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Autore: Master Chopper    15/05/2021    6 recensioni
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Nell'epoca degli Stati Combattenti, il regno di Fiore si difende dai tentativi di invasione dell'Impero di Alvarez. In questo mondo immerso nel caos, giovani soldati si fanno largo mossi da grandi aspirazioni.
-Esperimento per vedere se si riescono a riportare in auge le storie ad OC-
-Fanfiction tributo a Lord_Ainz_Ooal_Gown-
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Prefazione:

Questo capitolo è stato scritto subito dopo il prologo, quindi non conterrà nessun OC, ma dei dettagli importanti sull’ambientazione di Fiore.

 

EREDITÀ DI UNA GUERRA

 

Il Fondo Polyushika, istituito dopo i brutali risultati dei primi anni di guerra a Fiore, agiva con il supporto della Regina Mavis stessa per dare sussidio alle famiglie le quali avevano perso uno o più componenti in guerra. Dopo almeno due generazioni dall’inizio della cosiddetta Epoca degli Stati Combattenti, nel piccolo regno si era contato un aumento spropositato degli orfani, spesso giovanissimi, tra i cinque ed i quindici anni.

Piccoli orfanotrofi, i quali fungevano anche da ostelli per madri vedove e scuole per l’infanzia, sorgevano quindi in tutto il territorio. Le località predilette erano non troppo distanti dai centri abitati, ma comunque immerse nella natura, come quello tra i pascoli del villaggio Shirotsume. Sin dall’alba, il silenzio nella vastità verde si illuminava di vita quando il sole faceva capolino da oltre il monte Hakobe: i cani pastori, i galli, il bestiame ed i contadini. Poi venivano gli addetti all’orfanotrofio, i quali si prendevano cura di quegli sfortunati, vittime di secondo grado dei piani di invasione dell’Impero di Alvarez.

Quasi sempre prima dell'ora di pranzo, dopo essersi mossa silenziosa come un’ombra tra i corridoi della struttura, una figura si andava a sedere sulla collina al di sopra dei campi. Capitava che qualcuno la notasse, e allora lei rispondeva con un sorriso. Non sapeva quanto quel sorriso donasse sicurezza agli occhi di chi la guardava.

La ragazza si spostò la treccia argentea davanti alla spalla, abbracciandosi le ginocchia per avvolgersi nel gilet di lana nera. Non le importava che i jeans scuri o gli stivaletti di pelle si sporcassero con la terra ancora inumidita dalla notte e dalla brezza del vento. I suoi occhi di cristallo protratti verso il mondo davanti a sé.

“La vita era molto più semplice quando tutto era così, no?” La interpellò una voce maschile. Apparteneva all’uomo in piedi accanto a lei, un’altra presenza che però tutti si precipitavano a salutare, non appena riconosciuta.

Lei sapeva che stava alludendo all’orfanotrofio: la stava mettendo alla prova. Era l’ennesima sfida quotidiana: “Ovvio. Ma era più semplice prima ancora.”

“Prima? Prima quando?” Lei rispose facendosi seria: “Prima che Alvarez mi togliesse la mia famiglia.”

A quel punto l’uomo sulla trentina non infierì. Non voleva prendersi gioco ulteriormente di una vittima di guerra, come del resto lo erano quei bambini laggiù che provavano ad avere una vita spensierata. Lui l’augurava a tutti loro una vita così, ma non di certo a quella ragazza. Era stata una sua scelta seguirlo.

“Dovresti chiamarmi…”

“Non ti chiamerò mai Capitano, Florence.” L’uomo non poté che sospirare amareggiato dopo quella risposta.

“Tuo fratello, che era Capitano, poteva permettersi di parlarmi così. Tu sei un soldato semplice, un fante, non dovresti farti sentire chiamarmi per nome. Oppure…”

“Oppure.” Lei lo interruppe di nuovo, infastidendolo visibilmente “Oppure si renderanno conto che il soldato scelto del Capitano Florence è la sua bambina prediletta.”

