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Autore: Exentia_dream2    06/05/2021    0 recensioni
Esiste un castello che non sa raccontare favole, arena di un torneo in cui si può perdere tutto... persino la vita.
Harry Potter e Draco Malfoy sono stati sorteggiati dal Calice di Fuoco, legati indissolubilmente da qualcosa che non conoscono. Chi vincerà il Torneo Tremaghi? E cosa porterà Draco a tornare a Hogwarts per completare gli studi? Ma, soprattutto... chi risponde alle domande che lui scrive su un diario con l'inchiostro invisibile?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: Draco/Hermione, Vicktor/Hermione
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Purtroppo a volte non è possibile scegliere il momento in cui combattere. 
Possiamo solo farlo con coraggio quando ci viene chiesto.
Giorgio Faletti.


 
VI
La prima prova
 
 
       Appena sveglia, Hermione si guardò allo specchio: aveva sul viso un miscuglio di emozioni che si alternavano tra loro senza che lei potesse comandarle: la commozione per il suo primo bacio, l’ansia di dover dire a Viktor dei draghi, la paura per quella prima prova a cui avrebbe dovuto partecipare anche il suo migliore amico, il terrore di poter perdere qualcuno a cui voleva bene; tra tutte, però, quella che trovava il proprio spazio e il proprio tempo, era l’incredulità, perché continuava a esaminare il suo riflesso e non vedeva nulla di quello che vedeva lo studente di Durmstrang – come sei bella – e nulla di quello che in lei aveva visto Draco Malfoy – lurida Mezzosangue − : c’era solo una ragazza, riflessa nello specchio, con le gote arrossate e i capelli ingarbugliati al pari delle sue emozioni.
Sulla scia di quel pensiero, comunque, Hermione emise un respiro e s’incamminò verso l’uscita del dormitorio.
Era una giornata strana, come quelle che si programmano nel minimo dettaglio e poi tutto va a rotoli, Hermione se ne accorse nel momento in cui si recò in Sala Grande e Viktor non era seduto al tavolo dei Serpeverde a fare colazione. Il resto del tempo, nonostante lo strano vuoto che sentiva all’altezza  del seno, passò tranquillo, fino a quando Harry non la portò con sé: “Dobbiamo trovare un modo per sconfiggere i draghi” le disse.
“Potremmo andare in Biblioteca per…” non terminò la frase, perché il suo migliore amico la trascinò nel luogo che  lei aveva suggerito.
Stavano sfogliano libri da un po’, quando Harry intravide Viktor Krum avanzare tra i corridoi e lo maledisse, perché in quel momento aveva solo bisogno di concentrazione, ma Hermione arrossì violentemente, tanto che nascose il viso tra le pagine del grosso tomo che teneva tra le mani.
Sapeva che il ragazzo era andato lì per vederla, eppure, decise di aiutare il Bambino Sopravvissuto, di trovare insieme a lui una soluzione per superare la prima prova del Torneo.  Aveva un lieve senso di colpa ad attagliarle il petto, perché sapeva che più rimandava l’incontro con il bulgaro, più lo metteva in pericolo, sottraendogli il tempo necessario per prepararsi ad affrontare il drago, ma rimase lì dov’era.
