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Autore: coopercroft    13/05/2021    0 recensioni
Ritrovare un padre dopo anni di abbandono e adozioni, finite spesso male. Sherrinford ha un nome eccentrico, come tutti nella sua singolare famiglia. Un padre chiamato “Ice Man”, una zia Eurus rinchiusa in una fortezza e uno zio detective famoso : Sherlock Holmes. Come potrà adattarsi a vivere con loro? Dopo anni di vita fisicamente disastrosa al limite dell’autodistruzione. Ritrovare un affetto stabile lo aiuterà a superare il dolore e i torti subiti?
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Non so quanto ho dormito, ma sento aprire la porta della stanza e malamente distinguo John con Rosie in braccio, che si affacciano.

“La piccola peste insiste per stare un po' con te. Che ne dici? Ti senti di farla restare?”  Mi affaccio da sotto la coperta e vedo il visino di Rosie imbronciato, già mi sento meglio mentre la guardo sorridendo. “Va bene cugina, vieni ti faccio posto.”  John è più felice della figlia, mentre la mette giù e lei trotterella verso di me.

“Tra un’ora ceniamo e ci siamo tutti.”  Annuisco, mentre faccio salire Rosie sul letto. “Ci sarò.” Non aggiungo altro, credo di aver già sprecato ogni scusa.

John se ne va con l’aria distesa, mentre sua figlia si infila nel letto agitando un libro di fiabe. Appena il padre scompare mi guarda seria. “Che hai fatto? Sembrano tutti tristi. Papà ha sgridato Sherlock, ha detto che sei fragile, che puoi romperti come il vetro.”

 Mi prende il volto con le manine. “Non mi sembra che sei di vetro. Cosa vuol dire? Che se cadi, ti rompi?”  Non riesco a risponderle subito, però le accarezzo la testolina bionda. “Vuol dire che sono pieno di paure e faccio delle cose stupide. Mi arrabbio per ogni cosa che mi fa sentire triste.”

Rosie stringe la piccola bocca. “Ma io ti voglio bene, perché devi avere paura? Io non ti lascerò mai.” Mi abbraccia così forte che mi soffoca. “Nemmeno tu mi lascerai vero? Me lo hai promesso.” Lo sussurra all’orecchio, mentre la stringo anch’io. “Lo farò, ma ora leggiamo la tua favola, presto John ci chiamerà per la cena.”  Si calma e si stende vicino, mentre inizio la sua storia.  Non so per quale motivo stare con lei mi calma, mi rende sereno e riduce la mia tensione.

John lo sa, è per quello che l’ha portata da me. 

La favola della piccola cugina si sparge per la stanza, il mondo brutale di Auberton  se ne esce dalla finestra come fosse assorbito da un enorme imbuto. Tutto il resto rimane dentro, pieno di posti fantastici, di castelli, di draghi, di principi azzurri e principesse adorabili.

Io, sono un principe coraggioso dall’armatura lucente, che combatte un drago cattivo, che sputa fiamme e che brucia i poveri contadini. Alla fine ne esco vittorioso, e sposo la mia principessa di nome Rosamund, bionda e con le trecce lunghe. Dio, come sarebbe bello che fosse vero!

Che fosse tutto così semplice. Ma non lo è.

Non lo è mai, sir Auberton il drago, di solito ingoia tutto quello che gli sta intorno e brucia ogni speranza, lasciando cenere e rimpianti. Io non sono coraggioso come il principe e non vincerò.

Rosie percepisce qualcosa, si gira a guardarmi. “Ci devi credere Sherrinford, altrimenti non vale, il drago ti mangerà.” Gli occhi le si fanno umidi, la avvicino cercando di tranquillizzarla, inizio a farle il solletico. Ride e si dimentica tutto. Giochiamo a fare la lotta fino a quando non ci chiamano per la cena.

Le dico di uscire che devo vestirmi.  Chiamo Serge, devo mettere fine a tutta questa storia, nel bene o nel male.

