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Autore: Chiara PuroLuce    15/05/2021    12 recensioni
Ernesto scopre un segreto sulla sua vita che gli sconvolgerà completamente l'esistenza... e non solo a lui!
(Writober 2020 - pumpNIGHT 2020 - #fanwriter2020)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appena Ernesto aveva visto suo figlio sul balcone, era corso in casa – letteralmente corso – e si era precipitato ad abbracciarlo stretto. Quanto gli era mancato. L’Erasmus era sfiancante. Non tanto per lui padre – che era costretto a stargli lontano e non poteva raggiungerlo con facilità – ma anche per Bruno stesso, che lo chiamava spesso e gli riferiva che sì, Londra era bella e tutto, ma a lui mancava casa sua. Suo figlio ancora non aveva deciso cosa fare una volta terminato il corso all’estero, ma qualunque cosa avesse scelto, per lui andava bene.  
 
«Ok, adesso basta, papà. Stai cadendo nel ridicolo» gli disse suo figlio cercando di sottrarsi all’abbraccio.
 
«Zitto tu, figlio ingrato» gli rispose lui con sarcasmo «sono mesi che non ti vedo e potresti come minimo fingere che ti piaccia come quando eri piccolo, ricordi?»
 
«Ecco, appunto, ma adesso sono cresciuto. Diamine papà, ho diciannove anni, ora.»
 
«E quindi non hai più bisogno di me e dei miei abbracci?» Gli chiese rinforzando la presa e scatenando altre proteste che lo fecero ridere.
 
«Ernesto, lascia andare il ragazzo. Dovrà pur respirare.»
 
Elisa. Pensava fosse andata a casa e invece era lì, l’aveva seguito. E ora stava fissando lui e Bruno con sguardo divertito e amorevole.
 
«Ciao, Bruno. Che bello vederti senza uno schermo capriccioso davanti» esordì ricordando le due volte che si erano parlati via Skype con mille e più interferenze di linea. «Ah, questi genitori sempre così espansivi, che vorrebbero i loro figli sempre bambini e li trattano come tali.»
 
«Visto, papà? Lei mi capisce… lei!»
 
«Lei ha due figlie che se potessero fuggire dai suoi abbracci lo farebbero di corsa, ma Elisa è furba e trova sempre il modo per prenderle alla sprovvista.»
 
«Ah, allora sarebbe un vizio di famiglia. Confortante, davvero. C’è un modo per sfuggirvi?»
 
«No!» Risposero in coro quelli, facendolo ridere.
 
I figli, in fin dei conti erano tutti uguali. Tutti troppo adulti per un abbraccio o una carezza o un bacio sulla guancia, eppure tutti troppo bambini per non preoccuparsi se non rispondevano quando li cercavano.
 
«Ma, gesti appiccicosi a parte» disse Bruno «davvero, non sapevo che pensare papà. Io arrivo e trovo la tua auto nel parcheggio, però la casa è chiusa e tu non rispondi né al telefono, né al citofono. Faccio per aprire e vedo il vecchio Brambilla arrivare di corsa – di corsa papà, con il bastone sollevato da terra e il passo lungo – e mi fa il terzo grado, prima di dirmi che eri andato via con la tua amante, un’eterna indecisa che non sa scegliere tra te e un tizio con la pancia.»
 
A quella frase i due fratelli ripresero a ridere sotto lo sguardo sconcertato di Bruno e con un “Meglio che tuo zio questa non la sappia”, Ernesto liquidò la questione.
Elisa rinnovò l’invito a pranzo per il giorno dopo per entrambi, questa volta e poi li lasciò soli.
 
«Che succede, papà? Sei strano. Qualcosa non va?»
 
«Come sei diventato perspicace. In effetti qualcosa c’è, e ora te lo spiego. È il motivo per cui non ero in casa oggi, ma in giro con tua zia. Se mi avessi avvisato del tuo arrivo, avrei rimandato l’uscita.»
 
«Lo so, ma volevo farti una sorpresa. Allora, spiegami cosa ti angustia. Oh, sentito che termine ho usato? Angustia. A volte mi faccio paura da solo» disse fingendosi compiaciuto di se stesso.
 
Poi Bruno scoppiò a ridere – sicuramente per stemperare l’aria che, aveva notato, essersi fatta più cupa – ed Ernesto si unì a lui per un breve momento, improvvisamente tornò riflessivo e…
 
«Preparati figliolo, perché sarà un fulmine a ciel sereno anche per te.»
 
E poi…
 
 
                                                                                                           &&&
 
 
«Stai scherzando! No, non… non può essere vero. Quell’investigatore privato da strapazzo deve avere preso un grosso abbaglio.»
 
