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Autore: Chiara PuroLuce    12/05/2021    11 recensioni
Ernesto scopre un segreto sulla sua vita che gli sconvolgerà completamente l'esistenza... e non solo a lui!
(Writober 2020 - pumpNIGHT 2020 - #fanwriter2020)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ma è assurdo!» Ernesto era basito.
 
«Può ripetere, per favore?» Esordì un sconvolta Elisa.
 
Erano arrivati da una decina di minuti nello studio in centro Lecco e subito Giacomo Redaelli – il loro investigatore privato – era partito alla carica.
 
«Mi rendo conto che è uno shock tremendo per voi – d'altronde lo è stato anche per me appena scoperta la cosa – ma così stanno i fatti» rispose loro.
 
«Una… setta? I miei… nostri… genitori erano membri di una… setta?» Urlò Ernesto.
 
Sentì la mano della gemella insinuarsi nella sua e stringerla forte. Stretta che lui ricambiò. Per fortuna non era da solo a dovere affrontare quella terribile e assurda verità.
 
«Signor Redaelli, ma com’è possibile una cosa del genere. È sicuro? No, lo dico perché sono sempre state persone pie e devote, che facevano molta beneficienza e spesso partecipavano anche a dei pellegrinaggi, soprattutto dopo la pensione.»
 
«Nessun dubbio sul loro coinvolgimento, purtroppo.»
 
«Come ha fatto a scoprirlo?» chiese Elisa, dopo un lungo silenzio.
 
«È stato frutto di una ricerca certosina. Sono partito dai nomi che Ernesto mi aveva fornito, insieme a qualche informazione su di loro e, alla lunga, scavare dà quasi sempre i suoi frutti. In questo caso avrei preferito non ricavarne un ragno dal buco, ma adesso si spiegano molte cose.»
 
«Non si faccia desiderare, ci dica tutto e non risparmi i dettagli. A questo punto tanto vale sapere ogni cosa, anche la più scabrosa. Vogliamo capire come mai siamo stati divisi, è un nostro diritto saperlo» lo incalzò Ernesto supportato dalla gemella che annuiva con vigore, le mani ancora allacciate.
 
L’uomo si alzò e andò dritto a uno schedario, dove prese un fascicolo e poi tornò alla scrivania. Il plico era contrassegnato con il loro cognome: Roversi.
Ernesto lo vide sospirare e aprirlo, prima di fissarli e iniziare il suo resoconto in maniera molto professionale.
 
«Stefano Roversi e Luisa Paggi, coniugata Roversi» disse estraendo una loro foto e piazzandogliela davanti. «Imprenditori di successo nell’ambito del settore moda, filantropi, fautori di molte cause di beneficenza senza scopo di lucro, ambientalisti e… membri attivi de Il cerchio dorato
 
«Oh, mio, Dio. Non l’ho mai sentito questo nome, né in casa, né fuori» disse Ernesto con un filo di voce.
 
«Come tutte le sette agiva nell’ombra e non amava farsi pubblicità. I membri venivano reclutati a caso, perlopiù tra persone facoltose. I potenziali nuovi seguaci erano avvicinati alle feste o alle riunioni di settore, quelle grosse intendo… tipo le fiere.»
 
«Senta, non vedo il nesso tra questo e la nostra separazione» s’intromise Elisa.
 
«È presto detto signora. Una delle assurde regole della setta prevedeva che i membri non potessero avere figli gemelli – che erano visti come una punizione divina, specie se di sesso diverso – e quindi la soluzione era solo una, l’allontanamento del figlio ritenuto più debole se omozigoti o…»
 
«Della femmina in caso fossero nati eterozigoti, come noi due. Per dirla in una parola, io» concluse Elisa per lui.
 
Ernesto, se possibile, era ancora più basito di lei. Quella storia era assurda, oltre che folle e dell’altro mondo.
Era arrabbiato e curioso. Era nauseato. Ma come avevano potuto – i tanto stimati e amati coniugi Roversi – rinunciare a una figlia per una setta.
 
