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Autore: Doralice    16/05/2021    1 recensioni
Ispirata a un sogno che ho fatto stanotte, ecco una SamBucky in tre parti, post episodio 2 di TFATWS.
Estratto dal primo capitolo:
“Può essere che in quel sogno tu e Sam aveste obiettivi diversi?” suggerisce lei.
“Può essere.” concede.
“E qual era il suo obiettivo?”
“Vedere l’animale.” risponde subito, con il solito senso di efficienza che prova quando è focalizzato su una missione.
“E qual era l’obiettivo di Sam?”
Bucky ripensa al sogno. Al modo in cui Sam tiene in spalla il bambino, come lo guarda, come gli parla, come scherza con lui anche mentre lo mette giù perché è stanco di portarne il peso.
“Il bambino.” risponde, la consapevolezza che lentamente si fa strada dentro di lui, “Il suo obiettivo era il bambino.”
“Dunque Sam teneva letteralmente sulle spalle il proprio pesante obiettivo, che in teoria era anche il suo. Mentre lei era defocalizzato.” riassume la dottoressa, implacabile.
“Beh, messa così…”
“Messa così…” lei riprende le sue parole, “Cosa pensa del modo in cui Sam alla fine ha risolto la vostra diatriba?”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Sam Wilson/Falcon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Questo capitolo doveva essere l’ultimo, ma come al solito mi è scappata la mano, e quindi niente, ce ne sarà un quinto.




 

The Bloom

 

* * *

 

Quando cresci in città il passare delle stagioni viene scandito in maniera differente. Bucky non si era mai accorto di certe cose prima della parentesi trascorsa in Wakanda. Adesso ha imparato ad apprezzare certe sfumature che una volta non avrebbe nemmeno notato.

Per esempio, da quelle parti la primavera arriva piano, facendosi spazio un giorno alla volta, facendo più rumore di quello che ci si aspetterebbe. Perché in città tutto è soffocato dal chiasso urbano, lì invece non c'è niente che zittisca il rumore della natura che si risveglia. Lento e chiassoso: un po’ come loro due si sono fatti spazio nelle reciproche vite.

È passato quasi un anno da quando sono lì e a mala pena se ne sono accorti. Ci sono troppi lavori da fare in quella casa, troppe distrazioni. Bucky non ha tempo di guardare il calendario quando ha qualcos’altro da guardare ‒ qualcosa di meglio.

Bucky ha dato un nome a quello che prova per Sam, solo non l’ha mai detto a voce alta. Non serve se tanto non c’è nessuno ad ascoltarlo, e in questo momento non ha intenzione di dirlo a nessuno. La dottoressa Raynor ha capito, in qualche modo ci è arrivata ‒ o forse semplicemente è così palese da essere ovvio ‒ e lo fissa con quel suo sguardo penetrante dal monitor del laptop. Ma Bucky non sa perché ‒ forse la distanza, forse il fatto che sente il suo percorso vicino al termine ‒ quello sguardo non gli fa più l’effetto di prima. La dottoressa sa, ma non ha importanza, l’importante è che sia lui a saperlo.

Che sia lui a non voler più cancellare quel sogno dalla sua memoria.

Ne ha avuto di tempo per farci i conti. Tanti giorni tutti uguali, scanditi dalla solita routine, eppure mai noiosi. La vita di Bucky adesso è fatta di momenti scontati e non gli dispiace per niente.

È scontato svegliarsi al mattino con il respiro di Sam addosso e poi ascoltare le sue chiacchiere mentre fanno colazione. È scontato trovare i vestiti di Sam mescolati ai suoi nel cesto del bucato, stare chini sull’ingresso ad allacciarsi le sneakers, uscire per allenarsi nella bruma fredda del mattino. È scontato mangiare gli avanzi della sera prima e nel frattempo discutere su come aggiustare la tecnica di Sam nel riprendere lo scudo al volo, mentre Alpine reclama qualche boccone dai loro piatti. È scontato litigare sul modo migliore di aggiustare quel buco sul tetto, mentre Bucky osserva ansiosamente Sam che si muove sulle tegole instabili, e non sta pensando a come prenderlo al volo se dovesse scivolare a cadere, non lo sta pensando affatto. È scontato, la sera, giocare con Alpine, che a volte non sa distinguere un braccio di carne da uno di metallo, e Bucky non sta pensando di tirare fuori i cerotti, perché Sam è grande e grosso e sa mettersi i cerotti da solo se vuole, non ha bisogno di Bucky.

