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Autore: Rhiannon80    13/05/2021    0 recensioni
Il 17 novembre 1558 era un giorno come un altro per Elisabetta Tudor. Tranne, ovviamente, che fu il giorno in cui divenne regina
Genere: Drammatico, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
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Un giorno come un altro


Con un grido e gli occhi sgranati per la paura, Lady Elisabetta si risvegliò dal suo incubo. Il cuore le batteva all’impazzata nel petto e inspirava ed espirava convulsamente. Le ci volle un po’ per calmarsi abbastanza da essere in grado di respirare di nuovo normalmente, ma non riuscì a dissipare completamente il panico. Era il suo compagno costante da mesi da quando era stata rinchiusa nella Torre di Londra dalla sorellastra Maria. Anche se l’aveva perdonata e aveva convertito la prigionia di Elisabetta in arresti domiciliari, viveva sempre con il timore che la regina cambiasse idea e togliesse di mezzo la scomoda sorella.


Quando finalmente il tremito si placò tanto da potersi alzare dal letto senza crollare a terra, Elisabetta gettò da parte le coperte, appoggiò i piedi sul freddo pavimento di legno e si avvicinò alla finestra, da dove lasciò vagare lo sguardo sul nudo giardino autunnale. Il suo viso si rifletteva sul vetro graffiato della finestra e sebbene fosse il suo stesso riflesso, sembrava alla principessa come se una sconosciuta da un altro mondo la stesse fissando dal vetro. l’anno che aveva trascorso nella Torre aveva lasciato il segno su di lei, sia fisicamente che mentalmente, facendola sembrare più vecchia dei suoi venticinque anni.


Ciononostante faceva tutto ciò che le era stato chiesto. Aveva rinunciato alla sua convinzione eretica, assisteva coscienziosamente alla messa in latino, inghiottiva faticosamente il pane, che era decisamente solo pane, e si confessava regolarmente. Ma questo non sembrava essere abbastanza per la sospettosa Maria. Più e più volte cercava prove che la conversione della sorellastra fosse solo una farsa, che lei continuava a seguire gli insegnamenti eretici in cui aveva creduto anche sua madre.


Com’era ipocrita da parte sua negare agli altri quello che le era stato concesso di fare nella sua ora più buia. Perché durante il breve regno di suo fratello Edoardo, a Maria fu permesso di praticare liberamente la sua fede cattolica, anche se Edoardo era un fervente seguace della nuova fede. Aveva accettato che la sorella maggiore fosse ancora attaccata agli insegnamenti papisti e non aveva cercato di imporgli la sua, anche se sarebbe stato un suo diritto come re.


I suoi pensieri cupi furono interrotti quando, apparentemente dal nulla, una mano si posò delicatamente sulla sua spalla. Allarmata, si bloccò per un attimo, poi lentamente girò la testa e sospirò sollevata quando vide che era solo la sua cameriera.


Chiedo scusa, Vostra Grazia, non volevo spaventarvi. Ma vi ho sentito urlare e volevo vedere se stavate bene,” disse la cameriera, tenendo lo sguardo abbassato davanti alla sua padrona.


Elisabetta sentì la rabbia salire dentro di lei. Non le piaceva quando gli altri la sorprendevano in un momento di debolezza. Non poteva permetterselo, non se non voleva perdere il rispetto delle persone intorno a lei. Finché sua sorella sedeva sul trono dell’Inghilterra, non era altro che una prigioniera nel proprio paese, costantemente sotto stretta sorveglianza.


Così si raddrizzò come meglio poteva, guardò la ragazza dritta negli occhi senza battere ciglio e disse freddamente e altezzosa: “Va tutto bene, Grace. Ma visto che sei già qui, renditi utile e aiutami a vestirmi.”


La giovane la guardò dubbiosa ancora per qualche istante, come se non credesse veramente a quello che aveva detto la sua padrona, sembrava volere dire qualcosa, ma poi cambiò idea e senza una parola l’aiutò con la toelettatura mattutina.


La principessa trovò il silenzio confortevole perché le consentiva di raccogliere le sue forze per il giorno a venire, e pregò in silenzio Dio ad aiutarla in tutte le prove che quel giorno avrebbe portato.



Più tardi quel pomeriggio Elisabetta sedeva alla sua scrivania e cercò di concentrasi sulla corrispondenza, ma non ci riuscì. Ancora una volta il suo sguardo vagò verso la finestra e il paesaggio al di là. Una leggera brezza faceva frusciare le poche foglie che erano ancora appese agli alberi e faceva girare le nuvole in modo che alcuni raggi di sole riuscivano a penetrare sotto. Il tempo era insolitamente mite per la metà di novembre e praticamente invitava a fare una passeggiata nel parco autunnale.


Presa la decisione, si alzò dal suo posto, afferrò un libro da leggere all’aperto e corse dritta alla porta d’ingresso per uscire quando all’improvviso una voce maschile la fermò.


Posso chiedervi dove Vostra Grazia si propone di andare?”


Al suono di quella voce Elisabetta sussultò di rabbia repressa, perché apparteneva a Sir Henry Bedingfield, l’uomo incaricato della sua sorveglianza, con cui si era scontrata molte volte. Anche questa volta era riuscito a rovinare il bel pomeriggio con una sola frase, ma lasciar andare il suo dispiacere avrebbe solo peggiorato le cose. Così si voltò con un sorriso forzato sul viso e guardò l’odiato Sir Henry dritto negli occhi.


Non che siano affari vostri, Sir Henry,” disse con una voce da cui era facile sentire il disprezzo, “ma vado a fare una passeggiata in giardino. Se volete scusarmi...” si voltò e aprì la porta che conduceva alla tanto agognata libertà.


