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Autore: A_Typing_Heart    08/05/2021    1 recensioni
Raim è il lavapiatti di un grande ristorante di Las Vegas e prende il suo lavoro come un banale mezzo di sostentamento per fare una vita tranquilla fuori dai guai che lo hanno segnato. La sua vita procede nella routine finché una sera un nuovo chef bussa alle porte del ristorante per chiedere un lavoro, dando una svolta inaspettata ad entrambe le loro esistenze.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Che Durand dimenticasse l’accaduto di quei due frenetici giorni non ci speravo proprio, ma i fatti mi diedero torto. Passammo la settimana successiva lavorando al ristorante quasi come se nulla fosse, anche se il rapporto tra Sahan e Leclaire era teso. Mi dava l’impressione che si sforzasse di coinvolgere il nuovo arrivato nel suo lavoro e che a volte gli chiedesse un parere senza ascoltare la sua risposta, tuttavia non arrivarono mai a rispondersi male e questo mi tranquillizzava moltissimo.

Sahan continuava a fare da assistente a Baader nelle preparazioni dei dessert e durante il servizio si spostava da una postazione all’altra con una versatilità che mi rese orgoglioso di lui quasi fossi stato io a presentarlo per un lavoro. Quanto a me, continuai a occuparmi delle pulizie, anche di quelle delle postazioni; un giorno chef Aguero mi chiese addirittura di preparare i bouquet garni, quindi passai un po’ di tempo alla sua postazione a legare insieme rametti di erbe aromatiche per gli arrosti mentre lui preparava le quaglie per lo speciale del giorno.

Durante quella settimana io e Sahan tornammo due volte al Posticino e un’altra volta alla Jarretière, e fu al ritorno dal bistro quando il taxi lo fece scendere davanti a casa che Sahan mi fece una proposta che non mi aspettavo.

«Domani il ristorante è chiuso per la pulizia mensile.»

Dato che Durand lo aveva annunciato alla fine del servizio mi sembrò strano che me lo ripetesse, comunque annuii. A parte giorni da me richiesti, era l’unica sera libera che avevo in un mese e prospettavo già birra, pizza e una lunga rilassante serata davanti alla televisione. Quando si lavora in un ristorante che non ha giorni di chiusura il solo desiderio che si ha in quel giorno è alzarsi dalla poltrona solo per andare in bagno o al frigorifero.

Sahan si chinò un po’ di più per guardarmi dentro il taxi.

«Perché non vieni da me? Voglio provare delle ricette nuove, mi servirebbe proprio un assaggiatore!»

Il mio cervello era già aggrappato alla poltrona del mio soggiorno e la prima reazione che ebbe fu strillare “no!” come un bambino capriccioso.

«Beh… non so» iniziai, e mi grattai la testa. «Sarebbe il mio… unico giorno libero…»

«Hai già un impegno con qualcun altro?»

«No, però…»

Feci una risata che uscì un po’ nervosa, ma non avrei mai mentito a Sahan.

«Di solito, passo tutto il giorno a casa e mi rilasso… niente di speciale, birra, pizza, film… qualcosa del genere, ma ormai è la mia routine.»
«Se ti prometto che troverai una cena deliziosa, un divano, una televisione a cristalli liquidi e anche della birra posso convincerti a venire?»

Mi dispiaceva dirgli di no per quello che era a tutti gli effetti un programma triste, ma ero affezionato a quel giorno insignificante del mio mese. Feci un sorriso che dichiarò tutte le mie intenzioni, perché Sahan insistette.

«Ho anche la lavastoviglie e non ho paura di usarla!»

Questa volta risi spontaneamente e alzai le mani in una resa.

«Va bene. Va bene, mi hai convinto.»

«Evviva~»

«A che ora vuoi che venga?»

«Che ne dici delle cinque? So che è un po’ presto, ma vorrei farti vedere come preparo quei piatti» mi fece, con un tono supplichevole studiato come quello di un bambino. «Prometto che non ti annoierai.»

«Di questo sono sicuro» ribattei sincero. «Allora a domani, Sahan. Alle cinque.»

«Buonanotte, Raim!»

«Buonanotte.»

Così Sahan chiuse finalmente lo sportello e si avviò sulla breve scalinata davanti a casa sua. Per buona misura presi accordi con il nostro tassista di quella sera perché mi accompagnasse lui il giorno dopo allo stesso indirizzo, mi feci portare a casa – dove scoprii che quel subdolo di Sahan mi aveva rimandato dentro il ristorante a riprendere il fazzoletto di seta che aveva portato al collo solo per pagare in anticipo la corsa mentre non ero presente – e mi misi direttamente a letto, per la prima volta con il pensiero di avere un appuntamento nel mio giorno libero.

