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Autore: Baudelaire    12/05/2021    3 recensioni
Rebecca Bonner sta per tornare ad Amtara, per il suo secondo anno.
Questa storia è la continuazione della mia precedente "La stella di Amtara".
Cuore di ghiaccio diCristina è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una settimana dopo, Rebecca era già entrata così a pieno ritmo nell’attività scolastica da avvertire già la stanchezza. La scuola era iniziata solo da pochi giorni e già lei e le gemelle avevano una quantità impressionante di compiti.
Di questo passo, pensava Rebecca avvilita, arrivare sana di mente a Natale sarebbe stata una vera sfida. Con l’aumento delle lezioni, inoltre, il tempo che le rimaneva a disposizione per studiare era veramente esiguo. Ormai avevano giusto il tempo di cenare, prima di tornare di sopra e rinchiudersi in camera a studiare. Non c’era più nemmeno il tempo di andare a fare quelle passeggiate lungo il fiume che amava tanto, nonostante il tempo clemente lo permettesse.
La sua stanchezza era tale che, una mattina, non sentì la sveglia suonare.
La sera prima lei, Brenda e Barbara avevano fatto le ore piccole sui libri e, finito di studiare, si era infilata subito a letto, crollando immediatamente in un sonno senza sogni. La complessa traduzione di Vampirese della Poliglotter l’aveva messa duramente alla prova. Con il costante pensiero dello studio, perfino Posimaar era relegato in fondo alla sua mente.
Si stropicciò gli occhi, assonnata, e si accorse che Brenda e Barbara non c’erano.
Sgomenta, guardò l’orologio e imprecò.
Era tardissimo.
Si precipitò fuori dal letto, vestendosi in fretta e furia.
Forse avrebbe fatto in tempo ad ingollare qualcosa di commestibile in Sala da Pranzo, prima che le lezioni cominciassero.
Ma dov’erano le gemelle? E perché non l’avevano svegliata?
Prima di uscire, si guardò velocemente allo specchio, resistendo alla tentazione di pettinarsi quella chioma scarmigliata e ignorando i tremendi cerchi scuri attorno agli occhi.
Non c’era più tempo.
Maledicendo tutti i professori e giurando a se stessa che non avrebbe mai più tirato così tardi per studiare, si precipitò a rotta di collo sulle scale.
Giunta al piano terra, si bloccò.
Di fronte al portone d’ingresso vide la Collins, in compagnia di una ragazza che non aveva mai visto. Ai suoi piedi, c’era una tale quantità di valigie che sarebbe stata sufficiente a contenere l’intero guardaroba suo e di Brenda e Barbara.
La Collins parlava con lei a voce troppo bassa perché Rebecca riuscisse a sentirla ma, dimenticandosi completamente del suo spaventoso ritardo, qualcosa la spinse ad indugiare sulla nuova arrivata, studiandola attentamente.
Era alta e slanciata, aveva capelli lisci neri, la carnagione chiara e il portamento fiero.
L’abbigliamento era impeccabile. Indossava una lunga gonna grigia e un’elegante camicia bianca e reggeva sul braccio destro un soprabito blu.
Tutto in lei, il suo aspetto leggiadro, la sua eleganza, il suo sguardo fiero, contrastava con l’ambiente informale che la circondava e con il logoro abito color magenta della preside che le stava di fronte.
Rebecca la scrutò attentamente, mentre sorrideva in maniera forse un po’ troppo forzata. C’era qualcosa in lei che non la convinceva. Quella ragazza era come una nota stonata in un capolavoro di musica classica.
Era una Prescelta? A giudicare dai bagagli ai suoi piedi, sembrava di sì. Ma per quale motivo si presentava a scuola con oltre una settimana di ritardo?
Doveva essere indubbiamente di buona famiglia e il denaro certo non le mancava. Era bastato quello per concederle quel privilegio?
Rebecca sapeva che doveva andarsene da lì. Ormai non avrebbe più fatto in tempo a fare colazione e non poteva permettersi di beccarsi una punizione per colpa del suo ritardo.
Ma poi accadde qualcosa che la stupì.
Una fata si avvicinò alla Collins e alla ragazza.
Rebecca conosceva ormai molto bene quello che le fate pensavano delle Prescelte. Potevano già ritenersi fortunate se avevano il permesso di alloggiare nel castello di loro proprietà. Era chiaro che consideravano le Prescelte e gli insegnanti dei veri e propri usurpatori della loro dimora e non mancavano mai occasione di rimarcarlo, anche semplicemente attraverso i loro atteggiamenti sfrontati e ben poco amichevoli.