«Purtroppo, no, Bruno. È la verità. Ha le prove. Ha parlato con un poliziotto che ha partecipato all’operazione di smantellamento della setta, ha letto gli incartamenti del caso e poi ha raccolto le parole – ancora più decisive – di un ex membro che frequentava casa dei miei quando ero un bambino. Io ed Elisa andremo a parlarci, abbiamo delle domande da porgli, domande che esigono risposte sincere e solo lui potrà aiutarci a capire meglio questo schifo.»
 
I suoi nonni. I suoi amati nonni erano stati membri di una setta. Come l’aveva chiamata suo padre? Ah, sì. Il cerchio dorato. Avevano abbandonato sua zia Elisa per una stupida imposizione e non se ne erano mai pentiti. Era come se l’avessero dimenticata, cancellata dalla loro vita, come… come se non fosse mai nata! Era orribile e terribilmente ingiusto.
Lui, Bruno, aveva un debole per i suoi nonni paterni – in special modo per nonno Stefano – e li aveva sempre preferiti agli altri, perché erano più affettuosi e gentili con lui. Scoprire un segreto del genere…
 
«Hai detto che quell’uomo vi ha chiesto di potere continuare le indagini, perché? Che altro c’è di sordido da scoprire? Non è abbastanza tutto quello che vi ha già detto?» Gli chiese.
 
«Sinceramente non glielo abbiamo chiesto. Capirai che non eravamo in vena di porgli altre domande e così ci siamo presi del tempo per rifletterci.»
 
Era giusto. Se poi fossero saltate fuori altre assurdità… Aveva bisogno di stare un po’ da solo per riflettere meglio e quindi si propose per preparare la cena. Mezz’ora dopo, davanti a un piatto di bavette al pesto, pane – suo padre ne era ghiotto e in casa sua non mancava mai di essere fresco – qualche formaggio trovato in frigo e due bottigliette di birra, Bruno riprese il discorso.
 
«Credo che dobbiate dargli l’ok» esordì «non fosse altro per mettere fine a tutta questa storia.»
 
«Forse. Non lo so. Ne parleremo domani da Elisa. Vedrai, resterai conquistato da tuo zio e dalle tue cugine.»
 
«Staremo a vedere. Senti, posso alloggiare da te per tutto il tempo che rimarrò qua in vacanza?» Buttò lì con nonchalance mentre si serviva di una generosa forchettata di pasta.
 
Vide suo padre fargli un largo sorriso spontaneo e annuire vistosamente, di riflesso sorrise anche lui.
Una credenza popolare recitava che i figli maschi fossero – per natura – più legati alle madri e, viceversa, le figlie femmine, ai padri. Non era vero. Lui amava suo padre e ci andava d’accordo come mai gli era accaduto con la madre, sempre piuttosto fredda e scostante. Gianna non era nata per quel ruolo e se ne era accorto presto. Aveva sofferto per il loro divorzio, ovvio, ma non più di tanto. Mentre suo padre Ernesto si impegnava a mantenere la famiglia e a non fare mancare nulla a entrambi, la madre non faceva altro che criticare. Mentre suo padre non parlava mai male della moglie, lei non perdeva occasione per cercare di denigrarlo ai suoi occhi.
Un giorno – in un impeto di rabbia durante un litigio – l’aveva sentita rinfacciare al marito di averlo sposato solo per i soldi dei suoi genitori con la speranza che, prima o poi, avesse smesso il lavoro di meccanico per seguire le loro orme. Ma non era mai successo. Suo padre amava quello che faceva e aveva trasmesso questa sua passione anche a lui che, nel tempo libero, passava in officina a dare una mano. Ovviamente, Gianna inorridiva al pensiero di un altro meccanico in famiglia. Che facesse pure. L’unica volta che l’aveva vista orgogliosa di lui, era stato il giorno che aveva annunciato la sua partecipazione al progetto Erasmus, con partenza per Londra. Sua madre voleva che poi andasse all’università e che scegliesse una facoltà dove poi avrebbe potuto guadagnare tanti soldi. Lui la vedeva solo come esperienza. Aveva già deciso cosa voleva fare della sua vita e quello prevedeva lavorare con suo padre, che reputava il migliore nel campo della meccanica.
 
«Mi chiedevo quando avresti tirato fuori l’argomento, figliolo. Il tuo bagaglio all’ingresso era un indizio già di suo, ma volevo sentirtelo dire e mi fa molto piacere ospitarti» gli rispose allungando una mano per scompigliargli i capelli.
 
