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Autore: Valentyna90    05/05/2021    1 recensioni
Alya Merope Black è la sorella gemella di Sirius. Ha vissuto con lui e con il fratellino Regulus gli anni dell'infanzia a Grimmauld Place, sotto la severa educazione impartita da Orion e Walburga Black, i loro inflessibili e orgogliosi genitori.
Sotto l'influenza dei rigidi dettami della sua famiglia, Alya Merope cresce come degna erede della Casata dei Black, fiera e vanitosa delle sue origini; tutto il contrario di suo fratello gemello Sirius, che le rigetta con disprezzo. Insieme, i due gemelli entreranno a Hogwarts, ma vivranno vite separate. Sirius sarà un Grifondoro, Alya Merope una Serpeverde. Un perenne velo di sdegno e indifferenza li separa.
Ma nella vita della giovane Black c'è dell'altro. Un potere arcano e sconosciuto, che nemmeno lei sa comprendere. La sua mente funziona diversamente rispetto a quella dei suoi coetanei. Soprattutto nei sogni. Qui, in questa parte sospesa dell'esistenza, dove tempo e spazio, realtà e finzione si confondono, la coscienza di Alya Merope viaggia, apprende, conosce. Ma sempre inconsapevole.
Quale sarà il destino della giovane maga?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merope Gaunt, Nuovo personaggio, Orion Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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PALMI DI MANO E CODE DI CAVALLO

 

Gennaio, 1975. Hogwarts.

 

“Buongiorno ragazzi.”

Il professor Ghalil accolse la classe di Alya con il suo consueto benvenuto austero e asciutto. Non appena vide tutti gli alunni seduti, il docente diede loro le istruzioni per la mattina di lezione.

“Aprite il vostro libro a pagina quarantanove, al capitolo Chiromanzia. Quest’oggi analizzeremo la pratica relativa alla lettura della mano. Parleremo delle sue origini e della sua diffusione nel nostro continente. Procederemo, poi, con lo studio delle linee che compongono il palmo, la loro classificazione, il loro significato e le varie intersecazioni. Nella seconda ora di lezione prevista per oggi, invece, ci adopereremo in un esercizio pratico: vi dividerete a coppie e ognuno di voi leggerà – tenterà di leggere – il futuro celato tra i misteriosi solchi che attraversano i palmi del vostro compagno o compagna.” spiegò con tono pratico, abbracciando con il suo severo sguardo l’intera platea di studenti visibilmente svogliata che gli sedeva di fronte.

“Ora, coraggio, tirate fuori i vostri libri. Il tempo è scarso e le cose da fare sono tante!” li esortò Ghalil energico.

L’aula fu invasa dal rumore sommesso di mani che tramestavano dentro le sacche e le borse colme di volumi scolastici e pergamene, alla ricerca del testo giusto.

Alya aprì il proprio libro alla pagina indicata. Chiromanzia: il futuro nelle proprie mani. recitava il titolo che occupava buona parte della pagina.

Come preannunciato, la prima ora di lezione fu interamente dedicata alla lettura del capitolo. Lo stomaco di Alya sembrava non gradire l’argomento trattato: la colazione che aveva ingurgitato appena un’ora prima aveva cominciato a fare dolorose capriole dentro la sua pancia. Anche i suoi pensieri erano in subbuglio. Per quanto Alya si sforzasse a rimanere concentrata, la sua mente sembrava ben decisa a vagare in lontani ricordi estivi. Immagini della sua infanzia le tornarono alla memoria, senza preavviso. La tenuta di Arcturus Black. Il boschetto dove aveva incontrato per la prima volta Koboro. La strana formula in Serpentese che le aveva insegnato per salvarlo da morte certa. Sirius e il suo disprezzo. Le sue parole piene di odio. Infine casa Bennet, dove aveva conosciuto Harry, il bambino babbano che le aveva prestato soccorso e la vecchia megera che si dava arie da chiaroveggente. Improvvisamente, la voce rauca della donna risuonò nella mente di Alya. Una famiglia unita. Un figlio. Così aveva detto la vecchia ciarlatana, studiando il palmo della sua mano sinistra. I tuoi diciassette anni: morte. Il verdetto della mano destra. Con tutta la logica di cui disponeva, Alya si era convinta che un anatema del genere suonava impossibile e assurdo. Una frase annullava l’altra. Eppure, il ricordo di quelle parole pronunciate in modo solenne e definitivo dalla megera babbana le procuravano ancora una profonda inquietudine. Per questo motivo, provava rifiuto per l’argomento della chiromanzia.

