Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Saelde_und_Ehre    14/05/2021    5 recensioni
Polonia, settembre 1939.
L'offensiva tedesca è appena iniziata: i bombardieri sorvolano il cielo come oscuri presagi di morte, le truppe terrestri avanzano mietendo un successo dopo l'altro. Assediata su due fronti, dopo una strenua resistenza, la Polonia è costretta a capitolare.
Il tenente Friedrich von Kleist e il maggiore Hans Bühler sono due ufficiali di fanteria della Wehrmacht che prestano servizio nell'operazione. Il primo è un idealista, la cui condotta cavalleresca spesso si scontra con la ferrea disciplina dell'esercito; il secondo è un giovanissimo comandante di battaglione che si è fatto rapidamente strada nei ranghi dello Heer. Sono partiti per la guerra animati dai migliori propositi, ma presto entrambi dovranno scontrarsi duramente con un dilemma all'apparenza irrisolvibile: fino a che punto è lecito sfidare la ferrea disciplina dell'esercito, in nome di ciò che si reputa giusto?
Una storia di cameratismo e di guerra, con molta azione e una buona dose di angst, in cui Eros e Thanatos s'intrecciano, ancora una volta, indissolubilmente.
Genere: Angst, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

XXI.
Doch wer sein Eigenstes bezwingt, dem ist das schönste Los gefallen.
(parte seconda)

 

La boscaglia era così fitta che i pochi raggi del sole, infiltrati a fatica tra i rami intricati, sembravano irradiare una luce giallastra. Erano in marcia dall’alba, nel freddo pungente d’inizio febbraio, e gli stivali chiodati facevano crepitare lo strato friabile di neve e vegetazione morta. Nelle retrovie, i soldati intonavano canzoni militari della Grande Guerra, con gli zaini pesanti sulla schiena e le vanghe da trincea appese alla cintura.
A un cenno del capitano Bühler, la schiera si fermò e von Kleist lo affiancò.
Con una mano avvolta in una benda sporca di sangue, Hans sollevò il binocolo e scrutò al di là degli alberi: si era ferito con un frammento di roccia mentre strisciavano sotto i reticolati, tra i sassi appuntiti, e l’aveva medicata alla bell’e meglio rifiutando l’aiuto di chiunque.
Tra le voci dei soldati che confabulavano, in attesa di un ordine o di un responso, il tenente colse quella di Schneider: “Non fatevi domande: non potrete mai capire cosa frulla per la testa dell’uomo di ferro.” Capì subito a chi si riferiva, e sorrise interiormente al pensiero della serata trascorsa insieme a lui: tutte le maschere e i filtri erano crollati come inutili orpelli, ed entrambi si erano mostrati l’uno all’altro nella loro essenza più genuina.
“Non è questo il percorso giusto…” borbottò Hans. Estrasse la mappa dal portadocumenti e la spiegò di fronte a sé per mostrargliela, indicando col dito un punto privo di riferimenti. “Noi dovremmo essere qui, in mezzo alla foresta… ma siamo quasi arrivati al limite estremo, e la destinazione dovrebbe essere da tutt’altra parte. Di questo passo ci toccherà accamparci all’aperto.”
Le ombre della foresta si allungavano a vista d’occhio, e la luce trafiggeva gli alberi coi suoi strali dorati. Mancava poco al tramonto.
Friedrich si fermò dietro di lui e studiò la cartina per qualche istante, in silenzio: ettari ed ettari di bosco, contrassegnati da un’uniforme macchia scura, la striscia azzurra di un fiume, qualche chiazza gialla e una cornice verde pallido che separava i rilievi da un’altra foresta. Nessun sentiero tracciato, nessun avamposto: in quasi dodici ore di marcia, al di là degli ostacoli per le prove fisiche, avevano incontrato solo boschi, stagni, paludi, campi, fossi e qualche casolare sperduto. La destinazione – o meglio, il luogo di ritrovo – non era indicata, né avevano idea di come raggiungerla; sapevano soltanto che si trovava a nord. “Non se cerchiamo una scorciatoia, signore,” disse infine.