È scontato trascorrere intere giornate a costringersi a distogliere gli occhi da Sam, mentre sta facendo anche la più stupida e non affascinante delle cose. Dallo sbadigliare, al ballare mentre passa lo straccio per terra, fino a riempire la ciotola di Alpine. Diavolo, a Bucky tocca abbozzare anche quando semplicemente sorride perché trova adorabile quella fessura tra i denti.

Sam non sembra accorgersi, o forse è solo molto bravo a nasconderlo, Bucky non se ne capacita. Ma di fatto sono mesi che lo punta e non sa che fare.

Perché magari è solo lui, chi lo sa? Magari è una cosa non corrisposta.

Continuano a litigare per le cose più stupide, non sono d’accordo quasi su nulla. Sono come il giorno e la notte, e forse non funzionerebbe neanche. Forse anche Sam sente qualcosa ma pensa che tra loro sarebbe troppo difficile. Anche se per ora non è affatto difficile. Per lo meno, non quel tipo di difficile che ti fa riconsiderare tutto.

Bucky capisce che deve fare una mossa un giorno di marzo. Sta sistemando la moto quando sente Sam chiamarlo. È dall’altra parte del cortile, a dare una sistemata alle piante che in quella zona stanno crescendo senza controllo. Quando lo raggiunge lo trova sporco di terra da capo a piedi, una mano inguantata sul fianco e l’altra che tiene il seghetto da giardino.

“Guarda qua.” gli dice.

Sta indicando qualcosa per terra, vicino all’angolo della patio. Bucky si inginocchia per poter vedere meglio: in mezzo agli sterpi secchi di una vecchia pianta di rose, ci sono dei germogli.

“Credevo che fosse morta.”

“Mh.” Bucky si pulisce le mani sporche di grasso di motore e scosta la terra, “Vuoi che la tolga?”

Si guardano. Le piante di rosa sono ostinate, difficili da sradicare, ma sanno entrambi che per Bucky sarebbe poco sforzo.

“Non lo so. Mi sembra un peccato.”

Bucky scrolla le spalle.

“Possiamo darle un sostegno e vedere se cresce.”

Sam annuisce pensieroso. Poi lascia il seghetto va dietro, a frugare tra la roba che hanno scartato in tutti quei mesi, e ne pesca un vecchio manico di scopa.

Puliscono per bene la terra dagli sterpi e lo piantano vicino al bordo del patio.

“Per ora dovrebbe bastare. Se cresce avrà bisogno di un sostegno migliore.”

“Sì.” Bucky lega il bastone al patio con un filo di canapa, “Vedremo.”

Sam si rialza e tira via i guanti. Sta guardando quei germogli stentati con lo stesso affetto con cui guarda i suoi nipoti e, se Bucky già non pensasse che lui è il perfetto erede di Captain America, quella sarebbe il momento della folgorazione.

“Vedremo.”

Bucky distoglie lo sguardo mentre Sam si massaggia il collo indolenzito e borbotta che deve tornare alla moto.

Non sta pensando a come iniziare a corteggiarlo ‒ assolutamente non ci sta pensando.

* * *

Quello che Sam si augura è che un giorno ripenserà a tutto questo e ne riderà. Ma di fatto adesso sta morendo dentro.

Bucky pensa di essere sottile, ma non c’è niente di sottile nel modo in cui lo guarda e Sam sta iniziando ad accusare il colpo. Se solo parlassero!

Sam non sa come andrebbero le cose, ma è un pezzo che non sa come andrà la sua intera vita, quindi perché non aggiungere anche quella variabile? In ogni caso sarebbe sempre meglio che trascorrere l’esistenza a struggersi, immaginando come potrebbe essere tra di loro se solo si dessero un’occasione.

Sarah l'ha capito, perché non c’è alcun modo per interpretare quel sorrisetto consapevole che gli rivolge quando le parla di Bucky. Ma lui non è pronto per parlargliene. Non sa nemmeno se è pronto a dare un nome a questa cosa, figuriamoci a nominarla ad alta voce.

