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Autore: Angelika_Morgenstern    06/05/2021    1 recensioni
Zeno è uno scrittore tradito e abbandonato dalla moglie, alla quale pensa giorno e notte, sprofondato in un modus vivendi che lo porta ad aspettare la morte lontano da tutti, anche dalla sua amata macchina da scrivere.
Finché il mare rigetta quello che sembra il cadavere di una donna.
Quanto ciò influenzerà la sua vita?
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Cara sconosciuta -

 
Quello sguardo insistente, quasi insolente, quegli occhi liquidi, vivi come il mare che l’aveva restituita alla terraferma, bastarono quelle due iridi a inchiodare Zeno al suo posto, immobile e senza parole.
Quella che aveva le sembianze di una ragazza innocente era in realtà una donna.
Lo attirava a sé inesorabilmente, non ne capiva nemmeno lui il motivo.
Non si rese nemmeno conto di aver alzato una mano in direzione di lei, in attesa che la prendesse e accettasse il suo invito a unirsi a lui per…
Per cosa?
Che sto facendo?
Perché non riesco a evitare di avvicinarmi a lei?
Contro ogni aspettativa, la naufraga posò delicatamente la mano sulla sua, allontanandosi dal Martino rimasto impietrito per l’audacia che il Dottore non aveva mai mostrato a nessuno.
Il silenzio era calato nella sala, talmente potente era l’immagine dei due che continuavano ad agire come se nessun’altro esistesse, chiusi in una bolla invisibile che aveva escluso qualsiasi essere vivente dal loro campo visivo.
Il signor Nino sorrise, tornando alla farinata — Non faccia quella faccia, ragazzo. La prossima volta la fortuna sorriderà anche a lei. – considerò in direzione di Martino, che teneva i pugni contratti, sgomento dalla facilità con cui Zeno aveva attirato a sé la nuova arrivata.
Questi dal canto suo sentiva una leggerezza che non provava da anni.
Il sorriso che la ragazza gli mostrò fu per lui come un raggio di sole che dissipava la fitta nebbia presente nel suo cervello, e non riuscì a pensare a null’altro, né una parola, né un’immagine.
La sua mente era finalmente vuota e leggera come una farfalla.
 
Nel silenzio della notte solo i passi di Zeno rimbombarono tra i muri delle vie di Rivalunga, accompagnati in sottofondo dallo sciabordio delle onde che si fece sempre più forte man mano che si avvicinò verso casa.
Guardò la porta in legno ancora socchiusa come se fosse l’entrata di un incubo, decidendo così di non fare il suo ingresso, ma di sedere sulla soglia per pensare.
Non ebbe voglia alcuna di rientrare e rivedere tutto ciò che l’aveva trattenuto dall’uscire fino a quella sera, cosa che lo stupì alquanto: quello era stato fino a poche ore prima un caldo rifugio dove si sentiva protetto, adesso gli sembrava un luogo oscuro e malinconico.
Si accese una sigaretta, guardando dispiaciuto l’orizzonte reso invisibile dall’oscurità della notte senza luna. Gli piaceva starsene lì a prendere aria fresca e distinguere le creste del mare che risplendevano alla luce del satellite, prendendola in prestito quei pochi secondi giusti per far capire che la massa d’acqua era viva nel suo infinito andirivieni.
Poggiò la nuca allo stipite, chiudendo gli occhi assaporando l’aria salmastra.
Subito la sua mente venne invasa dal sorriso della naufraga, quello che aveva riempito la sua serata e dissipato miracolosamente le tenebre della sua testa.
La sua espressività lo aveva colpito e si ritrovò a fantasticare su che tipo di voce avrebbe potuto avere una creatura del genere.
I suoi occhi gli avevano trasmesso una forza d’animo che si era fatta spazio sgomitando nei suoi pensieri, spazzando via con facilità l’unica donna della sua vita, quella che gliel’aveva rovinata.
O forse era stato lui l’unico stolto che si era precluso la felicità fino a quel momento?
Perché questa ragazza ha risvegliato in me tutti questi dubbi?
 