Sulla bocca dell’albina finalmente riapparve l’ombra di un sorriso, dopo quella battuta. Era una novità, di solito dopo che veniva nominato suo fratello restava cupa per diverso tempo.

“Magari fossi ancora una bambina… ti avrei lasciata in quell’orfanotrofio per altri due anni ancora.” Florence Vellet si accese una sigaretta, e la ragazza prese subito a rimproverarlo per l’ennesima volta di quanto fosse sbagliato fumare in un luogo del genere, dato che poi avrebbe sicuramente buttato il mozzicone per terra come un villano.

Ma l’uomo non la ascoltava più. I suoi sensi si erano fatti più acuti, restringendo la visione verso un punto preciso del limitare del bosco, ai piedi della collina ed oltre i pascoli. Attese uno, poi dieci, ed infine venti secondi con gli occhi puntati. Ormai anche la ragazza al suo fianco si era accorta del pericolo.

Uscirono dall’oscura protezione delle selci e delle fronde degli alberi, vestiti di pelli e pochi pezzi di armatura di ferro. In quei periodi, comprarsi un’armatura senza entrare nell’esercito costava parecchio, ma mai quanto entrare in possesso di armi affilate come le avevano loro.

Immediatamente i due soldati pensarono a dei banditi, ma quando avvertirono la malvagia sete di sangue scagliata verso di loro, compresero come ci fosse molto altro sotto.

“Siete mercenari.” Disse la ragazza, e nel silenzio tombale che era piombato sulla collina, la sua voce raggiunse nitidamente le orecchie degli uomini armati. Presero a sghignazzare, squadrandola dalla testa ai piedi. Sicuramente non avevano mai visto qualcuno di così minuto parlar loro in quel modo.

Tuttavia non le risposero direttamente, e sollevando le armi come per dichiarare senza dubbi i loro intenti, si dissero: “Facciamo in fretta con loro, e poi mettiamo a ferro e fuoco l’orfanotrofio e le fattorie vicine.”

Qualcosa scattò nella mente di Florence, prima ancora che quegli uomini si iniziassero ad arrampicare lungo la collina. L’altra lo avvertì, lo aveva visto più volte arrabbiarsi in quella maniera: il suo volto dai lineamenti giù duri si riempiva di ombre tetre.

“Vado a mettere al sicuro…?”

“No.” La fermò lui, mettendo mano ad un’impugnatura rossa che sporgeva dal sempre presente fodero alla sua cinta. “Anche a me piace fare in fretta.”

Snudò con movimento rigido una spada dalla lama leggermente ricurva: era troppo sottile per essere considerata un’arma grande, tuttavia la sua lunghezza di quasi due metri la rendeva impossibile da impugnare con una sola mano. Distendendola infatti parallela al terreno con il supporto di entrambe le mani, l’uomo piegò le gambe per bilanciarsi ed essere pronto allo scatto.

Scatto che sicuramente i suoi avversari non si aspettavano nella maniera in cui avvenne.

“Kin…to!” Al suo grido, i particolari frammenti che rendevano la lama seghettata in più punti si separarono per far spazio a delle piccole bocche rotonde lungo il dorso della lama. Da ciascuna di esse venne sprigionato un getto di fuoco che, facendo da propulsore all’arma stessa e al suo utilizzatore, scagliò entrambi in avanti in un’unica linea rossa.

L’uomo, così veloce da apparire invisibile all’occhio umano, strisciò i piedi sull’erba della collina ad altissima velocità, lasciandosi alle spalle solo cenere e terra bruciata, muovendo però con prontezza di riflessi la spada verso i punti predestinati: gli inermi bersagli della sua tecnica.

I cadaveri dei mercenari schizzarono in più direzioni, essendo stati tranciati di netto. I loro occhi si mossero ancora per qualche secondo dopo esser ruzzolati lungo la scarpata, prima che il loro stesso sangue piovesse dal cielo.