 

*

 

Fu molto strano per me uscire di casa un giorno in cui non dovevo lavorare: ero abituato a quei giorni sigillato dentro casa, al punto da abituarmi a fare la spesa il giorno prima, anche la sera tardi al ritorno dal ristorante, se necessario. Vestirmi decentemente – e per decentemente intendevo mettere dei pantaloni senza elastico in vita e una camicia con tutti i bottoni al loro posto – e andare in taxi fino a quel quartiere di case ben curate mi diede la sensazione che fosse un giorno bizzarro della mia vita. Ripensandoci oggi, stavo davvero esagerando con la vita ritirata e il lavoro.

Salii le scale per ritrovarmi davanti a una porta nera lucida che mi ricordava molto Londra e bussai. Vista da vicino la casa era molto curata, non aveva imperfezioni nella vernice, graffi alla porta, e le finestre più vicine erano pulitissime. Feci appena in tempo a notare i fiori di lavanda nella striscia di vegetazione ai lati della scalinata che Sahan mi aprì.

«Eccoti qui!»

«Già, eccomi» feci, e alzai le mani. «Mi spiace essere venuto a mani vuote, ma non sapevo neanche quale fosse il menu.»

«Non dire sciocchezze, l’importante è che sia venuto tu! Su, entra, entra» mi incalzò, tirandomi appena per il gomito. «Benvenuto! Qui vivo solo io, quindi guarda dove vuoi e fai come ti pare.»

Notai una contraddizione in quelle parole, ma non avevo ancora capito quanto Sahan fosse disposto a condividere le sue fortune con gli altri. Per lui era naturale come respirare e parlare, ma avrei capito quanto fosse disinteressata la sua gentilezza solo più avanti.

Accettai senza riluttanza di togliere le scarpe – non ero comodo con delle scarpe da messa della domenica – e dopo aver messo le pantofole che mi offrì lo seguii nel corridoio. Mi indicò rapidamente gli ambienti con il braccio.

«Di qua c’è un salottino comodo, da questa parte la cucina con il salotto da pranzo, come lo chiamo io… c’è un bagno qui e uno di sopra in fondo al corridoio, usa quello che ritieni più appropriato» mi disse, con un certo sorrisetto divertito. «Sai, alcuni uomini si servono del più vicino, altri… preferiscono più privacy~»

«Uhm… e tu quale dei due uomini sei?»

«Se avessi un bagno in soffitta andrei lì, non è imbarazzante se senti che c’è qualcuno che aspetta fuori, o nella stanza accanto che potrebbe sentire qualche rumore? Io divento ansioso solo a pensarci!»

L’idea che Sahan potesse andare in bagno preoccupandosi di una situazione del genere mi fece ridere tanto da non riuscire a trattenermi neanche per riguardo. Come reazione lui mise su un broncio ancora più buffo.

«Non ridere, guarda che è imbarazzante davvero!»

«Ma non capisco perché… insomma, se si è in bagno si ha qualcosa da fare, no? Sarebbe da idioti infastidirsi o trovare maleducato qualcuno che fa qualche rumore dentro un bagno!»

Sahan non replicò, ma mi parve un po’ meno irritato. Mi fece strada in cucina, e a ripensare a casa mia decisi di non invitarlo mai a entrarci.

La sua cucina era enorme, una sfilza di pensili color grigio scuro erano allineati e scintillanti su due pareti, aveva uno spettacolare forno verticale come quello che avevamo in cucina al ristorante, uno più piccolo incassato nella colonna di destra e un piano con la bellezza di sei fuochi. Al centro aveva un’isola di marmo bianco con un lavabo a un’estremità e tutto lo spazio per appoggiare taglieri, vassoi, ciotole e tutto quanto gli potesse servire. Notavo altri dettagli ogni volta che la scorrevo: le luci al neon sotto i pensili per illuminare ogni ripiano, una mensola portaspezie carica come lo scaffale di un drogheria, ciotoline, bicchieri da cocktail e cocotte da forno in bella vista nella credenza con il pannello a vetro. Dal lato opposto c’era un frigorifero così grande che fui sicuro di potermici infilare dentro e stare anche comodo.

«Sahan… è… pazzesca.»

«Davvero ti piace? Ne sono felice! Me la sono disegnata da solo, sai» mi svelò con aria raggiante. «Finché non avrò un mio ristorante è nella mia cucina di casa che devo sperimentare e migliorarmi, quindi mi piace che sia il più attrezzata e spaziosa possibile! Anche se quando trasloco è sempre un po’ un dramma trovare un altro posto grande abbastanza da montarla tutta. Una volta ho dovuto mettere il forno grande nello scantinato…»

In un altro contesto avrei potuto pensare che chi mi parlava così volesse vantarsi, ma Sahan parlava con naturalezza e senza alcuna malizia. Mi piaceva il design della cucina e glielo dissi mentre mi sedevo allo sgabello posizionato sul lato esterno dell’isola col ripiano in marmo; lui mi sorrise e mi spalancò davanti il frigorifero.

«Vino? Birra? O preferisci qualcosa di analcolico, prima di cenare?»

«Si prospetta una serata lunga, no? Meglio cominciare con un passo lento.»

Sahan canticchiò una specie di motivetto mentre guardava dentro quell’immenso frigorifero, e mentre stavo per dire qualcosa per toglierlo dall’imbarazzo esclamò di sorpresa e mi indicò una bottiglia di vetro con un liquido lilla chiaro.