Con difficoltà si era trascinato nel letto, sprofondando in un sonno senza sogni, ristoratore come non ricordava da tempo.
Quando si svegliò e aprì la porta per respirare l’aria di mare, gli sembrò che il mondo di fronte a sé avesse assunto tutt’altro colore.
L’incontro tra il cielo terso e il mare apparve ai suoi occhi come la più meravigliosa opera di Dio, ritrovò nel suo cuore l’amore per quel paesaggio, lo stesso che l’aveva spinto ad acquistare e rimettere in sesto quella casa.
Già, la mia casa.
Il senso di colpa lo pervase quando si rese conto delle pietose condizioni in cui la teneva.
Perché l’aveva trattata così male per tutto quel tempo?
Quelle quattro mura gli avevano offerto un rifugio, del calore, lo avevano protetto dagli sguardi accusatori, dalle parole giudicanti, in poche parole dalla malignità umana insita nei suoi compaesani.
Un sorriso malinconico prese forma sul suo viso e mentalmente si scusò con la sua abitazione, che ovviamente non rispose.
Poggiò la tazzina sporca nel lavello, che guardò con aria pensierosa.
Allungò infine le mani, scavando tra le stoviglie ormai unte fino a trovare la spugna che cercava.
Sospirò, dandosi dello stolto per aver trascurato per tanto, troppo tempo il suo piccolo rifugio.
E, mentre lavava i piatti e puliva la cucina, gettò uno sguardo alla sua macchina da scrivere, abbandonata in un angolo.
Si morse l’interno della guancia preso di rimorsi. L’avrebbe usata?
No, non ce la faccio, non ne sono all’altezza.
Man mano che strofinava i piani dell’angolo cottura, vennero fuori i veri colori del mobile, un allegro celeste che aveva totalmente dimenticato per via degli oggetti e dello sporco che lo avevano seppellito.
Il parallelismo con la sua vita non tardò a formarsi nella sua immaginazione, e fu per questo che decise di mettere il naso fuori di casa dopo aver terminato con la cucina.
Ma quando aprì la porta il suo coraggio venne meno: tutti lo avevano visto la sera prima, come aveva fatto a non pensarci?
La titubanza lo prese e stava per rientrare, quando la vide.
Lei se ne stava lì, avvolta in un abito chiaro, seduta sul bagnasciuga che lambiva le sue natiche, i piedi nudi nell’acqua e le mani stese, ormai affondate nella sabbia bagnata.
L’intero corpo aveva formato un solco a terra, e gli sembrò un’immagine molto particolare, un quadro che aveva un qualcosa di poetico e malinconico che lo attirò un passo dopo l’altro oltre la soglia, facendolo avvicinare alla donna che non si voltò nemmeno quando lui la chiamò.
Zeno rimase interdetto da quel suo comportamento: la sera prima non gli aveva dato tregua con quegli occhi irriverenti, e ora fingeva di essere anche sorda?
— Maria! – la chiamò, scuotendola per una spalla.
In quella lei si voltò di scatto con occhi spauriti, come fosse stata destata da un lungo sonno, e sorrise quando si accorse che era lui, alzandosi in fretta.
Zeno si rese conto che l’abito le andava largo e sospirò — Non… non ti infastidiscono quelle mollette sulla schiena?
La ragazza inarcò il collo all’indietro cercando di guardare oltre le sue spalle, col risultato di girarsi attorno in modo buffo, facendo sorridere divertito l’uomo che la osservava.
Quando si accorse di ciò sorrise a sua volta, innocente e sbarazzina come poche altre donne che il Dottore avesse mai visto.
— Vorresti un vestito della tua taglia? – domandò, suscitando un vivace annuire della giovane, che lo seguì non appena lui rivelò di averne diversi in casa.
L’intenzione di condurla nella stanza da letto condivisa con la sua ex si spense quando fece per stringere la mano attorno al pomello della porta: non entrava lì da anni, sicuramente avrebbe trovato gli abiti ammuffiti e strati di polvere sotto i quali si nascondevano i vecchi mobili.
Preso dalla riflessione, non si rese conto che Maria gli era agilmente scivolata di fianco, aprendo lei stessa la porta per fare il suo ingresso nella stanza, il cui aspetto stupì Zeno tanto da renderlo una statua di sale: il sole illuminava le assi di legno chiaro del pavimento, tutto era luminoso, il letto poggiato al muro centrale appariva perfetto, come fosse stato appena fatto, e l’aroma del mare impregnava il luogo.
Era come se quella stanza fosse stata pulita poche ore prima, il vetro della finestra che dava sul mare era perfettamente pulita e i mobili intonsi, lucidi e vivaci nel loro color pino.
La ragazza aprì l’armadio, infilando poi il naso tra gli abiti per scorrerli con mani sapienti che sapevano esattamente cosa toccare, come se fosse sempre stata lì.
Ne afferrò qualcuno per poggiarselo addosso, finché non iniziò a staccarsi di dosso le mollette, movimento per il quale Zeno chiuse la porta di fronte a sé in men che non si dica, intuendo il resto.
Gli sembrò di orbitare attorno a quella ragazza come un pianeta attorno al sole: era già la seconda cosa strana che accadeva nel giro di una giornata.
No, le cose strane sono parecchie. Che sta succedendo?
Le domande si dissolsero nella sua mente quando Maria aprì la porta, mostrandosi con indosso l’abito che aveva scelto, cosa che fece rimanere di sasso il Dottore.