Sono veloce. Lo incalzo che ho bisogno di vederlo, perché temo che mio padre si insospettisca, dopo quello che ha visto Anthea. Ho fatto una cazzata che devo rimediare in fretta. Gli ho sottratto tutte le password a sua insaputa, ma aveva delle contro misure e dobbiamo sbrigarci, perché sono a tempo, diciotto ore al massimo.

 Lo devo incontrare entro domani. Ci accordiamo per le dieci, mi preleva lui.  Chiudo la chiamata e mi sento tremare. La paura è una brutta bestia, inizio a sudare e mi passa la fame. Penso malinconico che potrebbe essere la mia ultima sera. Non so perché ho questo maledetto presentimento.

John entra nella stanza e vede la mia faccia contratta. “Hai chiamato Serge?”

“Sì, e ho una fottuta paura, ma non dire nulla agli Holmes. Non voglio che lo sappiano, so che poi capirmi.”

“Posso capire che sei un Holmes anche tu, stupido.” Si punta con le braccia conserte sulla porta, e sorride ironico.

“Finisci sempre per offendermi, dottore.” Non posso che ridere, ormai hanno finito il repertorio degli insulti.

“Stai tranquillo, vieni a mangiare. C’è anche tuo padre, cerchiamo di rimanere sereni, ok?”

Mi prende per le spalle, e mi abbraccia. “Avanti Sherrinford, andrà bene.” Gli tremo addosso, lui mi accarezza le spalle. Poi si stacca e mi allunga un buffetto sulla guancia.  

Quando esco sono tutti presenti, Rosie è presa dalle sue bambole. Papà e Sherlock al solito posto di fronte al camino, lo zio pizzica il violino mentre parla con lui. John è in cucina, ormai è il cuoco di casa, ma sembra non dispiacergli. Mi avvicino ai due Holmes.

“Domani alle dieci Serge mi viene a prendere due strade più in là.”

Mi fissano entrambi, Sherlock vede la mia guancia segnata e stringe le labbra, appoggiando il violino.

“Sei sicuro di farcela?”  Mycroft mi guarda severo, dopo quello che ho fatto non si sente tranquillo. Lo rassicuro perché è ora di sistemare quel viscido di Auberton.

“Papà, voglio finire questa storia. Domani devo chiudere tutto.” Sherlock approva, annuisce lentamente con le mani incrociate sotto al mento, mentre Myc lo osserva intuendo una leggera tensione.

“C’è qualcosa che devo sapere?”  Sogghigna fissandoci entrambi.  “Da come vi guardate!”

“No, niente.” Scuoto la testa. “Nessun problema papà.”  Sherlock annuisce, non vuole distrarre il fratello con inutili discussioni su quello che è successo.

“Bene, allora se non c’è nulla, chiaritevi. Vado ad aiutare John.” Mugugnando sarcastico si alza velocemente. È   lo “smart one,” legge dentro al fratello come fosse un libro aperto. Infatti sorride e mi fa segno di sedermi.

“Impossibile nascondergli qualcosa, Hayc, quindi smettila di angustiarti e andiamo avanti, dimentica quello che è successo. Dammi del tempo.” Mi appoggia la mano sul ginocchio. “Vedi di non farti del male domani. Pensa anche a te.”

“Siete la mia famiglia zio, non ho altro. Darei la vita adesso per tenervi vicini. E soprattutto per papà.”

Abbasso la testa, e porto la mia mano sulla sua. “Se mi succede qualcosa, stagli vicino ora che vi siete riconciliati, conto su di te.” Apre la bocca per dire qualcosa, ma mi alzo di scatto e vado verso la cucina.

Per tutta la sera evito qualsiasi discorso su quello che mi aspetta domani.

Prima che papà vada a casa, lo aiuto a indossare il crombie nero. Gli porgo l’ombrello.

“Notte papà. Sai che ti voglio bene.” Non ho quasi voce, lo abbraccio stretto, senza dargli il tempo di sorprendersi. Poi volo rapido a chiudermi in camera.

 

 

 

 

 

   
 
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