Hans lo scrutò da sopra la spalla. “Cos’ha in mente, von Kleist?”
Friedrich gli rivolse uno sguardo significativo, come a volerlo esortare a fidarsi di lui. “Forse ho capito dove si trova il rifugio.”
Egli acconsentì con un cenno del capo e il tenente iniziò a esporgli il suo pensiero.

Alla fine, erano riusciti ad arrivare al rifugio prima dell’ora di cena, muovendosi tra i declivi scoscesi e i sassi di un ruscello, di cui avevano sfidato le acque gorgoglianti. Era stato l’istinto a suggerire a Friedrich la direzione giusta, e sempre l’istinto a guidarlo mentre cercava di orientarsi quando ormai solo le torce potevano illuminare la marcia.
Hans ripercorreva le tappe dell’esercitazione mentre, uscito dalla caserma, camminava fianco a fianco col tenente per le strade di Potsdam. Come due semplici ufficiali, discorrevano di tattica bellica e vita militare, mostrandosi impassibili dinanzi agli occhi dei passanti.
Così discorrendo, arrivarono nel parco in cui avevano ritrovato Hubert: c’era ancora qualche residuo di neve ai lati del vialetto, ma il vento che spirava era più tiepido e il cielo trapunto di stelle era sereno. Non c’era quasi nessuno in giro, data l’ora di cena; un uomo in bicicletta con un giornale sottobraccio sfrecciò fischiettando accanto a loro, per poi passare oltre senza neanche vederli. Passeggiarono per un po’ tra gli alberi, riluttanti a separarsi, poi si sedettero su una panchina alla luce di un lampione. Hans infilò le mani nelle tasche del cappotto, lo sguardo fisso di fronte a sé. “Lavoriamo bene insieme, io e te,” gli disse.
Non era la prima volta che von Kleist lo assisteva coi suoi consigli mentre lui si occupava di pianificare le strategie, e non si stupiva più nel constatare che, molte volte, le previsioni del tenente venivano confermate dal successivo svolgersi delle azioni. Era come se si completassero a vicenda, come se collaborare li portasse a ottenere risultati più efficienti nella metà del tempo. Friedrich aveva del potenziale e, da quando avevano deciso di unire i loro sforzi e i loro intenti, glielo aveva mostrato con la massima naturalezza.
“Quando sono stato trasferito in questa compagnia, l’anno scorso, ero scettico…” gli confessò. La sua mente rivide il tenente che lo fissava risentito dopo il loro primo alterco nel cortile, riprodusse le sue parole insolenti come in una registrazione; poi ripensò a lui che avanzava verso l’obiettivo, guidando i soldati attraverso i luoghi più impervi con la sicurezza di un esploratore e il volto sporco di terra, e quando, finalmente da soli, lo aveva convinto a fargli vedere la fasciatura alla mano: era stato proprio lui, nonostante la sua reticenza, a disinfettargli il taglio e cambiargli le bende. “Ma adesso, penso di aver fatto la scelta migliore quando ho deciso di seguirti… e tu hai fatto lo stesso con me.”
Dopo un breve silenzio, l’altro annuì. “È una cosa che non ti ho mai detto, ma lo penso da tempo anch’io.”
Il capitano si voltò verso di lui, poggiando un gomito sullo schienale. “Davvero?”
“Sì. Se mai dovessimo partire per una guerra… spero di combatterla al tuo fianco.”
“Ne abbiamo tanta di strada da fare, insieme,” promise Hans, e in quel momento si rese conto che gli obiettivi comuni avevano rafforzato entrambi: in servizio continuavano a comportarsi come avevano sempre fatto, ma la loro intesa segreta era fatta di sguardi e parole non dette. Di nuovo si riaffacciò il desiderio di stare da solo insieme a lui, lontano da sguardi indiscreti e da convenzioni noiose, e la domanda gli fluì spontanea dalle labbra: “Stasera hai da fare?”
“No, e tu?”
“No. Ti va di vederci?”
