Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Atharaxis    17/05/2021    4 recensioni
Il colore preferito di Leone era sempre stato il nero.
Nero come la sua divisa, nero come il rossetto che quel giorno aveva evitato di portare, nero come il vino che preferiva.
Finché non aveva conosciuto quel punto di blu.
Guardò in quegli occhi, così familiari eppure sconosciuti, e per un istante smise di respirare.
Sembrava felice, ma quella punta di malinconia nello sguardo, quella che l’aveva fatto innamorare, per un attimo fugace fu di nuovo davanti a lui.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Bruno Bucciarati, Leone Abbacchio, Trish Una
Note: Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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PAPER BOATS



“Treasure the experience.
Dreams fade away after you wake up.”


“Abbacchio…” la voce di Giorno è incerta al telefono. “Si è appena svegliato.”
Dall’altra parte un respiro pesante, troppa aria che entra tutta insieme nei polmoni.
“Non hai il tono di chi dà delle buone notizie”
Sempre così acuto.
Giorno sospira.
“Preferirei che venissi qui e ne parlassimo insieme.”


“I feel like I’m always searching for someone, or something.”


Il rumore dello spazzolone, lento e monotono, alternato a quello della risacca.
Il colore del sole che tramontava gentile dietro il castello, tingendo la roccia dei colori del fuoco.
L’odore del sale e il delicato profumo del sambuco danzavano insieme, mescolando gli ultimi sprazzi d’estate con l’autunno che aveva appena fatto il suo ingresso: ancora troppo presto perché le prime foglie gialle tingessero d’oro la fitta vegetazione di Ischia ma il refolo d’aria che soffiava gentile suggeriva che presto il caldo non avrebbe più morso la pelle del ragazzo abbronzato che stava pulendo con gesti metodici e abitudinari la piccola imbarcazione ormeggiata nella baia.
Bruno si appoggiò allo spazzolone e alzo gli occhi per godersi i colori del tramonto: presto la stagione sarebbe finita e anche se sarebbe stato più difficile guadagnarsi da vivere il mare sarebbe stato più quieto, senza il chiacchiericcio dei turisti e le urla dei bambini.
Il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno, di venerdì, e come ogni notte si sarebbe svegliato per andare a pesca: avrebbe venduto ai ristoranti la maggior parte del pesce e avrebbe tenuto il resto per sé; poi avrebbe fatto fare un giro in barca a qualche turista finché non fosse arrivata la sera e a quel punto, beh, avrebbe dovuto fingere una faccia sorpresa quando Trish gli avrebbe portato la sua torta di compleanno. Aveva trovato in casa la ricetta di un dolce alla panna e dal momento che la sua fidanzata non era un asso della cucina aveva subito immaginato che stesse cercando di fare qualcosa di carino per un’occasione particolare. Era tenera, e strana al tempo stesso: non aveva molta pazienza e sembrava impacciata in molte faccende domestiche ma percepiva che il suo amore per lui fosse forte, nonostante non riuscisse nemmeno a ricordare come l’avesse conosciuta.
Forse era questo che l’aveva convinto, nonostante all’inizio non sentisse particolare trasporto verso quella ragazza che sosteneva di essere la sua compagna e le aveva raccontato con pazienza tutto ciò che l’aveva portato a perdere la memoria: l’aggressione da parte degli spacciatori, il coma, quel giovane criminale biondo che aveva ammirato il suo coraggio e gli aveva assicurato che quegli uomini non avrebbero più potuto nuocere a nessuno.

“Il mio capo ha apprezzato molto la tua determinazione, Bruno Bucciarati, e ti ringrazia. Se non fosse per le persone come te, che non voltano le spalle davanti alle ingiustizie, saremmo tutti perduti.”