La soluzione arrivò presto, grazie all’aiuto del professor Moody. Hermione e Harry trascorsero l’intero pomeriggio ad allenarsi negli incantesimi d’Appello, lui che si dannava e lei che lo invogliava a provare e riprovare, promettendogli che non avrebbero smesso fino a quando non ci sarebbe riuscito.
“Prova ancora” gli diceva con voce dolce ma decisa. “Concentrati di più” lo richiamava. “Ce la puoi fare, Harry” lo spronava, lo incoraggiava.
Una parte della sua mente era da qualche parte nel castello alla ricerca di Viktor e delle parole che avrebbe dovuto dirgli per avvisarlo del pericolo che avrebbe corso; l’altra era troppo impegnata a combattere la paura e il senso di vuoto che provava ogni volta che pensava a come si sarebbe sentita se qualcosa fosse andato per il verso sbagliato. Quando succedeva, scuoteva la testa e allontanava quei pensieri, poi tornava a concentrarsi sul suo migliore amico, che adesso aveva Appellato una piuma e una pergamena, e sul ricordo di quel primo bacio che Viktor le aveva regalato soltanto qualche ora prima.
Fu soltanto a pomeriggio inoltrato che Hermione si avvicinò al Lago Nero e lo trovò lì, in ginocchio davanti allo specchio d’acqua e lo sguardo perso chissà dove.
“Draghi” gli disse con voce flebile, convinta che lui non l’avesse sentita arrivare. Viktor, invece, l’aveva sentita, dandole il benvenuto con un sorriso dolce prima ancora che lei parlasse.
“Ti piacciono i draghi?” le chiese leggermente confuso.
Hermione negò con un movimento della testa, i capelli a danzarle intorno al viso come rami di salice piangente. “No. Durante la prima prova dovrete combattere contro i draghi.”
“Me la caverò. Eri con Harry Potter prima.”
“Sì, dovevamo…” s’interruppe, perché non sapeva se era davvero giusto fidarsi totalmente di lui e perché, dicendogli la verità, si sentiva quasi come se stesse tradendo la fiducia che il suo migliore amico aveva sempre riposto il lei. “noi dovevamo fare una ricerca di Erbologia.”
Il bulgaro la guardò sorpreso, perché in realtà non si aspettava che lei rispondesse davvero alla sua domanda e le baciò la fronte in quel movimento delicato che sembrava non gli si addicesse mai e invece…
Hermione si sollevò leggermente sulle punta, mentre le mani di lui le fasciavano il viso come una coperta calda pronta a ripararla dal freddo. Tenero, casto, pulito quel bacio, diverso e uguale a quello che li aveva uniti soltanto la notte precedente, mentre lei arrossiva e lui le insegnava altri modi d’amare.
“Tiferai per me?” glielo chiese sulla bocca e Hermione sorrise come se lui avesse detto qualcosa di estremamente divertente, poi gli rispose con sincerità:  “Tiferò per Harry, ma se vincessi tu non mi dispiacerebbe. Ora, però, devo andare.”
“Dove?”
Ad aiutare il migliore amico, ad Appellare quanti più oggetti possibili, anche quelli che crediamo siano persi; a trovare una soluzione che non preveda la sua morte, a dirgli che sarò con lui sempre, che lo sosterrò in tutti i modi che conosco. “A dormire. Sono molto stanca.”
 
