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Autore: Chocolate_senpai    16/05/2021    1 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 19

 

Quanto ci era voluto per far scattare quel casino? Dieci minuti? Un’ora? Forse erano passati dei giorni, e nessuno se n’era accorto.

Erano trascorse due notti dalla terrificante festa. Al terzo giorno, quando qualcosa sembrava essersi sbloccato, il karma, dio, la provvidenza o chi per loro avevano deciso che le cose non stavano andando abbastanza male.

 

La sveglia era suonata alle cinque. Perlomeno nella testa della dottoressa americana.

Emily era scattata come una molla, alzandosi dal letto alla maniera delle bambine indemoniate nei film dell’orrore. Gli occhi spalancati indagarono il nulla cosmico del buio che li circondava.

Era stato un sogno a destarle dei sospetti. Chiusa in un’aula scolastica, si era rivista mentre, da bambina, subiva l’ennesimo terzo grado in un’interrogazione di geografia. Miss Carlyle la guardava con severità, stagliandosi tra lei e la carta geografica. E Emily dava solo risposte sbagliate.

Un’interrogazione di geografia destinata a fallire era un incubo bello e buono per chi, come lei, aveva trascinato sulle spalle la responsabilità di tenere alto il nome della famiglia in ogni grado scolastico. Ma non era quello il punto. Al momento del terrificante risveglio, le era tornato in mente l’ultimo istante in cui si era trovata a dover sostenere un’interrogazione negli ultimi anni. Era stato durante un corso sulla sicurezza informatica, e in una specifica lezione si era parlato di nickname e nomi in codice.

Emily si sfregò gli occhi, scendendo dal letto prima che il subconscio la convincesse che alle cinque avrebbe potuto ancora dormire. Si fece largo fino alla scrivania, rimanendo per un attimo accecata dalle luci dello specchio. Scartabellò al pc fino a trovare il file di Torres, e cominciò a rileggerlo per l’ennesima volta. Nella sua testa era sicura, sicurissima, che quelle che avevano trovato nel documento non potevano essere coordinate.

Le aveva guardate, lette, rilette, rigirate; aveva cercato di decodificarle, trasformando i numeri in lettere e le lettere in numeri. Niente. E allora, perché accanirsi?

Se, invece, giusto per fare un’ipotesi, quelle liste di segni fossero state scritte apposta così, senza nascondere coordinate, o chissà che altro?

Emily inforcò gli occhiali, prese il pc e, ancora in pigiama, decise che un caffè avrebbe risolto parte dei suoi problemi. La via per il cucinotto era completamente deserta, come era ovvio che fosse a quell’ora indegna del mattino. Ma la sala comune era, incredibilmente, popolata; e qualcuno aveva pensato al caffè prima di lei.

- Ivan –

Il ragazzo alzò una tazza verso di lei.

- Watson –

- Che fai già sveglio?-

Dalla cucina fece capolino una testa di spettinati capelli grigi. Boris sbadigliò, accennando all’americana un saluto che sapeva di insonnia e caffeina.

- Beh, visto che siete qui ... – La ragazza si fece posto accanto a Ivan, aprendogli il computer davanti – Ho pensato a una cosa –

- Anche io –

Lei parve sorpresa.

- Davvero? Che cosa?-

Ivan indicò con un cenno il file d Torres, svettante sul desktop nei suoi incomprensibili caratteri – Che non possono essere coordinate. Beh, a meno che non abbiano usato un sistema incredibilmente macchinoso per nasconderle ... non lo possono essere. Poi, che cazzo ci facevano a casa di Torres? Conosciamo Vorkov: se davvero ha a disposizione un foglietto con la posizione di un arsenale missilistico, prima di tutto non lo lascerebbe a casa di uno che poi fa ammazzare. E secondo ... se lo terrebbe ben stretto alla sottana – Bevve un lungo sorso di caffè – Non è il tipo che delega agli altri le cose importanti –

Emily sembrò impressionata. Per lei era stata quasi un’epifania; per Ivan, una normale deduzione. D’altra parte, loro conoscevano il nemico meglio di chiunque altro.

- Sono d’accordo. Non possono essere coordinate. Non è possibile –

- Allora ... – Boris si stravaccò su una sedia davanti a loro - ... Avete altre idee, o siamo punto a capo?-

- Nomi in codice – Sentenziò Emily.

I due ragazzi si scambiarono un’occhiata tra il preoccupato e l’illuminato. Ivan non sembrava convinto.