“Florence!” Urlò allora la ragazza da in cima alla collina, guardando l’uomo con i pungi puntati sui fianchi: “Ho sperato fino all’ultimo secondo che non lo facessi. Guarda cosa hai combinato al prato!” Strisce parallele di solchi fumanti avevano decisamente lasciato il segno sul panorama di quei pascoli.

Lui schioccò la lingua, rinfoderando la spada con nonchalance: “Ma pensa te. Non hai nemmeno fatto caso a quanto fossi figo.”

“Attento!” Per fortuna il grido dell’albina lo fece voltare in tempo, ancora una volta verso il limitare del bosco.

Lì individuò subito un giovane incappucciato, con le spalle rivolte verso di lui in procinto di andarsene, ma che, nell’istante in cui aveva sentito la voce della ragazza, si era fermato anch’egli di soprassalto. Voltò appena il capo, lasciando intravedere un sorriso nervoso: “In realtà me ne stavo per andare anche io. Non c’è proprio bisogno di stare attenti a me, visto quanto sei forte… capitano.” Parlava con tono impacciato, quasi timido.

“Ho capito adesso.” Florence riprese di nuovo in mano la spada rossa dalla lama meccanica. “Quell’intento omicida di prima proveniva da te, che eri ancora nascosto nel bosco. Quando hai visto che mi stavo preparando a combattere i tuoi compagni ti sei avvicinato, sperando di prendermi mentre ero impegnato nello scontro.”

“Non credo proprio, è un ragionamento troppo cervellotico per uno come me.” Il ragazzo si appoggiò allora con la schiena al tronco di un albero, rimanendo lontano diversi metri. “Facciamo che non ci siamo mai visti prima. Eravamo solo dei poveracci affamati che si sono messi a fare i banditi per le campagne, tutto qui. Io, da solo, cosa dovrei combinare? Giuro che smetterò di fare il criminale e…”

“Il tuo accento.” Florence assottigliò lo sguardo “Sei di Alvarez.”

“Parlare troppo non aiuta molto… se non a far abbassare la guardia al tuo avversario!” Il giovane misterioso portò una mano alla base della nuca, rivelando ciò che fino ad allora era riuscito a tenere nascosto nell’ombra: un’enorme arma simile ad una spada, ma che era costituita da una parte uncinata con il dorso acuminato come un rostro in più aculei. Sorprendentemente, anziché lanciarsi all’attacco, quella khopesh tracciò una mezzaluna verso il basso, raschiando il terreno in un solco.

Florence si vide strappare da terra, come se qualcuno con una forza sovrumana lo avesse sollevato. In realtà, quando si ritrovò lungo disteso sul fianco della collina, riconobbe un certo cavo che si gli era attorcigliato al braccio per tirarlo all’indietro. Sopra di lui troneggiava la ragazza dai capelli argentei, con in mano un’arma simile ad una balestra, ma che anziché dardi sparava ad altissima velocità proprio quel cavo indistruttibile.

“Un Tesoro Oscuro!” Fischiò d’ammirazione il giovane, noncurante di aver fallito il suo attacco, o forse dissimulando il fastidio “Devi essere anche tu una capitana, o forse qualcuno di grado più alto. Hai subito intuito che se avessi mirato verso di me, non avresti fatto in tempo a fermarmi, quindi hai scelto saggiamente di salvare il tuo amico.”

“Intanto, non è mio amico.” Sbottò lei, visibilmente infastidita. “E poi, sono un fante. So che ti sembrerà strano che possegga un Tesoro Oscuro… come il tuo, del resto, ma in base alla tua assunzione devo presupporre che nell’esercito di Alvarez tu sia di rango pari o superiore al comandante!”

A quel punto il ragazzo misterioso rimase in silenzio. Poi sibilò “come al solito parlo troppo” e scattò via nel bosco.

“Maledetto bastardo!” Ruggì Florence, lanciandosi all’inseguimento. “Attento a non morire.” Gli disse allora la ragazza, affiancandolo dopo avergli tirato un’occhiata di avvertimento. Nel punto in cui si sarebbe dovuto trovare il comandante qualche secondo prima, ora c’era un foro che esalava uno strano fumo violaceo, tutto ciò che rimaneva della terra che era stata sciolta.

