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Autore: Laisa_War    16/05/2021    0 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 18



 
Il cielo grigio si era riempito di enormi nuvole, che in lontananza s'incupivano sempre di più, assumendo una sfumatura scura e minacciando, nel migliore dei casi, un potente scroscio di pioggia, nel peggiore, invece, una violenta tempesta. Nessun raggio di sole riusciva a penetrare quello spesso strato di cumulonembi e il vento cambiava continuamente direzione, sferzando con foga sui volti dei guerrieri, animati dall'adrenalina.

Due eserciti schierati faccia a faccia riempivano i lati opposti di quella radura così spoglia. Si osservavano e si studiavano in assoluto silenzio, in attesa di un comando, o un cenno, da parte dei rispettivi comandanti.

I soldati sassoni, perlopiù appartenenti alla fanteria, erano distribuiti in lunghezza con rigido rigore e ben ordinati. I loro corpi, protetti dagli usberghi in anelli di ferro e da elmi conici in metallo, erano quasi tutti cristallizzati nelle medesime posizioni. I più abbienti di loro facevano parte della cavalleria e si ergevano sui meravigliosi destrieri con una certa alterigia, come se si sentissero moralmente superiori non solo ai vichinghi, ma anche ai loro compagni di fanteria.

Re Aelle, circondato dai suoi migliori consiglieri, osservava tutta la scena da un'insenatura della collina, posta ad un'altitudine leggermente più elevata rispetto al resto dell'esercito. Il peso degli anni, che si riversava sul suo volto sotto forma di grosse rughe attorno agli occhi ed alla bocca, era nascosto dalla folta barba e dai numerosi capelli neri tendenti al brizzolato. La pesante corona con pietre preziose incastonate, l'armatura finemente ricamata con fili d'oro ed il grosso mantello purpureo, posizionato con dovizia sulle spalle, uniti allo stallone di ottima qualità che egli cavalcava, agghindato con briglie di tessuto pregiato, rendevano evidente il suo non prender parte direttamente alla battaglia. Avrebbe urlato gli ordini da quella posizione soprelevata, di vantaggio, senza correre rischi, lontano da ogni pericolo.

Dall'altra parte, i fratelli Lothbrok dominavano la prima fila, sullo stesso piano dei loro compagni di battaglia, il loro popolo. Gli sguardi fissi in avanti, verso il loro nemico mortale, quasi senza sbattere le palpebre, i loro visi erano sopraffatti dalla crudeltà con cui avrebbero combattuto e trucidato ogni sassone che avesse avuto il nefasto destino di capitare sul loro cammino. Avevano una sicurezza, una determinazione talmente forte da donar loro un'aura diversa, quasi eterea.

Il loro esercito, distribuito anch'esso in lunghezza, sembrava meno incline a mantenere un assetto ordinato, ogni guerriero, pur rimanendo al proprio posto, si muoveva senza sentirsi limitato da un'inflessibile disciplina. Nessun sassone poteva immaginare, dal loro atteggiamento libero, quanto in realtà i Norreni sapessero ascoltare ed eseguire in maniera celere gli ordini dei loro comandanti, quanto profondamente sentissero propria la causa per cui si ritrovavano a battersi, quel giorno, quanto rispetto provassero verso l'uomo che erano chiamati a vendicare. Ragnar Lothbrok, l'uomo più famoso della Scandinavia, viveva in loro, nei volti di quegli uomini e donne coraggiosi. Alcuni avevano deciso di dipingersi il viso con della tintura naturale, per rendersi più spaventosi agli occhi dei Sassoni, altri ringhiavano e si battevano i pugni sul petto, caricando il proprio stato d'animo, la loro voglia di combattere.

Uno stormo di corvi neri come la pece volteggiava sopra le loro teste, gracchiando a pieni polmoni come se li stessero incitando, a dimostrazione della vicinanza di Odino alla causa, quasi avesse voluto far sapere loro che li guardava e sosteneva con tutto il proprio essere.