I minuti trascorsero lentamente, saltellando da una voce all’altra degli studenti, che si alternavano con tono annoiato e strascicato nella lettura del capitolo. Quando, finalmente, il professor Ghalil annunciò la fine della prima ora di lezione, l’intera aula trasse un lungo sospiro di sollievo. Gli alunni delle due Case presenti, Serpeverde e Tassorosso, cominciarono a suddividersi a coppie, mantenendosi a debita distanza i verde-argento da una parte e i giallo-neri dall’altra. Molti studenti di Serpeverde sghignazzarono forte mentre cambiavano posto: le esercitazioni pratiche di Divinazione non erano mai state prese sul serio.

Alya fu raggiunta subito da Beth. Philippa e Melyssa non avevano perso tempo e si erano messe in coppia per l’esercizio. Sui visi di entrambe era comparsa la solita espressione beffarda che esprimeva tutto il loro disdegno per la materia. Anche Beth, che ora sedeva di fronte ad Alya, aveva l’aria di chi a stento si tratteneva dal ridere. La giovane Black, invece, era di umore tutt’altro che allegro.

Mentre gli alunni si sistemavano, il professor Ghalil diede loro ulteriori istruzioni, suggerendo di consultare il proprio manuale di Divinazione per aiutarsi nella lettura dei palmi. Alya ebbe l’impressione che persino il docente parlasse dell’argomento di quel giorno con tono distaccato, quasi disinteressato. Le parve alquanto strano: di solito il professore non aveva remore nel mostrare la stima che provava nei confronti della Divinazione, in tutte le sue forme.

“Usiamo il tuo?” chiese Beth svogliata, agguantando il libro di Alya.

“Per me è indifferente.” rispose l’amica, cercando di simulare il medesimo sdegno dei suoi compagni di casa. “Chi comincia?”

“Accomodati.” disse Beth, con un ghigno, spingendo il libro di scuola di nuovo verso Alya, guardandolo con disgusto. Dopodiché aprì i palmi delle sue mani tozze, rivolti all’insù.

“Coraggio! Scruta nei misteriosi solchi che attraversano le mie mani e rivelami ciò che mi riserva il futuro.” la canzonò Beth, imitando la voce solenne del professore.

Alya sospirò scocciata e si mise ad osservare i palmi bianchi della compagna con espressione poco convinta. Tentò, invano, di decifrare qualche arcano messaggio consultando il grosso manuale. Sulla pagina suggerita dal professore si presentava una grande immagine a foglio intero, dall’aspetto molto antico. Era rappresentato il disegno di una mano, al cui interno erano state tracciate con minuziosa precisione tutte le linee che componevano il palmo. Da ciascuna di esse partivano frecce che portavano a fitte definizioni, difficilmente comprensibili. Gli occhi grigi di Alya si incrociarono, persi in quel dedalo di lettere.

“Non ci capisco niente!” sbottò contrariata.

“Inventati qualcosa! Non credo faccia molta differenza…” suggerì Beth, insofferente.

Alya accolse di buon grado il consiglio dell’amica. Prese una delle mani di Beth fra le sue e si schiarì sonoramente la gola.

“Bene, bene, bene...cosa abbiamo qui?” cominciò Alya, simulando un tono pomposo. “Vedo...vedo una lunga vita...un matrimonio con un uomo alto, bruno e facoltoso e...ben undici figli! Un futuro raggiante!” esclamò Alya con voce solenne.

Beth dovette fingere un colpo di tosse per evitare di scoppiare a ridere davanti a tutta la classe.

“Alya, sei tremenda! Saresti un’ottima chiromante, faresti soldi a palate!” rise Beth. Alya le fece l’occhiolino con aria compiaciuta.

Nel frattempo, il professor Ghalil aveva lasciato la sua postazione alla cattedra e si era messo a girovagare tra i banchi, con espressione disinteressata. Avvolto nella sua lunga tunica nera, le mani incrociate dietro la schiena, camminava lento e silenzioso, senza prestare alcuna attenzione alle bislacche predizioni pronunciate a turno dagli studenti. Come Alya, molti altri si stavano divertendo un mucchio ad inventare meravigliosi o nefasti futuri ai propri compagni, i quali ridevano di gusto sotto i baffi.

“Dài, adesso tocca a me!” esclamò Beth, afferrando con foga le mani di Alya. Gli occhi stretti e scuri di Beth, così simili a quelli di un piccolo insetto, fissarono a lungo le linee disegnate sulle mani affusolate della compagna. Dotata di scarsa fantasia, Beth impiegò diversi secondi prima di trovare qualcosa di interessante da dire. Alla fine, le sue predizioni suonarono molto simili a quelle pronunciate da Alya poco prima: un matrimonio facoltoso, una prole spropositata, una vita agiata.

“Dài, puoi fare di meglio!” la sfidò Alya, annoiata.