Sir Henry rimase a bocca aperta, ma si ricompose rapidamente. “Non così di fretta, Vostra Grazia,” gridò e fu da lei con pochi passi, bloccando il passaggio con la sua figura tozza. “Ho ricevuto precise istruzioni da Vostra sorella, Sua Maestà, la regina, di non farvi uscire di casa senza che nessuno vi accompagni!”


Elisabetta inarcò le sopracciglia incredula. Non riusciva a credere alla sfrontatezza di questo nuovo ricco papista. Come osava parlare in quel modo a un membro della famiglia reale. Una rabbia cieca crebbe in lei e le fece dimenticare tutti i buoni propositi che aveva appena preso.


Vi dimenticate, Sir Henry!” sibilò piano. “Non pensate che solo perché mia sorella vi ha nominato mio guardiano, avete il diritto di dettarmi regole che vadano oltre la vostra autorità. Sono ancora una Tudor e mi aspetto che mi venga dato il rispetto che merito. Ci siamo intesi?”


I suoi occhi scuri lo fissarono con rabbia così che l’uomo fece un passo indietro. c’era perplessità e confusione nel suo sguardo, come se non sapesse come reagire a questa ovvia provocazione. Ma sembrò giungere alla conclusione che fosse meglio cedere. Quindi annuì semplicemente la testa con soggezione, si inchinò leggermente e si fece da parte in modo che lei potesse uscire.


Non appena Elisabetta fu fuori, corse più veloce che poteva verso il suo posto preferito, una vecchia quercia, dove poteva pensare indisturbata. La piccola vittoria che aveva appena ottenuto le aveva lasciato un retrogusto amaro in bocca. Era stanca di dover sempre stare all’erta e difendersi dalle calunnie e male lingue. Di dover sempre stare attenta a quello che diceva o faceva per paura che qualcosa veniva interpretata male, così da dare ai suoi avversari a corte la munizione di cui avevano bisogno, per screditarla agli occhi di Maria, in modo da cadere ancora più in disgrazia di quanto già non fosse. Poi scosse la testa per dissipare quei pensieri malinconici, aprì il libro e iniziò a leggere.



Non sapeva quanto tempo fosse passato quando finalmente alzò gli occhi dalle pagine del suo libro. La posizione del sole indicava che doveva essere tardo pomeriggio. Mentre stava ancora pensando a cosa fare, se restare lì o piuttosto tornare in casa, Elisabetta sentì improvvisamente il rumore di passi. Stupita, si alzò dal suo posto per vedere meglio chi stava arrivando, ma da quella distanza non si vedeva nulla. Mentre i passi si avvicinavano, si rese conto che si trattava di un gruppo di uomini che camminava intenzionalmente nella sua direzione. Pochi istanti dopo, i loro volti erano così vicini che lei poteva riconoscerne alcuni. Erano per lo più membri del consiglio della corona, guidati da Sir Henry, che mostrava la strada per trovarla.


Alla vista degli uomini il suo stomaco si contorse dolorosamente e una brutta sensazione si insinuò dentro di lei, anche se si persuase a rimanere calma e non saltare a conclusioni affrettate finché non conosceva tutti i fatti. Probabilmente c’era una ragione semplice e innocente per l’improvvisa apparizione del Consiglio a Hatfield. Ad esempio… ma per quanto si sforzasse, non le veniva in mente nessuna ragione semplice. l’unica cosa che aveva senso per Elisabetta era che la regina aveva finalmente deciso di sbarazzarsi dell’odiata sorellastra rinchiudendola nella Torre e poi, dopo un processo farsa, condannarla a morte sul patibolo.


all’improvviso, però, sentì crescere dentro di sé una forza nuova, che rimpiazzò la disperazione e la rassegnazione. Non importa cosa sarebbe successo, l’avrebbe sopportato con onore e a testa alta, come si conviene a una principessa inglese. Presa questa decisione, andò incontro agli uomini, e quando si trovò di fronte a loro, Elisabetta li salutò freddamente con voce calma, senza mostrare la minima emozione.


Mylords, a cosa devo l’onore della vostra visita?”


Un uomo uscì dal gruppo. Era William Cecil, uno dei suoi seguaci più stretti e fedeli. La guardò con un’espressione che non riuscì a interpretare e si inchinò profondamente prima di annunciare: “Vostra Grazia, siamo venuti per portarvi notizie tristi. La nostra amata regina Maria è deceduta oggi.”


A queste parole Elisabetta rimase stupefatta, come colpita da un fulmine. Si era aspettata tutto, tranne una simile notizia. Sapeva che le condizioni di salute di Maria non erano le migliori, però non pensava stesse così male. Elisabetta voleva dire qualcosa, voleva chiedere come era successo, ma non riuscì a dire una parola. Il suo shock aumentò alle successive parole di Cecil.


Milady, ora siete la regina d’Inghilterra!”


A questo annuncio tutti i presenti si inchinarono e gridarono: “Lunga vita alla regina!”


La ragazza li fissò senza comprendere, non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito. Solo pochi attimi fa aveva creduto di venire giustiziata nella Torre come traditrice e ora era la nuova regina. Fu solo quando Cecil allungò la mano per porgerle l’anello da sigillo dei re d’Inghilterra che capì che niente di tutto questo era un sogno. Era davvero la nuova regina, si sarebbe seduta sul trono che un tempo era appartenuto a suo padre. Lentamente lo stupore lasciò il posto alla gioia e quando si voltò per parlare agli uomini riuniti, la sua voce era ferma e sicura.


Ciò è stato fatto dal Signore ed è un miracolo ai nostri occhi!”

  
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