«Ti andrebbe di assaggiare la mia limonata speciale?»

«Se cerchi di drogarmi per derubarmi risparmiala, Sahan, io sono un pollo già spennato.»

Sahan rise e mise sul tavolo bicchiere, bottiglia e cubetti di ghiaccio.

«In realtà ti drogherò per farti arrosto~»

Lanciai un’occhiata al forno professionale.

«Ecco perché sei così attrezzato…»

Rise ancora più forte e mi preparò un bicchiere di quella sua strana limonata ghiacciata. Aveva un odore che non riuscii ad afferrare del tutto, ma che in qualche modo mi faceva venire in mente mia nonna. Aveva un qualcosa di vagamente nostalgico. Quando l’assaggiai sentii molto più il limone di quanto pensassi, ma poi colsi un altro gusto sconosciuto… anche se non del tutto; come una persona che prende il tuo stesso treno ogni giorno ma che non ricordi di aver visto lì quando te la presentano.

«È buona… è dissetante, ma è strana» commentai, e sollevai il bicchiere per guardarne il fondo. «Come mai è di questo colore?»

«È il mio colore preferito» mi rivelò sorridendo. «È una limonata alla lavanda.»

Fu una risposta illuminante: la lavanda cresceva nel giardino della vecchia casa di mia nonna e la raccoglieva per riempirci sacchetti che sparpagliava per tutta la casa e in tutti i cassetti. Mi chiesi come avevo fatto a non riconoscerla, dopo averne sentito l’odore anche fuori dalla casa di Sahan.

«Ah… certo, ce l’hai proprio qui fuori…»

«Sì, ma quella è decorativa, naturalmente ne ho usata una che coltivo sul balcone di sopra per fare la limonata… i poveri cagnolini non possono farci niente, ma io non amo l’idea che facciano pipì su qualcosa che vorrei usare per cucinare!»

Concordai con lui, poi restai lì seduto a godermi lo spettacolo di vedere un cuoco di alta fascia preparare una ricetta in un posto che conosceva perfettamente: allineò dei taglieri davanti a me, mise sui fornelli una pentola e una padella e cominciò a pulire e preparare una grande quantità di pesce e crostacei.

«Quando mi hai invitato come assaggiatore pensavo tentassi una ricetta del Posticino.»

«In realtà era la mia intenzione» ammise mentre svuotava il corpo del calamaro. «Però quando sono andato a rifornirmi ho trovato del pesce eccezionale, molto fresco, e i gamberoni erano a buon prezzo… e anche lo scorfano. Sono elementi perfetti per la zuppa di pesce nel modo che mi ha insegnato una cuoca svizzera, Isolde, che ha la madre che faceva la cuoca in Italia…»

Mi raccontò del viaggio che fece in nord Italia in occasione di un’importante fiera di cioccolatieri a Torino e di come durante il tragitto la neve l’aveva costretto a una sosta non programmata in Svizzera. Qui aveva conosciuto altri cuochi e pasticcieri interessati alla sua stessa fiera, ma aveva legato in particolare con la cuoca svizzera dell’albergo in cui era alloggiato. Mi raccontò di come si erano trovati a parlare e del fatto che si scambiarono alcune ricette, tra le quali la zuppa di pesce all’italiana, e nel frattempo Sahan era venuto a capo della maggior parte dei suoi principali ingredienti ed era pronto a mettersi a cucinare. La sua linea anche in casa era molto ordinata.

«Fammi un favore, Raim» mi fece, allungandomi una bottiglia verde chiaro. «Aprimi questa, sii gentile.»

«Oh… sicuro.»

Mi alzai per prendere il cavatappi che avevo addocchiato accanto a un decanter per vino su una credenza aperta e intanto Sahan andò alla sua ampia padella a versare olio di oliva. Gli stappai la bottiglia senza difficoltà e la posai vicino alle ciotoline dove aveva preparato spicchi d’aglio e quello che sembrava peperoncino secco e sbriciolato.

«Ecco a te.»

«Ottimo, grazie… ecco, siamo pronti per iniziare. L’olio inizia a scaldarsi.»

«Suppongo la tua prima mossa sia l’aglio…»

Sahan mi scoccò un’occhiata allegra.

«Esatto… preferisco lasciarlo intero, così se chi mangia non lo gradisce lo può trovare subito e toglierlo.»

Mise a scaldare l’aglio e il peperoncino, poi mise dentro una bella manciata di calamaro e seppia tagliati a pezzi. Ricordo di aver trovato strano che lo facesse e mi avvicinai al fornello per guardare meglio.

«Probabilmente sbaglio, ma credevo che il calamaro dovesse cuocere poco» osservai, cercando di non sembrare presuntuoso a Sahan. «Piaceva a mia madre, ma lei lo cuoceva pochissimo. Ricordo che non facevo quasi in tempo a lavarmi le mani da quando mi chiamava a quando finiva di cuocere.»