Indispettita dallo sguardo di sufficienza che l’amica le aveva rivolto, Beth studiò con aria molto seria il palmo destro di Alya e con una nota di vaga soddisfazione annunciò:

“Guarda qui, la linea della vita è molto corta. Morirai tra pochi anni, molto giovane...colpita da un meteorite!”

Un ampio ghigno di vittoria si increspò sulle labbra sottili di Beth, mentre alzava gli occhi verso Alya, convinta di trovarla a ridere per quella bella trovata e pronta a risponderle a tono. Ma qualcosa non andava. Alya era ammutolita. Era diventata improvvisamente pallida, la bocca serrata in un’espressione granitica; gli occhi dardeggiavano di collera mista a quello che a Beth parve terrore.

“Che.cosa.hai.detto?” sibilò Alya, in un sussurro minaccioso.

“C-che morirai presto colpita da un meteorite.” ripeté Beth con tono scherzoso, non capendo la strana reazione della compagna. Alya ritrasse immediatamente le mani verso di sé, nascondendole sotto al banco. Guardava la compagna con uno sguardo glaciale, che Beth non le aveva mai visto.

“Finiamola qui!” disse Alya, fredda.

“Ma che ti prende? Guarda che stavo solo scherzando… mica crederai a questa sciocchezza della chiromanzia!” la canzonò Beth, incapace di comprendere il disagio dell’amica.

“Bè, non sei divertente! E fai schifo a inventarti le predizioni!” sbraitò Alya, con voce un po’ troppo alta. Phlilippa e Melyssa, insieme ad altri studenti seduti lì vicino, si girarono perplesse e incuriosite.

Beth stava per ribattere, ma il professor Ghalil la interruppe.

“Tutto bene qui?” chiese con tono severo.

Alya si ricompose all’istante, tentando di mantenere saldo il suo contegno.

“Sì, professore.” rispose asciutta. “È solo che Grey non ha capito bene come svolgere l’esercizio che ci ha assegnato. La chiromanzia chiaramente non è il suo forte.” aggiunse, scoccando un’occhiata gelida a Beth, che continuava a fissarla allibita.

La campanella suonò, ponendo finalmente fine alla lezione. Il professor Ghalil distolse, quindi, la sua attenzione da Alya e Beth e dal loro battibecco, per rivolgerla al resto della classe che già si apprestava a infilare frettolosamente i libri dentro le borse

“Bene, ragazzi. Per oggi è tutto. Per la prossima lezione voglio che mi consegnate un tema lungo cinquanta centimetri di pergamena su come si è sviluppata nel corso dei secoli la pratica della Chiromanzia. Inoltre, voglio un disegno dettagliato del palmo della mano, con la relativa descrizione per ogni linea che lo compone. Arrivederci e buona giornata.” concluse volgendo loro le spalle, rintanandosi dentro il proprio studio, oltre una piccola porta dietro la cattedra. Un brusio lamentoso si propagò fra la folla, scoraggiata dalla mole di compiti assegnati.

Alya raccolse veloce libro e pergamene e cacciò il tutto con violenza dentro la sacca.

“Andiamo a pranzo?” chiese Beth, cercando di apparire disinvolta.

“Non ho fame.” rispose Alya secca, senza nemmeno guardarla.

“Andate pure senza di me.”

“Ma si può sapere che ti è preso?” domandò Beth esasperata. Ma Alya la ignorò, tuffandosi in mezzo alla marea di alunni che si accingeva a uscire dall’aula. Svicolò rapida tra i compagni, in modo da porre una notevole distanza tra lei e le sue amiche. Non voleva che la raggiungessero. Non voleva essere seguita. Desiderava solo andarsene e stare da sola.

Una volta sgattaiolata fuori dalla stanza, Alya abbandonò veloce i sotterranei. Come aveva detto, non provava il minimo appetito, perciò recarsi nella Sala Grande era fuori discussione. Inoltre, l’idea di passare il tempo in una sala piena di gente e di confusione l’avrebbe messa ancora di più di cattivo umore. Anche tornare al dormitorio dei Serpeverde era da escludere: Beth, Philippa e Melyssa sarebbero sicuramente andate lì per cercarla. E Alya non voleva essere trovata. Infine, decise di rifugiarsi in biblioteca. A quell’ora, la maggior parte degli studenti sarebbe stata impegnata a gustarsi il banchetto del pranzo dentro la Sala Grande. Con un po’ di fortuna, Alya avrebbe trovato la pace desiderata in quella stanza colma di sapienza magica, circondata dai libri, i quali avevano il raro dono del silenzio. Alya imboccò l’imponente scalinata di pietra e raggiunse in poco tempo il terzo piano. Come aveva immaginato, non c’era traccia di studenti e la stanza appariva vuota, fatta eccezione per Madame Pince, la severa bibliotecaria. Appena Alya varcò la soglia, la vecchia maga dall’aspetto scheletrico le scoccò un’occhiata di contrariato sospetto.