~•~
 
       “Draghi” gli disse Viktor avvicinandosi.
Era una sera strana, piena di emozioni a cui Draco non sapeva dare un nome, sensazioni che gli avevano preso la mano da quando il suo nome era stato sputato fuori da quel maledetto Calice e chissà chi, tra tanti, era a volerlo morto, perché se c’era una cosa di cui lui fosse fermamente convinto era che qualcuno lo volesse fuori dai piedi, conducendolo in un gioco in cui anche il più forte si sarebbe fatto male, figurarsi lui, che forse sarebbe morto prima ancora di Potter. A differenza del Bambino Sopravvissuto, però, Draco non aveva avuto nessuno che gli si stringesse attorno e nessuno che facesse di tutto per screditarlo, come chi aveva stregato le spillette del Torneo; a differenza di Krum, Draco non aveva nessuna Mezzosangue che gli girasse intorno solo per estorcergli segreti e tattiche e, d’altra parte, era stato proprio lui a isolarsi: non aveva scritto nemmeno a suo madre e, semmai fosse morto in una delle prove, Narcissa avrebbe pianto i resti del suo corpo e poi, magari, avrebbe bruciato Hogwarts e Durmstrang perché l’avevano privata dell’unica vita che era riuscita a concepire e pazienza, tanto lui non ci sarebbe stato più.
“L’ho invitata al Ballo” disse Viktor, allontanandolo dai suoi pensieri e dal senso di impotenza che gli stava serpeggiando sulla bocca dello stomaco.
Non ci fu bisogno di chiedere a chi si riferisse, perché lì aveva visti insieme e li aveva guardati con disprezzo e nausea, come se fossero mendicanti insozzati e pestilenti pronti ad afferrargli le mani e a tirarlo con loro nel fondo di quel sudiciume in cui il bulgaro stava sguazzando, scambiando la melma per oro colato.
“Dovrebbero farti schifo, quelle come lei” suggerì, mentre un conato acido gli risaliva la gola.
“Perché?”
“Perché non è come noi: è una mezzosangue, è feccia.”
“E noi cosa siamo, Draco?”
Soltanto in quel momento, il biondo posò lo sguardo sul suo interlocutore, disgustato da quelle parole sbagliate, negazioniste delle proprie origini e favorevoli alla mescolanza di sangue.
“Noi siamo purosangue, Krum. Ricordatelo la prossima volta” non aggiunse nient’altro, se non un sospiro di frustrazione e guardò altrove, finché l’altro non lo lasciò da solo.
 Quando il cielo si schiarì e l’alba accarezzò la nave, Draco si rese conto di essere rimasto fuori tutta la notte e di non aver dormito nemmeno un’ora: erano state le budella attorcigliate e la paura di perire davvero a tenerlo sveglio, a fargli dannare il cervello, spremendolo come uno straccio vecchio, mentre pensava a come sconfiggere un drago e chissà cosa avrebbe dovuto affrontare nella seconda prova, semmai avesse superato la prima e se non fosse impazzito, nel frattempo.
 