Non c’è privacy in quella casa, solamente loro due e Alpine nel raggio di chilometri. E così Sam si trova intrappolato in mezzo a tutti i problemi conseguenti al fatto di essere attratto da una persona con cui sta condividendo platonicamente ogni momento della sua esistenza. Dannazione, Sam è più vicino ai quaranta che ai trenta e non sa come gestire una stramaledetta cotta. Sarebbe più facile se non vivessero insieme? Non lo sa, onestamente. Sa solo di essere fregato.

Non capisce quanto sia fregato finché riceve una telefonata da parte di Torres.

Quando rientra in casa, Bucky sta leggendo sul divano e lo fissa con aria perplessa. Sam non vuole parlarne, non con lui. Ma Bucky continua a fissarlo dal divano mentre lui gironzola senza pace cercando qualcosa di fare.

“Mi stai innervosendo.”

“Ha chiamato Torres.”

Sam impreca mentalmente.

“Che voleva?”

“Dei consigli.”

Si dice di stare zitto, ma evidentemente ha la bocca sconnessa dal cervello.

“Di che tipo?”

“Sentimentale. Ha una cotta e non sa che fare.”

Sam è davanti alla libreria, le spalle a Bucky. Fa finta di non sentirlo muoversi sul divano, di essere concentrato sulle copertine dei libri.

“Oddio.”

“Già.”

Sfila un libro, poi cambia idea e lo rimette a posto, posa entrambe le mani sulla libreria.

“Che gli hai detto?”

“Che ci dovevo pensare un attimo e gli facevo sapere.”

Silenzio. Sam lancia un'occhiata alle spalle e quello che vede non gli piace, o meglio gli piace anche troppo per cui non gli piace.

“Non guardarmi così! Mi è venuto il panico, va bene? Come una specie di… di ansia da prestazione, ecco.”

“A te?”

“Sì, a me. Perché?”

Sa  si volta, le braccia incrociate sul petto e il respiro instabile.

“Sei quello con le ali meccaniche che fa le piroette in cielo sotto gli occhi di tutti, ti ricordi?”

“Sì, beh, questo è completamente diverso.”

“Sam, ti ha solo chiesto dei consigli di cuore.”

Il modo in cui parla lo manda ai matti, ma onestamente per un motivo o per l’altro Bucky lo manda sempre ai matti.

“Non ridere! Io non sono‒ senti, sono solamente un tizio con un po’ di esperienza qua e là, ma non ho tutte le risposte.”

“E lui mica ha bisogno di tutte le risposte.” Bucky scuote le spalle, “Devi solo dargli un suggerimento, il resto lo farà da sé.”

“E se gli do il suggerimento sbagliato?”

“Quante paranoie che ti fai.” alza gli occhi al cielo, “Non è mica tuo figlio!”

“Per lui sono come un mentore, mi ha preso come modello di comportamento.”

Per un momento Bucky lo guarda in silenzio. Quando parla sembra un po’ più serio, come se avesse capito.

“Okay,  senti, vuoi che ci parli io?”

“No no, ha il sacro terrore di te.” Sam si fa coraggio e va a sedersi sul divano accanto a lui, “Dimmi solo‒ spiegami come faresti tu.”

Bucky inarca le sopracciglia: “Devi darmi qualcosa di più che ‘Torres ha un cotta’ su cui lavorare.”

“Okay.” Sam si umetta le labbra e prende un gran respiro, “È il suo istruttore di fitness. Dice che flirtano di continuo ma niente di più, la cosa va avanti da mesi ormai. Torres crede che lui lo veda troppo giovane e senza esperienza, e per questo non ci prova davvero.”

“Capito.”

Bucky ha ancora in mano il libro che stava leggendo. Lo batte un paio di volte sulle cosce, con aria pensierosa.

“Beh, io sono vecchio stile e sono anche un po’ arrugginito.”

“Oh, ma per favore.”

“Dico solo” lui alza le mani, “che una volta le cose andavano in maniera diversa. Non so se al giorno d’oggi le mie tattiche possono funzionare.”

“Sì? Tipo quali?”

Sam vuole e non vuole sapere di cosa sta parlando. Vuole e non vuole portare avanti quella conversazione surreale. Vuole e non vuole che sperare che si stia sognando tutto.

“Facciamo così: tu sei Torres e io sono la sua crush.” Bucky si alza e gli fa un cenno, “Vieni qua che facciamo gli addominali.”

Sam vuole e non vuole sparire in un buco sul pavimento. Ma si limita a fissare Bucky con aria ostile.