- In che senso? Secondo te ci ha nascosto dei nomi di gente che ha a che fare con la faccenda dei missili?-

- Non lo so di chi sono i nomi, non so neanche se sono davvero nomi ... ma, non è plausibile come idea?-

- Sì. Sì, lo è ... –

- E anche se fosse? Dove ci porta tutto questo?-

Gli occhi di Emily si spostarono su Boris, guardandolo solo di sfuggita. Non lo aveva mai notato troppo in giro da quando si era chiusa in laboratorio. Almeno, a parte quando lo aveva trovato a fare a pugni in una palestra improvvisata tra macchinari costosissimi. Ora gli sembrava incredibilmente ... stanco. Dietro gli sguardi affilati e i muscoli gonfi, gli scricchiolii delle nocche consumate dai pugni e quant’altro lo potesse far sembrare un duro ... era stanco.

Emily ne sapeva qualcosa di stanchezza, e le occhiaie di Boris a lei ricordarono solo le notti insonni passate sul progetto di dottorato. Ma chissà quali demoni nel cassetto aveva quel ragazzo.

- Hei?-

L’americana si riscosse giusto in tempo per sentirsi addosso i freddi occhi del russo in questione. Boris la squadrò, in attesa del verdetto – Allora? Nomi, coordinate ... che cambia? È comunque roba da decodificare, no?-

- Se sono nomi, non proprio. Sono lettere, e numeri ... – Ivan si grattò distrattamente il mento. Gli piacevano i giochi di logica: era bravo a risolvere i misteri, aveva il cervello fino, la mente allenata.

- Forse le lettere sono iniziali, e i numeri ... date? –

- Età?- azzardò Emily.

Boris scrollò le spalle – nickname per un sito porno?-     

Il gioco del indovina chi si fermò con l’arrivo dei primi esseri alla ricerca della colazione. Takao e Daichi si trascinarono fino al buffet, prontamente allestito dal mattiniero catering. Hilary li seguì, sfregandosi le mani sugli occhi stranamente arrossati. Volarono per la sala cenni assonnati, che valevano come altrettanti buongiorno. Fin qui sembrava andare tutto bene, quasi meglio dei giorni precedenti. Poi arrivò un fulmine a ciel sereno.

Garland entrò nella sala comune come una furia, spingendo davanti a lui una ragazza magra, ben vestita e con il capo coronato da un biondissimo chignon. Alyna ricadde pesantemente su una sedia; scostò dagli occhi chiari gli occhiali a specchio, abbastanza fuori posto a dicembre. La mano di Garland le premeva sulla spalla, e gli occhi di lui guardavano stizziti due persone in particolare.

Se Boris avesse avuto qualcosa in bocca, gli sarebbe irrimediabilmente caduto insieme alla mandibola. Ivan fermò il ticchettio delle dita sul pc. Non era poi così tanto sorpreso dall’apparizione di quella bugiarda; ma gli venne spontaneo chiedersi come cavolo li avesse trovati.

Alyna soffiò.

- è un piacere rivedervi –

- Zitta – la rimbeccò Garland – e dicci che cazzo stavi facendo fuori dal laboratorio –

Takao si fece avanti, con il suo piatto di bacon e salsiccia in un sugo piuttosto rivoltante 

- ... Rose? –

Lei alzò gli occhi al cielo. Boris rispose per lei.

- No, è ... quella falsa – ammiccò, molto ironicamente – Quella che ci deve un sacco di spiegazioni. Vero, Alyna? –

- Io non vi devo niente –

Garland spinse sulla sua spalla, imponendole un minimo di rispetto verso la situazione. Non che a lei importasse molto.

- Ho capito. Kai ... – continuò Takao, incredibilmente disinteressato alla colazione – Ci ha raccontato. Tutto. Sappiamo chi sei – Concluse, quasi con disprezzo. Il disprezzo che nella sua testa meritavano i bugiardi, e i malvagi.

– Che vuoi ancora da noi? –

Le labbra di Alyna si tirarono in un largo, smagliante sorriso. Uno di quelli che hanno dietro tante, troppe incognite. Emily si sedette davanti a lei con occhi di fuoco, e Hilary fu subito la sua ombra.

- Hai idea – cominciò l’americana – di quello che hai fatto? Lo sai cosa è successo per colpa tua?-

La bugiarda non si scompose nemmeno, restando seduta e sorridente.

- Io non ho causato un bel niente. E prima che cominciate a urlarmi contro ... sono stata manipolata tanto quanto voi –

L’irritazione e l’astio curvarono le labbra di Emily in un falso sorriso.

- Ah, ma certo! Senti questa! Sei venuta a fare la vittima per caso? Perchè caschi male!-

Il commento scivolò addosso ad Alyna come fosse fumo, lasciandola senza un graffio. Non era di Emily che si stava preoccupando: tutta la sua attenzione era per il russo dagli occhi verdi, seduto all’altro capo del tavolo. Attenzione che Boris ricambiava.

