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Autore: shana8998    07/05/2021    0 recensioni
Lucille è una strega. La sua congrega, scacciata da Cesarine in Francia, è stata costretta a rifugiarsi fra le strade di New York.
Zane è un cacciatore, ha giurato fedeltà alla Chiesa e da sempre vive secondo un unico, ferreo principio: uccidere le streghe. La sua strada non avrebbe mai dovuto incrociare quella di Lucille, eppure un perverso scherzo del destino li costringe ad incostrarsi sulla riva dell'Hudson.
Anche se quella tra streghe e la Chiesa è una guerra antica come il mondo, un nemico crudele ha in serbo per Lucille un destino peggiore del rogo. E lei, che non può cambiare la sua natura e nemmeno ignorare i sentimenti che le stanno sbocciando nel cuore, si troverà di fronte a una scelta terribile.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Sovrannaturale
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                                                                             Spettro
Perché mi sento così debole? Le gambe non mi reggevano più. Sembravano gelatina: molli e instabili.
Che mi succede? Lentamente, mentre il cacciatore ed io stavamo ripercorrendo a ritroso la strada che ci separava dal centro città, il mio corpo incominciò a cedere.
Non avevo mai provato una sensazione simile: la vista offuscata, la debolezza, il dolore dappertutto.
Mi dissi che, quasi sicuramente, l'aver sbattuto qua e la dentro l'auto mi doveva aver ammaccata per bene. Cercai, più che altro, di consolarmi con quel pensiero perché tutto ciò che stavo provando era ben diverso dall'essere stati percossi.
Più avanzavo, più la distesa d'erba davanti ai miei occhi sembrava un ritratto ad olio sbiadito. Vacillai un paio di volte. La testa confusa come i pensieri.
«Non mi sento molto bene» sussurrai con le poche forze che sembravano essermi rimaste, prima di cadere con le ginocchia a terra.
Il cacciatore si voltò di scatto e mi venne incontro.
«Che ti prende? Stai bene?» Mi tese una mano e poggiò l'altra dietro la mia schiena, fra le scapole.
Scossi la testa «Non lo so. All'improvviso mi sento come se fossi appena stata masticata e sputata via» dissi accennando una risatina triste come quel momento. Soccorsa da un cacciatore: io, una strega. Ed era la seconda volta per quella sera.
«Vuoi fermarti?» mi aiutò a tornare dritta per qualche secondo, prima che le mie gambe facessero nuovamente cilecca. La sua mano corse alle mie costole e mi strinse.
«Non mi sembra un'ottima idea, ma penso proprio di non farcela a camminare ancora».
Il cacciatore si guardò attorno: eravamo finiti all'interno di una cancellata bianca che girava intorno ad un fienile dai pannelli rossi per ettari.
Probabilmente era una proprietà privata.
«Mi è sembrato di vedere una luce all'interno della casetta rurale accanto al fienile mentre eravamo in auto» mi fece notare «Magari c'è qualcuno che può darci una mano».
Era l'idea meno allettante che avessi sentito fino a quel momento, ma si rivelò l'unica chance.
Strinsi i denti quando una fitta mi fece irrigidire tutti i muscoli dell'addome «Va bene, andiamo».
A fatica e molto lentamente riuscimmo a costeggiare il fienile e poi con altrettanto sacrificio a salire gli scalini che ci dividevano dall'ingresso della  casetta.
C'era una panchina accanto alla porta di legno e tanti vasi di fiori appesi a ganci che oscillavano sulle nostre teste ogni volta che un soffio di vento arrivava a colpirli.
Una bicicletta di vecchia data e leggermente arrugginita era poggiata su un lato accanto alla ringhiera di legno bianco, mentre, su quello opposto un dondolo di ferro, con tre cuscini celesti sulla seduta, ondeggiava leggermente.
«Provo a bussare» Il cacciatore mi aiutò a sedermi sulla panchina e con le nocche colpì la porta un paio di volte.
«Sei sicuro di averci visto qualcuno qui dentro?» Domandai dopo un po'. Intanto le fitte, man mano che passava il tempo, si facevano sempre più intense, insopportabili.
Non rispose. Colpì di nuovo la porta, questa volta con più vigore.
Immaginai chiunque abitasse li dentro - ammesso che ci abitasse qualcuno - impugnare il fucile ed uscire in tenuta da notte pronto a spararci contro. Come diavolo gli veniva in mente di bussare a pugni stretti!
Passarono una manciata di minuti prima che una luce si accendesse risplendendo dalla finestra accanto alla vecchia bici arrugginita.
Mi parve un sollievo vederla.
«Chi è?» Chiese una voce di donna.