       La Sala Grande era un giubilo eccitato che urlava il nome dei campioni, un via vai di soldi passati da mano in mano, fino a che non giungevano a chi di dovere, scommesse su chi avrebbe capitolato per primo – il suo nome sul gradino più alto di un podio immaginario.
Draco si sfregò il pollice e l’indice sugli occhi, la testa a pulsare dolorosamente e la stanchezza attecchita nei muscoli. Non lasciò intravedere a nessuno le paure che si agitavano dentro lui e camminò come se lo spazio che lo separava dal tavolo dei Serpeverde fosse suo per diritto di nascita e forse lo sarebbe stato prima o poi.
“Sei pronto?” gli chiese Theo, mentre riempiva il piatto di porridge e glielo porgeva come se fosse una mattina normale, come se lui non stesse davvero andando a morire, masticato dalle fauci di un drago.
Allontanò il piatto e voltò appena il viso nella direzione dell’amico.
“Immagino tu voglia mantenerti leggero per la prima prova” disse ancora l’altro, facendo un’incurante alzata di spalle. “Almeno, però, bevi un po’.”
“Sembri mia madre, Nott.”
Theodore rimase turbato da quelle parole e gli si dipinse sul volto un’espressione confusa, poi incurvò le labbra in un sorriso e disse: “Sì, sarei proprio una bella donna, a mio parere.”
Forse, se non fosse stato così spaventato, Draco avrebbe riso; se non fosse stato così ossessionato dall’idea di poter morire, si sarebbe accorto di star guardando il tavolo dei Grifondoro, con gli occhi fissi su Hermione; se non fosse stato così alterato da tutto quello che era successo nei giorni precedenti, si sarebbe accorto che l’altra stava ricambiando il suo sguardo con una punta di smarrimento incastrato tra le ciglia lunghe.
Forse, se non si fosse sentito così smarrito, avrebbe capito che, in fondo, ci si poteva salvare anche quando si aveva l’impressione di non avere una via d’uscita.
E, invece, non si accorse di niente e si ridestò dai suoi pensieri soltanto quando la sua visuale fu coperta da una tunica rosso sangue, indossata con la fierezza che soltanto chi era stato eletto a campione e aveva l’appoggio di qualcuno che credesse in lui poteva ostentare.
Alla fine, decise che di alzarsi e andare via.
Il tempo scorreva con una velocità impressionante: sembravano essere trascorsi appena cinque minuti da quando aveva finito la colazione e, invece, era già quasi ora di pranzo.
Draco non avrebbe saputo dire come aveva trascorso quelle ore ( se sfogliando libri sui draghi in Biblioteca o attendendo con ansia che cominciasse il Torneo), ma, quando vide la Sala Grande riempirsi di nuovo e il tavolo ricoperto di cibo, si sentì improvvisamente inadatto.
Era un Malfoy, era superiore a quasi tutti i presenti in quella sala ed era anche uno studente preparato… allora perché si sentiva così inadeguato? Non ebbe il tempo di trovare una risposta, perché Igor Karkaroff si avvicinò ai suoi studenti, guardandoli come fossero armature ammaccate pronte per essere messe a nuovo e brillare della propria antica gloria. “I campioni devono incontrarsi nel parco” disse, senza dare una parola a cui appigliarsi in caso di smarrimento o se la paura avesse prevalso su tutte le altre emozioni, oscurando la loro preparazione.
Si chiese a cosa avrebbe pensato nel momento in cui si fosse reso conto di non avere più speranze. Forse, al ricordo del viso di sua madre o, forse, al sangue puro che avrebbe macchiato il suolo, uno spreco assurdo!
Entrarono in una tenda in cui Ludo Bagman li accolse con un saluto caloroso e nervoso. “Accomodatevi: è giunto il momento di informarvi” cominciò, mostrando un sacchetto di seta viola. “Dovrete estrarre un modellino della cosa che state per affrontare. Il vostro compito è quello di recuperare l’uovo d’oro che questo… ehm, che questa cosa protegge.”
Draco scattò in piedi, il viso tirato e più pallido del solito, i pugni tanto stretti da conficcarsi le unghie nella carne e lasciarne il solco. “Non ho intenzione di morire per recuperare uno stupido uovo d’oro!” urlò.
“Nessuno ha detto che lei morirà, signor Malfoy. E, comunque,, non può tirarsi indietro.”
“Non messo il mio nome nel Calice di Fuoco. Tutto questo è… inammissibile.”
“Nemmeno il signor Potter ha presentato il proprio nome, eppure è qui e non sta facendo tante moine come lei.”
“Mio padre lo verrà a sapere e allora..” ma non riuscì a concludere quella minaccia, perché Bagman lo interruppe, richiamandolo alla calma: “L’unica cosa che suo padre verrà a sapere sarà l’esito delle prove, signor Malfoy” si concesse qualche attimo di silenzio, poi riprese: “Non sappiamo perché il suo nome sia stato inserito nel Calice… ma, forse, per lo stesso motivo per cui è stato inserito quello del signor Potter.”
Se c’era una speranza di uscire vivo da quello scontro, Draco se la vide sfumare davanti agli occhi nel momento esatto in cui il suo cervello elaborò quelle parole, per vederla sparire del tutto dopo aver scoperto quale drago avrebbe dovuto affrontare: un nero delle ibridi.
 
       Era stata un’attesa snervante, riempita dal vuoto che sentiva nella testa e dal marasma di voci che si agitava fuori dalla tenda: erano rimasti solo lui e Potter, seduti agli angoli opposti della tenda, evitando di guardarsi negli occhi e poter trovare la propria paura riflessa nello sguardo dell’altro. Non era certo vergogna di scoprire le proprie emozioni, più che altro era la repulsione di avere qualcosa in comune con il Bambino Sopravvissuto per miracolo al Signore Oscuro e che, forse, non sarebbe sopravvissuto al suo Ungaro Spinato.
Soltanto quando sentì il sibilo di un fischio, Draco si rese conto di essere rimasto da solo e che, a breve, sarebbe toccato a lui.
Avrebbe voluto scappare, darsela a gambe e non farsi trovare mai più, diventare esule e non tornare in quella tenda nemmeno in cambio di un lauto pagamento e, invece, quando un altro fischio decreto la fine della prova di Potter, Draco non riuscì a muovere nemmeno un muscolo.
 