Non appena Floki si accorse di quell'eclatante segno di supporto da parte degli dei, emise una risatina acuta, con gli occhi che brillavano di pura felicità. Gli era impossibile rimanere fermo, il suo spirito in rivolta lo portava a camminare avanti e indietro ad ampie falcate, così come gli permettevano le sue lunghe gambe, che gli donavano un'altezza slanciata, mentre, nel frattempo, sfidava i Sassoni con lo sguardo, senza distoglierlo. Si era anche fatto dipingere tutta la parte superiore della faccia e della testa calva da Hylde, cosicché parte dei tatuaggi venissero coperti dalla tintura nera, stesa in modo da far emergere, nelle parti in cui non era stata applicata, una grande runa, chiamata Tyr, la quale aveva una popolare funzione protettiva per i guerrieri in procinto di partecipare ad una battaglia. Era pronto come mai lo era stato, con la mano posata sulla testa della propria ascia, legata alla cintura.

In prima fila, come i suoi fratelli più grandi, si trovava Ivar, seduto sulla postazione della sua potente biga, trainata dal fedele destriero bianco che sembrava sentire lo stato d'animo del padrone, poiché scalpitava con impazienza e sbuffava ripetutamente dalle grosse narici. Passava in rassegna ogni singolo scomparto delle truppe nemiche con attenzione. Il suo sguardo era spietato, assetato di sangue, mentre giocherellava con un piccolo pugnale da lancio ben affilato, trasferendolo spavaldamente da una mano all'altra, e pensava a come avrebbero potuto far soffrire Re Aelle, una volta catturato, facendosi venire in mente delle idee, a suo avviso, molto interessanti.

Prima che il suono dei corni potesse propagarsi in tutta la radura, dando inizio alla battaglia, prima ancora che la fazione di Northumbria potesse tirare un sospiro di sollievo e sorridere per quanto esiguo fosse l'esercito di Kattegat, se comparato al proprio, il resto della Grande Armata Vichinga si mostrò, riempiendo tutto lo spazio disponibile su quella collina, riempiendo la vista di chiunque avesse avuto il coraggio di guardare.

Dalle insenature dell'altura, apparvero gli uomini di tutti i clan scandinavi che avevano preso parte alla battaglia, compresi quelli di Re Harald Bellachioma, il quale stringeva la propria spada con forza, mentre attendeva lo scontro al fianco del leale fratello Halfdan, più giovane di lui di qualche anno, dagli occhi più scuri ed i capelli più chiari e corti. Potevano sembrare così diversi all'apparenza, ma i loro spiriti coraggiosi erano affini, degni del nome della loro antica casata.

Erano migliaia, tanti quanto i fili d'erba di un prato, tanti quanto le onde del mare.

I soldati sassoni tremarono, sudando freddo così come il loro re con i suoi sottufficiali. Molti si prodigarono in un tacito segno della croce, altri balbettarono delle preghiere, invocando l'aiuto di Dio. Fu in quel momento che capirono di non aver fatto abbastanza, di non essersi preoccupati tanto da chiamare più uomini alle armi, anche se era impossibile prevedere che così tanti pagani avrebbero sfidato le intemperie ed i pericoli di un viaggio via mare per vendicare un singolo essere umano.

Prima che potessero anche solo pensare di cadere nel panico, Bjorn alzò una mano, con gli occhi fissi su Aelle, senza perdere neanche un minimo della sua concentrazione, e poi l'abbassò, in un gesto secco ed estremamente rapido. Nessun suono venne emesso dal più anziano dei figli di Ragnar, non ce n'era bisogno, ormai le parole erano superflue, ed infatti il comando arrivò chiaro ai guerrieri. L'intera armata sciamò giù dal fianco della collina come un fiume in piena che rompe i suoi argini, urlando fino a raggiungere il cielo con la propria voce.

La guerra contro l'Inghilterra era ufficialmente iniziata.


