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Autore: wolfymozart    09/05/2021    1 recensioni
La rivoluzione incombe su Parigi, restituendo dignità agli oppressi e presentando un conto amaro agli oppressori. Ma nei suoi giudizi perentori e tranchant, di condanna e assoluzione, non tiene conto delle sfumature, mai nette, tra innocenti e colpevoli, non tiene conto di sentimenti, paure, speranze di quanti, pur nella schiera degli oppressori, sono stati anch'essi vittime del sistema.
Un rivoluzionario integerrimo ma tormentato, una nobildonna infelice ma determinata, un amore impossibile, una condanna eterna.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
Capitoli:
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Jacques Clermont si dirigeva a passo svelto e a testa bassa verso casa; aveva appena congedato l’amico, in maniera più frettolosa di quanto avrebbe voluto, ma il suo stato d’animo non era tale da poter indugiare in chiacchiere o conversazioni di circostanza. Aveva bisogno di tempo per riflettere: quanto era accaduto quella mattina non l’aveva lasciato indifferente, l’aveva turbato nel profondo, aveva risvegliato spettri del passato che credeva ormai sopiti. Come poteva bastare così poco per rimettere in discussione le scelte di una vita intera? Che poi, in realtà, non si trattava propriamente di scelte da lui fatte, semmai di decisioni altrui di cui aveva dovuto pagare lo scotto, l’umiliazione e le dolorose conseguenze. Si era dal quel momento dedicato a costruirsi una vita degna, protesa verso quell’ideale di giustizia e di uguaglianza che troppe volte aveva visto violato, anche a sue spese. E ce l’aveva fatta, pensava tra sé con orgoglio. Eppure, scrutando pensieroso le ombre gettate qua e là dalla luce della luna che penetrava tra gli edifici, dovette constatare di aver bandito per sempre la felicità alla sua vita, non si era mai più permesso di provare qualcosa che le somigliasse, l’aveva sostituita degnamente con l’orgoglio, la soddisfazione, il giusto appagamento di chi sa di aver compiuto appieno il proprio dovere su questa terra. Ma, nelle notti insonni come quella, non era raro che il ricordo riandasse a quei giorni, a quei pochi mesi felici di molti anni prima, quando la durezza della vita e gli ostacoli imposti da quell’iniquo mondo non avevano ancora potuto intaccare il suo radioso avvenire. Era una sera come quella, si trovò a ricordare, una sera di maggio, mite e ventosa, con la luce della luna che giocava, come in quel momento, a disegnare ombre e contorni sul vasto prato del giardino. Non austeri edifici scuri e tremuli bagliori di lanterne alle finestre, ma un’illuminazione degna di una dimora regale, migliaia di fiaccole, musica allegra e risate spensierate, illuminavano quella notte. E lui non ci sarebbe nemmeno dovuto essere; non era autorizzata la sua presenza, non era gradita la sua partecipazione. Eppure, l’aiuto di quelli che credeva essere amici gli aveva consentito di realizzare quel sogno.
-Mia cara Marianne, come siete bella questa sera! – esclamò una fanciulla dall’elegante vestito rosa cenere, avvicinandosi con garbo all’amica tra la musica dell’orchestra e le chiacchiere dei convitati. La prese poi sottobraccio, facendole scivolare tra le mani un piccolo biglietto spiegazzato. Marianne guardò l’amica con stupore interrogativo e quella si limitò a sorriderle e strizzarle l’occhio.
- Che cos’è mai questo, Elenoire? – domandò sottovoce con un sussurro lievemente preoccupato.
L’amica, che ben la conosceva e che ne desiderava più di ogni altro la felicità, la trasse da parte, lontano da sguardi indiscreti e spiegò a bassa voce:
-C’è qualcuno che desidera vederti. – rispose ammiccando. - E sono sicura che lo desideri anche tu. – aggiunse con un sorriso complice.
Marianne de Blanchard aprì delicatamente quel biglietto, con le mani che le tremavano per l’emozione. Ne lesse rapidamente lo scarno contenuto, riconoscendo all’istante la grafia.
-Oh Elenoire! Come ha fatto ad essere qui? – esclamò infine con gli occhi illuminati da una gioia inaspettata.
- Deve essere riuscito a trovarsi dei validi amici, durante i suoi studi a Parigi…- accennò l’amica interrompendosi poi all’arrivo della madre, la contessa de Blanchard, e, nascondendo, rapidamente il biglietto alla sua vista.
- Buonasera, baronessa. – la salutò riverente con un inchino Elenoire.
