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Autore: Reginafenice    05/05/2021    0 recensioni
[La fantastica signora Maisel]
Midge conosceva piuttosto bene il senso di sfiducia nei confronti delle altre persone che ora provava Shy. Anzi, la sua esperienza le aveva insegnato che purtroppo erano di solito le persone più care a compiere i peggiori atti di tradimento… Eppure, nemmeno una volta da quando Joel l’aveva lasciata aveva pensato che sarebbe potuto capitare a lei di sedersi dalla parte dell’imputato, di mancare così sensibilmente di delicatezza nei confronti di un amico a cui voleva bene davvero. Forse, tutto questo l’avrebbe portata a giudicare con maggiore clemenza gli errori commessi dal suo ex marito, scoprendosi sorprendentemente molto più fragile e imperfetta di quanto non si fosse mai reputata in vita sua.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Midge aveva deciso di prendersi una pausa dal palcoscenico, dopo il frenetico vortice di insicurezza in cui era caduta una volta abbandonata da Shy Baldwin sull’orlo del suo sogno, o meglio, sulla pista dell’aeroporto in cui l’attendeva un magnifico areoplano che avrebbe dovuto condurla in quell’agognato mondo cabarettistico europeo che le era stato promesso.
Si trattava, in realtà, di una voragine interiore che Shy aveva aperto suo malgrado, un vuoto di cui Midge non era consapevole ma la cui tardiva conoscenza le aveva procurato almeno tanto dolore quanto era stata in grado di infliggerne.

Midge conosceva piuttosto bene il senso di sfiducia nei confronti delle altre persone che ora provava Shy. Anzi, la sua esperienza le aveva insegnato che purtroppo di solito erano le persone più care a compiere i peggiori atti di tradimento… Eppure, nemmeno una volta da quando Joel l’aveva lasciata aveva pensato che sarebbe potuto capitare a lei di sedersi dalla parte dell’imputato, di mancare così sensibilmente di delicatezza nei confronti di un amico a cui voleva bene davvero. Forse, tutto questo l’avrebbe portata a giudicare con maggiore clemenza gli errori commessi dal suo ex marito, scoprendosi sorprendentemente molto più fragile e imperfetta di quanto non si fosse mai reputata in vita sua.

Ciò che la infastidiva di più era l’egoismo che l’aveva spinta a servirsi della storia personale di Shy per salvarsi dalla paura del fallimento. Anche se si trattava solo di battute, che probabilmente la gente non avrebbe preso seriamente, la sua mancanza di freni inibitori non aveva tenuto in alcun conto i sentimenti di chi sapeva perfettamente che non si trattava affatto di uno scherzo.
Per quanto potesse autoconvincersi di aver agito in buona fede, Midge non poteva neanche sperare di arrivare a un chiarimento con Shy: Reggie le aveva consigliato di non insistere, altrimenti il “suo” Shy si sarebbe irritato e avrebbe rovinato col suo umore l’entusiasmo di tutto il team, quindi il successo dell’intero tour.

Non era la prima volta che le accadeva di ferire qualcuno, a pensarci bene.
Se con Benjamin non era stata precisamente la sua bocca a fare danni ma la penna vigliacca che l’aveva guidata a scrivere un addio su di un immacolato foglio bianco, questa volta nessuna scusa poteva reggere al fine di mantenere intaccata l’immagine di sé che si auto dipingeva da quando era nata. Era o non era Miriam Maisel la salvatrice in extremis di qualsiasi situazione difficile, di imprevisti o di relazioni in crisi, come quella dei suoi genitori o quella tra Imogene e Archie? Era o non era Midge Maisel la mediatrice, la sollevatrice dei cali di autostima altrui? Nel suo cuore sentiva di volere prima di tutto il bene di coloro che amava, persino della prima persona che le capitava di incrociare per strada e per la quale provava un’istintiva simpatia.
Troppo spesso, però, da quando il suo matrimonio era andato in pezzi, si era dimostrata naïve e tendente a praticare qualcosa che la vecchia Midge non avrebbe mai fatto: fallire come tutti gli esseri umani, anche e soprattutto nelle piccole cose così come nei rapporti sociali fondamentali.

E adesso, addirittura fare shopping aveva perso il suo solito brivido. Midge sedeva ad un tavolino di un coloratissimo bar, in grado di attirare l’attenzione persino di un miope nell’estiva e serale New York City. Sedeva, dunque, sorseggiando con una cannuccia una banalissima limonata, mentre aspettava insieme ad Esther che Ethan finisse la lezione di pianoforte. Le stonature sulla tastiera si potevano avvertire anche da lì: un chiaro segnale che il futuro di Ethan non sarebbe stato nella musica. Anche il suo adorato Martini Dry era stato sostituito da una versione molto più sbiadita che ben si addiceva al suo stato d’animo, ma l’incredibile anticipo con cui si era recata dal maestro di musica confermava più di qualunque altra cosa il drastico cambiamento di vita che stava affrontando negli ultimi mesi.

