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Autore: Supercorp00    05/05/2021    1 recensioni
I suoi occhi erano tutto per me. L’amavo con tutta me stessa, l’amavo ed ero pronta a rischiare tutto per lei, anche la morte.
Segreti e intrighi vi aspettano in questa storia, venite a scoprirli.
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Villa Luthor, 1898

 

Avevo appena portato a termine i miei compiti, sistemare il giardino, controllare i cavalli e perlustrare la zona, dunque me ne stavo ferma dinanzi alla solita piccola finestra della cucina. Spesso il mio sguardo si perdeva nell’immensità della corte dei Luthor; a volte, sognante, guardavo dritto verso il maestoso ciliegio – il nostro –; altre, come quella volta, invidiosa e amareggiata, guardavo verso quella panchina, quella dove lei era solita sedere nei pomeriggi d’autunno.

L’ammiravo mentre si arrotolava sul dito una ciocca dei suoi meravigliosi capelli, così lucenti e ordinati. Osservavo le sue labbra rosa che s’inarcavano in un sorriso, un sorriso timido, sincero, di quelli che un tempo riservava soltanto a me. La contemplavo adorante e, allo stesso tempo, desideravo immergermi tra le sue braccia fino a ubriacarmi del suo delicato profumo. Desideravo essere sua e bramavo di farla mia. Lei, però, decise che io non ero abbastanza, che non la meritavo, che non ero all’altezza di ricevere il suo amore. Ella prese la sua decisione e io non potei oppormi. M’infranse il cuore, ma dovetti rispettare la sua scelta.

Tutto accadde un soleggiato dì d’estate, di tanto tempo fa. Stavamo passeggiando per le campagne appartenenti alla sua famiglia, quando la trattenni. La guardai negli occhi ed ella mi regalò il più bel sorriso che mai mi fu dato vedere. I suoi occhi verde azzurri brillarono come non mai. Le mie mani sfiorarono le sue e le nostre labbra s’incontrarono, per la prima... e ultima volta. Quel giorno, quel maledetto giorno di luglio, ella decise che non poteva appartenermi; e una parte di me morì lì, su quelle colline. La parte gentile di me, la parte affabile del mio animo perì in quel momento e non l’avrei ritrovata mai più.

Lena faceva parte della mia vita da quando ne avevo memoria. Ricordo di averla incontrata per la prima volta quando eravamo soltanto due fanciulle. La sua famiglia era la più influente della città e mia madre le faceva da bambinaia, così io l’accompagnavo quando Alex non poteva badare a me e trascorrevo il tempo con quella dolce fanciulla dai capelli corvini. Diventammo presto inseparabili, per noi non esisteva altro che spensieratezza e giochi che, il più delle volte, si svolgevano nel grande giardino fiorito della sua dimora.

Un giorno, verso i miei sedici anni − quindici per Lena − , aprii gli occhi, mi destai come da un sogno durato fin troppo a lungo e compresi che quella donzella rappresentava ben altro per me. Capii che la sua lontananza mi faceva star male: quando non eravamo insieme, mi sentivo persa, ma bastava rivedere il suo viso per farmi tornare il sorriso; il mio cuore ricominciava a battere e il corpo a fremere ogni volta che lei era accanto a me. Non sapevo ancora cosa volesse dire amare, ma lo avrei scoperto da lì a poco. E sarebbe stato magnifico... magnifico e doloroso!

Impegnavo il mio tempo lavorando nella stalla il mattino e trascorrendo i pomeriggi in compagnia di quella leggiadra padroncina.