Hylde poteva sentire nitidamente il suono della battaglia, che aveva luogo non molto lontano dal bosco che conteneva l'accampamento. Per la prima volta in vita sua era in grado di udire quelle urla disumane, l'acuto stridere delle armi, acciaio contro acciaio, i comandi urlati in antico norreno e anche in una lingua a lei familiare, ma che non afferrava nella sua interezza, probabilmente era inglese antico.

Più passava il tempo, più sentiva la sua preoccupazione crescere ed avvilupparsi attorno al suo cuore come una pianta rampicante che avvolge ogni cosa si trovi sulla sua strada. Ogni suono più acuto degli altri le procurava un sussulto, che tentava di nascondere al meglio delle proprie capacità, mentre dirigeva l'area di soccorso a lei assegnata.

L'aria che respirava era pregna dell'odore della terra umida, la quale andava mossa e scavata per favorire la costruzione di una grossa tenda che avrebbe protetto dalle occasionali piogge tutti i feriti, e dell'odore delle erbe in infusione nell'acqua calda, il cui calore faceva sprigionare le loro essenze profumate. Le sue mani si stavano riempiendo di schegge, per la continua lavorazione del legno.

«Disponete i giacigli là in fondo e in ordine, mi raccomando!».

«Le lettighe vanno portate ai piedi della collina, ne avranno bisogno molto presto.».

«Per favore, assicuratevi che le boccette degli unguenti siano ben chiuse, non voglio un solo granello di terra al loro interno!».

Queste erano le frasi che rivolgeva ai guaritori ed ai servi che collaboravano con lei, cercando di esser ferma e decisa, per ottenere rispetto dai suoi sottoposti, ma rimanendo sempre rispettosa con chiunque, sporcandosi le mani come tutti gli altri ed intervenendo personalmente, qualora ci fossero intoppi da risolvere, o qualcuno da redarguire per un lavoro svolto in modo troppo approssimativo.

Inutile dire che, ovviamente, il suo non era l'unico ospedale da campo, moltissimi altri guaritori erano giunti dalle altre città e regni, portando il loro personale bagaglio d'esperienza, metodologie di cura anche molto diverse da quelle conosciute da Hylde, ma non le spettava il compito di guidare anche loro.

Einar e Solveig, con la loro dimestichezza nei lavori manuali, costruivano sotto richiesta di Hylde dei giacigli rialzati per i guerrieri con le ferite più gravi, che necessitavano di maggior pulizia e quindi di esser sollevati dal suolo. Ricavavano delle perfette assi di legno e studiavano insieme delle soluzioni per assemblarle, anche se talvolta si ritrovavano a discutere animatamente, a causa dei loro caratteri forti ed istintivi.

Nel frattempo, Thora acconsentì di buon grado ad accompagnare Hylde qualche passo fuori dai confini dell'accampamento, alla ricerca di radici e foglie medicinali, dato che non bastavano mai e volevano occupare il tempo in modo utile, mentre si abbassava la temperatura dei vari infusi di cui si stavano occupando.

Una delle guardie che controllavano il piccolo ingresso dell'accampamento, a ridosso della foresta, si parò di fronte alle due giovani, bloccando il loro cammino. «Dove credete di andare?», chiese loro con una voce roca, usuratasi a causa di una vecchia ferita ancora evidente sul suo collo e dall'avanzare dell'età. Il suo viso era severo, solcato da barba e baffi importanti ormai colorati prevalentemente di bianco, la sua espressione lasciava intendere la sua forte volontà di rispettare l'ordine di non lasciare uscire nessuno. Non era molto più alto di Hylde, ma la sua figura era resa minacciosa dalla stazza imponente, dalla fisicità plasmata da una vita di battaglie. Lei non riuscì a capire subito di quale fazione facesse parte, ma, a giudicare dal colore del suo scudo, doveva appartenere all'esercito dei Bellachioma.