Friedrich acconsentì con un sorriso. “Certo che mi va. Non fare complimenti: puoi venire da me tutte le volte che vuoi.”

Tutti gli occhi erano puntati su Manfred von Kleist, che sorseggiava il suo tè caldo con un vassoio di pasticcini in grembo. L’unico che non lo guardava era il principe Eugen von Schwerin, tornato dalla Spagna come lui: appollaiato sulla chaise longue, stava sfogliando una rivista militare sulla cui copertina figurava l’ultimo aereo da caccia adottato dalla Luftwaffe.
Era quello l’argomento di cui stava parlando l’aviatore, benché il suo uditorio fosse costituito da quattro ufficiali dell’esercito terrestre: Konrad e Friedrich della fanteria, seduti sul divano, Werner von Tannenberg delle Waffen-SS e Paul von Seydlitz della cavalleria, che fumava un sigaro con le gambe accavallate sulla poltrona vicino alla finestra. “Entreranno in servizio tra qualche mese, in dotazione al mio reparto,” diceva, con la voce vibrante d’entusiasmo. “Ne ho visto uno durante un volo di prova, ed è l’apparecchio più moderno e più veloce che ci sia in circolazione. Non vedo l’ora di pilotarlo, chissà come se la cava in battaglia!”
“Come hai detto che si chiama?” chiese Friedrich.
“Messerschmitt Bf 109.”
Von Seydlitz fece un sorrisetto ironico. “Cos’è, un nome in codice per la tua nuova conquista sentimentale?” Manfred lo trafisse con lo sguardo, ma il barone si strinse nelle spalle con fare teatrale: “Da come l’hai pronunciato, sembrava quasi che tu parlassi di una ragazza.”
“L’altro giorno Sabine von Osten gli ha chiesto di uscire, ma lui ha rifiutato,” rincarò Werner, prendendo un pasticcino dal vassoio dell’aviatore.
“Hai rifiutato Isotta? Sei pazzo, forse?” Paul si finse sconvolto; Friedrich e Konrad si scambiarono un’occhiata e scossero la testa, sorridendo sotto i baffi: stava per ricominciare una delle solite scene. “Quella è l’attrice più inavvicinabile di tutta l’Opera e tu te la fai scappare!”
“Non sono mica Tristano, io,” replicò Manfred.
“No, infatti sei Don Chisciotte. Più che altro mi chiedo perché, tra tutti quelli che si disperano per lei, abbia scelto proprio te che hai la testa tra le nuvole…”
“È un aviatore, Paul, le donne stravedono per gli aviatori,” disse Werner, con l’aria di declamare una verità universalmente riconosciuta. “Soprattutto se abbattono aerei nemici.”
“Eh, già: i tempi cambiano… una volta c’era il principe sul cavallo bianco, adesso c’è il cavaliere dei cieli. E tu che ne pensi, Eugen?”
“Io mi schiero con Manfred,” rispose l’interpellato, con aria imperturbabile. “Anche se ho altri interessi.”
“Sì, i bombardieri di picchiata,” intervenne Manfred, ghignando sarcastico. Friedrich si chiese se anch’egli avesse colto l’allusione del principe, se fosse a conoscenza di ciò che lui, Konrad e pochi altri sapevano, ma preferì non approfondire. “E sì, Paul, potrei fornirti una lista interminabile di motivi per cui l’ho rifiutata, ma tu non mi crederesti.”
“Oh, beh, ormai la conosco a memoria: non ti piacciono le donne di spettacolo, non ti interessano le avventure, e tutti i discorsi sulla donna ideale che esiste solo nei tuoi sogni…”
“Non credo di avere grandi pretese,” lo interruppe l’altro, con un’alzata di spalle.
“Finirai per fidanzarti con quella, come si chiama, Meisterin Schmidt.”
Manfred aggrottò le sopracciglia e fece una smorfia, fingendosi indignato. “Almeno gli aerei, a differenza delle tue amiche attrici, sono di sicuro più interessati a quello che ho da dire. E la loro compagnia è senz’altro più piacevole.”
