffa della gonna. «Nonna, diglielo tu che non deve prendermi in giro così!»
Sentì la mano calda della nonna sui suoi capelli, l’accarezzò e, scostandosi un po’ da lei, si abbassò alla sua altezza. «Sari, non ti prende in giro. È la bambola della festa dei bambini». Sari aprì gli occhi e trovò il sorriso di Misako davanti a lei, continuava ad accarezzarle la testa. «Si chiama Kintaro, è un bambino con una forza straordinaria, e porta bene regalarla ai bambini come augurio per una crescita forte e sana». Parlava lentamente e con voce bassa. «È soltanto una bambola con quel nome…»
Kintaro. Ripeté nella sua mente. Era da un po’ di giorni che non pensava al suo nome, che non lo immaginava guardarla, nel banco in fondo alla classe, ed in quel momento era tornato, come se fosse un uragano, come se avesse nuotato controcorrente soltanto per darle il tormento. Hayama, ero venuto a dirti che… Deglutì. ... che la corrente l’avrebbe portato lontano da lei. Portò una mano alla guancia per asciugarsi le lacrime che avevano cominciato a scendere dai suoi occhi. Erano passati diversi mesi da quando se ne era andato via da Tokyo, chissà dove, eppure continuava a piangere non appena il suo viso le ritornava alla mente, come in quel momento. Gli aveva chiesto di prepararla, non lo aveva fatto. Gli aveva chiesto di rimanere in contatto, non l’aveva fatto. Tutte le cose che le aveva detto avrebbe fatto, non erano accadute. Non era un bambino con una forza straordinaria, lui. Era soltanto un bugiardo. Con lei, almeno, era stato un bugiardo.
Tirò su con il naso, chiuse gli occhi, li riaprì. Non voleva più pensarci. Che senso ha pensare a qualcuno che non c’è più? «Andiamo ad appendere il Koinobori?» Domandò voltandosi verso la mamma.
Sana accennò un sorriso ed annuì. «Che colore?»
Sari si portò una mano al mento e ci pensò un attimo su. «D’oro!»
«Io blu!» Esclamò Oji, stringendo ancora al petto la bambola di quel bambino paffuto. Scostò lo sguardo Sari, correndo verso la porta, uscendo in giardino, raggiungendo il padre che aveva appoggiato a terra le carpe raffiguranti la loro famiglia, che avrebbero sventolato all’aria, nuotando controcorrente, forti.
«Nera per papà, rossa per la mamma...» Cominciò Sari, indicando i vari disegni. «D’oro per me e blu per Oji, papà».
Akito annuì, prendendo la carpa più grande, quella nera che simboleggiava il padre di famiglia, e appendendola all’asta. Cominciò a nuotare subito nel vento, veloce, cercando di correre via risalendo la corrente, combattendo contro forze più grandi di lui.
«Più alti dei tetti ci sono i koinobori...» Iniziò a cantare Sari, passandogli la carpa della mamma. «...La grande carpa nera è il padre…» Intonò ancora.
«Le piccole carpe dorate sono i bambini…» Si unì anche Oji cantando un altro verso della filastrocca.
«Sembra che si divertano a nuotare», conclusero insieme, guardando sventolare all’aria le carpe koi che li raffiguravano e Sari avrebbe voluto non pensare a nulla, se non osservare il movimento delle carpe al vento, ma non riuscì a scacciare l’immagine di Kintaro, domandandosi se anche lui stesse facendo la stessa cosa con la sua famiglia. Se anche a lui, come a Oji, avevano regalato la bambola che portava il suo nome. Se anche lui, come loro, sarebbe andato al festival per la giornata dei bambini, girando per le bancarelle e giocando negli stand.
Ti diverti a nuotare?




Buongiorno! o/
E buona festa dei bambini! :D Oggi, 5 maggio, in Giappone si festeggia la festa dei bambini, chiamata Kodomo no ih.
Per questa fanfiction non possiamo non ringraziare sunrisesunset perché, senza di lei, non sarebbe mai nata.
Quando abbiamo cominciato a scrivere TOL, dovete sapere, il nome di Kintaro è uscito da solo, non abbiamo fatto ricerche online sui nomi giapponesi, né credevamo che fosse un nome esistente. Tant’è che all’inizio abbiamo avuto il dubbio se Kintaro fosse il nome o il cognome perché per i giapponesi chiamare qualcuno per nome è maleducazione, ma Sari ci ha detto che a lei non frega niente e che anche se ancora non conosceva Kintaro l’avrebbe chiamato per nome. xD
Parlando con sunrisesun, poi abbiamo fatto la ricerca “Kintaro nome giapponese” per curiosità e non credevamo che avremmo trovato qualcosa, invece Kintaro è il nome di un bambino della mitologia giapponese, un bambino con una forza sovrumana, paffuto, la cui bambola viene regalata ai bambini maschi durante la festa dei bambini come augurio di una buona crescita, per augurargli di crescere sani, forti e bravi.
Non appena l’abbiamo scoperto, abbiamo pensato di dover scriverci qualcosa su… La festa cade il 5 maggio (oggi) e Kintaro va via prima della fine della scuola (marzo), quindi sono passati circa due mesi da quando se ne è andato da un giorno all’altro, e quando Oji le fa vedere la bambola non crede a ciò che dice e pensa la stia prendendo in giro, la mancanza di Kintaro è ancora fresca e non riesce a trattenersi dal piangere ripensando a lui.
Un’altra usanza durante la festa dei bambini, ripresa nella fanfiction, è appunto il Koinobori, cioè appendere ad un’asta delle carpe koi di carta, plastica o stoffa che, con il vento, nuotano controcorrente, combattendo contro quella forza. Per il padre c’è la carpa nera, più grande, per la madre, la carpa rossa, per il primo figlio, di solito, la carpa dorata (però penso che si possano cambiare i colori a piacimento) e per i figli successivi altri colori.
La filastrocca non è inventata, ma è la filastrocca che viene cantata in Giappone durante questa festa, e la bambola Kintaro viene raffigurata mentre cavalca una carpa koi dorata o mentre tiene la carpa koi sottobraccio.
E Sari, alla fine, non riesce a non pensare a lui, a cosa stia facendo, se si sta divertendo. Sta facendo i conti con la sua mancanza e con il fatto che, con tutta probabilità, non lo rivedrà mai più, e a volte lo sconforto le torna prepotentente.
Speriamo che la fanfiction vi sia piaciuta! ♥
Lov iuh
Shoshin




   
 
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