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Autore: devilnevercry451    10/05/2021    0 recensioni
La parete di vetro che divide la stanza in due è sempre lì, immobile. Non si è spostata di un centimetro, come lei che adesso mi guarda in ginocchio sul pavimento. Ha le guance rosse a causa delle lacrime che non accenna a smettere di versare. Le sorrido. Lo faccio sempre per tranquillizzarla e farle capire che va tutto bene, anche se non è così.
Genere: Drammatico, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Guerre mondiali, Olocausto
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È come vedere la luce per la prima volta. I miei occhi ci mettono qualche minuto ad abituarsi e gli arti riesco a sentirli solo poco dopo. Sbatto le palpebre. Capisco di essere sdraiato per terra notando il pavimento a pochi centimetri dalla mia faccia sotto il braccio sinistro su cui sono appoggiato. Non riesco ad alzarmi. Tutti i tentativi che provo a fare per mandare energia alle gambe sono inutili, non vogliono rispondere. È come se un grosso macigno si fosse posato sopra di me impedendomi di spostarmi. Sollevo leggermente il braccio destro verso la lampada del soffitto mettendola in controluce e mettendo in evidenza le vene che percorrono le dita sottili delle mia mano. Sono diventate molto magre rispetto a quanto ricordavo. La parete di vetro che divide la stanza in due è sempre lì, immobile. Non si è spostata di un centimetro, come lei che adesso mi guarda in ginocchio sul pavimento. Ha le guance rosse a causa delle lacrime che non accenna a smettere di versare. Le sorrido. Lo faccio sempre per tranquillizzarla e farle capire che va tutto bene, anche se non è così. Mi metto a pancia in giù e trascinandomi con le braccia raggiungo la parete di vetro. Cerco di mettermi seduto come meglio posso e appoggio la testa all’altezza della sua. Adesso ho i suoi occhi paralleli ai miei e posso specchiarmici dentro. Odio vederti piangere, lo sai benissimo. Tenendo lo sguardo sul suo sollevo la mano e la sistemo a lato della mia faccia. Lei alza lentamente anche la sua e la appoggia senza esitazione sopra la mia. Non sento alcun calore sulla pelle, solo il freddo vetro, ma lo ricordo bene nella mia mente. Dio solo sa quanto ho lottato per impedire che ti portassero via da me, quante volte ho cercato di buttare giù questo muro trasparente che ci permette di vedere quello che ci fanno senza poter fare niente per fermarli. All’inizio credevo che il dolore di avermi separato da te per sempre, fosse insopportabile, ma è niente in confronto a questo. Non poter reagire e proteggere una parte integrante di me pur avendoti a pochi centimetri di distanza mi uccide più che i maltrattamenti che ogni giorno subisco davanti ai tuoi occhi, che subito si riempiono di lacrime. Ormai non so più da quanto siamo rinchiusi qua dentro, quanti esperimenti hanno effettuato su di noi e se abbiamo una vaga speranza di sopravvivere. Sposto la mano sulla tua guancia e la muovo come per asciugarti le lacrime, che invece rimangono al loro posto lasciando la mia mano asciutta. Odio vederti piangere, tutte le volte che lo fai mi sento morire, morire dentro. È sempre stato così. Quando stai male tu, lo sto io. Le gambe hanno ripreso a funzionare con difficoltà e adesso posso mettermi seduto come si deve. Niente è mai riuscito a scalfire questo vetro. Per giorni e giorni ho cercato un modo per raggiungerti, ma l’unica cosa che ho ottenuto è stata dormire per terra visto che hanno subito provveduto a togliere ogni cosa dalla mia stanza. Non posso nemmeno sentire la tua voce, la tua bellissima voce che mi ha sempre rassicurato nei momenti in cui ne avevo più bisogno. L’unica cosa di cui mi posso accontentare è guardarti e sapere che sei viva, anche se a volte questo non basta. In molti sono sempre stati gelosi del nostro legame ed è forse questo che gli ha spinti a catturarci? Mi sdraio di fianco a te che, stesa sul pavimento, continui a guardarmi con una mano sempre appoggiata sul vetro. Da quando siamo qui non fanno altro che studiarci e sottoporci ad ogni tipo di tortura, a volte contemporaneamente, altre una di seguito all’altro per provocarci sia dolore fisico che emotivo. Odio quel dottore sin dal primo momento che l’ho visto metterti le mani addosso per visitarti. Avrei voluto spaccargli la faccia e rompergli quei denti sporgenti, soprattutto perché ti ho sempre visto stare male dopo le sue visite, come lo sto io. Sta cercando di capire fino a che punto si spinge il nostro legame, come per esempio dandomi un pugno e vedere se il giorno dopo anche tu avrai un livido nello stesso punto e viceversa. Finalmente mi stai sorridendo anche tu e mi sento felice come quando eravamo fuori di qui e non avevamo marchiato a fuoco le lettere ZW seguite dal nostro numero identificativo. Eravamo insieme quando è successo, ti ricordi? È stata l’ultima volta che ho potuto sfiorare la tua pelle. Ci tenevamo per mano ossessivamente come se potesse salvarci da quello che sarebbe accaduto di lì a poco, ma non è stato così. Lo abbiamo sempre fatto quando avevamo paura. Io ho sempre