- Sono tornata per dirvi delle cose –

Il russo ghignò.

- Bene. Perchè ci sono diverse cose che vorrei sentirti dire –

- Ah sì? Ad esempio?-

- Oh, no ... prego. Prima le signore –

Lei si accomodò meglio sulla sedia, incurante della presa ferrea di Garland sulla sua spalla e degli occhi di chi le stava attorno, brucianti di odio. Sapeva che non avrebbe ricevuto l’accoglienza di una regina, ma loro avevano bisogno di lei quasi quanto lei di loro.

- Io non ne sapevo nulla. Mi sembrava di avervelo detto, dopo che qualcuno mi ha rotto il naso – Si tolse i grandi occhiali a specchio, puntando su Boris lo sguardo turchese – Mi hai fatto male, sai?-

- Sei venuta solo a sventolare la coda di paglia? –

- Beh, prima di venire tirata in mezzo a una storia di vendette ho voluto mettere in chiaro la mia ... posizione. E comunque c’è altro –

- Cosa? Non abbiamo tutto il giorno –

- So dove sono nascoste le armi –

Gli occhi si allargarono, le sopracciglia volarono verso il cielo e i fiati restarono appesi a un filo. Garland strinse la presa.

- Ti conviene non raccontarci altre bugie –

Lei strappò con stizza una ciocca bionda incastrata tra le dita del ragazzo.

- Siete liberi di non credermi. Vi sto solo offrendo quello che so –

- In cambio di cosa?-

Ivan la guardò dietro occhi furbi e sottili. Si sporse verso di lei – Che vuoi da noi?-

- Una via di fuga –

- In che senso?-

- Nel senso che sto rischiando la vita, e voglio un passaporto sicuro e una copertura per andarmene da qui –

- Ma sei pazza?- Emily sbottò, sbattendo le mani sul tavolo – Hai collaborato con Vorkov per fare una cosa atroce, e ora torni qui ... e vuoi che ti aiutiamo a farla franca?!-

- Vi sto offrendo uno scambio di informazioni. Non c’è bisogno di fare l’isterica –

Prima che gli occhi della dottoressa sparassero laser, Ivan le fece segno di tranquillizzarsi. Emily restò in piedi, sperando di mettere un po’ di soggezione ad Alyna con il solo potere della sua aura.

Boris spezzò le voci e le domande sulla punta della lingua del compagno di squadra.

- Perché quando siamo fuggiti dal laboratoria mi hai fatto riprendere Falborg? Ci ho pensato su. Se Falborg è una delle chiavi, tanto valeva lasciarlo in mano a Vorkov. Invece tu me lo hai fatto portare via. Perché?-

- Perché quello stronzo mi stava per far ammazzare. E l’ho saputo solo dopo che tutto il teatrino era cominciato –

Ivan aggrottò le sopracciglia. Boris cominciò a non capirci più nulla. Le idee che gli navigavano in testa si mescolarono tra loro, e il volto dovette assumere la forma di uno che non ha idea del perchè si trova lì.

- Scusa un momento ... mi sta bene che Vorkov volesse eliminare chi era a conoscenza dei suoi piani. Ma che c’entra Falborg? Potevi benissimo scappare e basta –

Alyna alzò gli occhi al cielo; non era mai stata brava a spiegare le cose.

- Le cose stanno così: quando mi hanno chiusa in quel laboratorio, lo hanno fatto perché tu dovevi trovarmi. Era tutto calcolato: avevano mandato un idiota a liberarti con una scusa, tu lo avresti fatto fuori, eccetera eccetera. Esattamente come è successo. Hai abboccato alla perfezione –

- Perché ti avevano legata? Rose era lì di sua spontanea volontà, non aveva senso che ... –

- Diciamo che gli uomini di Vorkov avevano aggiunto un po’ troppa licenza poetica alla messinscena. Doveva sembrare tutto credibile –

- beh, missione fallita. Poi? Che c’entra Falborg?-

- Poi – E Alyna lo guardò con occhi cattivi, molto, molto cattivi – Ho scoperto che sul libro delle vittime sacrificabili di quella testa di cazzo del monaco c’ero anche io –

- Te lo ha detto lui?-

- Non fare l’idiota. Certo che no. Ho sentito due dei suoi scienziati pazzi parlare del piano, e del fatto che, nella remota possibilità che tu fossi fuggito da solo, senza passare a salvare Rosemary, ci avrebbero pensato loro a farmi finire nel bidone dell’organico –

Hilary represse un moto di disgusto. Daichi smise per un attimo di mangiare, al pensiero osceno di trovare pezzi di cadavere nei sacchi della spazzatura. Boris invece non si aspettava nulla di diverso. Vorkov non era il tipo che collezionava pesi morti: una volta usata, una persona era come un vecchio rotolo di scotch; aveva finito il suo lavoro, ed era pronta per la pattumiera.

