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Autore: Supercorp00    08/05/2021    1 recensioni
I suoi occhi erano tutto per me. L’amavo con tutta me stessa, l’amavo ed ero pronta a rischiare tutto per lei, anche la morte.
Segreti e intrighi vi aspettano in questa storia, venite a scoprirli.
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I giorni passavano, adagio, fin troppo. Io stavo morendo lentamente, ero sempre più cupa, mi chiusi al mondo esterno, immersa a rivangare tra i ricordi che custodivo di Lena. Mi stavo consumando a poco a poco. Nel mentre, guardavo Lena passeggiare per i suoi giardini, mano nella mano con il suo promesso sposo: Jack Spheere. Se ne dicevano di ogni sul suo conto, tanti ne erano intimoriti e altrettanti ne erano affascinati. Aveva poco più di vent’anni, capelli neri come la pece e due occhi che facevano gelare il sangue nelle vene ogni volta che si aveva la sfortuna di incrociarli, dalle sfumature dorate decisamente singolari; alle volte sembrava brillassero nell’ombra. Proveniva dalla famiglia più antica della zona, gli Spheere. 

Notai che Lena iniziò a cambiare, più si allontanava da me e più tempo passava con lui, più il suo aspetto mutava. Mi accorsi che le sue guance chiare non si coloravano più di quel rosa acceso come quando passava il suo prezioso tempo con me. Le sue gote non avevano più quel colorito rosato che tanto mi piaceva, era più pallida che mai. Avrei pensato fosse stata colpita da qualche malanno, se non fosse stato per i suoi occhi sempre limpidi e vivi e per le sue labbra rosse, rosse come non le avevo mai viste prima.

Non ebbi più occasione di vederla da vicino, ma i suoi occhi sembravano aver assunto delle sfumature nuove, quasi argentee, ne sentii parlare anche tra gli inservienti. Rimaneva comunque meravigliosa ai miei occhi e lo sarebbe sempre stata, ma ciò non toglieva la mia preoccupazione. Ero sempre più convinta che Jack le avesse fatto qualcosa per renderla così, il mio istinto mi diceva che le fosse accaduto qualcosa di terribile, qualcosa peggiore di un qualsiasi malanno.

Mia madre notò il mio essere sempre più cupa e furente e non impiegò molto a comprendere che il mio umore nero era dovuto all’allontanamento da Lena; che i sentimenti che provavo per lei mi stavano consumando, uccidendo lentamente.

Un pomeriggio si avvicinò a me, mi guardò negli occhi e mi disse che il giorno seguente, all’alba, avrei dovuto farmi trovare sotto il grande ciliegio in fondo al giardino se avessi avuto desiderio di rivedere Lena. Rimasi incredula, a bocca spalancata, non riuscivo a capire. Accortasi del mio stupore, ella mi spiegò che aveva preso da parte la signorina mentre sbrigava le faccende nella dimora dei padroni e l’aveva pregata di concedermi di vederla almeno un’ultima volta, in memoria dei tempi lontani. Lena dapprima si rifiutò – mi raccontò mia madre –, però ella le riferì del mio dolore, delle giornate intere che trascorrevo davanti a quella finestra e, in fine, acconsentì all’incontro. Disse che mi voleva ancora bene e che era avvilita e rammaricata nell’avere notizia che ero triste. Mi sentii molto in imbarazzo. Non avrei voluto che Lena, la mia piccola dolce Lena, fosse a conoscenza del dolore che affliggeva la mia anima.

Mi svegliai prima dell’alba, molto prima, e mi preparai a quell’incontro. Mi lavai e indossai il mio completo migliore, quello che mia madre mi faceva conservare per la messa della domenica e per le grandi occasioni. E si trattava, senz’ombra di dubbio, di una grandissima occasione!

Era ancora buio pesto, se non fosse stato per la grande luna piena e splendente. Non avrei comunque avuto bisogno di più luminosità, mi bastava quel flebile fascio che proveniva da quel così maestoso corpo celeste; la strada la conoscevo già, era impressa a fuoco nella mia mente. I miei piedi sapevano esattamente dove poggiarsi su quell’arrido terreno.

Il ciliegio era l’albero più imponente presente in quel giardino e, soprattutto quando era in fiore, io e Lena amavamo appoggiarci al suo vecchio tronco, seduti sull’erba a leggere e parlare, ammirando i suoi piccoli fiori rosati. E, mentre ci godevamo l’ombra offertaci dai suoi rigogliosi rami, ella poggiava la testa sulla mia spalla e mi ascoltava leggere. A volte le piaceva giocherellare con qualche ciocca dei miei capelli  “Sono dello stesso colore del grano maturo”, mi sussurrava di tanto in tanto.

La nostra lettura preferita era Moby Dick, le cui pagine erano talmente consumate a causa del continuo sfogliarlo che alcune parole erano lievemente sbiadite, mentre altre non erano nemmeno più visibili. Amavo leggere per lei, sentire il suo profumo invadermi le narici a ogni folata di vento, vederla assopirsi pian piano per poi risvegliarla dolcemente quando arrivava l’ora di cena. Erano momenti nostri, ricordi impressi nella mia mente che nessuno mai avrebbe potuto portarmi via.