Von Seydlitz scosse la testa con un sorrisetto. “E cosa ci sarebbe di più piacevole della compagnia di una fanciulla?”
“Noi piloti rischiamo la vita a ogni decollo, a ogni volo, a ogni atterraggio, ma ogni avventura è degna di essere raccontata.” Appoggiò la tazza e iniziò a gesticolare imitando il volo degli aerei, come per imprimere più forza nelle sue parole. “All’inizio di marzo sono stato colpito da un caccia sovietico e il mio motore ha preso fuoco, bruciando l’elica e l’intelaiatura delle ali. Era solo questione di tempo prima che le fiamme mi aggredissero anche la divisa, a una quota così bassa che non avrei potuto neanche paracadutarmi. Ma sotto di me c’era un fiume. Allora mi sono buttato, senza pensarci due volte… e mentre nuotavo verso la riva, con l’acqua che mi entrava dentro gli stivali, sono rimasto a guardare il biplano che precipitava come una trottola infuocata.”
Paul si fece serio: la divagazione, apparentemente, aveva ottenuto l’effetto sperato. “E poi?”
“E poi sono arrivati i comunisti. Mi sono nascosto tra i giunchi, aspettando che se ne andassero, poi sono tornato alla base… non ho mai ucciso nessuno con le mie mani.”
“E meno male che ti sei salvato,” commentò Schwerin. “Un mio camerata non è stato così fortunato… è riuscito a sopravvivere all’abbattimento per il rotto della cuffia, ma aveva ustioni così diffuse che quando è arrivato in ospedale era quasi irriconoscibile.” Posò la rivista capovolta sulla chaise longue e si avvicinò al gruppo, rimanendo in piedi di fronte a loro. “Ma non credete che la nostra permanenza laggiù si riduca a questo: la gente di quelle parti è solidale e ospitale, e poi si mangia bene. Abbiamo passato dei bei momenti, lontano dai campi di battaglia.”
Manfred annuì, pizzicando distrattamente i tasti del pianoforte con le note introduttive dell’inno della legione Condor. “Un giorno siamo riusciti ad arrivare addirittura fino al mare, insieme ad alcuni amici italiani e spagnoli. Era inverno, fine gennaio, ma non ci importava: ci siamo immersi in acqua e abbiamo fatto a gara a chi resisteva di più. Poi ci siamo accampati sulla spiaggia, abbiamo acceso dei fuochi sotto il cielo pieno di stelle, ci siamo raccontati storie e abbiamo cantato canzoni. È stata davvero una bella serata.”
“Ci siamo divertiti, altroché,” gli fece eco il principe Schwerin, e continuarono ancora a lungo a rievocare aneddoti della guerra civile spagnola.

L’arrivo della primavera aveva sciolto la neve, e la brezza della sera saliva fino alle finestre socchiuse del salotto di Friedrich von Kleist, soffiando lieve tra le tende trasparenti. Hans aveva preso l’abitudine di trattenersi da lui nelle serate libere dopo il servizio: in quei momenti, i gradi perdevano d’importanza e non sentivano il bisogno di parole superflue per ribadire l’ovvio.
Friedrich si sedette al pianoforte e iniziò a suonare, traducendo in musica l’inesprimibile. Alle proprie spalle percepiva la presenza del compagno, e in sottofondo gli giungeva anche il lieve raschiare della matita sul foglio, che trasformava i suoni in immagini. Erano note idilliache, ma anche potenti e drammatiche, in cui il pathos dei sentimenti s’intrecciava alla serenità eroica e creava armonie che non rimandavano alle antiche leggende, ma ne inventavano di nuove.
Era la storia di due cavalieri che, uniti da uno spirito di fratellanza che trascendeva ogni definizione umana, combattevano fianco a fianco per una causa condivisa. Quella continua ricerca non si esauriva mai, ma tendeva verso avventure sempre nuove e li spingeva a migliorarsi ogni giorno di più, come guerrieri e come uomini. Non era la fede religiosa a muoverli, ma un ideale senza nome né tempo.