«Oh no, è giusto! Calamari, totani e famiglia devo essere cotti o molto poco o molto a lungo» fece Sahan, alzando i due indici come a indicare una lunghezza. «Qualsiasi altro tempo tra uno e l’altro li farà diventare una gomma con cui strozzare il tuo peggior nemico o rovinare la serata ai clienti, nel mio caso. Questa sera li metto per primi nella zuppa, così cuoceranno più a lungo di tutto il resto e torneranno teneri!»

«Oh! Sai un sacco di trucchi come questo, eh, Sahan?»

«Sono un cuoco» disse lui scrollando le spalle. «È il mio lavoro, e non si finisce mai di imparare… il cibo esiste dall’inizio della civiltà umana, si è evoluto e mescolato, e continua a farlo. Non è mai qualcosa di fermo, e quindi non è neanche qualcosa di limitato.»

Sorrisi istintivamente: quando parlava di cucina gli brillavano gli occhi, potevo dire solo guardandolo che poteva restare in piedi giorno e notte a cucinare senza sosta e non avrebbe perso la gioia di farlo. Mi piaceva moltissimo questo lato di lui e mi piace ancora adesso vedere con quanta passione non solo cucina, ma vive.

Continuò con la ricetta aggiungendo il vino che gli avevo aperto e mi insegnò il significato di sfumare, mi fece assaggiare il brodo di pesce che aveva già preparato e mi disse come lo aveva fatto. Mentre i molluschi soffriggevano nell’olio e nel brodo tornai a prendere un sorso di limonata lilla e mi avvicinai alla parete del salottino, dove regnava un magnifico impianto stereo: di certo la cosa che più potevo invidiare della sua bella casa.

«Che spettacolo questo stereo!» commentai, e mi girai a guardarlo. «Ti dispiace se metto qualcosa in sottofondo, Sahan? Ti dà fastidio?»

«Oh, per niente! Mi piace mettere la musica quando cucino a casa» rispose lui lanciandomi un’occhiata incerta. «Ma non so se troverai un disco di tuo gradimento.»

«Sono di bocca buona anche per la musica!»

Posai il bicchiere sul ripiano accanto a un vaso a forma di testa di Buddha e accesi l’impianto, lasciandomi un po’ di tempo per indagare le impostazioni. Sahan mi disse che lo stereo era stato di suo fratello Majid, un vero patito della musica e chitarrista nel tempo libero, e mentre stavo per rispondere trovai un disco che mi interessava. Mi affrettai a metterlo e appena le note di una composizione da ballo da camera riempirono la cucina Sahan mi guardò con un’espressione tra il divertito e il sorpreso. Io sorrisi di rimando, mentre la mente mi rimandava a un periodo così lontano della mia vita che mi riempì di nostalgia.

«Mi stupisci, Raim, ti facevo tipo da heavy metal… o qualcosa come Led Zeppelin…»

«Il rock mi piace, il metal non moltissimo… dipende molto dall’artista» replicai, avvicinandomi a lui. «A che punto siamo con la zuppa?»

«Ho aggiunto la triglia e lo scorfano, dobbiamo lasciarla andare per un po’ prima di aggiungere altro… ci vorrà un po’ per cenare, mi dispia–»

Aveva appena abbandonato il mestolo e coperto la zuppa che gli avevo preso le mani per allontanarlo dal fornello.

«Abbiamo tempo per un ballo, allora?»

«Un… cosa?»

«Un ballo. Sai ballare il foxtrot?»

Mi divertì la sua espressione che mi stava palesemente chiedendo che cosa accidenti fosse il foxtrot, e mi sentii risarcito dell’imbarazzo di farmi guidare nella preparazione in cucina del primo servizio. I suoi occhi rimasero vacui per un buon mezzo minuto di silenzio.

«Io… t-tu sai ballare, Raim?»

«Oh, sì. Il foxtrot è uno dei miei preferiti.»

L’ostinata incredulità che aveva stampata in faccia iniziava quasi a turbarmi.

«Non guardarmi così, Sahan. Sembra che tu stia guardando una foca che fa giochi con la palla.»

«Oh… s-scusami, io… non… ma davvero?»

Presi un sospiro per intimarmi un po’ di calma.

«Sì, davvero… mentre tu facevi la scuola di cucina e imparavi da tuo padre io andavo a un doposcuola di danza… ho fatto un po’ come Billy Elliott nel film, al doposcuola giocavo a basket, poi un giorno sono andato anche se l’allenamento era stato sospeso e mi sono imbucato a lezione di balli da camera.»

«Io… uhm… credo che non… uhm, non credo di sapere esattamente cosa siano i balli da camera.»

«Questo è semplice: sono balli da fare in due… principalmente» spiegai super riassunto. «Come il valzer, quello lo conoscerai almeno di fama.»

«Oh, certo… ma non ho mai ballato… in realtà, non sono affatto atletico, né aggraziato…»

«Che fortuna che hai un maestro privato, allora. Su, proviamo, è facile, te l’assicuro. Ti faccio vedere il passo base.»