«Grazie. Sai, sono passato a casa – dopotutto abito lì – ma non credo che a mamma abbia fatto piacere. Ci sono rimasto male anche se me l’aspettavo e poi – detta tra noi, papà – non mi va di abitare con lei e il suo toy boy stronzo.»
 
«Ehi, rispetto. È sempre tua madre, anche se ha fatto scelte di vita discutibili.»
 
«Lo so, ma avessi visto come mi ha guardato appena sono entrato in casa. È bastata un’occhiata storta del suo ciccio bello per farla decidere a mandarmi via. E quando le ho fatto notare che era diventata una stupida marionetta nelle mani di un coglione, lei… ha permesso che lui mi buttasse le valige fuori casa e mi sbattesse la porta in faccia. Così, non ci ho visto più. Sono rientrato, ho preso le chiavi del mio scooter, ho messo la valigia e lo zaino davanti a me e sono venuto subito qua.»
 
Bruno poteva ben vedere l’effetto che quella frase ebbe su suo padre. Solitamente era un bonaccione, sempre allegro e pacato, ma in quel momento era scuro in volto e picchiettava un dito sul tavolo, segno che era arrabbiatissimo. Poi disse una cosa che lo spiazzò e commosse.
Solo suo padre riusciva a farlo emozionare con poco. Lui, Bruno, era una copia più giovane del suo genitore e poteva già vantare un’altezza che andava quasi a rivaleggiare con la sua.
 
«Sai che questa è anche casa tua, non hai bisogno di chiedere il permesso per viverci. Per quanto mi riguarda potrai restare qua quanto vorrai, anche dopo che sarai tornato in Italia una volta finito l’Erasmus. Ora sei maggiorenne e puoi decidere tu dove abitare, possiamo dirlo anche al giudice per cambiare la tua collocazione in pianta stabile. Che ne pensi?»
 
Bruno dovette deglutire un paio di volte, prima di accettare la proposta senza incrinare la voce.
 
«E, ho deciso anche un’altra cosa che ti farà molto piacere, ne sono sicuro.»
 
«Davvero? Mi hai comprato un monolocale?» Azzardò lui guadagnandosi un’alzata di occhi al cielo.
 
«Ma… ma ti ho appena detto che voglio che vieni a vivere qui… e tu già ne approfitti, ti allarghi e vuoi abbandonarmi? Figlio ingrato!» Gli rispose rubandogli un pezzo di pane. «No, a casa tua ci penserai tu – quando avrai un lavoro stabile e potrai comprarla o affittarla e poi mantenerla – io alludevo ad altro. Ma non saprai nulla di più fino a lunedì mattina, quando verrai con me in officina. Sono sicuro che Antonio e il signor Fausto saranno felici di rivederti.»
 
E anche lui. E poi voleva vedere se c’era qualche motorino da sistemare.
 
«Papà, posso farti una domanda… personale?»
 
«Devo preoccuparmi?» Gli chiese inarcando un sopracciglio.
 
«Em… no, però sai, sono curioso» poi, vedendolo annuire, continuò «hai una relazione sentimentale? Lo dico perché, magari, trasferendomi qui potrei incontrarla qualche volta e non vorrei fare figuracce.»
 
Suo padre si era bloccato con un pezzo di formaggio in bocca e lo fissava allibito. Ma che cosa aveva chiesto mai di così scabroso? A lui non sarebbe dispiaciuto, anzi, si meritava di avere una donna accanto che lo facesse sentire felice e compreso.
 
«Ma… ma che dici. Non sono più il tipo da storielle, io. Ho altri pensieri per la testa. Primo tra tutti, questa storia dei tuoi nonni; poi l’officina che il signor Fausto vorrebbe rilevassi insieme ad Antonio; poi tua zia e l’impegno che ho con lei con il corso di cucina; poi ho promesso a Gemma di…»
 
«Fermo, fermo… Gemma? Chi sarebbe? E… e cos’è questa storia dell’officina e… ma che cavolo, papà, io vado all’estero per qualche mese e tu rivoluzioni la tua vita, incontri una donna e non mi dici niente?»
 
«Em… è solo un’amica, di tua zia e… anche mia, adesso, da poco.»
 
«Sì, sì, raccontalo a qualcun altro. Intanto sei diventato tutto rosso e hai le orecchie in fiamme» gli disse ridendo a crepapelle.
 
«Mi sa tanto che ho cambiato idea e non ti voglio più qua e anche la sorpresa che avevo in serbo per te… puff, volatilizzata!» Gli disse facendo aria in modo teatrale.
 
«Guarda che non ti credo e… aspetta, aspetta, hai detto sorpresa? Papà? Dove stai andando?»
 