E poi erano tornati a Ischia insieme, lui e Trish.
C’erano cose che la mente di Bruno non ricordava, ma il suo corpo sì: le sue mani sapevano benissimo come portare una barca o sistemare una rete da pesca, anche se all’inizio era stato piuttosto strano, come se dovesse razionalizzare come si fa a camminare.
Altre invece, erano totalmente immerse nel buio ed era costretto a fidarsi di ciò che gli raccontava Trish: non aveva alcuna memoria della casa in cui vivevano - anche se quel tavolo di pietra lavica con i limoni o quell’acquarello con il golfo di Positano era davvero qualcosa che avrebbe potuto scegliere lui - così come non aveva memoria di come fosse iniziata la loro relazione.
All’inizio si era sentito in colpa, sentendo che c’era qualcuno che portava sulle spalle il peso di una storia che non riusciva assolutamente a richiamare alla memoria, ma alla fine la presenza di Trish cominciò a sembrargli naturale e non trovò nessun motivo per cui non avrebbe dovuto davvero provare dei sentimenti per una ragazza così premurosa nei suoi confronti, anche se non sembrava particolarmente portata per la vita spartana che conducevano.
Trish gli raccontava che si erano conosciuti in treno… Su un treno per Firenze. Lui stava andando a trovare sua madre, a Milano, mentre lei invece era diretta da suo padre a Venezia. Si erano incontrati qualche mese dopo a Ischia e lei aveva deciso di restare, aprendo un piccolo negozio con i soldi della sua eredità – suo padre era un tipo ricco, a quanto diceva, al punto che avrebbe potuto vivere solo di quello che le aveva lasciato.
Alle volte sembrava tutto naturale: quella vita così regolare, semplice, gli apparteneva e Bruno sentiva che non c’era altro che avrebbe desiderato per sé. Ma altre, quando si svegliava ancora immerso nel buio, si accorgeva di avere il viso bagnato dalle lacrime senza sapere perché.
Non era infelice ma sentiva il vuoto che le memorie perdute avevano lasciato dentro di sé: aveva la sensazione che nel suo passato ci fosse qualcosa che fosse importante ricordare ma che non riuscisse in alcun modo a richiamare.
E ora che aveva ricominciato a spazzare, sentiva di nuovo quella sensazione dopo ormai un anno e mezzo: aveva imparato a conviverci, ma certi odori, sapori, persino parole alle volte lo scuotevano nel profondo e lo facevano sentire di nuovo come se gli mancasse la terra sotto i piedi.
Qualcosa… Mancava qualcosa.
Annusò l’aria e percepì l’odore forte di una sigaretta.
Lucky Strike, pensò, ma non fumava. Perché ne era così sicuro?
Si voltò e vide un ragazzo, seduto su una panchina del lungomare: era lui che stava fumando. Aveva dei capelli… Biondi, forse? Erano corti, non avrebbe saputo dirlo. Erano molto chiari e con la luce del tramonto non si distingueva bene il colore. Era pallido e non sembrava un turista, anzi, dava l’idea di qualcuno che non si riposava da parecchio. E… Lo stava guardando?
Di che colore erano quegli occhi? Ambra o ametista?
Non lo sapeva ma appena li vide, smise di pulire.
Di che colore sono i tuoi occhi?
Aveva già fatto quella domanda, ed era sicuro che qualcuno gli aveva già risposto.
Ma quando?


“What should I do? Would I annoy him? Would it be awkward?
Or maybe he’d be a bit glad to see me?”


“Pronto?” la ragazza risponde al telefono, la voce leggera e quasi civettuola.
“Sono io” una voce maschile, dal tono profondo e secco.

“Perché mi chiami dal numero di Giorno?” la voce della ragazza diventa più acuta, si inasprisce.
“Perché sapevo che così avresti risposto” il tono dell’uomo si fa sprezzante.

Trish smette di sfogliare riviste di cucina, in cerca di qualcosa che le sue scarse abilità da cuoca possano essere in grado di riprodurre. Tamburella sul tavolo con le dita, in silenzio, in attesa che dall’altro capo del telefono arrivi una spiegazione per quella chiamata che viene direttamente dal passato.

“Trish… Voglio vederlo.” la voce dell’uomo continua a essere asciutta, senza cenni di esitazione.
Cosa… Sei completamente fuori di testa? Per quale motivo vuoi vederlo?” adesso Trish ha alzato la voce, sicura del fatto che non ci sia nessuno in casa tranne lei.
“Ho pensato a tutto. Non mi riconoscerà con i capelli corti, non mi ha mai visto così” l’uomo continua imperterrito, senza rispondere alla domanda della ragazza. “Devi solo dirmi dove posso trovarlo.”
“Ascolta, Abbacchio, io non so cosa ti è preso ma non… Non puoi fargli questo. Non sai che reazione potrebbe avere, potrebbe…” Trish è sempre più agitata, cammina avanti e indietro in cucina mordicchiandosi le unghie anche se è un vizio che si era ripromessa di abbandonare.
“Potrebbe cosa? Ricordare? Non gli dirò niente, probabilmente non ci parleremo nemmeno.” la voce di Leone la incalza, deciso a non cedere, il tono di voce ancora basso.
“Probabilmente?! Non… Non ho parole. Vuoi presentarti qui per fare cosa, vedere che cosa succede? Dopo un anno e mezzo?! Non hai pensato a lui?” la ragazza ormai sta urlando, fuori di sé. Non sa nemmeno lei perché l’idea la agita così tanto, o forse lo sa benissimo e non vuole ammetterlo.
“Io non faccio altro che pensare a lui, tutto quello che stai vivendo è perché ho pensato a lui, ragazzina!” Abbacchio perde il controllo, e urla anche lui, esasperato. “Ti sto chiedendo le briciole e non vuoi darmi nemmeno quelle quando stai vivendo questo bel sogno col tuo principe azzurro grazie a me!” le parole colpiscono affilate come un bisturi.
“Io non devo ringraziarti di niente, tu…” la voce di Trish si incrina, le lacrime iniziano a scorrere sulle sue guance. “Lui ha detto che mi ama.” cerca di trattenere il pianto, sapendo che quelle parole lo feriranno più di qualsiasi insulto.
Per qualche istante al telefono si sente solo il respiro pesante di Leone.
“E allora di che cosa hai paura?”