«Signora, non si allarmi-» Il cacciatore avvicinò il viso alla porta e parlò con un tono di voce abbastanza deciso «ma c'è una ragazza che sta male. Abbiamo bisogno di aiuto»
Sentii lo sportellino dello spioncino, davanti agli occhi del cacciatore, sfregare contro l'occhiello ed immaginai la donna spiarci dentro con il viso preoccupato ed il timore che di li a poco avessimo potuto farle del male.
«Sono sola in casa, mio marito non c'è.» Disse infatti con la voce che le tremava appena.
«Signora mi ascolti-» Lui poggiò una mano sulla porta e parlò più in fretta «non vogliamo farle del male, mi creda. Dei teppisti ci hanno rubato l'auto sulla succursale qui accanto e hanno tentato di picchiarci.»
Ascoltai ogni parola sperando, fino alla fine, che tutte quelle bugie bianche mi portassero dentro quella casa così da potermi stendere.
La donna titubò per un istante. Sentii solo dopo qualche attimo liberare il chiavistello ed abbassare la maniglia.
«Le siamo grati» disse lui con aria debitrice.
Non vidi subito la sagoma dentro il riquadro della porta, ma dagli occhi rasserenati del ragazzo dedussi che potevamo fidarci.
«Cosa vi è capitato?» Quando sbucò dalla luce che le brillava alle spalle e mi raggiunse, scoprii che era una donna come tante altre: occhi castani, capelli castani, esile. Il suo viso dimostrava circa quarant'anni d'età ed era disteso per quanto angosciato dal vedermi piegata e dolorante.
Si chinò davanti alle mie ginocchia accarezzandomi una guancia.
«Ci hanno rapinati.» Le dissi mantenendo fede al copione.
Si coprì la bocca con il palmo della mano. Sembrava realmente scioccata.
«Venite dentro.» Si mosse velocemente, tornando a sollevarsi e correndo in casa.
Il cacciatore agganciò il mio braccio alla sua nuca e mi aiutò a sollevarmi.
«Come vi ho detto-» pronunciò la donna da una delle tre porte che vedevo lungo il corridoio della villetta «mio marito non c'è. Perciò vi lascerò dormire in camera nostra». Tornò da noi chiudendosi la porta alle spalle.
«Non si preoccupi, pensiamo di ripartire il prima possibile».
La donna sorrise dolcemente «Potete restare tutto il tempo che volete.» 
La seguimmo verso la scalinata chiara che portava ad un piano superiore.
Passando accanto alla porta quadrettata da dove l'avevo vista uscire, notai un bambino che dormiva fra cuscini e piumone sul divano di quella che sembrava essere la loro sala.
Quella donna doveva aver un animo infinitamente buono per far entrare due sconosciuti in piena notte nella sua casa mentre suo figlio stava dormendo beatamente.
«Riesci a salire?» Mi chiese il cacciatore a bassa voce.
Annuii.
Arrivare all'ultimo gradino mi fece sentire come un'alpinista sulla cima dell'Everest.
Boccheggiavo ma ce l'avevo fatta.
«Questa è la stanza, dentro c'è la porta del bagnetto privato. Se avete bisogno di altro non esitate a chiedere.»
«Grazie mille».
La donna tornò a scendere le scale e noi entrammo nella stanza da letto chiudendoci la porta dietro.
C'era una piccola abat-jour accesa accanto al letto e dando un'occhiata all'esterno, dalla finestra, vidi esattamente la stessa strada che avevamo percorso in auto. Doveva essere per forza la luce che aveva visto il cacciatore.
«Sei ferita?» 
Tonfai a sedere sul materasso «Non credo».
Quando razionalizzai la situazione mi sentii soffocare da una vampata di calore e non era per via della pelle che sembrava andarmi a fuoco.
Ero sola, in preda a non si sa cosa e con un cacciatore in stanza con me.
Se proprio quella notte i miei poteri si fossero risvegliati, per me si sarebbe messa male.
«Lascia che dia un'occhiata.» Si mosse verso di me; di riflesso sollevai un piede da terra e parai un braccio a mezz'aria davanti a me.
Mi guardò con uno sguardo indecifrabile «Che ti prende? Non voglio farti del male.»
Ne ero certa, eppure, qualche parte nascosta del mio subconscio mi spingeva a proteggermi come se dentro me si fosse attivato un campanello d'allarme.
«S-Si, lo so. E' solo che non sono abituata a farmi toccare da qualcuno e poi mi fa male tutto, secondo me ho qualcosa di rotto» terminai in fretta.
Lui sospirò e raggiunse con un passo il bordo del materasso.
«Cercherò di toccarti il meno possibile, sta tranquilla.» Avevo sentito la sua voce colma di rabbia, poi di agitazione, poi ancora di risolutezza ma pacata come in quel momento no. Mi rassicurava.