cercato la tua mano e tu la mia, non poterlo fare adesso mi distrugge. Solo adesso sto notando sul tuo viso lividi che prima della mia perdita dei sensi sono sicuro non fossero presenti. Sospiro per mantenere la calma che non accenna ad arrivare. I tuoi capelli neri carbone, che ho sempre amato intrecciare sotto l’albero di pesche in estate, sono raccolti in modo scomposto in una coda di cavallo lasciando libero il tuo viso dalla forma regolare e bianco latte che ora è deturpato da orrendi lividi che scendono anche lungo il collo fin sotto la camicia. Capendo dove si sta posando il mio sguardo chiudi i tuoi bellissimi occhi verdi smeraldo e sospiri. Hai sempre odiato farmi vedere la tua debolezza, è una cosa che abbiamo sempre condiviso poiché ognuno è la forza dell’altro e non possiamo cedere altrimenti non cediamo solo noi come singoli, ma come coppia. Con un dito cominci a scrivere sul vetro una data a noi estremamente familiare. 17 dicembre. Ti sorrido e tu lo fai subito dopo di me mettendo in mostra le stesse fossette ai lati delle guance che sono apparse a me poco prima. Annuisco. Si, mi ricordo bene la data del nostro compleanno. La mamma ci preparava sempre la torta alle pesche che ci piaceva tanto, ne mangiavamo sempre mezza a testa vero? E al contrario di quello che ci dicono qui non abbiamo mai saputo chi è stato a nascere per primo perché siamo sempre stati uguali e pochi secondi di differenza non hanno mai fatto l’importanza per noi. Il dottore del campo, qui soprannominato angelo della morte, dice che dai miei lineamenti e dall’atteggiamento da “alfa” sono io il fratello maggiore, anche se sei sempre stata tua quella qualità, la più sveglia dei due e capace di tirarci fuori dai guai senza subire conseguenze, come quella volta che abbiamo rubato tutte le uova dal pollaio della signora Kristof e ce le siamo mangiate dentro il fienile. Cerchi invano di togliermi una ciocca di capelli dal viso ma il vetro te lo impedisce così lo faccio da solo, ti è sempre piaciuto vedermi in ordine anche se non ne capisco il motivo. A me che tu fossi con tutti i capelli arruffati oppure perfettamente pettinati non è mai cambiato nulla perché sei sempre tu. Un urlo straziante passa attraverso la porta della mia stanza e istintivamente mi tappo le orecchie allarmandoti. Tu non riesci a sentirlo. Mi stringo le gambe al petto e fisso i miei occhi nei tuoi per infondermi coraggio che in questo momento non ho, come quando da piccolo facevo dei brutti sogni e mi mettevo subito nel tuo letto. Appena ci abbracciavamo tutti i brutti pensieri sparivano perché tu eri al mio fianco e adesso anche se non posso toccarti cerco di rievocare quella bellissima sensazione mentre le grida di dolore continuano a diffondersi dalla mia parte della stanza. Non oso, anzi non posso immaginare che tipo di torture stia infliggendo a quella povera persona il dottore, o meglio l’angelo della morte, che pur mantenendoci puliti e nutriti effettua su di noi gli atti più crudeli che secondo lui sono in nome della scienza. Può ucciderci in qualsiasi momento, come i soldati tedeschi hanno fatto con nostra madre pochi mesi dopo il nostro diciassettesimo compleanno quando l’hanno fucilata davanti ai nostri occhi dopo aver sfondato la porta di casa. Ti ricordi qual è stata l’ultima cosa che ci ha detto prima di morire? Voi siete speciali. È vero, il nostro è un legame indissolubile. Nemmeno la morte potrà spezzarlo, come non lo fa il sonno che ci fa sognare molto spesso le stesse cose. All’improvviso i tuoi occhi si spalancano terrorizzati  e ti tiri su in ginocchio urlano a squarcia gola quello che a me sembra il mio nome, Caleb. I tuoi occhi si riempiono nuovamente di lacrime e capisco che il dottore è di nuovo qui per sottopormi a qualche altra sua pratica spaventosa. Chiudo gli occhi per pochi secondi e mando un bacio ad Hannah prima di ritrovarmi disteso su un lettino di ospedale, legato, davanti a mia sorella che sbatte i pugni sul vetro urlando per farli smettere di riempirmi il corpo di tagli da cui prelevare il sangue nuovo per analizzarlo ed iniettare strane sostanze con cui di qui a poco perderò i sensi. Non riesco a prestare attenzione al dottore sbarbato, con il camice pieno di sangue sopra di me su cui spicca cucita in nero la svastica simbolo del nazismo. L’unica cosa che riesco a fare in questo momento è fissarla mentre le praticano le stesse cose nello stesso istante. Il mio sguardo è sereno. Anche tu dovresti esserlo, io lo sono. Ti prego smettila di disperarti per me, sto bene. Ormai non riesco più a sentire niente e la mia più grande paura arrivato a questo punto è sempre l’incertezza di non sapere se dopo questo esperimento mi risveglierò oppure no. Per questo motivo odio vederti piangere, voglio ricordarti felice e sorridente come quando correvamo nei campi. Sorrido mentre la mia mente e i mei occhi dello stesso colore dei tuoi si offuscano. Noi siamo speciali, non dimenticarlo. Ti voglio bene Hannah.  Grazie a tutti per aver letto questa storia e, se vi va, fatemi sapere la vostra opinione.
  
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