- Io ho fatto finta di niente – Alyna continuò –Ma non mi piace essere presa per il culo. Allora ti ho fatto prendere Falborg. Perché se le cose fossero andate male, avrei avuto una merce di scambio per farmi uscire dal giro –

- Gli avresti dato Falborg ... –

- ... In cambio della mia vita. Certo –

- Vorkov non sarà stato contento –

- Avrebbe dovuto pensarci prima. Comunque la storia della falsa Rosemary era stupida, non poteva funzionare. Non con voi. Non so a che cazzo gli sia servito –

- E perché lo hai fatto?-

Lei alzò le spalle.

- Il lavoro è lavoro –

- E sei venuta a dirci questo? Mi dispiace averti fatto pensare che siamo interessati alla storia della tua vita, perchè, beh, non lo siamo – Ivan la guardò di sfuggita – Che ne facciamo di lei?- Stava già pregustando il momento in cui le avrebbero fatto sputare tutta la verità a calci, perché di tempo per parlare davanti a tè e pasticcini non ne avevano.

Ma Alyna non si fece impressionare.

- Non ho ancora finito –

- Finisci in fretta allora –

- Quel bastardo ... quel monaco ha fatto e disfatto i suoi patti come voleva, pensando di usarmi a suo piacere. Beh, non funziona così –

Si sporse verso Boris, forzando la presa di Garland su di lei, facendosi così vicina che il ragazzo fu in un attimo circondato da una zaffata del suo profumo dolciastro.

- Avrà una bella punizione, e ... una brutta sorpresa –

- Del tipo?-

- Del tipo che dopo che mi avete fatto saltare la copertura sono tornata da lui per sputargli in faccia, e prima di sfuggirli da sotto il naso ho ... origliato diverse cose interessanti –

Boris ghignò, di nuovo. Piegò il volto di lato, facendo scrocchiare il collo.

- Ci hai raccontato un sacco di cazzate, tesoro. Perché dovremmo crederti ora?-

- Perché vi siete rifugiati in America per scappare dalle sue grinfie, ma non credo ci metterà molto a trovarvi. E sta mettendo in riga armi più forti e persuasive. E io vi sto offrendo la pista giusta per uscire dalla vostra merda, e fargliela pagare –

- In cambio di una via di fuga?-

- Esatto. Vi chiedo solo un passaggio in Europa, e magari ... un’identità nuova, abbastanza convincente da farmi sparire dai suoi radar – Puntò gli occhi di sfuggita sul grembiule da laboratorio di Emily – Che ne so ... quella di un ricercatore in viaggio di studio, magari –

La ragazza arrossì fino alla punta dei capelli.

- Se credi che il PPB aiuterà una criminale ti sbagli di grosso!-

Boris andò dritto al punto, saltando sopra l’indignazione dell’americana - Le armi. Dove sono? Hai detto che conosci il nascondiglio –

Alyna sorrise furba. Le labbra si arricciarono verso l’alto.

- Abbiamo un accordo?-

Boris e Ivan si scambiarono un’occhiata complice. Takao era sul punto di protestare, o almeno andare a chiamare il resto della comitiva per decidere la cosa in gruppo. Ma quella non era una riunione di stato, e di tempo non ne avevano abbastanza per aspettare che tutti fossero abbastanza lucidi da sottoporre i propri cervelli a una simile scelta. Ivan girò i tacchi, puntando il tavolo della colazione per procurarsi altro caffè, lasciando campo libero al compagno di squadra.

- Va bene –

 

 

- Norimberga –

La chiacchierata con la bugiarda era finita lì, dopo il nome di quella città pronunciato dalle sue labbra, incurvate da una vittoria davvero fuoriluogo. Garland l’aveva a malincuore lasciata andare, e si era pentito della cosa appena l’aveva vista varcare la soglia del laboratorio con tutte le intenzioni di non ricomparire mai più. Emily se n’era andata indignata a parlare con Michael dell’assurda idea di aiutare una complice di omicidio; ma non era l’unica a pensarla così.

- E non sa nulla? Niente di niente?-

- Lei dice di no, e io le credo. Vorkov non avrebbe rivelato i dettagli a qualcuno di così sacrificabile –

- Mmmh –

Le dita di Yuriy accompagnarono la zip della felpa nel suo percorso in un unico, fluido movimento. Un’ennesima mattina che cominciava male; ormai aveva perso il conto.

- Norimberga ... –

- Già –

Boris si appoggiò allo stipite della porta – Le credi?-

- Tu hai detto di sì –

Gli schiamazzi di Andrew finirono alle loro orecchie fin dal corridoio parallelo al loro, oltrepassando il muro come se non esistesse.