Le note raggiunsero il picco massimo, richiamando la concitazione di una battaglia; s’innalzarono in un crescendo di tragedia, poi ripresero gradualmente ad abbassarsi: le armi venivano deposte e i due cavalieri ritrovavano la pace in un luogo segreto, che solo loro sapevano come raggiungere.
Terminata l’esecuzione, si voltò verso il compagno, ancora chino sul foglio. Gli si avvicinò e si sporse a sbirciare al di sopra della sua spalla mentre scuriva le ombre a matita, lasciando vaghi i dettagli che Friedrich riusciva a colmare con l’immaginazione. Hans rifinì le ultime sfumature, abbandonò la matita sul tavolo e gli mostrò l’opera finita: due querce secolari, come pilastri, facevano da cornice a un paesaggio che ricordava le foreste del Brandeburgo, dove due cavalieri teutonici – forse di ritorno da una battaglia, a giudicare dallo stendardo che uno dei due teneva adagiato sulla spalla – si allontanavano verso il Sole calante, lungo un sentiero che si smarriva tra gli alberi.
“Quelle foreste… sono quelle della tua regione?”
“Più o meno,” ammise Hans. “Sono quelle con cui ho più familiarità.”
Friedrich annuì, passandogli una mano tra le corte ciocche castane. “Un giorno mi piacerebbe vederle. Quest’estate potremmo…”
L’altro lo interruppe con un cenno sbrigativo, si alzò dalla poltrona e andò ad affacciarsi alla finestra, i gomiti appoggiati al davanzale. “Forse un’altra volta.”
“È successo qualcosa?” sussurrò il tenente, avvicinandoglisi.
“Sì, ma non ha davvero importanza, Friedrich.”
“Sai che con me puoi parlare.”
Seguì un lungo silenzio, poi il capitano esalò un sospiro. “Non corre buon sangue tra me e la mia famiglia. Ho fatto fallire l’attività di mio padre, lo studio legale che avrei dovuto ereditare, e me ne sono andato di casa diversi anni fa, perché nessuno approvava la mia scelta di arruolarmi nell’esercito. Ma ormai ci ho messo una pietra sopra, non rimpiango nulla.”
“Avresti dovuto diventare un avvocato?” chiese Friedrich, sbalordito.
“I miei avrebbero voluto così… ma io non mi ci vedo a difendere le cause perse di qualche cittadino facoltoso.” Si volse verso di lui, scrollando le spalle. “Tu mi ci vedi?”
“No, tu hai proprio la stoffa del soldato… dell’ufficiale che dà ordini anche fuori dalla caserma.
Il capitano rise insieme a lui, ma poi si fece subito serio. “Spesso mi chiedo come sarebbe stato se le cose fossero andate diversamente, ma posso solo accettare la realtà, con tutte le sue contraddizioni.”
“Non puoi cambiare il passato, ma puoi sempre provare a migliorare il futuro.”
“Ho sempre riposto molte aspettative nei confronti del futuro, ma cerco di stare coi piedi per terra e fare del mio meglio per dare valore al presente. Solo con costanza e perseveranza, giorno dopo giorno, potrò rendere migliore il presente che verrà. L’avvenire che ti crei è il risultato delle tue azioni, non il contrario.”
“Ma le azioni sono il risultato delle nostre decisioni, dei nostri pensieri, dei nostri ideali… e sono quelli che ci proiettano verso il futuro. Anch’io ci penso spesso.”
“E cosa vedi?”
Friedrich rifletté per un istante, mentre il vento della sera giocava coi suoi capelli. “Forse ne avevamo già parlato, tempo fa in caserma. Ecco, vorrei poter contribuire a creare qualcosa di nuovo… e magari, condividere tutto questo con qualcuno che crede nei miei stessi ideali.”
Seguì un lungo silenzio; la mano di Hans sfiorò la sua e i loro sguardi si incrociarono. “Non so dove saremo tra qualche anno, ma spero di essere ancora insieme a te: sei tu il mio futuro.”
Friedrich sorrise. “E tu sei il mio.”

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Saelde_und_Ehre