“Dobbiamo proprio?”

Bucky si acciglia

“Li facciamo tutti i giorni, adesso ti fai problemi?”

“Non sono gli addominali il problema.” dice cercando di mantenere ferma la voce.

“Bisogna immedesimarsi, altrimenti non funziona.”

“Va bene.” sospira.

‘Va bene’ pensa mentre si mette in posizione. Bucky davanti a sé e tenergli le gambe.

 “Torres, crush, addominali.”

‘Va bene’ continua a pensare. Non c’è niente di strano, è vero che li fanno tutti i giorni. Non c’è niente di strano.

“C’è tensione, no?” Sam fa gli esercizi e Bucky parla, “Di quella interessante. Stiamo lavorando insieme, siamo fisicamente vicini, flirtiamo tutto il tempo.” Sam inizia a sudare e non sono gli addominali la causa, “Riesci a sentirla?”

. Vai avanti.”

“Però nessuno dei due fa nulla. Perché?”

“Perché non abbiamo molta esperienza?”

Tu non hai molta esperienza, quanto a me... sono più grande, no?”

Sam si ferma per ascoltare, fingono di non dover riprendere fiato dopo solo una dozzina di esercizi.

“Faccio un’ipotesi: sto aspettando che tu mi dia il segnale per fare una mossa, ma tu stai aspettando che io faccia la mia mossa per primo. E quindi siamo bloccati. Ti suona? È una situazione normale, dobbiamo solo sbloccarla.”

A Sam suona fin troppo bene e comincia ad essere confuso. E irritato.

“Cosa c’è di normale? Perché non parliamo e basta?”

Bucky scrolla le spalle: “Perché a volte semplicemente va così.”

Molto irritato.

“Forse negli anni ‘40, ma oggi‒”

“Già, cos’è che fate al giorno d’oggi? Ah, sì!” Bucky gli lancia un’occhiata saccente, gli sta ancora tenendo le gambe e Sam può percepire la facilità con cui lo blocca senza alcuno sforzo e la cosa non lo sta aiutando per niente, “Vi conoscete su qualche app dove non avete nemmeno il coraggio di mettere una foto che mostri la vostra vera faccia. Poi vi incontrate in qualche club per strusciarvi addosso, sperando che sia la stessa persona con cui avete chattato. Come fate a riconoscervi? Usate una parola d’ordine?”

“Okay boomer.”

Sam alza una mano per mettere una metaforica distanza tra loro, ma soprattutto per fermare quel discorso. Non è ancora pronto per questo discorso e probabilmente non lo sarà mai.

“Come le sai tutte queste cose? Sembra esperienza di prima mano.”

“Boomer non è la definizione corretta per la mia fascia d’età.”

“Bravo, evita di rispondere.”

Bucky stringe gli occhi e lo inchioda con lo sguardo.

“Ti disturba l’idea che io vada a rimorchiare nei club?”

Sam sente il cuore sfondare la cassa toracica, ma sostiene il suo sguardo con la migliore faccia da poker del suo repertorio.

“Non sono affari miei.”

“Esatto.”

“Bene. Possiamo procedere?”

C’è qualcosa in Bucky che cambia impercettibilmente, e il momento successivo il suo volto passa dalle linee dure del Sergente Barnes alla morbidezza di quel ragazzo di Brookling che Sam ha visto di tanto in tanto far capolino.

“Ma certo, dolcezza.”

“Cosa‒” Sam si schiarisce la voce, “Che roba era quella?”

“Dobbiamo flirtare, no?” Bucky gli rivolge un mezzo sorriso, “Resta nel personaggio.”

“Uh… sì.”

‘Torres, crush, addominali’ si ripete Sam. È un bene avere da fare qualcosa.

“Se io non faccio a prima mossa, tu devi trovare il modo di uscire con me senza invitarmi ad un vero e proprio appuntamento. Cos’abbiamo in comune?”

“Niente.”

Bucky inarca le sopracciglia: “Sto parlando di Torres e della sua crush.”

“Oh.” Sam è felice di essere impegnato negli addominali, “Musica.”

“Bene.”

“Concerto?”

“Qualcosa di più intimo?”

Sam si ferma, una mano puntata dietro per sostenersi e l’altra casualmente appoggiata sulle ginocchia. Sfodera il migliore dei suoi sorrisi.

“C’è questa band che suona sabato sera. Sono bravi. Si beve qualcosa, si balla. Ti va?”