«E' necessario raccogliere altre erbe medicinali, quelle che già abbiamo non saranno mai sufficienti, se la battaglia dovesse prolungarsi di molto.», spiegò Hylde con calma, mentre Thora rimase in silenzio, scoraggiata dall'intralcio della guardia.

L'uomo non si mosse di un passo, solo per il piacere d'infastidirla: «E' pericoloso là fuori, dovresti saperlo, compagna dello storpio Lothbrok.». Aveva pronunciato quell'epiteto in tono spregiativo, come se la odiasse per qualche strano pregiudizio. Come se non bastasse, le altre guardie che erano con lui iniziarono a ridacchiare, con l'atteggiamento tipico del branco.

Thora sgranò gli occhi, basita per quell'attacco gratuito.

Solo pensando al bisogno che aveva, in quanto guaritrice, di trovare il necessario per svolgere il proprio lavoro, Hylde riuscì a mantenere una calma invidiabile davanti a quell'atteggiamento, contro cui combatteva spesso. Ingoiò il rospo con una bella dose d'autocontrollo e cercò di essere la parte ragionevole tra loro due: «E tu, in quanto guerriero, dovresti sapere che la prudenza non è mai troppa. Anche nel campo dei curatori. In più, non hai l'autorità per trattenerci.». Lo guardò dritto negli occhi: «Ed ora, con permesso...».

Si portò con forza all'esterno dell'accampamento, prendendo Thora a braccetto senza troppe cerimonie ed esclamando: «Andiamo a fare il nostro lavoro.». Provocò nell'uomo un sibilo irato, come anche negli altri componenti del branco. Internamente, lei ribolliva di rabbia e si sentiva spaventata da possibili ripercussione, ma esternamente era la tranquillità fatta persona, non l'avrebbe mai data vinta a nessuno di loro.

La più giovane tra le due guardò l'altra esterrefatta, mentre procedevano nel bosco, senza allontanarsi troppo dall'accampamento. «Sei stata davvero coraggiosa. Non saremmo mai riuscite a passare, se tu non fossi intervenuta.», si complimentò Thora, in ammirazione.

Hylde si lasciò andare ad un lungo sospiro e scosse la testa: «Non è così. Ho avuto una paura folle e la rabbia mi stava consumando, ma non potevo lasciar loro il potere d'intralciarci.». Sentiva un grosso peso sul petto, ma non gli avrebbe permesso di distrarla, dovevano sbrigarsi, era pericoloso restare lontano dal campo.


Trovarono un terreno ricco di piante e radici utili, così si dettero subito da fare, senza perdere altro tempo, e riuscirono a raccogliere moltissimo materiale, chiacchierando amabilmente, ma lo fecero sottovoce, come misura di sicurezza, restando sempre attente a qualche strano rumore che potesse metterle in allarme.

Fu così che Hylde percepì qualcosa di strano, alle loro spalle. Dei passi quasi impercettibili, tra gli alberi verdi che le circondavano, non li avrebbe mai sentiti se uno di coloro che le osservava da lontano non avesse camminato sopra un ramo secco, spezzandolo. Il suo orecchio, purtroppo, non era così abituato da capire esattamente in quanti fossero, sicuramente più d'uno.

Il suo cuore accelerò, come anche il ritmo del suo respiro, mentre iniziava a provare paura. Guardò Thora, che continuava a raccogliere i piccoli germogli di malva davanti a sé, ignara di tutto, così le si avvicinò e sussurrò: «Thora, ora devi promettermi di rimanere calma e di ascoltarmi attentamente. Non fare movimenti bruschi e fai ciò che ti dico.».

La guaritrice si bloccò, percependo la paura dalle flebili parole di Hylde, dal suo tono di voce e dal fatto che la voce le si spezzasse, pur se tenuta ad un volume davvero basso. La preoccupazione si disegnò sul suo volto, non sapeva cosa aspettarsi, se non un grosso pericolo.