Sahan non si fece pregare ulteriormente e anzi, mi sembrò contento anche se un po’ nervoso. Gli mostrai i passi per il giro e perno, lui tentò qualche volta prima di rifarlo in modo fluido ma siccome era incerto feci la prova del nove: gli feci assumere la posizione giusta delle braccia e scandendo il ritmo – lento, lento, veloce, veloce – ci trovammo a fare uno, due, tre giri insieme senza inciampare e senza pestarci i piedi.

Sahan emise una strana esclamazione confusa e sorrise come quando aveva assaggiato i piatti del Posticino.

«Ho ballato! Raim, ho ballato!»

La sua allegria mi impedì di essere puntiglioso e annuii convinto.

«L’ho visto, Sahan… sei stato bravo!»

«È incredibile, non avrei mai pensato di… possiamo provare ancora? Eh?»

Dopo così tanti anni dagli ultimi passi che avevo fatto ero animato da una specie di fame nostalgica, quindi non pensai neanche di dirgli di no. Sahan andò velocemente a controllare la sua zuppa, aggiunse del brodo e tornò da me per un’altra lezione rapida sul balancé. Mi divertivo a insegnare di nuovo e Sahan, oltre ad avere un sacco di entusiasmo, era anche uno studente dotato.

Dopo le ultime aggiunte di frutti di mare ballammo ancora una volta, e mi sorprese scoprire che era ora di cenare. Sedemmo insieme alla penisola dopo averla sgomberata e apparecchiata con una cura eccessiva per un ospite modesto quanto me, con la pentola di zuppa messa al centro a emanare vapore e un eccezionale profumo di pesce e – non so ancora come mai mi venne spontaneo pensarlo – di Mediterraneo.

«Quindi» esordì Sahan mentre stappava un altro vino bianco per la cena, «davvero hai iniziato a ballare per caso?»

«Il guaio di molte scuole di ballo come quella è che gli uomini sono pochi, e io ero anche più alto della media della mia età… ho iniziato a provare perché mi piaceva la musica, e mi veniva bene. Sono diventato bravo in poco tempo… grazie.»

Presi il crostone di pane che mi porse.

«E quindi, quando la maestra Emily mi ha chiesto di aiutarla con la classe per principianti le ho detto di sì. Ho fatto l’assistente dell’insegnante per un annetto, ma poi ho frequentato della cattiva compagnia e ho smesso, finché mi sono messo nei guai.»

«Ma che peccato, Raim! Sicuro che non vuoi riprovare adesso? Non ti appassiona molto di più che lucidare pentole di rame per quei trichechi tronfi?»

«Ricordo con molto affetto la mia vita di quel periodo… ma no, non ero bravo abbastanza da fare l’insegnante io stesso, oggi, e per quanto mi diverta ancora non penso che sia la strada che devo seguire.»

«Che sia per amore, per nessun altro motivo» citò con una certa solennità. «Che altra ragione c’è se non l’amore per dedicarsi a qualcosa o a qualcuno?»

«Immaginavo che tu la pensassi così, Sahan… ma tu sei animato da una passione… smodata, direi… quando parli della cucina, o del tuo lavoro, o di come pensi che sia la filosofia del cucinare… è come fossi elettrificato. Come quando c’è un temporale in arrivo, e c’è quell’aria elettrica, capisci che intendo? Metti la pelle d’oca, e… è molto bello vederti così acceso. Io adoro l’entusiasmo che metti in tutto quanto.»

Sahan ammutolì, ma mentre abbassava gli occhi sui piatti da riempire di zuppa sorrideva in modo strano.

«Ecco a te» mi disse piano dopo avermi messo nel piatto una bella porzione di zuppa.

«Sahan… ho detto qualcosa di male? Ti sei rabbuiato.»

«Rabbuiato? No, no… sono solo… nessuno mi aveva mai elogiato tanto sul mio entusiasmo… sul mio amore per la cucina… e sono contento che lo possano vedere tutti. Se lo vedi tu, lo vedrà anche mio padre.»

«Sono sicuro che andrà così, se lo vede anche un idiota profano come me…»

Addentai il crostone inzuppato del brodo arancio vivo della zuppa e non riuscii a non lasciarmi avvolgere completamente. Conoscevo pochi piatti a base di pesce e la zuppa che si faceva qualche tempo fa al Liaison, la Bouillabaisse, era diversa da quella ricetta. Fu allora con quel piatto ereditato dalla sconosciuta Isolde che mi scoprii un amante delle pietanze di pesce.

«Sahan, è fuori di testa!»

«Davvero ti piace? Ti piace così tanto?»

«Che diavolo, la mangerei tutti i giorni! Invitami tutte le volte che la rifai, compro un dolce e lo porto.»

Sahan emise quella sua risata spontanea vagamente acuta.

«Puoi venire tutte le volte che vuoi, Raim, anche senza invito! Averti qui è piacevole per me» mi fece, inzuppando meticolosamente il suo crostone. «Mi fai riscoprire la gioia… la semplicità della cucina, che sta nel preparare qualcosa che gli altri possano godersi… come facciamo io e te adesso.»