«Scusi, ma… e lei come è riuscito a sapere tutto questo. Ho capito che ha indagato a fondo, ma sono ambienti pericolosi quelli ed estremamente chiusi. Non rilasciano informazioni a nessuno, figuriamoci a un investigatore» gli chiese.
 
«Ernesto ha ragione. Non si sarà messo nei guai, vero?» indagò Elisa.
 
«No, no, state tranquilli. Fortuna volle che incappai in un nome, circa un mese fa e questo mi ha acceso una lampadina. Ernesto, conosceva un certo Dario Villa?»
 
Lui ci pensò su per qualche minuto, poi picchiò la mano sulla gamba e disse:
 
«Ma certo, come ho fatto a dimenticarmene. Il signor Villa, un nostro vicino di quando ero bambino. Aveva circa una decina di anni in più dei miei genitori, se non ricordo male e lo chiamavo zio. Frequentava spesso casa nostra, non era sposato e si fermava a cena il più delle volte. Era il titolare di una gioielleria molto rinomata e famosa nella zona. Poi, un bel giorno, ha smesso di venire e mi dissero che si era trasferito.»
 
«Non esattamente. Il signor Villa era egli stesso un membro della setta e, quando ha tentato di uscirne, è stato vittima di due tentativi di omicidio. È stato posto sotto tutela delle forze dell’ordine ed è entrato nel programma protezione testimoni. Purtroppo, la sua denuncia non ha mai avuto riscontro. Nessuno mai è riuscito ad arrestare i capi della setta e lui – oltre a quei due nomi – non ne ha mai fatti altri. Essendo a rischio di vita, è stato trasferito in una località ignota. L’anno dopo l’inchiesta fu archiviata, ma il pericolo era sempre reale e non gli fu permesso rientrare in Lombardia.»
 
«Oh, mio… non ho parole. E la setta che fine fece? Fu smantellata?» Chiese un Ernesto sempre più allibito e curioso allo stesso tempo.
 
«Avendo potuto consultare gli archivi investigativi e avendo anche parlato con uno dei poliziotti che partecipò all’operazione, posso rispondere con precisione a queste domande. Per quanto riguarda la sede dove si riunivano con i vostri genitori… sì. L’area boschiva e il casolare stesso furono posti sotto sequestro. All’interno vennero ritrovati manufatti antichi, probabilmente usati per degli strani riti, simboli dipinti sul pavimento e quadri inquietanti alle pareti. Tutto lasciò presupporre che fossero scappati in fretta – probabilmente grazie a una soffiata anonima – e non avessero avuto il tempo di radunare tutti i loro averi.»
 
«E cosa ci dice della setta?» Insistette lui.
 
«Sparita nel nulla. Ma questo non vuol dire che non sia più attiva altrove. Sono sicuro che avranno aumentato il livello di segretezza e che siano divenuti ancora più subdoli e selezionatori.»
 
Era un incubo. Quando insieme a Elisa avevano dato il mandato al Redaelli di indagare sul motivo del gesto insensato dei loro genitori – ovvero la rinuncia alla figlia femmina resa adottabile – Ernesto non si sarebbe mai aspettato una tale scoperta.
Guardò la gemella che appariva riflessiva. Ormai aveva imparato a conoscerla e quando si concentrava su qualcosa, le si formava una ruga marcata tra gli occhi. Più, era seria, più si accentuava il solco e ora, era molto visibile. La stessa cosa accadeva a suo padre. Stava per dirle qualcosa quando lei l’anticipò, rivolgendosi al professionista.
 
«Non capisco come abbiano fatto a farsi tirare dentro. Eppure, erano anche persone intelligenti e pragmatiche e il loro successo professionale lo conferma» rifletté a voce alta.
 