“Cosa ci fai qui? A quest’ora gli studenti non dovrebbero essere a pranzo?” gracchiò minacciosa.

“Ho bisogno di studiare.” rispose Alya risoluta.

Madame Pince la squadrò con i suoi occhi sottili e indagatori, come se stesse cercando qualcosa di nascosto nella divisa della studentessa.

Non trovando nulla di sospetto, aggiunse a mo’ di monito:

“Ti ricordo che è severamente vietato introdurre cibi o bevande dentro la biblioteca e che non sono ammessi rumori molesti. Anche se al momento non c’è nessun altro studente, la regola di assoluto silenzio vige invariata.”

Alya annuì con sufficienza e andò a sistemarsi in uno dei tavolini, nell’angolo in fondo all’immensa sala. Sentì lo sguardo diffidente di Madame Pince indugiare sulla sua schiena fino a quando non ebbe tirato fuori dalla borsa uno dei suoi libri – scelto completamente a caso – fingendo di immergersi in un’approfondita lettura. Grandi finestre con ampie vetrate si stagliavano lungo la parete alla sua sinistra, molto simili a quelle presenti nella sala comune della sua Casa, ma senza i fondali del lago Nero a fare da panorama. Il pallido sole invernale, di un freddo gennaio, si affacciava timidamente sulle immense distese di Hogwarts. Scampoli di luce filtravano attraverso i vetri tirati a lucido, illuminando rigoli di polvere che fluttuavano liberi nell’aria.

Finalmente sola, immersa nel silenzio, Alya si mise a pensare. La tremenda sensazione che l’aveva fatta scattare poco prima si era affievolita, ma non era scomparsa. Con vergogna, Alya si era resa conto che non si era trattato di un impeto di collera. La sua – esagerata – reazione, avuta prima della fine della lezione di Divinazione, era stata causata da una profonda paura. Fu come se un mostro nascosto all’interno delle sue viscere, latente e sonnacchioso fino a quel momento, si fosse improvvisamente risvegliato, dando vita a tutta la sua furia. Una furia composta principalmente di terrore. Erano state le parole di scherno di Beth a consentire tale risveglio. Alya sapeva bene che la compagna non le aveva predetto nessun futuro e che si era inventata tutto di sana pianta, con il solo scopo di prendere in giro quella materia assurda. Tuttavia, la falsa predizione pronunciata da Beth le era suonata così simile a quella della megera babbana incontrata anni prima, che Alya non era riuscita a trattenere le sue emozioni. Tra pochi anni morirai aveva detto Beth, guardando il palmo della sua mano destra. Per Alya fu sufficiente per riportarle alla mente un vecchio ricordo al quale evitava di pensare da anni. Anche la vecchia ciarlatana di casa Bennet le aveva predetto un futuro molto simile, sempre scrutando le linee della sua mano destra. “È soltanto una coincidenza…” mormorò Alya, fra sé e sé. Credere che potesse essere qualcosa di più, un presagio o una profezia, era assolutamente assurdo. La mente logica della ragazza stava combattendo con ostinazione contro il terrore ingiustificato che albergava dentro la sua pancia. Il mostro che dimorava al suo interno sbuffava imperterrito i fumi della paura.

Che diavolo mi prende? Non posso essere così stupida! pensò con rabbia, imprecando contro se stessa. Sono una Black, discendente di una famiglia fiera e potente, non posso farmi influenzare da paure così infantili. Alya strinse forte i pugni, sforzandosi non poco per non sbatterli sul tavolo. Madame Pince l’avrebbe cacciata via all’istante. Intanto, l’algida figura di sua madre Walburga era apparsa nei suoi pensieri, il tono austero dei suoi insegnamenti su come i Black non dovessero mai, e poi mai, mostrarsi deboli, echeggiava nelle sue orecchie. Ora, oltre ai fumi intrisi di terrore che volteggiavano tra i meandri delle viscere di Alya, si era aggiunto il sapore amaro della vergogna e del disonore. Sua madre sarebbe certo inorridita nel vedere sua figlia in preda a così sciocchi timori. Non sei degna del tuo nome, Alya Merope. disse una vocina maligna dentro di lei, che suonò terribilmente simile a quella di Walburga.