- Buonasera a voi, cara mademoiselle de Roussignac., - rispose la contessa, coi suoi modi impeccabilmente glaciali. – Marianne, mia cara, Guillame de Beaufort è appena arrivato, accompagnato dalla contessa sua madre, sarebbe opportuno che gli facessi la dovuta accoglienza: la contessina Elenoire non credo che se ne risentirà. Non è vero, mia cara? – le domandò, squadrandola con l’aria di chi non avrebbe mai ammesso una risposta differente. Ma la contessina Elenoire non era certo tipo da farsi tanto intimidire. – Contessa, non vorrei sottrarre Marianne ai suoi obblighi di padrona di casa, tuttavia avrei urgenza di parlare con lei. Soltanto pochi minuti ancora. Ve ne prego, si tratta di una cosa che mi sta molto a cuore…-
Marianne fissava la madre con aria supplice, ringraziando silenziosamente l’amica di averle offerto quella sponda.
-E sia, mia dolce Elenoire. Non vorrei mai interrompere una vostra confidenza. Ma solo pochi minuti. Intratterrò io i Beaufort nel frattempo. Marianne, il conte ti attende per aprire le danze, non vorrai certo deluderlo. – concluse andandosene, lanciando uno sguardo d’intesa alla figlia.
- Oh, Elenoire, quanto sono felice! – esclamò raggiante non appena la madre se ne fu allontanata e strinse con fervida partecipazione la mano dell’amica. Elenoire de Roussignac ricambiò sorridente quella stretta. – Ma…hai sentito anche tu, dovrò danzare con Beaufort tra poco, sarò impegnata per qualche tempo. Come potremo vederci? Dubiterà di me, ne sono certa. E se poi mi vedesse danzare… – aggiunse abbassando lo sguardo, desolata.
- Cara Marianne, non temere. C’è una soluzione: gli recapiterò io stessa il tuo biglietto. –
- Faresti questo per me? – domandò con ritrovata speranza.
- Certamente, amica mia. Più di ogni altra cosa ho a cuore la tua felicità. – le disse Elenoire tendendole le braccia.
- Non saprò mai ringraziarti abbastanza. – concluse piena di gratitudine e si apprestò a cercare carta e penna.
Nella zona più remota e buia del giardino, sotto i platani secolari, un’ombra si aggirava con passo nervoso, un’ombra alta e longilinea, di cui si poteva scorgere, alla luce filtrante della luna, la chioma scura e i tratti regolari del viso.
-Chi è là? – sussurrò ad un improvviso frusciare tra i cespugli, mentre il cuore gli sussultava nel petto e incominciava a battere all’impazzata.- Un’amica. – si sentì rispondere. Il battito gli si placò al suono di quella voce, che riconobbe come non sua.
- Chi vi manda, di grazia? –
- Mademoiselle Marianne de Blanchard. – rispose la voce, senza mostrarsi. – Questo è per voi. – aggiunse avanzando con la mano tesa e facendosi scorgere alla luce della luna. Non poté non notare lo sguardo ardente e appassionato del giovane che le si parò di fronte, giovane che lei conosceva come un umile paesano del villaggio, che fino a poco tempo prima aiutava la madre come garzone in sartoria. Elenoire de Roussignac aveva sempre nutrito dubbi sull’infatuazione della sua cara amica per quel giovane tanto inferiore a lei, ma non poteva non riconoscerne il fascino ora che aveva fatto il suo ritorno da Parigi in qualità di distinto studente. Vestiva con l’abito migliore, i capelli scuri compostamente raccolti e i modi ingentiliti dalla pratica della capitale: poteva essere considerato degno della sua amica, nonostante non dimenticasse i numerosi ostacoli che si sarebbero interposti sul loro cammino. Si tratta solo di un’infatuazione, si diceva Elenoire, non potrà avere alcun futuro, eppure perché togliere loro quei pochi attimi di felicità? Gli consegnò il biglietto, pregandolo di aspettare il suo segnale. Lui annuì obbediente e ritornò nell’ombra, custodendo gelosamente nella mano quel biglietto.
Non dovette attendere a lungo: l’orchestra si era appena presa una breve pausa, quando, da dietro il tronco di un albero, la scorse avvicinarsi a passo rapido e circospetto attraverso il giardino. Non esitò ad uscire allo scoperto e ad avvicinarsi.
-Marianne! – esclamò non appena fu accanto a lui.
- Siete tornato. – fece lei per tutta risposta, con un sorriso che l’oscurità non gli permise di scorgere, ma il tono dolce e carezzevole glielo poteva fare immaginare.
Fissò nel buio la sua sagoma aggraziata, avvolta dall’elegante abito celeste, i capelli biondi accuratamente acconciati che ricadevano a boccoli sulle spalle nude, gli occhi chiari che brillavano attraverso le tenebre.
