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Autore: Fiore di Giada    10/05/2021    1 recensioni
[Sandokan]
Sandokan, con amarezza, pensa alla sua tragedia famigliare, circondato dalla natura di Mompracem e si sente in colpa per essere sopravvissuto. Ma troverà uno spirito a lui affine a dargli una mano.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo notturno di Mompracem, libero da nubi, era incrostato di stelle, che irradiavano d’argento il mare, scosso da una lieve brezza.
L’aria risuonava dei fruscii degli alberi, che ondeggiavano, ora a destra, ora a sinistra e riempiva l’isola di un olezzo aspro e pungente.
Seduto a poca distanza dalla sua capanna, la testa alta, Sandokan fissava il firmamento, gli occhi velati di lacrime. La notte era calma sulla sua isola e sembrava invitare all’abbandono del sonno.
Eppure, lui, principe privo di trono, non riusciva a dormire.
La sua capanna, di solito accogliente, gli pareva una prigione soffocante.
Sospirò e scosse la testa. Lui conosceva la ragione del suo sentimento d'angoscia.
La sua mente, crudele, si tormentava e rievocava le vivide immagini della distruzione della sua famiglia.
Il clima di Mompracem era fresco e gradevole, quasi mediterraneo, eppure poteva sentire sulle sue carni il calore del fuoco, che, in poche ore, implacabile, aveva condannato le persone a lui care ad una morte atroce e insensata.
Il trauma, per lui, era stato tanto forte da sigillare la sua memoria per dieci, lunghi anni.
Forse, erano stati gli anni più felici della sua vita.
Ma la sua mente, con la morte del suo tutore, Macassar, aveva ritrovato quei ricordi e la pena era ritornata e si era mescolata alla rabbia e al rimorso.
Perché Brooke aveva deciso di macchiarsi di un atto così turpe, che perfino gli europei avrebbero disprezzato?
A tale punto poteva giungere l'avidità di potere di un uomo pur realizzato e ricco?
Si massaggiò le tempie coi polpastrelli, cercando di attenuare il pulsare del sangue. Aveva giurato vendetta contro il governatore di Labuan ed era sua intenzione mantenere tale proposito.
Tale sua giusta risoluzione non avrebbe mutato la realtà.
Il rimorso non avrebbe mai abbandonato il suo cuore.
Sarebbe stato un debole balsamo al suo tormento.
– Finirò per impazzire... – mormorò. Cercava di negare a se stesso tale verità, ma il suo animo e la sua mente erano spazzati dal vento del rimorso.
Non accettava di essere sopravvissuto ai suoi genitori e ai suoi famigliari.
Perché era stato benedetto da una simile fortuna? Era per caso più degno?
No, non era certo diverso rispetto a loro.
Sconfortato, chiuse gli occhi e lacrime silenziose bagnarono le sue guance. In quell'istante, poteva posare la sua maschera di forza e risolutezza.
Solo la natura avrebbe veduto la sua sofferenza.

Un braccio, fermo, seppur gentile, circondò le sue spalle.
Sandokan si scosse dai suoi pensieri, girò la testa e i suoi occhi si specchiarono nello sguardo ceruleo di Yanez, seduto accanto a lui.
– Che succede? – chiese il portoghese, preoccupato. Poche ore prima, aveva sentito il suo amico svegliarsi e uscire dalla capanna.
Il suo passo non era calmo e Sandokan pareva un'anima infernale, condannata ad una pena eterna.
Turbato da una simile, travolgente angoscia, si era alzato e lo aveva seguito.
La sua preoccupazione si era accresciuta. Sandokan non era così ingenuo.
Eppure, non si avvedeva del rumore dei suoi passi.
Quale pena straziava il suo animo, di solito forte e deciso?
Giunto a poca distanza da lui, aveva sentito il suo cuore spaccarsi. Gli occhi del suo migliore amico erano lucidi di lacrime.
Incapace di sopportare quel suo viso sofferente, lo aveva abbracciato.
Sandokan, con un sospiro, appoggiò la testa bruna contro la spalla dell'amico. Si sentiva bene, stretto tra le sue braccia.
Quel contatto donava sicurezza al suo cuore turbato.
Pur non essendo legati dal sangue, lui e Yanez erano legati da una profonda affinità di vedute e di ideali.
– Sto bene. Sono solo un po' stanco. – spiegò, lo sguardo fisso su un punto indefinito davanti a sé.
Il portoghese accennò ad un sorriso.
– Fratellino, mi ritieni così stupido? – chiese, d'impulso.
Si pentì quasi subito delle sue parole e si schiaffeggiò la fronte con la mano. Perché la sua lingua si muoveva prima di formulare una frase corretta?
Avrebbe voluto staccarsi la testa e cambiarsi il cervello.
La sua stupidità, a volte, raggiungeva vette imbarazzanti. Non poteva criticare Sandokan per la sua ritrosia, perché anche lui era poco incline a rivelare le sue debolezze e fragilità.
Gli procurava fastidio mostrare la sua malinconia e non poteva criticare il suo amico per il medesimo comportamento.
– Se non vuoi, non sei obbligato a dirmi nulla. Ma resterò con te. – si scusò, il volto percorso da un tenue rossore.
Il principe malese rimase immobile, silenzioso. Sentiva l'imbarazzo nelle scuse concitate del portoghese e ne era intenerito.
Yanez aveva pronunciato quelle parole senza riflettere, ma non era stato guidato da pessime intenzioni.
Era preoccupato per lui e, per questo, aveva agito d’impeto.
Ma aveva saputo capire le ragioni della sua tristezza e aveva fatto un passo indietro, offrendogli un appoggio silenzioso.