«Tu sei molto bravo a ricordartene anche da solo… non ti importa di quanto è pregiato un ingrediente, e nemmeno se appare come un quadro. A te basta che sia appetitoso, che faccia venire voglia di mangiarlo, no? Come la pasta del Posticino.»

Avevo un po’ esagerato e Sahan rispose alle mie osservazioni con un timido apprezzamento, poi parlammo del piatto e della Bouillabaisse che una volta era nel menu del ristorante. Quella cena fu divertente e mi confermò ancora una volta che quel ragazzo era anni luce distante dai suoi colleghi arroganti e atteggiati come Leclaire; testimone di questo i modi primitivi in cui si infilava in bocca pane e pesce usando soprattutto le mani. Non che io facessi diversamente, ma non potevo non immaginare la faccia del maître Kerr se ci avesse visto abbuffarci in quel modo a uno dei tavoli del Liaison e questo rendeva tutto molto più allegro.

Se quando avevo accettato l’invito temevo di trovarmi in imbarazzo e pentirmene, quella sera me ne tornai a casa sicuro che non avrei rimpianto quella cena mai e poi mai, qualsiasi cosa sarebbe successa in futuro. Non ero mai stato il tipo che crede al destino, alla provvidenza o ad altre dottrine karmiche, ma per la prima volta ebbi la certezza che conoscere Sahan mi avrebbe cambiato la vita.

Anche se ancora non immaginavo quanto in profondità.

 

*

 

Il giorno dopo andammo al lavoro rilassati e tranquilli, arrivammo per primi e aspettammo qualche minuto l’arrivo dello chef Durand. Aveva l’aria allegra e quando ci vide fece uno strano sorriso che mi mise immediatamente in allerta.

«Oh, proprio voi due… bene, vi devo parlare. Entriamo.»

A quelle parole il mio nervosismo si propagò fino a Sahan. Ci scambiammo un’occhiata preoccupata ma lo seguimmo fino di sopra al suo ufficio senza parlare.

Era la prima volta che vedevo l’ufficio dello chef, ma di per sé non era affatto come lo avevo immaginato: aveva uno scaffale pieno di scatole archivio di cartone, una scrivania di legno con il telefono, il computer e un pesante quadernone ad anelli. Lo chef prese posto sulla poltrona, ma non c’erano sedie per degli ospiti.

«Sono certo che sei molto fiero del tuo operato, Micheaux. Il piatto asiatico che hai offerto la scorsa volta è stato molto apprezzato e ha fatto circolare un po’ di sangue nuovo nelle vecchie vene di questo ristorante.»

Onestamente non sapevo se intendesse fargli un complimento: il suo tono sembrava sottintendere che ciò fosse un crimine da attribuire a un responsabile.

«Grazie, Chef» rispose Sahan, senza inflessioni particolari.

«Ho pensato che l’occasione fosse buona per muovermi. Avevo un’idea in testa da qualche mese, e ora approfitterò della modesta curiosità che hai suscitato.»

Io e Sahan ci scambiammo un’occhiata veloce e confusa.

«Cioè?» l’incalzai, dato che il mio amico taceva.

«Inviterò un certo numero di critici ed esperti dell’ambito della ristorazione, approfittando di un convegno che li ha già radunati in California… inviterò persone del calibro di Van Diel, Babette Lou, John Marshall e il gourmet Philip Mordecai qui al Liaison per una serata privata. Un menu degustazione.»

Come al solito ero l’unico idiota nella stanza e guardai Sahan. Aveva l’espressione neutra, ma così scolpita da mettermi paura. Associai quella sua freddezza al concetto di “menu degustazione” e mi chiesi che diavoleria fosse.

«Un menu degustazione è un menu completo in porzione ridotta, che permette ai commensali di assaggiare molte più portate di un pranzo normale.»

La spiegazione mi era chiara, lo scopo finale di Durand molto meno.

«Naturalmente è un’eccellente occasione per il ristorante e per ognuno di noi, ma in particolare per voi due!»

Sahan non si scompose, come se il minimo movimento portasse un pericoloso predatore a sbranarlo. Io indicai me stesso, stupito ai limiti dello shock.

«A-anche me?»

«Hai fatto da aiutante a Micheaux la volta scorsa, con grande impegno. Ho pensato che nutrissi segretamente ambizioni di avanzamento di carriera, e se è così, questa è la vostra occasione.»

Durand allargò le braccia inclinando lo schienale della sedia all’indietro.

«Offriremo ai nostri ospiti due menu completi in una porzione più modesta, in modo che possano assaggiare tutto. Io ne offrirò uno che rispecchi il meglio della tradizione e dell’esperienza del Liaison, mentre tu potrai proporre il tuo… asiatico, europeo, innovativo. Qualsiasi stile tu ritenga di poter mostrare, e se avrai successo guadagnerai una gloria separata dalla fama di tuo padre… e tu, Manning, in quanto suo collaboratore diretto potrai cercare tutte le opportunità di carriera che desideri.»