Da fanciulle giocavamo nei giardini con il bel tempo e nella sua grande stanza piena di ogni gioco quando fuori pioveva. Poi crescemmo e cominciammo a trascorrere sempre più tempo a passeggiare per la grande campagna che circondava la dimora. Ella si sedeva sull’erba e io mi ci sedevo accanto. Parlavamo pomeriggi interi, mi raccontava delle sue giornate, mi insegnava a leggere e a scrivere. Mi raccontò della sua prima infatuazione, per un ragazzo più grande, figlio di un amico del padre. Mi raccontava tutto e io la guardavo rapita, mi perdevo nei suoi occhi e mi godevo i suoi sorrisi ingenui. A volte scorgevo qualche lacrima sul suo viso. A volte la facevo ridere, e quelle erano le giornate migliori. Il suo sorriso era capace di illuminare anche la peggiore delle oscurità e di far battere più forte il mio giovane cuore. Tuttavia, nulla di tutto questo era destinato a durare nel tempo. 

La mia spensieratezza ebbe fine quando, un bel giorno, arrivò un giovane che, a poco a poco, se la portò via, lontana da me. Tutto ebbe inizio come una simpatia, tra loro, quando egli cominciò ad accompagnarci nelle nostre passeggiate. Ero gelosa dell’affezione che Lena nutriva per lui, ma non potevo darlo a vedere, non ne avevo diritto: io non ero nessuno. Ero solo la povera figlia della domestica, mentre egli era il facoltoso figlio dell’avvocato.

Il mio cuore cominciò a sgretolarsi quando Lena iniziò a chiedermi di rimanere a casa, così che essi potessero trascorrere del tempo in solitudine, o forse dovrei dire intimità . L’aspettavo sempre, con lo sguardo fisso attraverso la finestra della cucina, da dove riuscivo a scorgere il vialetto che portava alla dimora dei padroni. Li vedevo arrivare felici... ridendo. Ella rideva di qualche cosa che egli le raccontava e io morivo pian piano. A volte c’erano quei giorni, quelli in cui ella mi chiamava e tornavamo sulle nostre colline, solo noi due. Ridevamo e correvamo. E la felicità s’impossessava di me.

Disgraziatamente, un poco alla volta, quelle giornate finirono ed ella non mi degnò più di uno sguardo. Anzi, mi guardava, ma di nascosto, con sguardo timido, come se fosse sbagliato. Come se io fossi sbagliata. E tecnicamente lo ero, come poteva una donna amare un’altra donna? Nessuno avrebbe mai approvato e probabilmente rischiavo di essere uccisa se solo avessi provato a farmi avanti. 

Un giorno le chiesi di venire con me almeno un’ultima volta sulla nostra collina prediletta, quella dove crescevano tutti quei fiori che ella amava tanto raccogliere. Acconsentì riluttante ma, quando fummo di nuovo soli e lontani da casa, si lasciò andare e tornò a essere la Lena di sempre, quella felice e spensierata. Sapevo già di amarla e sapevo che lei mi amava a sua volta, solo non sapeva ancora di farlo. Ero convinta fosse così.

La guardai intensamente in quegli occhi grandi – due preziosissimi smeraldi− e poggiai le mie labbra sulle sue, dapprima incerta, poi ella si sciolse tra le mie braccia, lasciandosi andare a quel bacio... il nostro bacio. Tutto attorno a noi cambiò d’improvviso: divenne incantevole, cristallino. I colori della natura mi sembrarono più vivi che mai, e il mio cuore cominciò a battere solo per la donzella che tenevo tra le braccia. Ma ancora una volta decise di uccidermi nel preciso istante in cui mi disse che non andava bene, che quel bacio era sbagliato. Pensai che ritenesse me sbagliata e mi odiai per non poterla contraddire, per non poterle dare una ragione che le facesse cambiar opinione.

Ma come poteva l’amore essere sbagliato? Come si poteva decidere di non provare più un sentimento così puro come l’amore che alloggiava nel mio cuore, tutto per lei?

Non potevo e non volevo rinunciare a quel sentimento. Il mio cuore mi diceva che non sarei mai riuscita a farlo, che avevo soltanto due possibilità: o l’amavo... o morivo.

E parte di me morì in quell’istante.

   
 
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