Alya rimase a lungo seduta, con lo sguardo fisso davanti al libro, ma perso nel vuoto. Non aveva letto neppure una riga. La voce rauca della vecchia babbana che le preannunciava un futuro radioso e allo stesso tempo una morte prematura si alternava a quella dura e austera di sua madre che le rammentava l’onore di famiglia. La ragazza guardò l’ora. Il pranzo in Sala Grande doveva essere sul punto di terminare; aveva ancora tempo prima che le lezioni del pomeriggio avessero inizio. Con un profondo sospiro, Alya raccolse le sue cose e uscì di corsa dalla biblioteca. I suoi piedi ripercorsero la strada che conduceva ai sotterranei, verso l’aula di Divinazione. Affondò con decisione la maniglia della porta e si infilò nella stanza. Come aveva presupposto, era completamente vuota, gli studenti sarebbero giunti almeno una mezz’ora più tardi. La luce soffusa delle fiaccole tremolava ancora dall’alto delle pareti, regalando un’atmosfera vagamente tetra.

Alya raggiunse la piccola porta, seminascosta dietro la cattedra e bussò con vigore. L’uscio si aprì con un forte cigolio, rivelando la figura del professor Ghalil. I suoi occhi castani, infossati, non celarono la sorpresa nel trovarsi davanti la studentessa.

“Signorina Black, ha bisogno? A cosa devo l’onore della sua visita inaspettata?” chiese con tono gentile.

“Avrei urgente bisogno di parlarle, se non è occupato.” disse Alya, con espressione molto seria.

“Ma no, si figuri. Mi fa piacere ricevere gli studenti. Prego si accomodi dentro.” le rispose, facendole segno di entrare nello studio. La stanza era decisamente piccola, in grado di ospitare due persone appena, ma emanava un’aura accogliente. Un fuoco allegro scoppiettava nel piccolo camino in pietra al centro dell’ambiente. Davanti ad esso vi era posta una piccola scrivania, con un paio di sedie di legno. Alle pareti, di pietra come il camino, era appoggiata una libreria colma di libri, ma a quanto pareva, non abbastanza capiente: in giro per la stanza, infatti, c’erano altri libri sparsi, che spuntavano da ogni angolo, disposti in alte pile sul freddo pavimento. Anche la scrivania ne era sommersa.

Alya si sedette su una della sedie vicino al camino, il calore piacevole del fuoco riusciva a scioglierle in parte l’umidità che le si era annidata nelle ossa. Il professor Ghalil fece altrettanto, sedendosi di fronte a lei, dall’altro lato della scrivania. Il suo viso sbucava in mezzo ai mucchi di libri.

“Allora, di che cosa desiderava parlarmi, signorina Black? Riguarda qualche argomento trattato nelle ultime lezioni?” la esortò il docente, visibilmente perplesso per quella visita inusuale.

“A dire il vero no...si tratta più che altro di un consulto…” tentò di spiegare la ragazza. La sicurezza che l’aveva condotta lì stava cominciando a vacillare. Ad un tratto si sentì terribilmente stupida per essere piombata nello studio del suo insegnante per discutere delle sue ansie sciocche.

“Un consulto…” ripeté Ghalil, incrociando come di consueto le mani davanti al suo viso. Gli occhi castani osservavano con profonda curiosità il volto turbato di Alya.

“Sì...ecco...c’è un pensiero che mi assilla e credo che lei sia l’unico con cui possa parlarne…l’unico che potrebbe, forse, dare una risposta ai miei...dubbi.” Alya non riuscì a definire paura ciò che in realtà provava, si sentiva troppa sciocca.

“Temo di non comprendere.” replicò il professor Ghalil, con aria lievemente corrucciata.

“In poche parole, vorrei che mi leggesse le linee della mano. Di entrambe le mani, ad essere precisa.” disse Alya tutto d’un fiato, vergognandosi quasi istantaneamente della sua richiesta.

“Intende dire...vuole che le legga il futuro con la Chiromanzia?” chiese Ghalil, guardandola con occhi severi. Alya annuì, senza avere però il coraggio di sostenere lo sguardo impassibile dell’insegnante.

“Se non rammento male – e, contando che possiedo un’ottima memoria, ne dubito – ho già spiegato a lei, come al resto della sua classe l’anno scorso, che non sono un chiaroveggente, né sono avvezzo a pronunciare predizioni.” spiegò calmo Ghalil, ma con tono vagamente più rigido rispetto a quando l’aveva accolta nello studio.