– E' accaduto oggi. – dichiarò Sandokan.
Yanez tacque e aggrottò le sopracciglia. Quelle tre parole avevano rivelato l'origine della melanconia del suo amico malese.
Ricordava lo sterminio della sua famiglia e riviveva quell'orrido evento.
Irrigidì la mascella e aumentò la stretta del suo braccio sulle spalle del compagno, quasi volesse offrirgli un approdo. Le sobrie parole di Sandokan gli avevano ricordato il suo passato di umiliazioni e dolore, a causa delle sue origini illegittime.
Si era sentito vicino a lui, che, bambino, era stato costretto ad assistere ad uno spettacolo crudele, in nome della fame di ricchezza e di potere del governatore di Labuan.
Erano uniti dalla perdita, perché entrambi, per motivi differenti, avevano perduto la famiglia.
Accennò ad un sorriso. No, si sbagliava.
La vita del suo fratellino malese era ben più triste della sua.
Sandokan aveva perduto l'amore familiare e lo rimpiangeva, mentre lui aveva sofferto per l'assenza di un simile calore.
Certo, sua nonna gli aveva voluto bene, ma il suo affetto, per quanto profondo, non poteva sostituire quello di una madre e di un padre.
Un bagliore ironico balenò nelle iridi chiare dell'europeo. La mancanza non poteva essere paragonata alla perdita.
Non si poteva davvero rimpiangere quello che non si era mai conosciuto.

Sandokan si scosse dai suoi pensieri e sollevò la testa. Perché, ad un tratto, Yanez si era irrigidito?
Lanciò un breve sguardo su di lui. Il suo sorriso non era svanito, ma, per alcuni istanti, un lampo di malinconia era riverberato nei suoi occhi cerulei.
Quali ricordi avevano attraversato la sua mente?
Scosse la testa. Qualsiasi fosse stato il suo pensiero, lo aveva allontanato e si era preoccupato della sua tristezza.
La sua impulsività, a volte irritante, era soverchiata dalla sua generosità.
Nelle sventure si vede l'amico., pensò. Tante volte, Macassar gli aveva ripetuto quella frase.
E, in quel momento, capiva la luminosa verità di quell'affermazione.
Quel giovane portoghese, pur di confortarlo, aveva posto in secondo piano i suoi dispiaceri.
– Sandokan, non sentirti in colpa. Tu sei stato vittima di una crudeltà ingiustificabile, quando eri solo un bambino. Non hai niente di cui accusarti. – dichiarò, ad un tratto, l'europeo, il tono fermo e deciso. Il suo compagno non lo aveva detto, ma il suo istinto aveva percepito l'orrenda pena di un sopravvissuto, che si incolpava per essere scampato ad una devastante tragedia.
No, non meritava il peso del rimorso, perché era stato più fortunato.
Il principe malese, sentendo quelle parole, accennò ad un sorriso. Nessun lungo discorso era stato necessario.
Il suo fratellino europeo aveva afferrato le ragioni della sua pena e, con la sua presenza silenziosa, gli aveva offerto sostegno.
Gli appoggiò la mano sulla sua, in un gesto di complicità, poi la strinse.
– Ti ringrazio, amico mio. –



   
 
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