In effetti Ernesto si era alzato e con un “Sono stanco, vado a letto, tanto ci pensi tu a pulire, giusto?” sparì in bagno da dove, dopo qualche minuto, uscì in pigiama, lo salutò e si chiuse in camera.
E così hai una tresca con questa Gemma. Puoi negare quanto vuoi, ma ce l’hai e io devo assolutamente conoscerla. Che tu lo voglia o meno, mio caro paparino!, si disse prima di alzarsi a sua volta e sparecchiare.
 
 
                                                                                                          &&&
 
 
Driiiiiiin. Driiiiiiin. Driiiiiiiiin.
Ma che cazz… ma che ore sono? Ernesto guardò la sveglia e quasi imprecò dalla rabbia. Era domenica mattina, l’unico giorno in cui poteva dormire e qualcuno – alle 7.00 di mattina per inciso – osava…
Driiiiiiin. Driiiiiiiii. Driiiiiiiiin.
… disturbarlo durante un sogno bellissimo e… e fin troppo reale, si disse poi alzando il lenzuolo e fissando la prova della sua eccitazione. Incredibile. Merito di Gemma che… no, meglio non pensarci.
Erano anni che non gli capitava una cosa del genere.
Però non poteva aprire la porta in quello stato e così – dopotutto, visto che era tutta colpa di suo figlio e delle sue parole – andò a svegliarlo, non senza ricevere qualche insulto, e l’obbligò a prendere il suo posto.
Dopo una lunga doccia fredda e mille e più pensieri per convincersi che era solo un sogno – anche se molto reale – uscì e si ritrovò davanti a un Bruno ancora addormentato che cercava di intrattenere il signor Brambilla senza collassare sul posto.
Suo figlio gli lanciò uno sguardo omicida prima di eclissarsi in camera. No, non era per nulla pentito di averlo svegliato.
 
«Giovanotto, era ancora a poltrire a letto? È giorno fatto e si è perso l’alba, anzi… vi siete persi l’alba.»
 
«Mattiniero come al solito, vedo. Buongiorno signor Brambilla, come sta?»
 
«Come vuoi che stia Ernesto» gli rispose passando al tu «sono tutto un dolore come al solito. Ed ecco perché sono qui. Ho finito l’Arnica e anche la Tachipirina 1000, per non parlare della Citrosidina per digerire.»
 
«Ma… ma se gliel’ho comprata l’altro giorno ed era quella nel barattolo grande. Che fa, la mangia come caramelle?»
 
«Fai poco lo spiritoso, tu. Arriverai alla mia età e allora dirai “Idelfonso Maria aveva ragione!”, e ti farai la scorta di medicine. Ah, e poi ho qui una piccola lista» disse aprendo il borsello che teneva legato al collo ed estraendo un foglio piegato «di quello che mi manca. Due cose che avevo dimenticato di dirti l’altro giorno e che sono urgenti.»
 
Lui la prese e lesse ad alta voce.
 
«Besaola un eto, bologna due eti, marmelata fragola, coso verde per… Walter?»
 
«Eh, tu non ce l’hai in bagno? Dove la fai la cacca, in un secchio? La donna delle pulizie l’ha finito ieri.»
 
Che bella la vecchiaia e il suo parlare senza filtri. Per poco non gli scoppiò a ridere in faccia, ma si trattenne e cercò di farsi più serio che poteva.
 
«Non mi dica che intendeva il cif per il water» e quando lui annuì, Ernesto continuò la lettura «tre biscoti quadrati Oro Sava, zuchero marone, quatro vafe bianchi e, per finire, pane morbido.»
 
«Giusto due cose, visto?» ribadì e poi gli mise davanti cento euro. «E questi sono i soldi» poi si alzò, prese il bastone che aveva appoggiato sul tavolo e si diresse alla porta da dove, prima di uscire, gli disse «ti aspetto per le 10.00 giovanotto.»
 
Idelfonso Maria Brambilla, che personaggio. Era particolare, ma lui lo adorava.
Certo, aveva un problema con lo scrivere le doppie, ma era comprensibile. Un giorno gli aveva raccontato che non aveva mai amato andare a scuola e che fece i primi tre anni delle elementari perché costretto dal padre. Ma lui non aveva mai amato studiare e così, alla fine, il genitore aveva desistito dal mandarcelo e l’aveva portato con lui a lavorare nei campi perché… “visto che non vuoi studiare, devi contribuire a mantenere la famiglia”, atteggiamento normale all’epoca.
Guardò l’ora, di nuovo, e sospirò. Era escluso che tornasse a dormire o non avrebbe fatto in tempo a fare le commissioni per il suo eccentrico vicino. Con un sospiro esagerato, si diresse in camera a prendere i vestiti e iniziò la giornata.
   
 
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