«Qualcuno si sta avvicinando a noi. Non so se siano i Sassoni o le guardie di prima.», l'avvisò senza tanti giri di parole, non era il momento, e prima che Thora potesse mettersi ad urlare, facendo così qualcosa di davvero stupido, la redarguì con un sibilo, guardandola dritta negli occhi: « Non andare nel panico e ascoltami. Adesso ci alzeremo e torneremo verso l'accampamento, appena ci saremo vicino, dovrai correre ad avvisare Einar, lui saprà cosa fare. Per il momento, posso difenderci entrambe.». Spostò leggermente il mantello, per farle vedere l'ascia appesa alla cintura.

Thora si sforzò enormemente per non mettersi a piangere e cominciare a tremare, quando Hylde la prese per mano e la guidò, percorrendo a ritroso il sentiero seguito all'andata. Entrambe fecero molta attenzione a non far percepire il loro timore.

Alle loro spalle, poche e semplici parole, seguite da una risata: «Dove credete di andare?». Di nuovo quella frase, quella voce, quel tono. Inutile fare supposizioni su chi avesse parlato, era palese.

Hylde protesse la sua amica con il suo corpo, spostandola con forza dietro di sé, non appena apparve l'uomo di prima, seguito da un'altra guardia decisamente più giovane, una di quelle che prima si erano godute la scena con delle risatine. Diede una piccola spinta a Thora, che capì subito e corse come una scheggia lungo il sentiero, verso l'accampamento. Sparì rapidamente dal loro campo visivo.

Il vecchio guerriero intimò all'altro, il quale non sembrava godere di un grosso intelletto: «Che stai aspettando? Valla a prendere!».

Lui iniziò a correre, spaventato dalla furia nella voce di quello che sembrava essere dotato di più autorità, ma quando passò accanto a Hylde, le bastò solo allungare un po' la gamba per farlo inciampare ed atterrare di faccia al suo fianco. Urlò di dolore per la brutta caduta.

«Signori, non dovreste scatenare un incidente diplomatico proprio all'inizio della spedizione, solo perché prima vi siete offesi.», furono le parole della ragazza, mentre con la forza della gamba teneva a terra la giovane guardia dolorante, col mento ferito dopo l'impatto col suolo.

Quello più anziano rise: «Oh, non è solo per quello, ma comunque, non farei tanto la spavalda, senza i Lothbrok a guardarmi le spalle.». Estrasse la spada, iniziando a fendere l'aria, risultando più minaccioso di quanto Hylde si aspettasse. Si avvicinò poi a lei, attaccandola direttamente e cercando di afferrarla per un braccio.

Sfortunatamente per i due uomini, la giovane dai capelli di fuoco fu veloce abbastanza da estrarre la sua ascia da combattimento, ben nascosta sotto il suo mantello, e bloccare quel colpo che altrimenti l'avrebbe mutilata. La sorpresa fu ben visibile negli occhi della guardia, che non si aspettava da lei questo genere di reazione.

Hylde smise di pensare e spense il cervello, solo così fu in grado di difendersi molto bene da quegli attacchi poderosi, bloccandoli con una forza sviluppata grazie all'aiuto di Ivar nei mesi precedenti. Il suo intero corpo rispondeva con tempestività, ricreando quei movimenti che fino ad allora non le erano mai serviti, quasi senza esserne davvero cosciente. Forse era questa la sensazione che si provava ingaggiando una battaglia con qualcuno: il nulla, il completo annullamento dei sensi. O forse era il suo modo di sopravvivere a quella situazione, di non sentire visceralmente la paura di morire da un momento all'altro.

Era tremendamente doloroso parare attacchi frontali così potenti, tutta la forza di un uomo dalla stazza imponente concentrata in quel fendente affilato talmente bene da far venire la nausea, ma lei non sentiva nulla, inebriata com'era dall'adrenalina. Anche quando la lama la ferì alla gamba, trapassandole i pantaloni e tagliandole superficialmente la coscia in estrema tensione. Il nulla più assoluto.