«Ho una domanda per lei signor Redaelli» e quando vide l’uomo annuire continuò «perché mio fratello non è stato coinvolto nella setta? Non era logico che i figli dei membri stessi, ne facessero parte a loro volta?»
 
Brava Elisa, richiesta sensata e giusta, lui non ci aveva neanche pensato. Era curioso di scoprirne il motivo.
 
«Questo è un interrogativo a cui non so rispondere. Dovete porlo al signor Villa, che saprà, certamente, cosa dirvi in merito.»
 
Ehi, un momento. Cosa aveva appena detto? No, era impossibile che… aprì la bocca per chiederglielo, ma fu anticipato dal Redaelli, neanche gli avesse letto nel pensiero.
 
«Ho saputo tutte queste cose da lui in persona» lo informò l’investigatore.
 
Incredibile! Quasi stentava a credere alla fortuna che avevano avuto.
 
«È ancora vivo? E dove si trova?»
 
«In una casa di riposo a Milano. I poliziotti, gli diedero una nuova identità e lo spedirono a vivere in un’altra regione – e precisamente in Veneto – dove incontrò quella che poi divenne sua moglie. Ha avuto una figlia che si è trasferita a Milano pochi anni fa e lui, rimasto vedovo, l’ha seguita. Ormai non c’era più pericolo per lui e così ha potuto ritornare. Purtroppo, soffre di Parkinson ed è stato alloggiato lì, non potendo più gestirlo a casa. Anche se la figlia mi ha assicurato che lo vede tutti i giorni, essendo a due passi da casa sua. È accudito bene e ha una memoria formidabile, l’ho constatato di persona quando sono andato a trovarlo la settimana scorsa. Mi ha raccontato tutto con le lacrime agli occhi e ha chiesto la visita del suo caro nipotino Ernesto, ci terrebbe tanto.»
 
Lui sorrise all’uso di quel termine. Nipotino. Sì. Zio Dario lo chiamava così e riusciva sempre a farlo ridere. Era una persona gentile e tranquilla. Per questo gli risultava difficile capire come avesse potuto fare parte di una setta.
 
«Se mi passa l’indirizzo, ci andrò volentieri. Mi farebbe molto piacere rivederlo e poi, a questo punto, anch’io avrei due domandine da fargli» rispose.
 
«E io verrò con te» lo spalleggiò la sorella con l’aria di chi non si deve contraddire. «Signor Redaelli, quando ci ha convocati qui, ci ha anche detto che aveva bisogno del nostro consenso per procedere o meno nelle indagini. Cosa intendeva dire?»
 
 
                                                                                                                     &&&
    

Certo che quella donna non mollava mai. Per essere la gemella di un uomo pacato e posato come Ernesto, sapeva essere implacabile. Era davvero un peccato che i loro due sconsiderati genitori li avessero divisi in fasce.
Avrebbe tanto voluto chiudere subito quella storia – dopotutto il suo lavoro l’aveva svolto egregiamente e in meno tempo rispetto al previsto – ma non poteva, non ancora e così… sì, aveva bisogno del loro consenso per…
 
«Mi chiedevo se volete che scavi un po’ più a fondo sulla questione o se preferite che concluda qui.»
 
Ci stavano pensando, lo poteva vedere dagli sguardi che i suoi due clienti si scambiavano. Sguardi confusi, speranzosi. Quei due riuscivano a comunicare anche senza parole, incredibile come fossero in sintonia dopo soli pochi mesi dalla loro riunione. Tuttavia, non era pronto alla risposta che gli diedero.
 
«Grazie, Signor Redaelli – e dico sul serio – se non era per lei, non avrei mai ritrovato la mia gemella perduta e non avrei conosciuto la sua bella famiglia, ma… al momento dobbiamo ancora digerire questa notizia bomba che ci ha appena dato e…» gli disse Ernesto.
 
«… abbiamo bisogno di tempo per riordinare le idee, pensare alla sua proposta e darle una risposta. Possiamo ricontattarla noi? Nel frattempo, le faremo avere il pagamento con la modalità che preferisce» concluse per lui Elisa.
 