La Collins aveva suggerito loro, in più di una occasione, di non badare alle provocazioni delle fate, consiglio che Rebecca riteneva piuttosto difficile da mettere in pratica, soprattutto quando accadeva che qualcuna, inavvertitamente, ne trapassasse una per sbaglio. Le fate si scagliavano sempre con inaudita ferocia contro la malcapitata di turno cosa che, a Rebecca, sembrava profondamente ingiusta, dal momento che spesso risultava veramente difficile riuscire a schivarle nei corridoi. Le fate scivolavano sul pavimento lente e silenziose e non sempre si riusciva ad avere l’accortezza di evitare di passarci attraverso.
A Rebecca era capitato una sola volta e pensava che non l’avrebbe mai più dimenticato. Trapassare lo spirito di una fata era una di quelle esperienze che sperava vivamente di non dover ripetere. Ci aveva messo un po’ prima di riprendersi dai brividi di freddo che avevano cominciato a scuoterla, tanto da ignorare bellamente gli epiteti che il fantasma le aveva urlato di rimando.
In linea di massima, comunque, le fate preferivano stare per conto loro ed evitavano accuratamente qualunque contatto con le Prescelte.
Per questo le sembrò molto strano il comportamento di quella fata con la nuova ragazza.
Le si era avvicinata e avevano cominciato a parlare. Entrambe si comportavano come se si conoscessero già, il che le parve piuttosto strano.
Quando la fata scoppiò in una fragorosa risata, Rebecca trasalì. Era la prima volta, da quando aveva messo piede ad Amtara, che sentiva una fata ridere. Non pensava nemmeno fossero in grado di farlo, dal momento che le aveva viste sempre serie o arrabbiate. Rammaricandosi che Brenda e Barbara non fossero lì con lei ad osservare quella scena inusuale, vide due Gnomi correre verso la ragazza e farsi carico del suo bagaglio.
Quando li vide venire verso di lei, in direzione delle scale, Rebecca capì che era arrivato il momento di andarsene.
Entrò in Sala da Pranzo e sussultò sorpresa quando vide Brenda e Barbara che si stavano alzando. Evidentemente avevano appena finito di fare colazione.
“Ma che fine avete fatto?” – esclamò, marciando verso di loro. “E si può sapere perché non mi avete svegliata?”
“Hai una sveglia, mi pare.” – rispose Brenda.
“Già, ma stamattina non ha suonato.”
“Dai, fai ancora in tempo a mangiare qualcosa.” – le disse Barbara.
Rebecca afferrò una brioche a caso dal tavolo e ingoiò qualche sorso di caffelatte ormai freddo, guadagnandosi un’occhiata torva dello Gnomo che stava sparecchiando la tavola.
“Devo dirvi una cosa.”
Rebecca raccontò di quello che aveva visto, mentre si avviavano verso l’aula del professor Christie.
Arrivarono in classe appena in tempo. Il professore si era appena seduto e stava tirando fuori i libri dalla borsa.
“Ma se è una Prescelta, perché diavolo è arrivata soltanto ora?” – chiese Barbara, tirando fuori dalla borsa il riassunto sulla Premonizione di Melissa da consegnare al professore.
Come Rebecca aveva previsto, alla fine Brenda, dopo parecchie insistenze da parte loro, aveva ceduto, raccontando alla sorella i dettagli della Premonizione. Non era stato particolarmente difficile. Perfino Brenda si rendeva conto che, con la mole spaventosa di compiti che già avevano, Barbara non poteva permettersi di beccarsi ulteriori punizioni. Ed era quello che sarebbe accaduto, se il professor Christie non avesse gradito il riassunto.
“Magari non è una Prescelta. Potrebbe essere venuta a far visita a qualcuno.” – buttò lì Brenda.
“Portandosi dietro tutti quei bagagli?” – le chiese Rebecca, scettica.
Brenda si strinse nelle spalle. “L’hai detto tu che sembra una ragazza molto raffinata. Evidentemente ci tiene molto al suo abbigliamento.”
“Proprio come la Collins.” – commentò Barbara, ridacchiando.
Brenda e Rebecca la ignorarono.
“Mi sembra strano, comunque, che fosse tanto in confidenza con una delle nostre fate.” – aggiunse Rebecca, pensierosa.
Brenda e Barbara si voltarono a fissarla contemporaneamente.