L’abito color vermiglio, dalla lunga gonna a ruota, recava una cinta scura in vita e sembrava essere stato cucito addosso alla naufraga, anche se non era questa la cosa che lo aveva lasciato di sasso: era il preferito della sua ex moglie, un capo che tutti conoscevano come suo in paese.
L’uomo sentì crescere l’ansia dentro di sé: cos’avrebbe pensato la gente se l’avessero vista con quell’abito indosso?
Furono però l’esaltazione di lei e la sua vivacità a fare in modo che la paura del giudizio altrui morisse nel suo cuore così com’era nata, senza lasciare traccia, almeno per quel giorno.
Pensò fosse il momento di congedarsi ora che aveva trovato qualcosa della sua taglia con cui abbigliarsi.
— Vuoi portare qualche abito da Anna? – domandò alla ragazza, che lo guardò con la felicità dipinta sul volto. Si fiondò nella stanza da letto senza pensarci un minuto, tirando fuori un paio di capi dai colori delicati che mise sottobraccio.
Si accorse infine della presenza di un cappello avorio da donna a tesa larga poggiato sul comò, con un nastro scuro alla base della cupola, e lo afferrò, piazzandoselo sul capo con rinnovato entusiasmo.
Forse fu per la presenza di una donna in quella casa, o forse per la felicità che quell’esserino minuto sprizzava da ogni poro, fatto sta che Zeno si sentì il cuore leggero come non mai e si domandò per quale motivo non avesse seguito i consigli del signor Nino, accettando i suoi innumerevoli tentativi di tirarlo fuori dal suo buco.
— Ti riaccompagno in locanda, è ora di pranzo. – disse l’uomo, certo che si sarebbe persa tra le vie strette del paese.
Per tutta risposta la ragazza si avvinghiò al suo braccio, facendosi guidare in direzione della locanda.
La fulgida bellezza di lei non passò inosservata lungo la strada, tra i molti che la osservarono desiderosi figurava anche Martino il cornuto, che ancora non aveva accettato di buon grado il fatto che Zeno gli avesse soffiato sotto il naso la nuova arrivata, facendogli fare una figura barbina di fronte agli altri abitanti.
Quest’ultimo notò più il chiacchiericcio delle donne che tutto il resto, preoccupandosi per il loro parlarsi all’orecchio, sentendosi nell’occhio del ciclone quando si accorse dei loro sguardi indagatori.
Il Dottore è uscito!
Indossa l’abito della moglie, quella lì.
Perché sono a braccetto?
Perché sono insieme?
Perché, perché, perché?
Chiuse un attimo gli occhi tentando di negarsi la vista di quelle malelingue, ma fu uno strattone di Maria a riportarlo alla realtà: il suo sguardo esprimeva preoccupazione per lui.
Aveva forse captato il suo stato d’animo?
Questo fece sì che Zeno si sentisse meno solo e abbandonato, più forte.
Riuscì così ad attraversare le vie del paese a testa alta, tranquillo da quel momento fino all’arrivo alla locanda di Anna, dove la padrona li accolse con particolare incredulità.
— Dottore… lei qui? Come… come mai? – domandò, squadrando poi con orrore la ragazza
– Ma questo è l’abito della signora…
— Maria era seduta sul bagnasciuga e il suo era zuppo. Si sarebbe buscata un malanno qualora l’avesse tenuto indosso, così gliene ho fatto scegliere uno. – rispose l’uomo con una padronanza della situazione che stupì profondamente la sua interlocutrice, ma anche se stesso.
La ragazza lo guardò fiera, lo ringraziò con un inchino della testa e salì le scale che conducevano alle stanze del piano superiore, sparendo dalla loro vista.
La locandiera continuò a osservare con stupore Zeno, che sorrise — Io andrei, si sta facendo tardi.
— Ah… sì. Allora buonasera.
Il Dottore ricambiò il saluto e si avviò verso casa, attraversando nuovamente le vie del paese, guardandolo con occhi nuovi: il sole del pomeriggio illuminava i muri scrostati alla sua destra con luce tenue, le grandi pietre che ricoprivano il selciato risultavano levigate e luminose mentre le finestre aperte lasciavano intravedere le tendine bianche che celavano l’interno delle case alla vista.
Una signora seduta su una seggiola di legno a lato della strada lo salutò cortesemente, per poi tornare a sbucciare fave, lasciandole cadere in un cesto di vimini fra i suoi piedi.
Quella vita placida parve invitante a Zeno, che si disse che avrebbe ripreso le sue abitudini prima di subito.


*** Angolino dell'autrice ***

Ciao a tutti, come state? Spero meglio di me!
In questo capitolo abbiamo visto come Maria riesca a tirare fuori Zeno dalla sua apatia, pur senza dire o fare cose eclatanti.
C'è un piccolo segretuccio dietro questa ragazza muta, ma ovviamente verrà svelato alla fine e senza nemmeno tante chiacchiere. Verrà tutto tra le righe nel finale.
E lì ci sarà spazio per domande, ipotesi e risposte.
Mi piaceva davvero renderla muta, molto espressiva dallo sguardo al linguaggio del corpo tutto ma privandola della parola. Certo, avrei potuto fare una storia più lunga - siamo a metà -, ma credo di dare il meglio di me nei racconti brevi. Li ritengo più intensi, forse perché è tutto racchiuso in pochi capitoli.
Prima di chiudere ci tengo a ringraziare tutti voi che leggete la storia e chi l'ha recensita. Mi fa davvero piacere!
Anche le critiche sno bene accette.
A presto!

- A.


 
   
 
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