“Oh, bravo.” Bucky si lecca le labbra, scosta lo sguardo, per un attimo Sam pensa quasi di averlo messi in imbarazzo, “Molto bene.”

“Grazie. Possiamo fermarci con gli addominali?”

“Certo.” Bucky gli lascia andare le gambe e si rialza, “Adesso dobbiamo andare all’appuntamento.”

Sam si pietrifica lì, sul pavimento.

“Cosa?”

“Vuoi davvero lasciare Torres con questo e basta?”

Sam si rialza e lo fissa accigliato.

“Non dovrei dargli solo un suggerimento?”

“Uh-uh.” Bucky lo squadra e Sam è sul punto di prenderlo a pugni, veramente, “Facciamo due, se è come te.”

“Cosa‒” Sam gli punta un dito contro, “Tu non sai di cosa sono capace!”

“Sì?” Bucky alza il mento, “Fammi vedere, dai.”

Sam si avvicina al giradischi e tira fuori un 33 giri. Gli scocca un’occhiata di avvertimento mentre lo mette su.

“Siamo al locale, la band suona.” la musica riempie la stanza e loro due si fronteggiano con aria di sfida, “Fammi capire che vuoi essere invitato a ballare. Che vuoi ballare proprio con me.”

La voce di Bucky è fin troppo allusiva per non fargli effetto. E Sam si è rotto le palle. Forte delle parole di Marvin Gaye, gli afferra una mano e se lo tira addosso. Se Bucky è sorpreso non lo dà a vedere. Le sue mani sono ferme quando vanno ad afferrargli la vita e il suo sguardo non cede di un millimetro.

“Questo è il tuo piano?”

La distanza tra loro è contemporaneamente troppa e troppo poca.

“È così che faccio. E funziona sempre.”

“Ah, non ne dubito. Ma questi due si ronzano attorno da mesi e ancora non hanno avuto il coraggio di farsi avanti. Tu ce lo vedi Torres a fare così?”

“Mh.”

Sam non vuole dargliela vinta, ma onestamente ha ragione.

Let Get It On non va bene. Marvin Gaye non è adatto per‒”

“Ehi, porta rispetto per Marvin Gaye!” il contrasto tra la sua voce alterata e il modo in cui stanno ballando è ridicolo, ma al momento non riesce a pensare anche a questo, “Io non sarei nato senza di lui, i miei genitori si sono innamorati ballando le sue canzoni.”

“Con tutto il rispetto, quelle canzoni parlano letteralmente di sesso.”

Per la sua sanità mentale, Sam sorvola sull’effetto che la parola ‘sesso’ gli fa pronunciata da le sue labbra a un palmo di distanza.

“Facile, così. Prova a mandare lo stesso messaggio mentre balli un lento di Doris Day.”

Doris Day?” Bucky lo lascia lì per cambiare disco e Sam è troppo frastornato per reagire, “James, loro non andranno mai in un locale anni ‘40!”

“Devi entrare nel mood.”

Bucky è di nuovo vicino a lui, una mano di nuovo sulla sua vita come se non ci fosse altro posto che quello.

“Hai mai ballato con un uomo?”

“Non così.”

Bucky annuisce come se si aspettasse esattamente quella risposta.

“Quando balli con una donna i ruoli sono definiti… beh, più o meno. Comunque.”

Un sospiro e non si sa come, non si sa perché, adesso sono molto più vicini di prima. Le guance che si sfiorano e il collo di Bucky a portata di labbra, il profumo tenue del suo dopobarba che lo avvolge. Sam stringe la mascella e decide di fissare un punto a caso davanti a sé.

“Le cose si complicano se balli con uomo, no?” la voce di Bucky è un sussurro e le sue mani sicure su di lui, “Capisci cosa intendo?”

Sam deglutisce: “Sì.”

“Bisogna prendere le misure, mh? Capire chi porta.”

“Stai portando tu.”

Sam lo realizza nel momento stesso in cui lo sta dicendo e un po’ gli manca il respiro.

“Perché tu me lo lasci fare.”

“Ah.”

“Non te l’aspettavi?”

Lo dice così. Senza ironia, senza sottintesi.

Bucky lo guida mentre Doris Day canta di sogni e Sam si fa guidare, lontano da quel buco sul pavimento dove vorrebbe nascondersi.