- Qualcuno sta dando di matto –

- Vorrei vedere – La voce della verità di Rei si materializzò tra loro – Se avessero dato a voi il compito di chiamare Ralph, raccontargli tutto in modo plausibile e prepararsi a ospitarci, rischiando di finire come noi sulla lista dei ricercati di un criminale ... anche voi stareste urlando in corridoio –

Boris piegò il capo di lato, scarsamente interessato alle reazioni inglesi e ben più colpito dalla parte dell’ospitalità tedesca.

- Avete chiamato Ralph?-

- Lo stiamo per fare, sì –

- Ah! E perchè? A cosa dobbiamo tutta questa efficienza?-

Rei finse di non sentire il sarcasmo poco velato – Perchè è l’unica pista che abbiamo, e se vogliamo farla finita ci conviene seguirla –

- Di chi è stata l’idea?-

La domanda di Yuriy arrivò lapidaria, dalla bocca di chi raramente si era fatto impressionare da un gesto di altruismo.

- Di Kai –

Il rosso sbuffò.

- Non avevo dubbi –

Rei azzardò un passo in avanti. Con la delicatezza di chi cammina su morbidi cuscini e la nonchalance del perfetto improvvisatore, chiese: - C’è ... qualcosa che non va? Insomma ... oltre a tutto quello che va già male -

Yuriy lo guardò appena.

- No – Aprì di scatto la zip della felpa, come se un’improvvisa ondata di caldo lo avesse infastidito. Poi prese, con meccanica precisione, a raccogliere vestiti e scartoffie sparsi nella stanza, gettandoli con noncuranza in un borsone mezzo disfatto.

- No, ma la prossima volta fateci il piacere di dirci quello che volete fare –

- Ah, questo dovete dirlo a Kai. E sapete che è inutile –

L’assalto improvviso di una cascata di capelli rosa sbilanciò il cinese. La corsa di Mao alla ricerca della quasi dolce metà, mai ufficializzata, terminò il suo trotterellare per i corridoi al seguito di una dottoressa americana palesemente arrabbiata e contrariata. Emily, a braccia conserte da almeno un’ora, non accennava a scendere dalle sue posizioni.

- è una stupidaggine – Sentenziò, completamente senza contesto, sottolineando l’ultima parola – Cioè ... davvero? Hai fatto un accordo con quella? E noi la dovremmo anche aiutare?-

Tutto l’odio era rivolto verso Boris, la cui attenzione però era concentrata altrove; non si sapeva bene dove. Emily, non soddisfatta, rincarò la dose.

- Beh, non mi sono fatta buttare in una storia al limite della sopravvivenza per poi fare da complice a una mezza assassina! –

- Emy ... –

Mao le piantò addosso uno sguardo eloquente, che valeva più di una striscia di scotch sulla bocca. Ma nel dna americano l’idea del no comment non era stata implementata.

- E poi come sapete che non stava mentendo? Andiamo, vi ha già fregati! –

Yuriy non diceva una parola, troppo occupato a far finta di non sentire. E comunque, i deliri di una donna in crisi di nervi non gli erano mai interessati particolarmente. Rei si sentì in dovere di calmare le acque, ma Emily non gli diede il tempo di aprire bocca. Si avvicinò battagliera alla porta, fronteggiando Boris, i suoi centimetri di altezza in più e le spalle il doppio più larghe di lei.

- Guarda, sarebbe stato quasi meglio torturarla a questo punto, avrei accettato anche questo se poteva servire ad aiutare! Ma non farci diventare complici di quella ... strega! –

Rei notò, con orrore, la vena pulsante sul collo del russo. Non voleva dover prelevare l’americana con la forza, per poi dover guardarsi a vita dalla mazza da baseball di Michael; preferì gettare un paio di occhiate a Mao, inducendola a prendere le redini della situazione. La cinesina afferrò Emily per una manica del camice, strattonandola lontano da Boris e dalla sua pazienza agli sgoccioli.

Emily cercò di divincolarsi - Mao, smettila! Non ho finito!-

- Invece è meglio che finisci qui – Incurante della forza avversa che, con i piedi puntati sulla stessa mattonella, non dava segni di cedimento, Mao semplicemente trascinò l’amica lontano da una possibile scena del delitto – Fidati, andiamo a preparare i bagagli che è meglio –

- Quindi ce ne andiamo?-

Yuriy guardò Rei di sfuggita, alla ricerca di uno dei maglioni che non metteva mai, ma si portava sempre dietro – Sì. Avvertite Ralph, io chiedo a Max se sua madre può farci prendere l’aereo del PPB. Non abbiamo tempo per cercare i biglietti. A questo punto, meglio partire il prima possibile –

Con l’efficienza del sangue orientale e lo sguardo di chi era pronto a una mission impossible, il cinese fece dietro front alla ricerca di Kai, Andrew, e le urla in inglese che ancora rieccheggiavano sulle pareti.