Alya contrasse le labbra in una smorfia di delusione, mista a imbarazzo. Il professore notò il turbamento della sua studentessa e la sua voce diventò nuovamente più gentile:

“Tuttavia, questo non mi impedisce di ascoltare le sue parole. Coraggio, mi dica che cosa la turba tanto. Da quel che so di lei, signorina Black, non ha la fama di essere facilmente impressionabile.” la esortò, concedendole un ampio sorriso amichevole. Alya si morse il labbro inferiore, un poco riluttante. Tuttavia, qualcosa dentro di lei si sciolse, davanti alla cortesia del professore e raccontò in breve ciò che le era accaduto da bambina, riguardo allo strano incontro con le vecchia babbana che si dava arie da preveggente e della doppia profezia che le aveva annunciato. Il professor Ghalil l’ascoltò mostrando un visibile interesse per tutto il tempo in cui parlò, senza mai cedere a espressioni di scherno. Alya provò una sensazione strana, insolita, nel confessare a qualcuno quell’esperienza. Non ne aveva parlato mai con anima viva, nemmeno a coloro che le erano più vicini, come suo fratello Regulus, per esempio. Fu come liberarsi di un peso, il suo animo si sentì alleggerito, almeno un poco. Ma, ben presto, arrivò l’agitazione del responso. Non sapeva se avere paura di apparire una stupida o di scoprire che quella megera babbana avesse effettivamente visto qualcosa di vero nel suo futuro.

Le parole del professor Ghalil, pronunciate con seria gentilezza placò entrambi i timori di Alya.

“In tutta onestà, credo proprio che lei non abbia nulla da preoccuparsi, signorina Black.”

Alya alzò il viso per osservare l’espressione del professore. Non c’era traccia di derisione. Parlava con sincera serietà.

“Sono stata una sciocca, non è vero? Credere alle farneticazioni di una babbana...anche lei non fa altro che ripeterlo a lezione...I babbani non sono in grado di decifrare i criptici messaggi dell’universo.” constatò Alya, in preda ad una severa autocommiserazione. Ghalil le rivolse un sorriso gentile.

“Sono lieto di vedere che almeno uno dei miei studenti si prende la briga di ascoltare ciò che dico a lezione – non mi guardi così, so che la mia materia non è presa molto in considerazione dai suoi colleghi. Ad ogni modo, non ha bisogno di essere così dura con se stessa. Era una bambina, in un ambiente sconosciuto, dopo avere subito un forte shock, sia fisico che emotivo. È assolutamente normale che potesse essere più sensibile del solito.”

“Tuttavia vorrei aggiungere, in modo da poter confutare ogni suo dubbio riguardo ciò che le è accaduto, che fra tutte le affascinanti pratiche che l’arte della divinazione propone, la Chiromanzia è quella che meno considero, come dire, affidabile. Anzi, ritengo che sia quella più adatta a ciarlatani e fanfaroni. È molto più scenografico affermare che il nostro destino sia scritto sulla nostra pelle, come se fosse qualcosa di ineluttabile, predefinito. L’inevitabilità ci rende più rassegnati e, pertanto, più inclini alla disperazione. E i disperati sono una facile preda per chi vuole arricchirsi offrendo bislacche, chiamiamole così, soluzioni. A caro prezzo ovviamente.”

“Lo scopo delle arti divinatorie è semplicemente quello di aiutarci a comprendere i messaggi e gli indizi dell’universo. E di conseguenza, come scegliere di agire, in linea con l’equilibrio del mondo. Non c’è nulla di predestinato. Abbiamo solo le nostre scelte. Il nostro destino si costruisce in base a ciò che scegliamo. E come dico sempre, le scelte più potenti sono…”

“...le scelte d’amore.” concluse Alya.

“Ancora una volta mi compiaccio per l’attenzione che offre ai miei noiosi discorsi.” disse il professor Ghalil, con un sorrisetto divertito. Dopodiché, tirò fuori il suo orologio da taschino per controllare l’ora.

“Credo che lei debba affrettarsi, signorina Black, o farà tardi alla sua prossima lezione.” annunciò Ghalil, con tono gentile, ma definitivo.

“La ringrazio infinitamente, professore.” si congedò Alya, sincera. Il mostro pesante che si era svegliato dentro di lei quella stessa mattina sembrava essersi riassopito. Ora, si sentiva molto più tranquilla.

 

***

 

Dopo aver lasciato lo studio del professore di Divinazione, Alya si sbrigò a raggiungere l’aula di Pozioni. Fortunatamente, anch’essa si trovava nei sotterranei della scuola, perciò arrivò giusto in tempo. I suoi compagni avevano già preso posto, ma la lezione non era ancora iniziata. Alya raggiunse Philippa, Melyssa e Beth e le salutò come se nulla fosse accaduto. Le amiche la squadrarono perplesse.

“Dove sei stata? Ti abbiamo cercata dappertutto.” la rimproverò Philippa.

“In biblioteca.” rispose Alya sbrigativa, omettendo accuratamente di raccontare della sua visita al professor Ghalil. Non avrebbe mai ammesso di fronte alle compagne quali timori l’avevano divorata nelle ultime ore.