“Che c’è?”
“Le nostre fate?” – ripeté Barbara.
Rebecca arrossì. “Beh, nostre… non in quel senso…”
Barbara ridacchiò, ma fu costretta a ricomporsi subito perché il professore la stava chiamando.
“Hai portato il compito, Lansbury?” – le chiese.
“Sì, professore.”
Barbara si alzò e consegnò il riassunto all’insegnante.
“Molto bene. Sappi, Lansbury, che ho ritenuto opportuno informare la preside del tuo comportamento scorretto. Nemmeno lei gradisce che si portino giornaletti di infima categoria in classe.”
Barbara arrossì fino alla radice dei capelli, irritata da quel commento poco carino verso il giornale cui era abbonata da una vita.
“Sì, professore.” – mormorò, prima di tornare a sedersi.
Barbara assunse un cipiglio scontroso per tutta la durata della lezione, durante la quale, Rebecca ne era certa, non ascoltò una sola parola.
Il suo atteggiamento non cambiò nemmeno durante l’ora successiva, quando la Poliglotter, dopo aver ritirato le loro traduzioni di Vampirese, attaccò con una noiosa spiegazione su usi e costumi dei Vampiri nel Medioevo.
“Ce l’hai con lui perché ha parlato con la Collins, vero?” – le chiese Rebecca, più tardi, in pausa pranzo.
“Poteva evitare di dirglielo.” – replicò Barbara, in tono cupo.
“Già. Ma non te la prendere. La Collins avrà già dimenticato.”
“Cosa te lo fa pensare?”
“E’ più preoccupata di ricordarmi continuamente che non posso usare il mio Potere ad Amtara, fidati.”
Arrivò al tavolo uno Gnomo per servire da bere e Rebecca, scostandosi per fargli spazio, vide con la coda dell’occhio un movimento sulla porta.
Si voltò e rimase di stucco nel vedere la nuova arrivata, ferma sulla soglia, insieme ad altre tre ragazze dall’aria molto spavalda.
“Eccola, è lei.” - disse.
“Allora avevi ragione tu.” – disse Brenda. “E’ una Prescelta.”
“Già.”
Gli occhi di Rebecca incrociarono quelli della ragazza per un breve istante e lei si sentì stranamente a disagio. C’era qualcosa in lei che non la convinceva e le incuteva uno strano malessere. Il suo sguardo non le piaceva e, quando una delle sue amiche le bisbigliò qualcosa all’orecchio, i suoi occhi si ridussero a due fessure, senza smettere di fissarla.
Fu Rebecca a distogliere lo sguardo.
“Non sembra particolarmente simpatica, vero?” – disse Barbara.
“No.” – convenne Brenda.
“Oh-Oh!” – fece Barbara.
“Che c’è?” – le chiese Rebecca.
“Sta venendo verso di noi.”
Rebecca ebbe appena il tempo di voltarsi che le quattro ragazze erano lì, in piedi, di fronte a lei.
Alzò la testa per guardarla e si stupì nel notare il colore dei suoi occhi. Erano di una tonalità di grigio talmente chiaro da sembrare quasi trasparenti. Ma non esprimevano nessun calore. Erano due occhi di ghiaccio.
“Ciao.” – la salutò Rebecca.
“Siete sedute al nostro tavolo.” – ribattè la giovane in tono tagliente, senza ricambiare il saluto.
Per qualche secondo, Rebecca si limitò a fissarla, con aria un po’ stupida.
Che diavolo stava dicendo?
“Prego?”
“Ho detto che state occupando il nostro tavolo. Sei sorda, per caso?”
“Ehi, come ti permetti?” – sbottò Barbara, alzando la voce.
“Ci conosciamo?” – le chiese la ragazza, spostando lo sguardo su di lei.
Rebecca notò che non c’era traccia di rancore sul suo viso. Era tranquilla e il suo tono pacato, ma i suoi occhi erano gelidi.
“No. Non ho ancora avuto questo dispiacere.” – ringhiò Barbara, lieta di poter scaricare il suo malumore contro qualcuno.
“Questo tavolo è nostro.”
“Ah sì? E da quando?”
“Da quando lo dico io. Levatevi dai piedi.”
Barbara si alzò in piedi così bruscamente da far traballare il tavolo.
Si scambiarono un’occhiata di puro disprezzo.
“Credi di farmi paura?” – fece la ragazza.