Era giusto. Non aveva considerato le emozioni dei due Roversi. Dannazione. Era stato così preso dalla sua indagine e dal volerla proseguire a tutti i costi che aveva dato per scontato di ricevere il via libera.
 
«Sì, avete ragione e mi scuso per la mancanza di tatto. Vi farò avere la mia parcella in settimana.»
 
«Allora siamo d’accordo» gli disse Ernesto e poi aggiunse «scusi, mi chiedo quale sia il motivo che la spinge a volere continuare le indagini. Ormai sappiamo cos’è successo e questo era il suo compito principale quindi…»
 
«Deformazione professionale. Non mi piace lasciare le cose a metà, ma rispetto il vostro volere e metto in pausa tutto fino a vostro ordine. Ora, siete rimasti soddisfatti del mio operato?»
 
Se i due fratelli avevano qualcosa da dirgli sulla frase che si era lasciato scappare, non lo diedero a vedere e gli ultimi momenti con loro, prima di congedarli, li passò a parlare dell’importo finale e del metodo di pagamento. Tutto sommato quell’indagine era stata un successo e poteva ritenersi quasi soddisfatto, quasi.
 
 
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Pazzesco. Elisa non trovava altra parola per definire tutto quello che era appena capitato a loro. Non poteva crederci. Era stata ceduta per una stupida regola di una stupida setta cui i suoi stupidi genitori facevano parte.
Lei ed Ernesto avevano fatto tutto il viaggio di ritorno in silenzio – che altro si poteva dire che non era già stato detto? – e ora erano arrivati nei pressi dell’abitazione del fratello. Non riuscivano a scendere dall’auto e fissavano entrambi un punto vuoto, voltandosi ogni tanto a fissarsi.
Be’, doveva farsi coraggio e dire qualcosa, qualsiasi cosa.
 
«Credo… credo che non dovresti rimanere solo stasera. Siamo una famiglia, ora e come tale dobbiamo sostenerci a vicenda, sempre.»
 
«Grazie, ma ne ho bisogno. Devo riflettere. Vedi, sorella, non sei tu quella che è vissuta con i nostri genitori e che si è vista crollare il mondo addosso nell’ufficio dell’investigatore. Quello che ci ha detto… è sconvolgente, è vero, ma per me lo è il doppio. Riesci a capirlo?»
 
Sì, ci riusciva benissimo. Era dura per lei, ma per Ernesto doveva essere ancora peggio. Dopotutto, aveva ragione.
 
«Va bene, ma domani passi a pranzo e non provare a rifiutare.»
 
«Non ci penso neanche e chi rifiuterebbe un pasto preparato da una cuoca talentuosa come te» le disse per stemperare il clima e facendola ridere.
 
E quando stava per rispondergli con una battutina sulla sua di goffaggine ai fornelli, si accorse di una cosa e glielo fece presente.
 
«Fratello, quando sei uscito hai lasciato aperta una finestra, per caso?»
 
«Em… no, perché?»
 
«Be’, perché quella della sala lo è.»
 
Poi, prima che potessero scendere dall’auto, entrambi notarono qualcuno uscire sul balcone dalla portafinestra e guardarsi in giro. Elisa non riusciva a inquadrare chi fosse, ma Ernesto sì. Si affrettò ad aprire la portiera, di nuovo sorridente e urlò un saluto.
 
«Papà! Finalmente, cavoli. E poi sarei io quello che non risponde mai alle telefonate, vero? Ti avrò lasciato una marea di messaggi e chiamato come minimo tre volte. Ero preoccupato, non è da te sparire così, ma dov’eri finito?» Poi, accorgendosi che non era solo disse «Tu sei mia zia, vero?»
 
Suo nipote Bruno era tornato e proprio nel momento giusto. Ora sì che la famiglia era al completo.
   
 
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