       Il drago se ne stava accoccolato sulla sua covata, sembrava dormisse. Solo che aveva gli occhi aperti, viola e incattiviti. Era un esemplare enorme, con la scaglie basse lungo il dorso e la coda che terminava in una punta a forma di freccia. Le ali piccole, simili a quelle di un pipistrello, erano chiuse a metà.
Draco deglutì rumorosamente e si sentì smarrito.
Si avvicinò cauto all’animale, evitando di fare movimenti bruschi per innervosirlo e gli girò intorno per capire quale fosse il modo migliore di fargli scoprire il nido e recuperare l’uovo.
Quando alzò lo sguardo per guardarsi intorno, vide soltanto grosse rocce alte e sottili e terreno. Il pubblico sugli spalti sembrava essere sparito, così come le urla e la voce di Ludo Bagman che chissà cosa stava dicendo, se lo elogiava o meno.
Scartò immediatamente l’idea di Appellare la sua scopa, per non scopiazzare la prova di Potter e si riscosse dai suoi pensieri solo quando il drago si mosse.
Era un mostro e lui era perso, avrebbe dovuto trovare una via d’uscita per lasciarsi alle spalle quel labirinto di paura e fuoco e, se soltanto avesse avuto un filo da seguire…
Sembrò tornare in sé immediatamente dopo aver formulato quel pensiero e si guardò di nuovo intorno, studiando l’ambiente e il dorso del Nero delle Ibridi: c’era un appiglio lì, tra le squame e poco importava se si fosse ferito in qualche modo, l’importante era uscirne vivo.
Appellò una catena pesantissima, gli anelli larghi e le estremità arrugginite. Sperò che funzionasse.
Si sporse in avanti, inserendo una delle squame nel cerchio posto all’inizio della catena e si mosse lentamente, facendo in modo che il drago lo seguisse. Solo che qualcosa andò storto e l’animale lo strattonò con una forza inaudita, facendogli perdere il controllo sulla presa, rovesciandolo a terra come un pupazzo.
Alla prima fiammata, Draco si rimise in piedi e cominciò a correre, perché se proprio non poteva essere Teseo, allora sarebbe diventato Arianna, che spiegava il gomitolo che indicava l’uscita.
Si allontanò di qualche metro  e la bestia lo seguì riluttante, fino a quando non riuscì a recuperare la presa sulla catena e la agitò con tutta la forza che aveva in corpo, poi riprese a correre.
I muscoli delle gambe bruciavano e lui credette più volte di essere sul punto di crollare e cadere, i polmoni si contraevano spasmodicamente in cerca di un’aria che lui non poteva fermarsi a recuperare.
Gli dolevano le mani e cominciava a vedere sfocato a causa della fatica a cui stava sottoponendo il proprio corpo, eppure non pensò nemmeno per un secondo di interrompere quello che stava facendo: non si era mai sentito tanto attaccato alla vita, al muscolo che gli batteva frenetico all’interno nella gabbia toracica, perciò continuò a correre e a correre ancora.
Ad un certo punto, però, la catena si stese in maniera del tutto innaturale, facendolo cadere a terra e avvolgendosi attorno al braccio che la tirava. Il drago compì un movimento brusco con il muso e il rumore scricchiolante e il dolore che gli trafisse l’arto gli fecero capire che, ormai, aveva le ossa rotte.
Guardò alla sua destra e si rese conto di essere praticamente vicinissimo al nido, poi tornò a guardare l’animale che aveva di fronte: se poche ore prima il tempo sembrava correre velocissimo, in quel momento, Draco si rese conto che ogni secondo passava a rilento e, se davanti al Lago Nero aveva creduto di immaginarsi sua madre nel momento in cui si fosse reso conto di non avere alcuna speranza, adesso si rendeva conto che non era così.