Rebecca, a cui non sfuggì il lampo furioso nello sguardo di Barbara, capì che era arrivato il momento di intervenire.
Tutta la Sala da Pranzo era avvolta nel silenzio. Solo in quel momento Rebecca si rese conto che tutte stavano fissando la scena, ammutolite.
Barbara respirava affannosamente e Brenda le aveva appoggiato una mano sulla spalla, forse per trattenerla, o forse solo in segno di solidarietà.
Rebecca conosceva molto bene il carattere di Barbara e sapeva che non ci avrebbe messo molto prima di compiere qualche azione sconsiderata.
Cercando di mantenere la calma, si rivolse alla ragazza.
“Credo ci sia stato un grosso malinteso. Questo tavolo è il nostro ma, come puoi vedere, ce ne sono molti altri liberi. Perché non vi sedete, così noi possiamo continuare il nostro pranzo e gli Gnomi potranno servire anche voi? La loro cucina è davvero squisita, sai?”
Così dicendo, Rebecca sfoggiò il suo sorriso migliore.
Aveva fatto del suo meglio, nonostante la profonda naturale antipatia che sentiva per quella ragazza arrogante e prepotente. Ma l’aveva fatto soprattutto per evitare che l’ira di Barbara prendesse il sopravvento.
Da come Barbara la stava guardando, Rebecca capì che non condivideva affatto il suo tono diplomatico. Aveva la faccia di chi non vedesse l’ora di prendere a schiaffi quell’insolente e le sue amiche. Ma Rebecca aveva imparato a sue spese che la diplomazia era la strategia migliore da adottare, in certi casi.
“Apri bene le orecchie, cresta rossa.” – ringhiò quella per tutta risposta. “Io non voglio sedermi ad un altro tavolo. Io voglio questo. E prima vi toglierete di mezzo, meglio sarà per voi. Sono stata abbastanza chiara?”
Rebecca, basita, soppesò quelle parole.
Decise di sorvolare sull’epiteto, usato solo per il mero gusto di offenderla.
Aveva tentato con le buone maniere, ma era chiaro che non se la sarebbe cavata così a buon mercato.
Quell’idiota aveva tutte le intenzioni di metterle i bastoni tra le ruote e ci stava riuscendo.
Prima che Rebecca potesse rendersene conto, Barbara si era lanciata come una furia verso la ragazza, trattenuta a stento da Brenda.
“MA COSA STA SUCCEDENDO QUI? LANSBURY, COSA CREDI DI FARE?”
La professoressa Rudolf era apparsa dal nulla.
C’era mancato poco, pensò Rebecca. Se non fosse intervenuta, era certa che Barbara avrebbe messo le mani addosso a quella ragazza, finendo in guai grossi. Tuttavia, non potè fare a meno di pensare che se lo sarebbe meritato e che le avrebbe dato volentieri manforte. Rebecca non aveva mai conosciuto una persona tanto odiosa in vita sua.
“Allora, volete spiegarmi che sta succedendo?” – ripetè la Rudolf, scura in volto.
Le guardò, una ad una, in attesa di una risposta.
Nessuna rispose.
Rebecca lanciò un’occhiata alla ragazza, che ora sfoggiava una curiosa espressione soddisfatta. Era quello il suo scopo? Fare in modo che si guadagnassero una bella punizione per colpa sua?
Ma cosa mai le avevano fatto di male, in nome del cielo, dal momento che nemmeno si conoscevano?
“Bonner, voglio sapere cos’è questa storia.” – tuonò la Rudolf, rivolgendosi direttamente a lei. “E lo voglio sapere ORA.”
Rebecca imprecò mentalmente. Perché lo stava chiedendo proprio a lei?
“Si è trattato solo di un malinteso, professoressa.”
“Che genere di malinteso?”
“Forse dovrebbe chiederlo a lei.” – rispose, indicando la nuova arrivata.
La giovane arrossì ed un lampo di trionfo balenò nello sguardo di Rebecca. Voleva metterla in imbarazzo di fronte a tutti e c’era riuscita.
Ma la ragazza non rispose, limitandosi ad abbassare la testa.
Con grande irritazione di Rebecca la Rudolf, invece che fare domande a lei, si rivolse di nuovo a Barbara.
“Lansbury, si può sapere che ti è preso? Sai che non tolleriamo nessun genere di azioni violente qui.”
“Ma… professoressa…”
“Niente ma. La prossima volta che farai una cosa del genere, finirai dritta dalla preside. Chiaro?”