Era proprio lì che la stavo aspettando mentre cominciava ad albeggiare, con il nostro libro stretto tra le mani tremanti e il cuore che galoppava nell’attesa di rivederla. A farmi compagnia, soltanto il timido sole che spuntava all’orizzonte, quasi avesse avuto paura di sorgere quel giorno. La scorsi in lontananza, riconobbi il rumore dei suoi passi leggeri, lo riconoscerei anche oggi, tra mille. Indossava una vestaglia color smeraldo sopra la sua candida veste da notte. I corvini capelli le scendevano sulle spalle avvolte dalla svolazzante seta verdognola in boccoli perfettamente definiti. Si avvicinava con passo deciso ma lento e io fremevo dall’impazienza di rivederla da vicino, di stringerla tra le braccia, di assaporare di nuovo le sue labbra color ciliegia. Cominciai ad avvertire il suo profumo... sapeva di fiori, sapeva di lei, sapeva di puro amore.

Quando fu a pochi passi da me, scrutai intensamente i suoi occhi e mi persi: la sua divina bellezza mi aveva rapito un’altra volta. Le pupille erano così dilatate che quasi non riuscivo a scorgere il verde delle sue iridi, che lasciò spazio sempre più a sfumature color argento brillante. Non era ancora del tutto giorno, ma i suoi occhi illuminavano tutto quello che ci circondava. Sembravano due stelle prese direttamente dal cielo, sembravano irreali, fantastici; e ne rimasi irrimediabilmente affascinata.

Rimanemmo in silenzio, a rimirarci l’un l’altra per un tempo indefinito. Feci un passo verso di lei. Le ero così vicina da riuscire a scorgere ogni vena pulsante sul suo collo sinuoso. Lasciai cadere il libro che stringevo tra le mani, il quale si posò sul terreno bagnato di rugiada, ma ella non distolse lo sguardo dai miei occhi. Sfiorai le sue mani con le mie e avvertii una sensazione bizzarra, di freddo, di gelo. Ella si ritrasse in un istante e io fremetti per avere ancora un contatto con la sua pelle, anche minimo. Avvicinai il viso al suo e, quando mi resi conto che rimase immobile, in attesa, poggiai le labbra sulle sue. Non ricordavo il suo sapore fosse così... come definirlo? Gelido.

Il cuore mi batté forte, ma non di emozione o desiderio, no. Batté come se dovessi provare paura, come se cercasse di dirmi di scappare. Ero confusa, ma non ebbi il tempo di comprendere quelle sensazioni che ella si staccò da me, in fretta, come se si fosse scottata al contatto con le mie labbra, come se le mie labbra fossero state di fuoco e le sue di ghiaccio.

«Non possiamo! Kara, è pericoloso», il suono della sua voce investì i miei timpani − prepotente e dolce allo stesso tempo − facendo vibrare ogni parte del mio corpo.

«Lena, non c’è nessuno qui a quest’ora del mattino. Nessuno potrà mai saperlo», cercai di tranquillizzarla.

«Non è per questa ragione... Non te la posso confidare, ma ti devi fidare di me. Puoi farlo, Kara?»

«Sì,sai che lo faccio, mi fiderò sempre di te. Ma devi sapere una cosa... Fremo dal desiderio di dirtelo, fin da quel giorno sulla collina. Sono impaziente di confessarti i miei sentimenti, lo devo fare. Io ti amo! Oh, mia piccola Lena, ti amo più di quanto ami la vita stessa. Ti amo come se amarti fosse il mio unico destino, la mia unica ragione di vita», le rivelai senza mai distogliere lo sguardo dalle sue argentee iridi.

«Oh, lo so. Lo so da molto tempo oramai... e io amo te, mia adorata Kara. Tuttavia questo non può che tenermi ancor più lontana. È proprio l’amore a costringermi a fuggire ancor più lontano da te».

«Non dire così, Lena. Se mi ami, come affermi, allora fuggiamo insieme. Tu e io. Giù per le colline, a sud. Lì ci potremo amare, potremo avere una vita tutta nostra, piena di amore e felicità. Potremo costruire il nostro avvenire dal nulla», le dissi tutto d’un fiato.

Sapevo che non saremmo mai stati destinati a stare insieme: ella proveniva da una famiglia facoltosa e abbiente, mentre io non avevo nulla da offrirle ed ero una donna; nessuno avrebbe mai approvato la nostra relazione. Ma una volta lontani avremmo potuto essere soltanto due innamorate qualsiasi.

«Non potremo mai! Tu devi promettermi, mia amata, devi farmi un giuramento, qui e ora: devi imporre al tuo cuore di non amarmi più, devi fuggire lontano da me. Io non sarò mai per te ciò che il tuo cuore brama. Devi andartene, Kara».

Il sangue mi si gelò nelle vene all’udire delle sue parole. Mi arrivarono al cuore come una pugnalata, come migliaia di frecce avvelenate, una dopo l’altra. 

«Se è ciò che desideri... ma sappi che il mio cuore batte solo per te e questo non lo posso cambiare, qui o mille miglia lontano, io ti amerò per l’eternità» le confessai, nella speranza di farle cambiar idea, ma l’espressione del suo viso non cambiò, mi guardava ancora dritto negli occhi, supplichevole. «Me ne andrò oggi stesso, se è questo che desideri, ma non posso prometterti, tantomeno giurarti, di smettere di amarti. Questo non me lo puoi chiedere, Lena» conclusi, con il cuore appesantito e gli occhi gonfi di lacrime.

«Devi solo giurarmi di non cercarmi più. Mi basterà».

«Come desideri! Con il dolore nel cuore e nell’anima, farò come mi chiedi: me ne andrò tra poche ore».

«Devi giurarmelo, Kara!»

«Te lo giuro...»

«Addio, amore mio!» pronunciò, sfiorandomi il viso con la sua gelida mano.

Quelle furono le ultime parole che mi fu dato udire dalla sua voce melodiosa e dolce. Non ebbi le forze per risponderle ed ella se ne andò subito dopo, correndo verso casa, illuminata dai raggi del sole oramai sorto

   
 
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