“I came to see you.
It wasn’t easy because you were so far away.”


Il colore preferito di Leone era sempre stato il nero.
Nero come la sua divisa, nero come il rossetto che quel giorno aveva evitato di portare, nero come il vino che preferiva.
Finché non aveva conosciuto quel punto di blu.

Guardò in quegli occhi, così familiari eppure sconosciuti, e per un istante smise di respirare.
Sembrava felice, ma quella punta di malinconia nello sguardo, quella che l’aveva fatto innamorare, per un attimo fugace fu di nuovo davanti a lui.

Lasciò cadere la cenere dalla sigaretta e distolse lo sguardo.
“Posso aiutarla?” una voce gentile lo costrinse ad alzare di nuovo il viso.
Era lì, fermo sulla barca, e non c’era nessun altro a cui avrebbe potuto rivolgersi.

Abbacchio si alzò con fatica, come se dovesse farsi forza: avrebbe voluto dire qualcosa ma riuscì solo a rispondere con un suono gutturale, come se avesse ormai perso l’abitudine a parlare.
Si schiarì la voce, inspirò un’altra boccata, scosse la testa.
Bucciarati sorrise gentile e ricominciò a spazzare.


“Our timelines weren’t in step.
If time can really be turned back, give me one last chance.”


“… ora, è ovvio che non posso assicurarti che funzionerà, ma Moody Blues è l’unico Stand che…”
“No.”
“… Perché? Possiamo almeno provare, facendogli rivivere i suoi ricordi…”
“Non gli farò… Rivivere… I suoi ricordi, Giorno.” Leone scandisce bene, soffermandosi sul senso terribile di quell’affermazione.
Giovanna lo guarda, affilando lo sguardo, ed infine capisce la logica di quelle parole.
“… Dici così perché tu per primo vorresti dimenticare. Ma senza quei ricordi non saresti arrivato qui, Leone, lo sai anche tu.”
“No, Giorno, qui non si tratta di me.” Leone scuote la testa, mentre le orecchie continuano a fischiargli: il cuore ha accelerato i battiti e gli rende difficile parlare. “Lui non era destinato a questa vita. Tutto ciò che ha fatto… Lo ha fatto per proteggere qualcuno. Si è sporcato le mani per tutti noi, e adesso… Io glielo devo. Glielo dobbiamo, Giorno” ogni parola è sempre più pesante, la voce gli trema ma non piangerà davanti a lui.
È vivo ma lo ha perso e ora può solo allungare la mano e provare a tirarlo di nuovo in quel buio che gli tormentava l’anima, fargli rivivere quei sensi di colpa che Bruno aveva sempre portato sulle spalle con dignità. Al mondo nessuno ha la possibilità di tornare due volte allo stesso bivio ma se c’è qualcuno che lo merita, quello è lui.
“Dovrò dirlo agli altri” realizza Giorno, cupo in viso “Vuoi… Vuoi dirgli…?” si incammina verso la stanza, tirando appena la maniglia.

Leone si allontana.
Adesso è solo un ricordo.
E lascia andare la presa.



“There’s no way we could meet. but one thing is certain.
If we see each other, we’ll know.
That you were the one who was inside me.
That I was the one who was inside you.”


