Nonostante fosse
da sola – in quanto
i bambini avrebbero passato la notte con Joel – non percepiva
affatto la
solitudine: tanti erano i pensieri che le affollavano la mente,
facendole compagnia
come una comitiva di amici dalla risata fastidiosa ed estenuante, nel
pieno
della loro serata di divertimento.
Abbandonò
cappello e borsetta su di
una poltrona e poi abbandonò sé stessa sul divano
del soggiorno, con ancora i
tacchi addosso, nel buio più pesto. Sembrava una soffice
meringa rosa
sprofondata tra i cuscini di un sofà color crema, vinta
dalla noia piuttosto
che dalla stanchezza.
Sebbene Susie avesse ricominciato a gestire il Gaslight, sperando di
racimolare
almeno l’essenziale per poter vivere e ripagare i debiti che
aveva contratto
per colpa del gioco, Midge si rendeva sorda ad ogni invito a salire sul
palco
rivoltole dalla sua manager.
Susie non voleva ancora arrendersi alla rassegnazione di Midge e si
augurava
con tutto il cuore che dei piccoli riscaldamenti avrebbero potuto
convincerla
che fosse arrivato il momento di provare a rimettersi in gioco. Molto
probabilmente,
quella sera un altro comico cercava di sbancare il lunario al suo
posto,
dimostrando un quarto del suo talento ma l’energia di un
poppante, illuso dal
riflesso scintillante di una fama effimera quanto il tempo di un mezzo
applauso
o di una mezza risata in un locale per principianti.
Susie aveva capito, però, che la tattica
dell’inseguimento non funzionava e che
la strategia migliore da adottare era il silenzio: smettere di
corteggiarla per
provocare in Midge il desiderio opposto. Questa era l’ultima
chance che le
rimaneva, l’unica carta rimastale da giocare.
Il telefono
squillò. A quell’ora
poteva essere solo una persona, perciò Midge
tentò di ignorare quanto più
possibile quel suono molesto, ma chi la cercava non mollava la presa e
alla
fine toccò a lei cedere. La determinazione di Susie doveva
essere evaporata ben
prima del previsto. Sbuffò, intenzionata a far intendere al
suo interlocutore
tutto il disappunto per l’interruzione apportata al suo stato
di tedio
volontario.
“Uffa,
Susie! Te l’avrò ripetuto
cento volte che non ne voglio saperne nulla!”
Qualche secondo
di silenzio prima che
il rumore metallico del telefono venisse rotto da una voce calda e
decisamente
più baritonale di quella di Susie. Le ci vollero pochi
istanti per capire a chi
appartenesse…
Rimase con la
luce spenta e con il
cuore che le batteva nel petto all’impazzata, sdraiata con lo
sguardo rivolto
al soffitto per racimolare i pensieri e tenere a bada le emozioni.
“Da
quanto mi è stato riferito,
credevo ti fosse gradita una mia telefonata. Mi pare, però,
che le cose siano cambiate
nell’arco di…quanto? Vediamo un po', due ore? Sai,
non sono in grado di tenere
bene il tempo, anche se, rispetto a te, mi considero un esperto in
questo campo.
Vuoi che ti richiami in un altro momento?” La delicata ironia
di Lenny fu
capace di scioglierle i nervi ancora meglio di quanto avesse potuto
fare un drink.
Così, riecheggiò nella cornetta di Lenny una
risata spontanea e confortante.
“E da
quando avresti deciso di
cambiare nome in Susie, sentiamo un po'?”
“A
parte gli scherzi, lo sai che mi
sono stupito molto nel leggere un prefisso telefonico tipicamente
newyorkese
sul biglietto che mi ha dato Honey? In realtà, anche solo il
fatto che voi due
vi foste incontrate mi è sembrato alquanto surreale. Speravo
di dover fare una
chiamata internazionale e spendere in questo modo tutto ciò
che mi rimane in
tasca, e invece niente centralino…”
Lenny stava
fumando: Midge percepiva
i suoi polmoni aspirare ritmicamente il fumo di una sigaretta e
rilasciarlo come
se si liberasse di un peso fatto d’aria e nicotina.