“Era così che funzionava ai miei tempi. Non potevi andare in un locale e scuotere i fianchi. Tutto doveva essere sottinteso.”

L’accento di Brooklyn rende la voce di Bucky densa come melassa. Sam se la sente scorrere giù per la schiena una parola alla volta e andargli dritta al cazzo.

“Non c’è quel tipo ritmo, non ci sono parole esplicite.” la mano destra di Bucky risale dalla vita e si apre, grande e sicura, in mezzo alla schiena, “Ci siete solo voi due. La musica è una scusa, il locale è un porto franco.”

Sam non lo ammetterà mai, ma questo è meglio di Marvin Gaye. Vorrebbe avere la forza di contrastare l’istinto di chiudere gli occhi, ma non si è mai sentito così debole. Si vergognerà più tardi. Per ora vuole proiettarsi in una sala da ballo degli anni ‘40.

“Ti danno la sola occasione socialmente lecita. Di farti avanti, stargli così vicino, toccarlo. Hai solo un lento e devi fargli capire cosa vuoi da lui. E in che modo lo vuoi.”

In che modo lo vuole. È abbastanza chiaro in che modo Bucky lo vuole. Sam sta scoprendo in che modo lui vuole Bucky in quel preciso momento e non sa come farà a guardarlo in faccia dopo.

“Tutto questo solamente ballando.”

Non c’è modo di descrivere desiderio struggente che stillano quelle parole. È doloroso e bellissimo e Sam vorrebbe avere il coraggio di chiudere il cerchio. Di rispondere al suo richiamo come Bucky merita.

Hiiiiiiissss meeeeow!

Si dividono talmente velocemente che Sam per poco non perde l’equilibrio.

“Possibilmente senza pestare il gatto. Vieni qua, bello. Ti ho fatto male?”

Alpine è tra le braccia di Bucky, adesso, che fusa come un matto e si gode i grattini di scusa per avergli pestato la zampa. Sam non l’ha mai odiato così tanto.

*

Bloccati dal gatto.

Bucky fissa il soffitto, un braccio sotto la testa e l’altro attorno al colpevole che se la ronfa impunito, e si chiede cosa diamine stia sbagliando. Era bravo, ai suoi tempi. Certo sono cambiate tante cose dagli anni ‘40, e la sua vita è già talmente incasinata che ha rinunciato in partenza a rimettersi in pari. Ma il tocco, quello non l’ha perso. Capisce al volo cosa vuole una persona, sa ancora flirtare e soprattutto sa come portare.

Forse si sente troppo sicuro di sé?

Bucky ruota il capo: Sam gli dorme accanto come sempre, anche se quella sera nel mettersi a letto è stato piuttosto difficile, la solita routine spezzata da un imbarazzo che non era mai appartenuto a loro. E pensa che, no, non si sente affatto troppo sicuro di sé, non con Sam.

A volte succede questa cosa tra di loro. Che sia tutto incredibilmente facile e allo stesso tempo impossibile. Come scivolare su una slitta giù per una collina innevata, l’adrenalina alta e le risate e il vento freddo in faccia, solo che poi perdi il controllo e ti vai a schiantare. E con Sam per ora è così: la discesa non finisce morbida, ma si vanno sempre a schiantare.

Oggi la colpa è stata del gatto, ma il gatto è una scusa. Il gatto non c’entra niente con le loro insicurezze.

Bucky sospira nel buio e Alpine gira un orecchio, miagola interrogativo. Ma lui di risposte non ne ha nemmeno per sé, figuriamoci se può darne al gatto.

La mattina arriva che Bucky ha chiuso occhio forse un paio d’ore, e non sarebbe un problema di per sé, se non fosse che non ci è più abituato a non dormire. Non è più abituato nemmeno a svegliarsi senza Sam addosso, e anche questo non dovrebbe essere un problema, ma lo è eccome, lo è moltissimo. È il più grande problema sulla faccia della Terra.

La giornata inizia male e continua peggio: ogni cosa fanno è come interrotta, sospesa.

Non chiacchierano a colazione, perché quelle mezze frasi senza guardarsi non possono certo definirsi chiacchiere. Non si preparano insieme per andare fuori ad allenarsi, perché Sam fa qualunque cosa pur di evitarlo. Non discutono sulla tecnica di combattimento di Sam durante il pranzo, né giocano con Alpine sul divano.