“Bene, ragazzi. Cominciamo! Aprite i vostri manuali a pagina centocinquantatré. Oggi affronteremo la difficile preparazione dell’antidoto per ustioni inferte dagli Incantesimi Incandescenti. È una pozione molto complessa, che richiede precisione, perciò attenti alle istruzioni. Avete due ore. Buon lavoro!” annunciò il professor Lumacorno, sventolando come suo solito i folti baffi da tricheco. Tutti gli studenti cominciarono a far ressa davanti agli armadietti, per prendere gli strumenti e gli ingredienti necessari, facendo fede alle indicazioni descritte nel libro.

“Come mai avete preso posto proprio dietro a Evans? Sapete bene che non la sopporto!” brontolò Alya sottovoce, lanciando occhiate accigliate verso la ragazza dai capelli rosso scuro che voltava loro le spalle. Melyssa e Philippa fecero spallucce, indifferenti alla questione.

“Per copiare. Devi ammettere anche tu che è un asso in pozioni…” si giustificò Beth, prima di incurvarsi intimidita su se stessa, dopo aver ricevuto uno sguardo gelido da parte dell’amica.

“Allora avresti dovuto metterti vicino a Piton! Almeno lui fa parte dei Serpeverde.” sibilò Alya.

“Ci ho provato! Ma guarda dove si è messo!” piagnucolò Beth, indicando il loro compagno dal colorito giallognolo e il naso adunco. Piton se ne stava seduto quasi in disparte rispetto al resto della classe, in un banco in fondo all’aula, da solo, ingobbito sul suo calderone, i capelli neri e unti che gli pendevano flosci davanti al viso.

Alya mal sopportava la sua presenza e non si prodigava in alcun modo a nascondere il suo sdegno nei confronti del ragazzo. Ma era un ottimo studente, i suoi voti erano sempre eccellenti, in particolar modo a Pozioni. Grazie ai suoi risultati, la Casa di Serpeverde guadagnava spesso dei punti. Peccato solo che la bravura di Piton nell’elaborare complicate pozioni fosse pari solo alla sua gelosia verso tale abilità. Probabilmente, fu per evitare di essere copiato dai compagni che Piton si era accampato in un banco così nascosto. Inoltre, una bella manciata di metri lo teneva a distanza dagli sguardi perfidi e beffardi di Sirius e della sua banda. Alya sospettò che quella lontananza non fosse un caso. Se c’era qualcuno che disprezzava Severus Piton anche più di lei e dei suoi compagni di Serpeverde, quello era proprio suo fratello gemello. Insieme a Potter, naturalmente. Entrambi non perdevano occasione per tormentarlo e schernirlo, anche in modi decisamente crudeli (più di quanto Alya si sarebbe mai aspettata da dei Grifondoro, che si davano arie da eroi). Fin dal primo anno a Hogwarts, Piton era diventato il loro bersaglio preferito.

Alya scoccò un’occhiata indignata verso Sirius, in piedi davanti ad un calderone fumante qualche metro più avanti. Al suo fianco, immancabilmente c’era Potter, con la sua solita faccia da arrogante e pomposo figlio di papà. Alya sbuffò piena di disprezzo. All’improvviso, si rese conto di non essere l’unica a guardare in direzione di suo fratello: anche Beth lo osservava, insieme a Melyssa. Nei loro occhi, tuttavia, non c’era traccia dello sdegno di Alya. Le due ragazze lo fissavano con aria sognante, ammirata. Quando Beth si accorse che Alya la stava guardando con occhi increduli, distolse rapida lo sguardo, arrossendo visibilmente. Melyssa, invece, rimase incantata, incurante dell’espressione allibita della giovane Black.

“Ma che vi prende? Perché guardate mio fratello come se fosse un bignè ripieno di marmellata?” domandò, basita.

 

“S-scusa...lo so che è tuo fratello…” balbettò, incapace di nascondere ciò che Alya aveva irrimediabilmente intuito.

“Mio fratello idiota, vorrai dire!” la rimproverò Alya.

“Non mi sembra così male…” mugugnò Beth.

“È così bello!” sospirò Melyssa, con aria rapita.

“Ma è uno stupido Grifondoro!” replicò Alya, inorridita.

“Sì, però è davvero affascinante!” confessò Beth, del tutto arresa, lanciando una fugace, ma intensa occhiata di desiderio verso Sirius.

“Un vero spreco!” commentò Philippa, ridacchiando.

“Oh ragazze...che schifo!” sbuffò Alya, sconcertata e disgustata al tempo stesso.

“Bé, è tuo fratello, sangue del tuo sangue...è ovvio che tu non possa trovarlo attraente!” sentenziò la bionda. Alya rispose con un’espressione inorridita, come se Philippa avesse appena pronunciato un’imprecazione volgare.