Più volte Florence si ritrovò in procinto di voler usare il potere della sua arma, Kinto, per riempire la distanza con il nemico e tranciarlo di netto, ma la presenza di alberi glielo rendeva impossibile. L’accelerazione improvvisa dei propulsori non gli permetteva di compiere alcuno slalom, ma si limitava a spostarlo in avanti in linea retta, e quella situazione sarebbe risultato solo in una poderosa facciata contro un tronco.  Questo il suo avversario lo sapeva, e per tanto non aveva smesso di sorridere, conscio della sua fuga senza intralci.

“Avevo sentito di un comandante più forte del normale, al punto da meritarsi un Tesoro Oscuro di alto rango, ma che aveva rifiutato qualsiasi promozione. Forse sei tu, o forse stanno semplicemente dando Tesori Oscuri a cani e porci come si dice in giro…”

Il rosso avrebbe voluto cedere alle provocazioni e rispondergli, ma stava impiegando tutte le sue forze nel correre. Al suo posto, rispose l’albina, con un inaspettato tono rilassato: “Tu invece non devi essere nessuno di importante, mi sono sbagliata prima. Ti rendi conto anche tu che questa era una missione suicida: sei così vicino al confine, ma allo stesso tempo in questo periodo di guerra era ovvia la presenza di almeno un capitano da queste parti. E si tratta di uno scontro che tu non potresti reggere!”

Ciò che non aveva previsto fu però l’occhio di falco della ragazza che imbracciava il Tesoro Oscuro Laplace, la quale non lo stava inseguendo disperatamente, ma attendeva solo il momento propizio. Un serpente bianco sfiorò la corteccia di un albero, per poi curvare lateralmente ed intrecciarsi sopra il ramo basso ma sporgente di un altro. Lì, la curvatura lo portò a qualcosa di diverso: carne.

“Cosa?!” Urlò di sorpresa il giovane di Alvarez, vedendo il suo braccio armato stretto nella morsa del cavo. Si sentì strattonare all’indietro, ma nonostante il panico riuscì a rimanere con i piedi saldi per terra. E, proprio in quella posizione, lo raggiunse più facilmente il comandante con la spada già diretta verso il suo torace.

Il suo avversario però lanciò prontamente la sua khopesh da una mano all’altra, e con il braccio libero si difese in tempo. La conformazione della sua arma fece scivolare via la lama dell’altro, sbilanciandolo.

Florence schivò all’ultimo istante un fendente che gli si sarebbe altrimenti conficcato nella schiena, compiendo una capriola all’indietro con un balzo. Atterrò su di un ramo, ma la prima cosa che notò prima ancora di rimettersi in guardia fu di nuovo quel maledetto ghigno appena celato dal cappuccio.

Poi seguì con lo sguardo la punta della khopesh, conficcata nel tronco dello stesso albero, e sentì sussurrare le parole: “Calamity”. In un batter d’occhio il legno ribollì, trasformandosi in una sostanza nera simile a catrame, e quella corruzione si arrampicò fin sopra l’albero con ferocia.

Florence intuì allora cosa fosse successo prima, siccome aveva chiaramente visto come quel fendente a vuoto gli avesse in realtà scagliato contro delle zolle di terra: qualsiasi cosa venisse colpito dall’uncino di quella lama, veniva infettato da un virus dalle caratteristiche spaventosamente aggressive.

Fortunatamente la ragazza provvedette a slegare il nemico dalla presa, impiegando il cavo a mo’ di frusta per tranciare il ramo su cui si trovava il comandante, un attimo prima che l’albero gli infettasse con quella corrosione. Florence allora perse l’equilibrio, cadendo nel vuoto, ed ancora una volta il sorriso del suo nemico si spalancò.

“Come credi di difenderti, scoperto come sei?!” Il ragazzo squarciò l’albero al suo fianco senza troppi sforzi, accompagnando il fendente per falciare via il suo inerme avversario.