Poi fu la questione di un momento. Nello stesso istante in cui Mao trascinò via Emily e Rei si mise all’inseguimento del suo senso del dovere, in quell’istante, Boris esplose. E con lui la barriera di razionalità che si era creato attorno.

La porta sbatté dietro una sua spinta, chiudendo lui e Yuriy nella stanza. Dalla gola gli salì un groviglio di urla strozzate tra i denti; quelle urla che avrebbe voluto far sputare a Vorkov. Quelle urla che forse aveva emesso chi non doveva farlo.

Perchè, come da sempre nella sua vita, il male vinceva. Lo sopraffaceva.

Tirò un pugno al muro, poi un altro e un altro, fino a sentire la pelle delle nocche sgretolarsi sotto la rabbia. Passò ai mobili: prese la sveglia e la gettò dall’altra parte della stanza, poi passò ai dossier e a tutti i fogli che Yuriy non aveva messo in salvo nel borsone. Finì tutto all’aria, mentre lui si aggirava come una furia da un muro all’altro strappando tutto quello che trovava, quasi per vendetta. La vendetta contro chi si era divertito a strappare il cuore a lui, o quello che ne era rimasto e che aveva custodito per anni, solo per lei.

Aprì l’armadio, gettando fuori in uno strattone asciugamani, appendiabiti, la giacca di Yuriy e tutto quello che trovava, mentre il compagno di squadra guardava in silenzio la sua camera venire disintegrata. Ma non lo avrebbe fermato. Sapeva che aveva bisogno di quella rabbia.

Le mani di Boris si fermarono solo quando qualcosa gli fece male, e nel caos della sua testa sentì vagamente il sangue bagnargli il polso. Forse un chiodo sporgeva dall’armadio, ma per quel che gli importava poteva essere anche la lama di un coltello. Gli sarebbe bastato prenderla, a spingerla nel cuore di chi la meritava.

Fermò la sua furia; rimase così, in piedi davanti alle ante dell’armadio divelte, tra le piume dei cuscini che volavano, a guardarsi le mani che diventavano rosse, con le nocche screpolate. Gli sembrò quasi di sentire un pizzicorìo agli occhi, la sensazione di aver bisogno di un fazzoletto. Non si accorse nemmeno che Yuriy gli si era avvicinato.

Sto ... piangendo?

E ricordò i suoi occhi, quei piccoli, dolci occhi azzurri che lo guardavano da dietro le sbarre. Si rese conto che quel giorno era stato l’ultimo in cui potè riempirsi gli occhi di primavera, estate e autunno insieme. In cui vide le foglie nascere, sbocciare e appassire in una volta sola, e lo vide in lei, lei che era riuscita a scacciare da lui l’inverno che si era annidato come il verme in una mela marcia. Lei che correva nel cortile imbiancato con gli stivali imbrattati di terra umidiccia, rincorrendo a braccia tese i fiocchi di neve che si mischiavano alla cenere dei suoi capelli. Lei che aveva un modo tutto suo per piegare i maglioni, riponendoli nei cassetti in base al colore. Lei che nelle domeniche d’inverno li faceva svegliare con l’odore di zenzero e cannella.

Quella volta, in un sotterraneo sperduto di Londra, era stata l’ultima.

- Boris –

E lei glielo aveva detto che lo era, quando con le labbra, senza voce, aveva sussurrato ti amo.

- Va meglio?-

- No!-

Si voltò di scatto, prendendo il capitano di sorpresa. Yuriy indietreggiò di un paio di passi davanti alla rabbia fatta persona, sentendosi improvvisamente scoperto davanti all’amico. Non sarebbe servita la razionalità questa volta, nessun discorso da mamma apprensiva, nessun ordine di calmarsi.

- Non le ho detto niente ... non ho ... capito niente –

- Non devi farti colpa di niente. Non sei stato tu a ... –

- Ma ero lì!-

Portò una mano al volto, strappando dagli occhi lucidi quel vago velo di lacrime che minacciava di farsi incontrollabile, trattenuto da troppo tempo nei condotti.

- Ero lì, a un metro da lei, e non ho fatto niente! Non l’ho salvata, non l’ho picchiata, non ho ... non sono riuscito a fare niente! Non ho potuto neanche dirle che ... che ... –

Il gelo negli occhi verdi si sciolse, velando i prati di rugiada. Boris si guardò le mani, ancora arrossate, senza curarsi del rivolo di sangue che era arrivato a sporcare il polsino della felpa.