“È molto ambito, sai? Sono tante le ragazze che gli fanno il filo…” disse Beth, sospirando amaramente “Non credo di avere alcuna possibilità con lui.” aggiunse, amareggiata.

“Oh, su questo non ci sono dubbi!” rispose Alya, senza un briciolo di tatto. Philippa fece una risatina acida.

“Sei crudele!” piagnucolò ancora Beth, lanciandole un’occhiata stizzita.

“Non fraintendermi, non c’entri tu. Onestamente, non credo che nessuna di voi possa essere il suo tipo. Prima di tutto siete di Serpeverde e per il mio stupido fratello è già un valido motivo per trovarvi disgustose. Inoltre, una volta, sono entrata in camera di Sirius ed era tutta tappezzata di poster babbani. Uno mostrava una fila di ragazze in bichini succinti e con lunghe code di cavallo…ragazze babbane!”

Philippa, nauseata, reagì simulando un conato. Beth e Melyssa intonarono un bleah di disgusto.

“Oh, insomma! La volete smettere di spettegolare!” Lily Evans si era voltata di scatto, inveendo contro Alya e le sue amiche. Gli occhi verdi e brillanti dardeggiavano di esasperazione. “È ora di lezione e non un circolo di fattucchiere pettegole, se non ve ne siete accorte, e ci sono persone che vogliono impegnarsi e concentrarsi, al contrario vostro!” le rimproverò la ragazza di Grifondoro, senza remore. Colte di sorpresa, le quattro Serpeverde si scambiarono un’occhiata stupita. Poi Philippa, rivolse a Lily Evans lo sguardo più crudele di cui disponeva.

“Non prendo ordini da una sporca sanguemarcio!” sibilò maligna. L’insulto ferì Evans, ma la sua dignità non vacillò. Mantenne fisso lo sguardo di implacabile disapprovazione prima su Philippa, poi sulle altre, fino ad Alya. Quest’ultima avvertì la sfida che celavano i suoi occhi verdi e fieri. Ma non abboccò. Sapeva che cosa si rischiava nell’usare quel tipo di offesa. Soprattutto davanti a Lumacorno, che aveva una predilezione del tutto speciale verso Lily Evans, il fiore all’occhiello fra tutti i suoi studenti di Pozioni. La giovane e orgogliosa Black si limitò, come sempre, a ricambiarla con uno sguardo di sufficienza. Un atteggiamento che Alya aveva imparato molto bene da sua madre. La silenziosa, ma gelida reazione della ragazza fu efficace. Lily Evans abbassò l’ascia di guerra, voltandosi di nuovo verso il suo calderone, dopo aver scoccata un’ultima occhiata indignata verso il quartetto verde-argento.

“Hai ragione, Alya! La prossima volta sarà meglio trovare un altro posto.” commentò Beth, osservando disgustata la schiena di Lily Evans.

 

***

 

Finalmente, la lezione del professor Lumacorno ebbe fine e gli studenti di Grifondoro e di Serpeverde del quarto anno si riversarono nel corridoio dei sotterranei del castello. Come al solito, Lily Evans diede dimostrazione di tutto il suo talento di pozionista, portando a termine l’esercizio assegnato in modo eccellente. Il professor Lumacorno non mancò di assegnare alla Casa della studentessa numerosi punti, lasciando a bocca asciutta i Serpeverde, che non tacquero il loro malcontento.

Fuori dall’aula, molti ragazzi di Grifondoro avevano raggiunto Evans per complimentarsi, entusiasti. Tra di loro, Alya scorse anche Potter che esultava borioso, mentre Lily Evans sembrava ignorarlo completamente; anche suo fratello Sirius si era unito ai complimenti, dando a Lily Evans una compiaciuta pacca sulla spalla, sorridendole con un’espressione di distaccata soddisfazione.

In quel preciso istante, il mostro che sonnecchiava tra le viscere di Alya si risvegliò prepotente e la ragazza provò, per la seconda volta in quella giornata, un’ondata di collera disarmante. Non seppe spiegarsi che cosa l’aveva provocata. Per un brevissimo istante, si sentì come folgorata, ma l’intuizione scomparve nel momento stesso in cui Alya la percepì. Girò rapida i tacchi, voltando le spalle al fratello (Alya era certa che la rabbia appena provata avesse a che fare con lui), e se ne andò via con Beth, Philippa e Melyssa alle calcagna. Come Piton, la giovane Black sentì urgente il bisogno di mettere più distanza possibile tra lei e l’odioso gruppo di Grifondoro esultanti. E, soprattutto, allontanarsi da quello stupido spaccone di suo fratello Sirius e da quella smorfiosa perfettina di Lily Evans.

 

 

   
 
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