A quel punto, non le restava che sfogliare svogliatamente le pagine dell’ultima rivista di Vogue per ingannare l’attesa e impartire a sua figlia le prime lezioni in fatto di stile. Se non fosse stato per l’interruzione di una bambina intenzionata a fissarla con lo stesso sguardo inquietante di suo figlio, quando assumeva il vizio di sbucare dal nulla la mattina nella sua stanza senza motivi apparenti, era sicura che la piccola Esther fosse stata catturata dall’immagine del bellissimo tailleur rosa in copertina. Soddisfazione, questa, non da poco per una madre come lei.  

“Ti sei persa, per caso?” Midge rispose allo sguardo della bambina con un’espressione dolce e divertita al tempo stesso. Sistemò Esther nel suo passeggino e guardò l’orologio che aveva al polso: mancavano ancora dieci minuti alla fine di quel supplizio acustico che proveniva dal primo piano dell’appartamento di fronte al bar.

La bambina non disse nulla, ma si limitò a scrollare le spalle. Pe un breve istante Midge ebbe l’impressione che quel viso non le fosse del tutto estraneo, anzi, quella scrollata di spalle aveva un’aria vagamente familiare. Midge si sforzò di ricordare, ricollegando mille volti di gente conosciuta con quello della ragazzina bionda che aveva davanti. Doveva avere, su per giù, la stessa età di suo figlio Ethan, ma presto Midge si arrese all’insolubilità dell’enigma e pensò che fosse più produttivo avviare una conversazione con lei.

“Se hai perso la voce, forse un bicchiere di limonata potrebbe aiutarti a fartela tornare. Vuoi che te ne ordini un po'?” Adesso, il tono della voce di Midge era diventato ancora più affabile e si poneva in netto contrasto con l’assoluto mutismo della ragazzina, la quale sembrava studiare il suo viso come se anche lei cercasse di ricordarsi dove avesse potuto incontrare una signora così affascinante. Midge ordinò altre due limonate e invitò la piccola a sedersi accanto a lei, con un semplice gesto della mano.

“Sai, di solito le bambine non girano da sole a quest’ora. I tuoi genitori saranno in ansia per te.”

Dopo un breve sorso di limonata, la bambina pronunciò un laconico “Può darsi”, gettando di tanto in tanto un’occhiata all’angolo della strada, quasi si aspettasse di vedere qualcuno sbucare da lì dietro. Evidentemente era fuggita di casa e la stavano cercando, ma la bambina non aveva intenzione di farsi trovare tanto facilmente.

“Questa è mia figlia Esther e io mi chiamo Miriam. Midge se preferisci. Tu, invece, come ti chiami?”

“Kitty. Comunque, grazie per questa…” e indicò il bicchiere mezzo vuoto, “E’ stata molto utile”.

Midge si accigliò leggermente, “Mi sa tanto che tu abbia fatto una bella corsa per arrivare fin qui, ma ovviamente non mi spiegherai il perché, vero?”

Kitty, infatti, scosse la testa.

“Non ti ho sentita arrivare per via di questo…” e alzò una mano in aria, riferendosi al baccano assordante prodotto dalle manine poco sincronizzate di Ethan. Kitty annuì, dimostrando di essere piuttosto sveglia per la sua età.

Quando calò giù il silenzio, entrambe tirarono un sospiro di sollievo e si rivolsero uno sguardo complice. Tuttavia, proprio in quel momento Esther iniziò a piagnucolare per richiamare su di sé l’attenzione di sua madre. Così, Midge dovette alzarsi e prendere in braccio sua figlia per calmarla un po'.
Mentre era di spalle, Kitty si strinse alla sua gonna di tulle color cipria, lasciando intuire a Midge che il gioco del nascondino era finito e che ora la piccola aveva paura del rimprovero dei suoi genitori, o di chiunque la stesse cercando.

Quando si voltò, Midge vide una bellissima ragazza, bionda come Kitty, correre freneticamente verso la loro direzione. Una volta raggiunto il tavolino, la giovane si inginocchiò all’altezza di Kitty e l’abbracciò intensamente, come se non volesse lasciarla più. Dopo qualche minuto, si rialzò cercando di ripulirsi le gambe e la gonna dallo sporco della strada. Era molto provata e con gli occhi lucidi guardò Midge, “Grazie per averla fermata, altrimenti chissà dove sarebbe ora!”

“Si figuri! Kitty si è già pentita e mi stava appena comunicando dove avrei dovuto accompagnarla, giusto?” Fece l’occhiolino alla bambina, la quale non riuscì a non nascondere un piccolo sorriso pieno di riconoscenza.

Ethan andò loro incontro con un’espressione scocciata e gli spartiti nella cartella sotto il braccio, “Mamma, possiamo andarcene, per favore? Papà mi ha promesso che avremmo mangiato la pizza oggi!”.