“Senza equilibrio e senza ostacoli attorno a me…” Un bagliore rosso illuminò il volto del comandante di Fiore anche tra le ombre della foresta. Era la luce di fiamme intense “… sono ancora più pericoloso.”

L’ignizione dei propulsori di Kinto fece roteare sul proprio asse Florence come fosse stato una trottola di fiamme, ed a quella distanza, gli bastò allungare le braccia per trasformare la rotazione in un fendente di fuoco pari al raggio di una sfera. Quell’inevitabile colpo fu recepito dal nemico come un’esplosione di fuoco, la quale lo investì.

Con uno scoppio, il suo corpo venne scagliato all’indietro, abbattendo un paio di alberi e lasciandosi una traccia di fumo nero. Florence atterrò quando l’ultimo tonfo riecheggiò nella foresta, ed un ginocchio gli cedette.

“Non…” Boccheggiò, madido di sudore e con la faccia arrossata. “Lascialo scappare.” La ragazza gli posò una mano sulla spalla, guardando in fondo alla distruzione causata dall’ultimo attacco, ma non trovando il corpo del nemico.

Dopodiché prese un gran respiro, e mettendosi le mani a coppa attorno alla bocca, strillò a gran voce: “Ehi, faccia tosta con la bocca larga, dico a te! Ti avevo avvertito che non avresti potuto reggere il confronto: il comandante Florence Vellet è un figo, e quelli come te se li mangia a colazione.”

Florence, accanto a lei, con il fiatone ed a rischio di svenire, la mandò silenziosamente a quel paese per il bluff.

“E recapita questo messaggio, ai tuoi! Quando vorrete tornare qui, verrete accolti non solo dall’esercito della regina, ma anche dai Path of Hope!”

 

Nascosto dietro un tronco caduto, ed intento a valutare le proprie ferite, un ragazzo si tolse dalla faccia quel panno maledetto che lo stava soffocando. Rivelò una fronte imperlata di sudore dalla quale dovette scostare dei capelli ricci blu scuro. Aveva la pelle olivastra, sporca di rosso vicino al labbro e sotto la narice per i vasi sanguinei scoppiati, ma non era niente in confronto alla frattura alle costole che si era procurato, nonostante la sua arma che aveva assorbito parzialmente il colpo.

Sentiva strepitare quella ragazza nonostante la distanza che li separava.

“E chi diavolo sono…?” Borbottò.

“Ti chiederai chi sono i Path of Hope!” Urlò lei di nuovo, e non poté vedere il suo sorrisetto compiaciuto.

“Sono la migliore gilda di mercenari di Fiore, e con me, Rea Halfeti, porremo fine a questa guerra!”

 

Angolo Autore:

Welcome back! In questo breve capitolo ho voluto fornirvi più informazioni su Fiore, e anche, come qualcuno di voi avrà intuito, quale sia una probabile fazione di questo Regno. Dico probabile perché se voleste potreste rendere il vostro OC parte dell’esercito reale, o di questa gilda di mercenari chiamata Path of Hope (che tra l’altro è un richiamo alla mia primissima ff di Fairy Tail).

Detto ciò, ecco qualche piccola info su Rea Halfeti.

 

Rea ha diciotto anni, ma è apparsa nel prologo quando ne aveva sedici. È la sorella di Corex Halfeti, capitano morto in servizio in circostanze mai rilasciate al pubblico durante la difesa di Shiranui. Da lui ha ereditato il Tesoro Oscuro: Laplace. Questa sottospecie di balestra è fornita di un cavo di materiale che richiama l’acciaio, dalla lunghezza ancora non precisata. Il cavo risulta più resistente di qualsiasi arma normale, siccome è stato prodotto dalla peluria di una Bestia Abnorme chiamata Minogame. Il tatuaggio rappresentate una Magnolia Stellata sulla sua spalla indica l’appartenenza alla gilda Path of Hope.

 

Detto ciò, alla prossima!

   
 
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