La notizia mi stordiva a livello profondo, tanto che non riuscii a spiccicare una sola parola di risposta. Guardai Sahan, che sembrava celare una profonda rabbia. Era tutto fuorché grato, ma ringraziò lo chef per la sua gentile proposta e promise a nome di entrambi che non gli avremmo dato motivo di rimpiangere quella scelta.

Durand si rivolse direttamente a lui quando disse che non serviva che presentassero il menu al suo giudizio in anticipo a meno che non trovassimo difficile reperire un ingrediente, e fu quella la prima cosa a insospettirmi. Era come una sensazione strana sulla pelle, tanto forte che mi massaggiai l’avambraccio per cercare di levarmela.

«Pensateci su e preparatevi. Li ho invitati per venerdì prossimo» annunciò infine, con il ghigno di qualcuno che sa di aver inferto un colpo di grazia. «Ora scendete a cambiarvi e iniziate il lavoro.»

«Sì, Chef.»

Ci congedammo e Sahan macinò la scala quasi correndo, ma senza un fiato. Tentai di rivolgergli la parola mentre entrava nello spogliatoio ma fece finta di non sentirmi, tentai di nuovo quando ne uscì ma mi fece segno di non parlare. Confuso entrai anch’io a cambiarmi – facevo davvero fatica a pensare che fosse vero e mi diedi un paio di terribili pizzicotti nell’interno coscia per vedere se sentivo male – e quando uscii trovai Sahan in fondo nella zona pasticceria, più silenzioso che mai.

«Vieni qui, aiutami a preparare la linea, Raim!»

«Ma non so come si fa la linea della pasticceria» osservai.

«Zitto e stai qui vicino a me» mi sussurrò, mettendo un tagliere davanti a me. «Ti devo parlare, ma non voglio che lo chef possa sentire che stiamo discutendo.»

Lanciai uno sguardo alla porta dell’ufficio, ma non vedevo nulla da quell’angolo. Non sapevo se fosse in grado di vederci o sentirci.

«Che succede, Sahan?»

«Chef Durand non si è dimenticato della settimana scorsa» mi fece mentre ammucchiava delle pesche in una larga ciotola. «Aspettava che gli venisse in mente la punizione più crudele di tutte, e ora che ce l’ha è pronto a distruggerci.»

Mi bloccai mentre stavo per aprire il rubinetto.

«Ti fa presentare un menu a dei critici, non è uno strano modo di vendicarsi?»

«Ce lo farà fare perché sa che falliremo. Ha detto che puoi aiutarmi, e come ha fatto nel primo servizio sono certo che ha già un modo per far sì che nessun altro ci aiuti… e un menu completo con solo uno chef e un aiutante con poca esperienza è un’impresa.»

In quel momento mi sentii in colpa. Anche se avevo ogni desiderio sincero di aiutare, non ero in grado di farlo materialmente. Non ero abbastanza bravo, non ero esperto abbastanza da fare per Sahan quelle cose che potevano sollevargli del lavoro lungo e pesante. Non credo che lui si sia accorto della mia immobilità e dei pensieri che l’avevano indotta.

«E se mi devo basare sul suo curriculum» proseguì Sahan, accigliato, «posso dire che ha già in mente come metterci i bastoni tra le ruote, nel caso non fossimo inetti come crede. Farà di tutto perché il nostro servizio sia un disastro.»

Girai la testa più volte tra lui e la porta dell’ufficio, più confuso che mai.

«Ma è… Sahan, che cosa ci guadagna a metterti nei guai con i critici ora che lavori qui da lui?»

«Ha messo ben in chiaro che il menu non deve essere approvato da lui prima, no? Non vuole responsabilità. Ci dà la massima libertà per darci ogni colpa per gli errori, e non escluderei che possa dire che è stata una mia idea presentare un menu diverso dal suo per mettermi in mostra.»

«Pensi davvero che sia così tanto subdolo?»

«Penso che sia anche peggio di così, se lo chiedi a me… e infatti è così ignobile che ce l’ha con me e vuole coinvolgerti nella mia umiliazione. Vuole stroncarti ogni possibilità.»

Aprii l’acqua e strofinai la buccia delle pesche per bene, prendendomi un momento per riflettere anche se mi sarebbe servita qualche ora almeno. Mi muovevo lentamente, pensavo lentamente: mai stato Rain Man più di quel pomeriggio.

«Ma perché dovrebbe…? Io non sono una minaccia per lui o per suo nipote… sono uno sguattero e non ho affatto ambizioni di carriera in questo settore. Non sono esperto né talentuoso per potermi permettere di fantasticarci sopra.»

«Durand ha visto quello che ho visto io il primo giorno» mi contraddisse lui a voce appena più alta. «La tua manualità, la cura per le istruzioni che ti davo, e il tuo spiccato senso del gusto. Ha assaggiato anche lui, ricordi? Sa che sei tu ad avermi detto di aggiungere più sale…»

«Si può capire qualcosa da un po’ di sale?»