Il drago lo guardava con voracità, quasi sul punto di spalancare le fauci e inghiottirlo… magari sarebbe arrivato tutto intero nello stomaco e non ridotto in poltiglia, ma qualcosa gli diede la forza di reagire.
Contro ogni sua previsione, contro ogni pensiero logico e per un motivo che non riuscì a capire, l’immagine che vide nelle iridi della bestia fu la figura di Hermione Granger che si presentava a lui, la mano tesa e un cipiglio antipatico sul viso; Hermione Granger che usciva dall’ombra e giocava a fare l’eco di tutto ciò che lui le diceva; Hermione Granger che camminava fianco a fianco con Viktor Krum, che gli sorrideva e gli teneva le mani; Hermione Granger che stringeva Potter per consolarlo e dargli coraggio.
Un coraggio che lui non aveva mai avuto, a differenza del Bambino Sopravvissuto; un coraggio che  non gli sarebbe appartenuto in nessun modo, ma che in quel momento, gli fece ribollire il sangue nelle vene – sangue purissimo che si stava sporcando con la visione di una Mezzosangue.
Strinse un pungo di terra tra le dita e lo issò contro il drago, mirando dritto agli occhi. Quando l’animale cominciò ad agitarsi, Draco si sentì tirare indietro, vedendo il nido in cui erano riposte le uova allontanarsi di qualche metro. Provò a liberare il braccio, il dolore che per qualche secondo lo accecò e gli fece sperare di morire in fretta e il bruciore che seguì dopo essere stato sfiorato da una fiammata sputata dal drago.
Poi, quando credette di essere sul punto di aver perso tutto, riuscì a liberarsi dalla catena e a correre e correre, fermandosi soltanto dopo aver recuperato l’uovo d’oro.
Si voltò immediatamente e vide che una decina di uomini erano accorsi  a domare il drago e, soltanto in quel momento, si guardò le mani e vide che sì, ce l’aveva fatta.
“Ce l’ha fatta! Ce l’ha fatta!” l’urlo di Ludo Bagman servì a risvegliarlo e fargli rendere conto di tutto quello che succedeva intorno: la folla era esplosa in applauso che gli provocò un calore al centro del petto, i Presidi annuivano compiaciuti dalla riuscita di quella prova, forse sollevati dal fatto che nessuno di loro aveva perso la vita e, senza volerlo, si voltò nel punto in cui era seduta Hermione Granger che tirava un sospiro di sollievo.
“Una prova incredibile, superata quasi senza l’uso della magia! Proprio come quella del signor Potter! Incredibile. Incredibile, signori e signore.”
Draco non fu molto contento di quel paragone, ma non ebbe il tempo di pensarci troppo perché qualcuno gli stava dicendo di andare in Infermeria a farsi curare e, allora, poco importava che lo avessero paragonato a quel cretino, poco importava che negli occhi del drago avesse visto il riflesso di quella sudicia Mezzosangue.
Poco importava tutto, perché ce l’aveva fatta. Era vivo.
 
Angolo autrice:
 
Eccoci qui, con il sesto capitolo di questa storia… a cui credo di dover aggiungere delle spiegazioni:
1: non sappiamo se Viktor Krum sia a conoscenza di cosa gli aspetta durante la prima prova, né sappiamo se Hermione gli abbia detto qualcosa a riguardo, ma visto che la trama lo richiede, beh, concedetemi questa piccola licenza;
2: il drago scelto per Draco è un Nero delle Ibridi, un esemplare che può raggiungere i nove metri di lunghezza. Ha sul dorso delle squame basse ma che sono molto pericolose;
3: l’idea di prendere la catena e creare una sorta di labirinto con essa, in cui poi il drago viene imprigionato, prende spunto dal mito di Teseo e Arianna, secondo il quale la donna salva l’uomo dal Minotauro dispiegando un gomitolo di lana che indichi al suo amato la via d’uscita.
 
Credo di aver detto tutto... e niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto. 
 
A presto. 
   
 
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