Bucky sente la tensione tra di loro che arriva a ondate e quasi lo soffoca. Ne ha abbastanza. Decide di andare a schiarirsi le idee fuori e si trova davanti alla rosa.

Con molta fatica si sta facendo strada sul palo, e loro non ne sanno molto di rose in generale né di giardinaggio particolare. Potrebbe anche essere che la povera pianta muoia sotto i loro occhi senza che loro possano farci niente. Di sicuro al momento non se la sta cavando granché bene.

Quando Sam lo raggiunge, ha le cesoie in mano e non si volta a guardarlo, non gli lancia il suo solito sorriso. Non vuole incontrare di nuovo la freddezza con cui si è scontrato nelle ore precedenti, non la sopporta più.

“Non lo so se è il momento di potarla.”

“Non lo so nemmeno io, ma i rami vanno da tutte le parti tranne che nella direzione giusta.”

“Forse dovremmo lasciarla fare.”

La voce di Sam è più soffice di quel che si aspetta. Bucky si degna finalmente di guardarlo e la sua espressione aperto gli fa stringere il cuore.

“Sì? Senza controllo? Non mi sembra una grande idea.”

Sam sostiene il suo sguardo, l’ombra di un sorriso che si fa strada sul volto.

“Si, tu sei quello che non fa nulla senza un piano.”

Bucky serra la mascella e sospira teso, scuote la testa.

“Quindi? Cosa suggerisci?”

“Ti ricordi quando abbiamo riparato la barca insieme?”

Sam si avvicina e afferra il bastone che settimane prima avevano piantato lì, lo toglie con uno strattone. Bucky lo guarda in silenzio, in attesa.

Sam gli lancia un sorrisetto e lo guarda da sotto le ciglia. Bucky sente il cuore battere come se avesse ripreso dopo una vita intera.

“A volte c’è bisogno di guardare le cose da un’altra prospettiva.”

*

Decidono di andare a mangiare fuori, qualche giorno dopo.

Non è un appuntamento. Non viene nemmeno menzionata, la parola ‘appuntamento’. Perché sarebbe ridicolo e fuori luogo, no? Vivono insieme, dormono insieme, mica hanno bisogno di un ‘appuntamento’.

E poi, perché lo si possa definire ‘appuntamento’, dovrebbe esserci qualcuno che chiede a qualcun altro di uscire insieme. Invece tutto quello che succede è che Sam si lamenta che mangiano sempre le solite cose, e Bucky risponde che possono sempre ordinare qualcosa all’unica pizzeria giù in paese, e Sam ribatte che non fanno le consegne fino a lì quindi dovrebbero andare a prendere le pizze di persona e così arriverebbero a casa già fredde. Allora Bucky dice che nessuno impedisce loro di restare in paese a mangiare, se vogliono, e Sam risponde che non è una cattiva idea, potrebbero fare venerdì sera. E Bucky dice sì, va bene, e Sam anche dice che va bene. E così è deciso, venerdì sera.

Quindi no, non è un appuntamento, per niente. Sono due amici che decidono di andare a mangiare una pizza insieme, tutto qui. Che il commento iniziale di Sam sia stato fatto di proposito, non ha alcun peso. Anche perché Bucky non verrà mai a saperlo.

Guarda caso, Sam si trova ad aspettare quel giorno con una trepidazione che ricorda appartenere a ben altre circostanze. E quando venerdì arriva, si scopre a frugare nell’armadio in cerca dell’outfit giusto come faceva quando si stava preparando per uscire con qualcuno. E mentre si prepara, si sistema la barba con cura e tentenna a lungo prima di decidere se e quanto dopobarba usare.

Sam cerca di ridimensionare. È la prima volta che escono, che fanno qualcosa di diverso, ovviamente è elettrizzato.

Sam cerca di ridimensionare e non è facile. Bucky ha indossato la giacca e vorrebbe non notare che si è fatto la barba e si è sistemato i capelli, ma lo nota.

“Sei pronto?”

Bucky afferra le chiavi della moto e gli porge il suo casco. Sam non ha tempo di obiettare che lui è già fuori casa e ha acceso il motore.

La strada che va dal cottage al paese non è lunga. Per lo meno in auto. In moto sembra durare un’eternità. Sam sospetta che sia tutta una sua percezione, perché poi, quando parcheggiano davanti alla pizzeria e smontano, già gli manca stare in sella dietro a Bucky.