Si sporse quasi sopra me, movimento che mi costrinse a poggiare la mia fronte sul suo addome. Sentii le guance prendermi fuoco e poi il freddo incresparmi la pelle quando mi sollevò la felpa sulla nuca.
Mi concentrai sulla T-shirt bianca e sulla lampo della giacca di pelle che mi dondolava davanti al naso cercando di scacciare dalla testa le sue dita che mi sfioravano la schiena ed i brividi bollenti che mi procuravano.
Gli uomini, Lucille, non sono altro che fonte di cibo e i cacciatori elementi da cancellare.
«Hai solo la pelle arrossata» si chinò sulle ginocchia. Aveva l'espressione seria e concentrata mentre le sue mani sfioravano il bordo della felpa davanti. 
Trattenni il respiro.
Non ero mai stata toccata da un uomo. Da nessun uomo. Babette, sin da piccola, mi aveva instradata all'odio per il sesso maschile. Loro erano cibo o guerra, nulla di più. E per anni io li avevo visti così. Non avevo mai avuto un'attrazione particolare per nessuno dei miei compagni di scuola, né alle elementari, né per quelli al College. 
«Sei sicura che ti faccia male l'addome?»
Forse, perché nessuno mi aveva mai sfiorata.
«Si.» mormorai quasi sottovoce. Lui mi guardò e per un momento mi sentii terribilmente stupida.
Non disse nulla però, questo limitò il mio imbarazzo.
Provai a schiarirmi la voce «Tu come stai?»
Il cacciatore mi abbassò la felpa e si accomodò a sedere affianco a me.
«Non c'è un osso che non mi faccia male. Ma tutto sommato sto bene»
Ebbi la tentazione di chiedergli se potevo 
controllare, ma all'impatto con quel pensiero mi vergognai e non lo feci.
«Grazie per avermi aiutata. Potevi lasciarmi li.»
Si passò le mani sul viso «Non lo avrei mai fatto.»
Dal collo gli pendeva un ciondolo con un piccolo zaffiro incastonato nell'argento. Restai a fissarlo per un pò.
«Ora che ci penso, non ti ho chiesto il tuo nome.»
«Zane»
«Zane» Ripetei «E' un bel nome».
Mi sorrise appena, poi si sollevò.
«Prova a riposare»
Lo seguii con lo sguardo «E tu?».
Toccò la maniglia della seconda porta, quella del bagno «Ho bisogno di pensare un momento.»
Ed eccolo che tornava a rabbuiarsi.
«Allora, svegliami quando dobbiamo andare via.»

                                                                                          Zane
Mi chiusi la porta alle spalle e finalmente potei ricacciare l'aria incastrata nei miei polmoni.
Allungai una mano verso l'interruttore della luce e artigliai il lavandino.
Per qualche motivo, avevo nascosto il dolore che provavo dietro la schiena a Lucille. Probabilmente il ruolo che ricoprivo mi imponeva di farmi vedere sempre forte, ma adesso quel dolore era lancinante e sentivo dell'umido caldo fra le scapole.
Mi scesi le maniche della giacca lungo le spalle voltandomi di schiena verso lo specchio appeso sul lavandino di granito.
Sangue: ce n'era in quantità e aveva macchiato la mia T-shirt formando un grosso cerchio rosso.
«Merda».
Mi liberai della giacca lanciandola sulla tavoletta chiusa del WC e mi sfilai la maglietta dalla testa.
Un grosso taglio mi segnava per verticale la schiena, non profondo ma abbastanza dentro la carne per farmi uscire flotti di sangue che gocciavano fino al bordo dei jeans scuri.
Cercai attorno a me un asciugamano. L'unico che trovai a portata di mano era bianco.
Pensai, mentre tamponavo la ferita come potevo, a dove nasconderlo l'indomani.
Era difficile passare lungo tutto il taglio e nel muovermi urtai la porta.
«Tutto bene li dentro?»
«Si» dissi. La fronte mi si imperlò di sudore.
Girai la manopola dell'acqua e ci bagnai l'asciugamano tornando a tamponarmi la ferita. Proprio in quel momento...le vidi. Due mani sulle mie clavicole. Non erano distinte, non sembravano nemmeno dita quei rilievi rossastri sulla mia pelle se li guardavo da vicino, ma bastava che mi allontanassi di un passo dallo specchio perché potessi delinearne i contorni.
Il fiato mi si mozzò in gola.
Allora, chi ci aveva attaccati era in auto con noi! Che si trattasse di un fantasma?
Ne avevo sentito parlare ma erano solo leggende.
Un magone mi attanagliò lo stomaco.
Molto tempo prima di quel momento, mi era stato raccontato che le streghe, un tempo, erano spiriti rimasti intrappolati sulla terra. Esseri invisibili alla ricerca della libertà e che per rabbia infestavano intere città perseguitando malcapitati casuali.