“Niente
centralino e niente
centraliniste francesi, mi dispiace per te Lenny! Questa volta dovrai
accontentarti della mia voce.” Midge attese, sapendo
esattamente che era la sua
voce ciò che Lenny desiderava ascoltare.
Fino a quel giorno, non aveva avuto il coraggio di confessargli il
motivo per
cui era stata tagliata fuori dal tour europeo di Shy Baldwin. Dopo aver
deluso
Shy, Susie e se stessa, l’ultima persona rimasta di cui
temeva il giudizio era
proprio Lenny. Quale sarebbe stata la sua opinione al riguardo? E,
soprattutto,
in quale modo avrebbe influito sull’idea che Lenny aveva di
lei?
“Ho
come l’impressione che si tratti
di una lunga storia.”
Silenzio.
“Lenny,
ho perso il senso
dell’umorismo e non posso incolpare nessuno
all’infuori di me stessa per
questo!” Il magone cominciava a salirle su per la gola e
sentiva che gli occhi
minacciavano un fiume di lacrime. Gli chiuse e attese che Lenny
parlasse, ma
niente. Lenny, aveva compreso che quelle lacrime avrebbero dovuto
fluire dalla
foce per renderla veramente libera di esprimersi.
“Siamo
nella stessa città, ancora una
volta dopo Miami. Che ne dici di scambiarci qualche parola a
quattr’occhi e,
soprattutto, di fronte a un bicchiere? Hai già cenato, per
caso? Conosco un
posticino perfetto.”
“No,
ma mi piacerebbe tanto
rivederti. Devi lavorare stasera?” Chiese, sperando che la
risposta fosse un
no.
Lenny
sospirò, “Oggi sono libero, per
tua grande sfortuna. Tuttavia, ti prometto che non ci sarà
nessuna romantica atmosfera
esotica questa volta.” Si premette una mano sul cuore,
rischiando di bruciarsi
la camicia con la sigaretta. Anche Lenny era sdraiato, ma su di un
letto
completamente disfatto, reduce da una guerra di cuscini conclusasi a
favore di
Kitty.
“Peccato,
quelle luci ti donavano
parecchio. Raramente si vedono gentiluomini agghindati così
per bene!” Midge
non riuscì a trattenere l’eccitazione che provava
al pensiero di rivederlo.
“Farò
finta di crederci, grazie.”
Non sapevano in
quale verso condurre
il discorso. Troppi non detti pendevano come macigni sul filo
immaginario che
collegava le loro voci…
Lenny sarebbe
passato a prenderla nel
giro di dieci minuti, che poi divennero mezz’ora. Midge non
riusciva proprio ad
essere puntuale! Alla fine, però, anche Lenny dovette
convenire che ne fu valsa
la pena.
Midge aveva optato per un cambio di outfit, molto più
consono alla sera e
all’occasione: voleva lasciarlo senza fiato e sentirsi al
massimo della forma,
almeno all’apparenza. L’abito rosso che aveva
addosso metteva in risalto la sua
carnagione eburnea, tanto più che le spalle scoperte
facevano risaltare il
collo e il decolté in maniera sensuale ma pur sempre
opportuna ad una donna
dotata di buon gusto come lei. Aveva una pochette di satin nero che
contrastava
ineccepibilmente con il vestito scarlatto e con la lucentezza dei
gioielli scelti
per completare l’opera. Ma si trattava davvero di Midge o era
soltanto quella
parte di lei che tutti conoscevano già? La
sincerità avrebbe dovuto regnare
sovrana quella sera, perciò non avrebbe avuto senso
continuare a mentirsi
ignorando di non sapere la risposta a quello spietato punto
interrogativo.