Le lunghe dita della mano bianca del capitano gli coprirono i tagli sul palmo. Il cuore di Boris batteva senza ritmo sotto la presa di Yuriy. Fu come se i ruoli si fossero invertiti, e il rosso tornò padrone della situazione, mentre Boris, nonostante la statura, sembrava farsi piano piano più piccolo, più trasparente. La sua testa ciondolo in avanti, andando a scontrarsi con l’incavo del collo di Yuriy, che non si sottrasse al contatto. Rimasero così, l’uno davati all’altro, l’uno appoggiato sull’altro, mentre Yuriy premeva le ferite sulle mani dell’amico per fermare il sangue e gli occhi di Boris cominciavano a straripare. Il maglione di Yuriy cominciò a inumidirsi sulla spalla, accogliendo le emozioni che da troppo erano incastrate dietro le palpebre.

- Che la amo – Sussurrò Boris.

 

...................

 

 

Fu il boato di un grosso, enorme tuono a svegliarli, mentre i letti ballavano sotto le spinte di una scossa improvvisa di terremoto. Un terremoto molto strano e molto cattivo.

L’allarme antincendio scattò con la violenza di una sveglia alle quattro del mattino dopo essersi ubriacati fino alle tre e cinquanta. Olivier scattò giù dal letto, rotolando accartocciato tra le coperte fino alla parete più vicina. Vagò con occhi terrorizzati nel buio, trovando anche in mezzo a quel delirio il tempo di aggiustarsi l’acconciatura, portando le ciocche dietro la nuca con un gesto meccanico.

- MON DIEU-

La piccola abatjour gli cadde in testa, producendo in lui un gridolino terrorizzato.

-  ANDREW!-

La voce superò l’allarme; stava per gridare ancora quando la mano dell’inglese riemerse da sotto il suo materasso, rivoltato a terra, afferrandolo per una caviglia.

- Sacré ... mon coeur 

- Ma che cavolo urli?-

Olivier si tolse, stizzito, la coperta di dosso.

- La casa crolla e io non posso esprimere le mie emozioni in merito?-

- Sarà stato un terremoto-

- Non senti l’allarme?!-

- Un terremoto un po’ forte allora, per l’amor del cielo Vier, stai calmo! –

- Ha parlato Riccardo cuor di leone!-

- Zitto, Francesco I –

Il francese si fece largo nella stanza invasa di materassi e sveglie buttate a terra, reprimendo un moto di fastidio – Smettila di bullizzarlo solo perchè si è fatto catturare a Pavia –

- Se non altro è passato alla storia per le sue pessime figure. Non ricordi cosa scriveva Ludwig von Pastor?-

- Ora ti metti a tirare in mezzo le fonti?-

- Un sovrano troppo occupato da caccia e altri sollazzi ... – sentenziò l’inglese, perso nei ricordi dei pomeriggi di studio al maniero tedesco degli Jürgens.

- Drew, ti prego –

Il vociare in corridoio portò con sé l’idea che la situazione fosse più grave di quel che sembrava. Andrew fece appena in tempo ad alzarsi da terra, che una poderosa spallata buttò giù la porta della stanza. Rick, in pantaloncini corti e senza nulla a coprirgli l’abbronzatissimo e scultoreo di sopra, guardò i due nelle palle degli occhi.

- Ma che cavolo fate ancora qui? State bene?-

Olivier balbettò qualcosa di incomprensibile, perso tra il fumo che entrava dal corridoio e l’allarmismo incompreso nella voce dell’americano. Rick non aspettò nessuna risposta: afferrò l’inglese per un braccio, e Andrew trascinò Olivier con sè.

- Qualcuno sta cercando di farci saltare per aria – sentenziò Rick, con poco entusiasmo.

Andrew portò gli occhi al cielo, incredulo di essere di nuovo in pericolo, per l’ennesima volta nel giro di un mese. Colpa sua che si era fatto tirare in mezzo alle faccende dei russi. E colpa di quei maledetti ladri. Che non erano ladri.

Un secondo boato strappò il ragazzo dal mondo magico delle vendette da pianificare, e tutti furono certi che questa volta si trattava di un’esplosione.

- Dobbiamo uscire!-

- Ma ... in pigiama?!-

- Preferisci rimanerci secco?-

Olivier indicò spaesato la stampa sulla sua maglia - Non morirò in suolo americano vestito come la Tour Eiffel! –

Rick non perse tempo a discuterci, afferrandolo per la stampa del simbolo di Parigi e della rivoluzione industriale e spingendolo verso le scale.