Forse, quello era anche il mio caso anche se le streghe di cui mi era stato raccontato erano vissute almeno mille anni prima di quel momento.
Dovetti sedermi sul bordo della vasca per riprendere fiato. Troppe cose per la testa, mi sentivo soccombere.

                                                                                  Lucille
Dormivo pesantemente quando la voce di Zane - la voce molto agitata di Zane - mi destò dal sonno.
Le sue mani mi agguantavano le spalle scuotendole. Aveva il volto sconvolto come se avesse appena visto un fantasma.
«Dobbiamo andarcene, Lucille!»
Le sue parole mi raggiunsero la coscienza dopo un paio di volte che le pronunciò. Per un momento mi sentii fuori da me stessa.
«C-Che sta succedendo, Zane?» Chiesi preoccupata sbattendo le palpebre.
«La donna che ci ha fatto entrare ha incominciato a gridare nel cuore della notte e da quel momento è un continuo rompersi di oggetti»
Un fragore di cocci rotti rimbombò per tutta casa facendomi drizzare il peletti sulla nuca.
Sbarrai gli occhi verso la porta oltre la spalla del cacciatore.
Un vento innaturale si sollevò per tutta la stanza e lentamente l'anta si separò dallo stipite.
Ciò che mi aspettavo di vedervi apparire dietro, la donna, non c'era. Al suo posto la sagoma minuta di suo figlio prese spazio al centro della cornice della porta.
Il viso pallido, gli occhi vitrei e spenti ed i piedi che non gli toccavano terra.
La sua testa penzolava all'indietro inanimata.
«Che diavolo è quello?!» Dissi balzando sul materasso.
«Uno spettro»
Era la prima volta che sentivo pronunciare quella parola. Babette non mi aveva mai parlato di loro.
«Cioè, un fantasma?»
Zane mosse un passo indietro sfoderando dalla cinta la sua pistola «Non proprio»
Il bambino sollevò le mani avanti a se: erano coperte di sangue. Un vistoso ghigno malefico prese spazio sul suo viso, allargandosi sempre di più e gli occhi privi di vita si piantonarono sul cacciatore.
«Sei tu. Sei tu. Sei tu...» Incominciò a ripetere.
«Ce l'ha con te?» Vidi Zane impallidire.
«Non starlo a sentire» Mi afferrò il polso, scivolai dal materasso e corremmo via verso la porta.
Sorpassammo lo spettro: il suo corpo restò piantonato sul posto mentre la sua testa girava su se stessa seguendoci ed emettendo scricchiolii da voltastomaco.
Ci calammo lungo le scale quasi senza respirare. Una grossa pozza di sangue ci aspettava dopo l'ultimo gradino.
La donna che ci aveva accolti, portava un grosso squarcio sulla gola ed era riversa a terra. Sulla pelle, tante piccole ferite a forma di croce rovesciata.
«Non puoi scappare dal tuo destino!»
Mi voltai verso le scale d'istinto. Lo spettro mi fissava dritto negli occhi ghignando diabolicamente.
Era me che voleva, non Zane.
Guardai il cacciatore che, per un momento, sembrava essersi paralizzato davanti al cadavere. Decisi di tenere quella sensazione per me.
Se fosse stato proprio così? Cosa poteva volere da me?
«E'-E' morta» mormorò quasi come se non credesse ai suoi occhi.
«Zane, dobbiamo andare!» Lo implorai quasi piangendo.
Guardò di sfuggita dietro se e le sue palpebre fecero un piccolo scatto. Poi tutto tornò in moto: scavalcammo il cadavere correndo fuori dalla villetta.
Non sentivamo nemmeno l'aria gelida battere sulla nostra pelle.
«Non puoi scappare!» Il grido diabolico dello spettro fu accompagnato dalla porta d'ingresso che si chiudeva bruscamente.
Era quasi l'alba. L'erba riluceva argentea e ben presto il sole sarebbe sorto scaldando la terra umida, o forse no. Forse, quella mattina per qualcuno non ci sarebbe stata nessuna alba.
Un bagliore penetrante illuminò il prato. Come un'enorme esplosione silenziosa venimmo travolti dalla luce intensa delle fiamme.
La casa aveva preso fuoco.
«Cosa sta succedendo, Zane? Cos'è che ho appena visto?» Tremai. Persino per me che ero una strega, era troppo. Pensai alle due vite rubate, alla donna e a suo figlio che di umano non aveva più neanche la parvenza. Il male si era impossessato di quella famiglia e giaceva nel cuore dell'artefice di quell'incubo.
"Non puoi scappare"
La voce indemoniata del bambino, o di qualsiasi cosa fosse dentro di lui, mi tornò in mente come un pugno in pieno stomaco. Materializzai una certezza, tutto quello a cui avevo assistito era «Un maleficio».

   
 
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