-Volevo rivedervi. Non ho desiderato altro in tutto questo tempo. – le confessò con un sorriso aperto, allargando le braccia come a ribadire qualcosa di ovvio.
- Non vi siete dimenticato di me, dunque, a Parigi? –
-Dimenticarmi di voi? Credete sia possibile? –
- Nessuna lettera, nessun segnale da parte vostra, io…- la interruppe poggiandole delicatamente l’indice sulle labbra: si stava spingendo oltre, troppo oltre. Se ne rendeva conto, ma non poteva farne a meno. Dopo mesi, notti insonni, sogni ad occhi aperti era lì, davanti a lui, non poteva lasciarsi sfuggire quell’unica occasione. Le carezzò delicatamente una guancia, dalla pelle fresca, profumata, restò per qualche istante a contemplarla. Sentì le sue mani posarsi dolcemente sulle sue spalle, le loro labbra si accostarono lentamente, mentre la natura notturna li accompagnava con il frinire dei grilli, il frusciare delle fronde, il richiamo lontano di una civetta. Tremava mentre la stringeva fra le braccia e avvertiva un lieve tremore che scuoteva anche il corpo di lei: allontanarsi anche solo per un attimo era impossibile, una misteriosa forza li teneva avvinti dolcemente, la musica lontana della festa giungeva ovattata come se arrivasse da un’altra dimensione, da un altro mondo, a cui loro si sentivano estranei. Ma come ogni incantesimo, anche quello non poteva essere eterno; fu lei a spezzarlo.
- Ora devo andare, mi staranno cercando. – gli sussurrò a fior di labbra, sfiorandogli la guancia con il suo tocco delicato. Lui le afferrò la mano, intrappolandola nelle sue.
- Quando ti rivedrò? – le domandò con una voce che non poté risultare ferma come avrebbe desiderato.
- Presto. – gli rispose, stampandogli un leggero bacio sulle labbra. – Presto. – ripeté allontanandosi lentamente, senza smettere di tenere gli occhi fissi nei suoi. Poi svanì com’era venuta, sgusciando agilmente tra le ombre del giardino per raggiungere quel mondo, il suo mondo, da cui lui sarebbe stato per sempre escluso.
E lui, Clermont, a quel “presto” appena sussurrato, ci aveva creduto. E aveva creduto anche a tutto quello che era seguito, in quell’estate dolce e luminosa, in quelle passeggiate tra i vigneti, di nascosto da tutti, aveva creduto a quei baci appassionati che si scambiavano all’ombra di un vecchio platano, a quei biglietti scritti in fretta pieni di nostalgia e di impazienza, a quei saluti furtivi davanti all’androne del palazzo, mentre lei usciva in carrozza per la consueta visita di cortesia agli amici di famiglia. Aveva creduto anche a quelle promesse mai pronunciate ma ugualmente reali di una futura felicità, per la quale ogni ostacolo sarebbe magicamente stato superato, ogni muro abbattuto, ogni insignificante differenza annullata dal sentirsi affini, simili più di quanto potesse accadere con un altro essere in questo mondo.
 
Clermont scosse la testa con un gesto di stizza e inspirò profondamente l’aria fresca della sera, stringendo i pugni e accelerando il passo. Poco più avanti gli si offerse la vista del suo portone: forzò nervosamente la serratura e salì a passo svelto le scale interne, buie e umide, per rintanarsi nel proprio appartamento. Spoglio, poco spazioso, ma dignitoso. Provò un moto d’orgoglio che gli gonfiò il petto nell’osservare la sua casa, i suoi oggetti, le sue carte sparse qua e là. Ce l’aveva fatta, a dispetto di tutto e di tutti. Si era guadagnato il rispetto, un nome, un posto nel mondo, facendo quello che aveva sempre desiderato fare: aiutare i deboli, gli ultimi. Eppure qualcosa mancava, qualcosa gli mancava sempre. E quell’umiliazione gli bruciava come il primo giorno, lo spogliava delle sue sicurezze, del suo orgoglio. Non importava che fossero passati dieci anni, che la rivoluzione stesse trionfando, che il popolo si stesse prendendo le sue rivincite, che la giustizia non tardasse ad arrivare, che libertà e uguaglianza fossero ormai dei principi riconosciuti: quella cicatrice, mai del tutto rimarginata, si riapriva ogni volta che il suo pensiero riandava a quella drammatica notte. Sentiva risuonare quei passi minacciosi, quelle urla sguaiate, quei colpi. E più di tutto sentiva risuonare roca e imperiosa la voce di Auguste de Blanchard.
 
   
 
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