- Gli altri?-

- Stiamo scendendo tutti!-

Tra le nuvole di fumo si materializzarono Daichi e Max, l’uno in mutande e l’altro che portava sottobraccio il cuscino, come fosse un cucciolo di foca in pericolo di estinzione.

- Qualcuno ha visto Takao?-

In quell’istante il vetro di una finestra si frantumò sotto i colpi della parete che tremava spaventosamente. I capelli di Max si scolorirono di un paio di toni. Rick si prese la briga di spintonare anche lui verso la salvezza.

- Suggerisco di fare più tardi la conta dei superstiti!-

 

Nel cortile dietro il laboratorio sembrava essersi riunito un campo profughi. E in qualche modo era proprio così. Erano tutti intenti a controllare che non avessero per caso perso dei pezzi nella corsa verso la salvezza, tutti più o meno agghindati in maniera impresentabile. Hilary si strinse nella camicia da notte orlata di pizzo, pentendosi di aver portato per quell’occasione il regalo della nonna. Bellissimo e molto caro, ma sicuramente non adatto alla situazione. Mao aveva Rei alle costole che le controllava la vecchia ferita alla gamba, gonfiando una preoccupazione inutile; Emily guardava il laboratorio semi distrutto sull’orlo di una crisi isterica.

- I-il ... il mio ... povero ... –

Ming Ming la abbracciò, sorreggendola nello sconforto.

- Via, via, sono sicura che si può ancora recuperare –

Accanto all’americana, Ivan guardava le mura crollate dell’edificio con la stessa esasperazione.

- I computer ... tutto il lavoro ... –

Sergej si accollò il suo supporto morale, affiancando l’amico in silenzio. Non che ci fosse molto da dire: se i computer erano andati distrutti, e se non riuscivano a cavare da quel caos almeno la chiavetta con il materiale di Torres ... ciaone.

- Boris! –

Emily si staccò all’improvviso dalle coccole di Ming, puntando sul ragazzo un’occhiata di fuoco.

- Tipregotiprego, dimmi che hai Falborg con te-

In tutta risposta, lui alzò la mano, brandendo il bey. L’americana esalò un lungo, rilassato sospiro.

- Per fortuna, cazzo ... –

- Un vero blader non si separa mai dal suo bey – Recitò Takao; e anche per quella sera la frase dei cioccolatini trovò il suo spazio.

Il capitano degli All Starz si guardò intorno smarrito - Ma che stracazzo ... –

- Ci hanno fatti esplodere –

Michael strabuzzò gli occhi. Kai allungò la mano, mostrando ai presenti quel che sembrava un candelotto di dinamite abbandonato.

- Ci saranno sicuramente altre cariche ... –

- E come lo spieghiamo al PPB?-

- Questo adesso non è il problema più grosso –

Kai gettò nell’erba il pezzo di bomba rimasto intatto, passandosi una mano sulle guance annerite di cenere. Ricordò in quel momento che il suo trucco da guerra non era al solito posto: quei triangoli blu che tanto lo caratterizzavano comparivano solo la mattina, per sparire la sera prima del sonno. Aveva ricominciato a farseli solo da pochi giorni. Il nonno adorato non li gradiva, e per l’amore della pace aveva accettato di non mostrarli più tra le mura della villa.

- è stato Vorkov, poco ma sicuro –

- E ... adesso? –

Kai guardò Andrew con gli occhi più severi e supplichevoli che potesse concedersi, sperando che l’inglese avesse messo da parte la pigrizia almeno quella volta in tutta la sua vita.

- McGregor –

- Che c’è?-

- Dimmi che hai parlato con Ralph, e che abbiamo un soggiorno prenotato in Germania –

L’inglese alzò, di nuovo, gli occhi al cielo, in un moto di aplomb molto british nel suo pigiama in tinta unita firmato Harrods.

- Ovviamente – Strascicò la risposta; nessuno si sarebbe dovuto permettere di mettere in discussione la sua efficienza.

- Max –

Il biondo tornò sull’attenti all’improvviso, come colto sul fatto a cospirare con il suo cuscino – Roger!-

Kai sospirò. La strada verso il manicomio si faceva sempre più breve - Ci serve l’aereo privato del PPB. Puoi chiedere a Judy di farcelo avere?-

- Yes sir!-

- Perfetto –

La concitazione si spense, almeno un po’, in quell’istante. Kai tornò a scrutare minaccioso, con le mani sui fianchi, il devasto che era rimasto del laboratorio. Emily si affiancò a lui, e Ivan terminò la fila, con Sergej ancora al suo fianco a supportare la sua esasperazione in religioso silenzio.

Takao si accostò all’ex compagno di squadra, squadrando anche lui le crepe sul muro portante.

- ... Dite che Ralph ci ospita anche se siamo in pigiama?-


 

 

  
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