La pizzeria è piccola e raccolta, certamente niente di elegante. È frequentata solo dagli abitanti del posto e Sam, che nemmeno si è sforzato chissà quanto nel proprio vestiario, si sente lo stesso un po’ fuori posto.

Quella sera, davanti alla prima pizza in quasi un anno e con il bicchiere sempre pieno di vino, Sam pensa che è tutto, in qualche modo, fuori posto.

Troppe aspettative? Lui è un tipo con i piedi per terra, il che fa un po’ ridere se pensa che il mondo lo conosce con il nome di Falcon, il supereroe che combatte i cattivi letteralmente volando. Ma la verità è che Sam ha imparato a volare a forza di cadere e rialzarsi. E ogni volta che mette su le ali ha Riley impresso nella mente. Per questo non fa piani né programmi, per questo non si fa troppe aspettative e lascia che le cose vadano per il loro corso. Perché ogni volta potrebbe essere l’ultima, quindi perché non darle una possibilità?

Perché non dare una possibilità anche a loro?

“Vuoi il dolce?”

Sam beve un sorso di vino e annuisce, anche se il tipo di dolce che vuole non è lo stesso che intende Sam.

Si dividono una fetta di cheesecake in una gara di forchettate. Alla fine Sam gli lascia l’ultimo boccone: Bucky ha un debole per i dolci. ‘Mmmmh’ fa mentre mastica quell’ultimo boccone. E forse ‒ no sicuramente ‒ è il vino che parla ma Sam vorrebbe tanto essere quella cheesecake.

Quando escono fuori, la piccola città è silenziosa e sotto la luce dei lampioni non si vedono e stelle che sono abituati a vedere dal giardino del loro cottage. Sam rabbrividisce per l’aria fredda della sera.

Bucky si tira via la giacca e gliela porge. Sam lo fissa perplesso.

“Non è che io posso morire di freddo.”

Sam non può obiettare, per cui prende la giacca borbottando un ‘grazie’. Ha l’odore del dopobarba di Bucky e Sam deve trattenersi dal annusarla.

“La prossima volta portati qualcosa per coprirti. Lo sai che sei freddoloso.”

Bucky monta sulla moto e Sam guarda le sue mani. Ha tenuto su i guanti per tutto il tempo e è una nota talmente stonata da farlo incazzare. Lo capisce il perché, eh, ma non per questo deve piacergli. Infatti a Sam non piace. È il perfetto sunto di tutto ciò che era fuori posto in quella serata.

“La prossima volta prendiamo le pizze e le portiamo a casa.”

Bucky gli lancia un’occhiata confusa.

“Arriveranno fredde.”

Sam indossa il casco e monta dietro di lui.

“E vuol dire che le riscalderemo.”

Quella notte, nonostante, la pancia piena e l’alcol che gli intorpidisce il cervello, nemmeno Sam riesce a prendere sonno. E quando alla fine crolla, sogna di rose rosse come il vino che avvolgono la loro casa fino a soffocarli dentro.

Sam si sveglia di soprassalto, con il fiato corto e il cuore che pulsa feroce in gola. Ha una mano artigliata al braccio bionico di Bucky. Il metallo sotto le dita è rassicurante, come un’ancora che lo tiene attaccato alla realtà.

Un fruscio di coperte e Bucky lo afferra saldamente.

“Era da un pezzo che non facevi incubi.”

“Sarà stata la pizza.”

Alpine si muove su di loro, cercando un posto adatto dove fare la palla nella nuova disposizione.

“Nah, era cheesecake. Aveva qualcosa di strano.”

Sa, gli dà un gomitata: “Già, così strano che te la sei finita tutta.”

“Ho cercato di salvarti da un’intossicazione alimentare.”

Sam sbuffa una risata ed è talmente felice che le cose si siano un po’ sciolte tra di loro che sente chiudersi la gola. Non lo sa come andrà, e Bucky nemmeno. Stanno andando a tentoni nel buio e forse è così che deve andare, forse è così che due come loro possono trovarsi.

Provando e cadendo e rialzandosi. Dandosi tempo.

“Il mio eroe.”

“Non c’è di che.”

Sam si addormenta col respiro di Bucky sulla nuca e la mano ancora salda sul polso di metallo. Non ha idea che il loro tempo in quella bolla sia in scadenza.

 
   
 
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