“Sì, professoressa.” – rispose Barbara, paonazza per la rabbia.
“E tu.” – aggiunse la Rudolf, rivolta alla ragazza. “Morgana Curter, dico bene?”
“Sì, professoressa.” – rispose la ragazza, in tono fintamente cordiale.
“Faresti bene ad andare a sederti, visto che dopo pranzo avranno inizio le lezioni. E anche voi. Non ricordo i vostri nomi…”
“Il mio nome è Alyssa.”
“Io sono Margaret.”
“E io Viola.”
“Bene, andate.”
Mansuete come agnellini, le quattro andarono a sedersi al primo tavolo libero, come se nulla fosse accaduto.
La Rudolf, senza aggiungere altro, girò sui tacchi e tornò al tavolo dei professori.
“Siediti, Barbara.” – disse Brenda a sua sorella.
Barbara, ancora rossa in viso, obbedì.
Ci avrebbe impiegato un po’ per calmarsi e Rebecca non poteva darle torto. La scena cui avevano appena assistito era a dir poco surreale.
Brenda versò a Barbara un generoso bicchiere d’acqua, che lei trangugiò tutto d’un fiato.
“Maledetta Strega rozza, ignorante, deficiente…” – borbottò Barbara, a denti stretti.
“Calmati.” – disse Brenda.
“Hai capito perchè andava così d’accordo con quella fata?” – aggiunse rivolta a Rebecca.
Rebecca la guardò. “Già. Ora mi spiego molte cose.”
Morgana le aveva fatto una cattiva impressione fin dal primo momento in cui l’aveva vista. Poteva indossare i migliori abiti e sfoggiare la sua ricchezza, ma era chiaro che era una persona di una pochezza ineguagliabile.
“Non ho ancora capito perché se l’è presa con noi.” – ragionò Brenda.
“Per provocarci, è evidente.” – rispose Rebecca.
“Ma perché? Tu la conoscevi già?”
“Niente affatto. L’ho vista oggi per la prima volta.”
“E allora tutta questa storia non ha una spiegazione logica. Avrebbe potuto prendersela con chiunque altro. Perché proprio con noi?”
Rebecca si strinse nelle spalle. “Non ne ho la più pallida idea.”
“E perché è arrivata qui una settimana dopo le altre?” – intervenne Barbara, ancora schiumante di rabbia. “Cos’è, la più bella del reame?”
Rebecca sospirò. C’erano tante cose che non quadravano.
Chi era Morgana Curter?
Cosa voleva da loro?
Perché l’aveva fissata con odio, non appena i loro sguardi si erano incrociati?
“Rebecca, sei proprio sicura di non conoscerla?” – ripartì all’attacco Brenda.
Rebecca strinse gli occhi, infastidita. “Ti ho già detto di no. Perché continui a chiedermelo?”
“Perché sembrava quasi che ce l’avesse con te.”
Rebecca sgranò gli occhi. “Con me? Ma che stai dicendo?”
“Non hai visto come ti ha guardata quando è entrata?”
Il cuore di Rebecca perse un battito. Dunque l’aveva notato anche lei. Morgana le aveva lanciato uno sguardo colmo di disprezzo nell’attimo stesso in cui una delle sue amiche le aveva fatto notare la sua presenza. A Rebecca non era sfuggito quel particolare ed evidentemente nemmeno a Brenda. Significava che la conosceva? Cosa sapeva di lei? C’era di mezzo un’altra volta Posimaar?
“Ma cosa stai dicendo?” – le chiese Barbara che, al contrario, non aveva notato nulla.
“Quando si è avvicinata si stava rivolgendo a te.” – insistette Brenda rivolta a Rebecca.
“E con questo cosa vorresti insinuare?” – replicò Rebecca, che ora cominciava ad irritarsi sul serio.
“Rebecca, stai calma. Non sto insinuando proprio niente. Dico solo quello che ho visto. Se dici di non conoscerla, ti credo.”
“Secondo me è matta da legare.” – disse Barbara, come se quella fosse l’unica spiegazione possibile e anche la più logica.
In quel momento gli Gnomi cominciarono a servire il pranzo e non parlarono più.
Rebecca lanciò un’occhiata in direzione del tavolo di Morgana, che ora stava mangiando e chiacchierando amabilmente con le sue amiche.
All’improvviso era come se si fosse dimenticata di lei. Con una vaga sensazione di disagio, si domandò cosa mai potesse volere da lei quella misteriosa ragazza.
   
 
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