Midge gli accarezzò i capelli, “Credimi, amore, anche noi non vedevamo l’ora di andarcene! Prima, però, dovresti presentarti a queste due signorine, altrimenti che razza di gentleman saresti?”

Ethan si sforzò di tendere la mano a Kitty, “Io sono Ethan. Adesso possiamo andare?” Aggiunse, rivolgendosi implorante a sua madre. Midge alzò gli occhi al cielo e si scusò con la giovane per i modi frettolosi del figlio.

“Perdoni la curiosità, e anche la mancanza di discrezione, signora…” attese che le venisse rivelato il nome della sua nuova interlocutrice.

“Honey Bruce. Oh, no!  Honey Harlow. Mi scordo sempre di dover usare il mio nome da nubile ora!” Le porse la mano e la strinse energicamente. Bruce, eh? Possibile che Kitty fosse la figlia di Lenny Bruce? Sì, la somiglianza era notevole, eppure Midge si domandava perché non fosse riuscita a coglierla prima. Certo, sapeva che Lenny aveva una figlia, tuttavia, stentava a vederlo nei panni di padre, non perché non fosse premuroso o altro, semplicemente perché Lenny dava l’impressione di essere totalmente indipendente e conduceva da sempre una vita alquanto instabile per garantire la propria presenza in quella di una bambina. Questa scoperta l’aveva lasciata letteralmente senza parole…

“Mamma, lei si chiama Midge.” Disse Kitty, tentando di riempire un vuoto di parole che iniziava a diventare imbarazzante.

Midge si risvegliò da quella specie di torpore in cui era caduta e continuò, “Signora Harlow, perché Kitty si è allontanata da casa? Voglio dire, anche io una volta tentai di fuggire da mia madre quando ero molto piccola, ma il motivo della fuga era molto più futile di quanto possa immaginare. Mi ero innamorata di un cappellino che avevo visto in una boutique del centro e non accettavo il rifiuto di mio padre, così andai da sola e lo acquistai con i soldi della mia paghetta, messi da parte per mesi!”

Kitty rise di gusto, mentre Honey si sfregò la fronte e si sedette un attimo, “Oggi Kitty è tornata da me, dopo aver trascorso il weekend con suo padre. Evidentemente non devo esserle tanto simpatica quanto Lenny!”

Non sapeva cosa fare o cosa dire. Era abbastanza sicura che Lenny non avesse mai parlato a Honey di lei e, anche se tra di loro non era accaduto nulla di più di quanto fosse conveniente in una comune amicizia tra uomo e donna, una parte di lei si sentiva inibita: in Florida avevano quasi superato il limite e poteva ancora sentire le farfalle nello stomaco che aveva provato sulla soglia della stanza del motel in cui soggiornava Lenny, persa in quei meravigliosi occhi dolci immersi nei suoi. Sarebbe potuto scattare un corto circuito per via dell’elettricità presente tra di loro in quel momento. Ciò nonostante, Midge aveva preferito rimandare le scintille ad un tempo diverso da nemmeno lei sapeva cosa, sperando possibilmente in un’occasione perfetta.

“Dov’è ora Lenny?” Osò chiedere timidamente, aspettandosi una reazione quantomeno stupita da parte di Honey.

“E’ qui a New York. Mi pare strano che lei possa rientrare nel pubblico di Lenny, anche se non c’è mai limite alle stranezze della vita. È una sua ‘amica’?” La scrutò attentamente, in cerca di prove estetiche che avvalorassero la sua tesi. Non ne trovò alcuna.

Midge faticò a restare in equilibrio, da una parte trascinata dalla mano di Ethan e dall’altra con il braccio addormentato dal peso di Esther, “Una delle sue fan più accanite, direi. A tal proposito, sarebbe così gentile da farmi un favore?”

Honey assentì, facendole un cenno con la riccioluta chioma dorata.

“Gli direbbe che Midge Maisel lo sta cercando? Tenga...” Rovistò nella borsetta alla ricerca del suo taccuino e di una penna, poi affidò Esther a Honey per poter scrivere qualcosa appoggiandosi al tavolino del bar. Staccò un foglietto e lo ripregò per bene, rendendo chiaro che il messaggio era indirizzato solo e soltanto a Lenny.

Honey prese il biglietto e restituì la piccolina a Midge. La sua espressione tradiva una certa curiosità, ma seppe trattenersi. Si congedarono in maniera amichevolmente sbrigativa, prendendo direzioni opposte. Entrambe, però, sentirono l’impellente bisogno di voltarsi per un istante, giusto il tempo di un’ultima occhiatina che potesse chiarire alcune cose rimaste irrisolte.
“Ma quella non era, per caso, la donna con l’elegante abito verde che aveva pagato la cauzione di Lenny, mentre lei moriva di caldo sul sedile posteriore di un taxi?” Si chiese Honey, senza sapere che Midge scandagliava la sua memoria per ricordare dove avesse visto prima l’ex moglie di Lenny Bruce, con un pizzico di invidia nel petto.


 

   
 
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