Lei di rimando riuscì a ferirlo al braccio e per poco all'addome, che comunque rimaneva protetto dalla cotta di maglia indossata. Non riuscì a provare neanche una vaga soddisfazione nel constatare di essere abbastanza brava da tener testa a un guerriero veterano, perché la guardia più giovane decise di non rimanere a guardare e l'attaccò alle spalle, in un'azione tremendamente infima e codarda, colpendola alla nuca col manico della propria ascia.

"Dovevo stare più attenta", pensò Hylde nella sua stupida testa, prima che la vista le si annebbiasse ed il dolore si palesasse in modo così nitido, cadendo al suolo sulle proprie ginocchia, lottando con tutta se stessa per non svenire seduta stante. Doveva rimanere sveglia, non poteva perder coscienza con loro lì presenti. La testa le ciondolava in avanti e la sua arma era caduta insieme a lei, si sentiva inerme.

Il giovane rise per la sua trovata geniale e le bloccò le braccia dietro la schiena, tenendola ferma di fronte al più anziano, contento di vederla indifesa. «Forse non sei così inutile come credevo, quasi mi dispiace doverti finire. Purtroppo, sono gli ordini.», la canzonò lui, accarezzandole il viso con rude prepotenza ed afferrandole con forza il mento, per costringerla a guardarlo negli occhi. Era come se volesse essere l'ultima cosa su cui Hylde dovesse posare lo sguardo prima di morire, un desiderio meschino.

Quel contatto così indigesto con la mano sporca e rozza dell'uomo le accese quella miccia che la spinse ad agire, per sopravvivere. Compì dei movimenti troppo veloci per i due, che a malapena riuscirono a comprendere cosa accadde esattamente.

La ragazza si piegò leggermente in avanti, caricando un colpo netto con la testa contro la faccia della giovane guardia dietro di lei, che aveva preso ad annusarle i capelli con fare viscido, dopo aver aggiunto: «Già! Sai cose troppo importanti, tu!». Gli spaccò il naso con un impatto talmente tremendo da indurlo a lasciarla andare per portarsi le mani al viso sanguinante, mentre lei ignorò il lancinante dolore alla nuca provocato già solo dal colpo iniziale e recuperò l'arma.

In un attimo il più anziano le fu addosso, ma ogni movimento di lui rimase incompiuto quando Hylde riuscì a puntargli al collo la lama della propria ascia. Si cristallizzarono in quella posizione per un secondo.

Il terrore e la sorpresa avevano preso possesso dell'espressione dell'uomo, rimasto immobile per non convincerla ad affondare l'arma nelle sue carni. La mente della giovane correva alla velocità della luce, per capire il da farsi, che le fu subito chiaro.

Tremava, ma la sua voce era ferma: «Lascia andare la spada.».

Con un attimo di esitazione, l'uomo obbedì all'ordine, sudando copiosamente. Il loro silenzio fece emergere i lamenti del più giovane, che si ostinava a tamponarsi la violenta epistassi.

«Hylde!». Era la voce di Einar, giunto fino a lì più in fretta possibile, nonostante il problema alla gamba, insieme a Solveig, la quale sembrava naturalmente confusa da ciò che stava vedendo.

Hylde tirò un sospiro di sollievo, il suo viso era esausto, ma felice di vedere dei volti amici. «Mi hanno aggredita.», spiegò seccamente, senza dilungarsi in grandi spiegazioni. Era stanca, voleva solo dormire e dimenticare l'ultima ora.

Abbassò l'arma, che ora sembrava pesare una tonnellata, così come tutti i suoi muscoli, e lasciò che Einar prendesse il suo posto, trascinando la guardia dei Bellachioma all'accampamento e tenendogli sempre un'ascia puntata al collo. Solveig si occupò del più giovane, che non la smetteva di frignare per il dolore al naso, e lì seguì.
  
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