«Per chef come Durand, sì. È ignobile come persona, ma eccellente come professionista, non si discute su questo… e sa che tu hai sentito l’acidità di quella salsa che suo nipote non ha percepito affatto. Hai carte che Leclaire non ha e la cosa lo rende invidioso.»

«Ma è assurdo, no? A che serve? Non so fare nulla, e non ho vent’anni!»

«È vero, Raim, ma… se tu lo volessi davvero, con queste premesse, io ti posso insegnare molto e posso presentarti a chi ti trasformerebbe in uno chef professionista in due anni… anche meno, se ti ci applicassi al massimo. Durand questo lo ha capito, e il talento degli altri gli è sempre andato di traverso.»

Non sapevo se Durand vedesse una minaccia in me e in quel momento il mio pensiero era che Sahan ci vedesse molto più di quello che davvero c’era in quella storia. Al massimo io pensavo volesse darmi una lezione affinché non mi schierassi mai più contro i suoi ordini diretti o che non mi permettessi di attaccare l’esperienza superiore di suo nipote.

Sahan prese uno spelucchino e iniziò a pelare le pesche, così mi affrettai a fare lo stesso, anche se molto più lentamente di lui.

«Se le cose stanno così… Sahan, non sarebbe meglio per noi tirarci indietro e… insomma, dargliela vinta? Così non ti può rovinare la reputazione con i critici. Sarà soddisfatto della tua resa e passerà tutto.»

«Non sarà soddisfatto… mi dispiace da morire averti coinvolto, Raim. Questa è una faida tra famiglie e tu non c’entri, ti ha preso nel mirino perché ho legato con te.»

Sahan si mordicchiò il labbro e abbassò lo spelucchino; la mano gli tremava.

«Sahan.»

A fatica mi guardò, ma gli sorrisi in modo spontaneo.

«Non mi pento di averti aiutato. Non importa se perdo questo lavoro perché Durand si accanisce con te… ma non starò a guardare se il suo intento è rovinare la tua carriera. Dimmi che cosa posso fare per aiutarti e farò meglio di quanto pensi che io possa fare.»

Si morse ancora il labbro e guardò dalla parte opposta, ma stavolta sapevo che lo avevo fatto commuovere o quasi. Gli lasciai un po’ di tempo, quello che ci misi a sbucciare un’altra pesca noce.

«Immagino che la tua zuppa di pesce sia un po’ difficile da mangiare al ristorante… che cos’altro potremmo presentare? Non so nemmeno se te la cavi meglio con il pesce o con la carne.»

Quando mi rispose aveva una voce strana, come se avesse il naso tappato dal raffreddore.

«Non… non so… s-sono più bravo con il pesce, ma… de… devo rifletterci, dev’essere qualcosa che posso preparare insieme a te soltanto, e…»

Tirò su col naso rumorosamente e abbandonò tutto per andare a prendere un pezzo di carta da cucina dal rotolo sopra il lavabo.

«Oh, perdonami, Raim… non voglio dire che sei inutile, ma per un menu servirebbero almeno tre cuochi esperti, e… oh, ogni volta che cerco di spiegarmi non faccio che peggiorarla!»

«Sahan, relax. Guarda che lo so di essere un incapace, ma ho imparato la routine… è come il foxtrot. Insegnami i passi che servono e saprò replicarli quando ne avrai bisogno, per il resto del ballo guidi tu.»

Si tamponò furtivamente gli occhi con la carta.

«Devo sembrarti così patetico! Ho fatto la voce grossa con lui, e adesso…»

«Non dirlo neanche, ma ti pare? Ami il tuo lavoro sopra ogni cosa. Anche se una manciata di critici non possono farti a pezzi in tutto il mondo, è ovvio che ci tieni a fare una bella figura… e la farai! Sei uno chef, no? Lo chef che renderà tuo padre orgoglioso, mica uno qualunque. Ce la caveremo!»

Gli assestai un paio di pacche vigorose sulla schiena per fargli un po’ di coraggio, ma in verità sembrava davvero affranto.

«Negli spettacoli teatrali e nei film c’è sempre un tema» osservai, tornando alle pesche. «Forse dovresti scegliere un tema per primo. Magari davvero un menu di sapori orientali, usi benissimo le spezie… o… a te piace la lavanda, no? Si potrebbe fare qualcosa del genere?»

Sahan mi guardò con un sorriso eroicamente tirato.

«Credi in me, Raim?»

Rimasi un momento confuso, ma solo perché non capivo che senso aveva chiedermelo. Ero troppo cosciente di me stesso per aver fiducia in quello che vedevo, ma con abbastanza fede da dare credito a quello che sentivo.

«Ma certo che ci credo… non so giudicare le capacità di chef di alto livello, e non so se sei migliore di Durand o di Leclaire come cuoco, ma so che ami quello che fai più di loro.»

Sahan emise un sospiro tremante, ma quando finalmente si decise a parlarmi non tremavano più né le mani né la voce.

«Gli presenteremo un menu che non dimenticheranno, Raim. Te lo prometto.»

   
 
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