Bruno fece fatica ad addormentarsi quella notte: sentì Trish venire a letto e dargli un bacio, sussurrandogli “Buon compleanno” ma finse di essere assopito.
Il sonno infine arrivò improvviso e portò con sé una visione confusa: una baia, che non riconobbe, e fiori gialli che crescevano fra i suoi piedi. Era steso, immerso in quei petali, ma sentiva uno strano dolore al petto. Alzò una mano e si accorse che la sentiva umida e calda: pensò fosse acqua ma gocce di sangue caddero su un completo bianco che non ricordava di aver mai posseduto.
Non era più in mezzo ai fiori gialli.
Era dentro a una chiesa e sentì dei passi silenziosi avvicinarsi a lui dal buio del colonnato.
Ogni volta che si voltava, convinto che sarebbe stato aggredito, i passi continuavano a cambiare direzione ed il petto gli doleva ancora di più. Le gocce di sangue colavano dal suo polso, macchiando il bianco della giacca ed il marmo chiaro dei pavimenti.
Indietreggiò sui gomiti, a fatica, portandosi verso le scale, ma alzando il viso verso l’alto trovò il cielo e la pioggia, fitta, cominciò a bagnargli il volto, a inzuppargli i capelli.
Sotto di lui, terra bagnata, mista a roccia.
Il dolore al petto era insopportabile: appoggiò la testa al suolo, esanime, sconfitto.
Sarebbe morto, non poteva sopravvivere, lo sapeva fin dall’inizio.
Chiuse gli occhi, arreso: l’acqua lo avrebbe portato via.
Poi sentì una voce.
Aprì appena gli occhi e scorse un riflesso argenteo ma sentiva le palpebre pesanti.
Si sforzò a mettere a fuoco l’immagine e trovò due occhi in cerca dei suoi.
Era pioggia o erano… Lacrime?
Qualcuno gli stava stringendo la mano, e gli diceva di non abbandonarlo.
Io lo so… Di che colore sono… I tuoi occhi…

Bruno si svegliò di soprassalto, scosso dalla nausea: corse in bagno e si appoggiò al lavandino, respirando a fatica. Pensava che avrebbe vomitato dal male che sentiva ma pian piano che riprendeva conoscenza il dolore al petto era diminuito fino a sparire del tutto. Si alzò la maglietta spaventato, come in cerca di qualcosa, ma non trovò niente se non la cicatrice che aveva sempre avuto.

Sempre? Cos’è sempre?

“Bruno?” Trish stava bussando alla porta del bagno: aveva fatto rumore. “Stai bene?”
“Sì” rispose lui senza nemmeno riflettere, sapendo che la bugia era ovvia. “Sì, tranquilla… Solo un brutto sogno”
La ragazza non rispose ma rimase dietro la porta.
“Posso entrare?” chiese timidamente.
“No” rispose lui, brusco. “No, davvero… Non c’è bisogno” ingentilì la voce. “Arrivo subito.”
Quando sentì i passi di Trish allontanarsi, si guardò allo specchio e si accorse che stava piangendo.



“So we don’t forget when we wake up.
Let’s write our names on each other.”


Quando Abbacchio tornò a casa era ormai notte.
Aveva iniziato a bere appena era tornato a Napoli ma questo non gli impedì di aprirsi una bottiglia senza nemmeno prendersi il disturbo di sporcare un bicchiere: tanto l’avrebbe finita.
Si passò una mano fra i capelli di nuovo così corti, l’ennesimo ricordo spiacevole.

C’era così poco che valesse la pena ricordare.

Si avviò a passi malfermi verso la camera da letto, buttando giù un altro sorso, e si appoggiò al muro mentre osservava il riflesso violaceo di Moody Blues che faceva scorrere il timer sulla sua fronte ad un momento preciso: ormai non aveva nemmeno più bisogno di cercare.

Era tutto quello che gli era rimasto.

Le curve dolci e morbide di Moody Blues divennero scure e si appoggiarono sul materasso di Leone, gli occhi azzurri semi-chiusi facevano capolino attraverso ciocche corvine che cadevano disordinate davanti al viso appoggiato sul cuscino.

Play.

“Leone…” non importa quante volte la sentisse, quella voce che chiamava il suo nome continuava ad attorcigliargli le viscere. “Mi sono sempre chiesto di che colore fossero i tuoi occhi…”

La mano di Bruno accarezzò i contorni del ricordo di Leone, invisibile, assente.
Abbacchio rispose sottovoce, portando avanti quella recita, ancora appoggiato al muro.

“Avvicinati e dimmelo tu”

La risata di Bruno portò la luce nella stanza, ora come allora, quegli occhi azzurri rimasero a guardare un uomo che non c’era: la bocca si piegò in un sorriso e il naso si tirò all’insù in cerca di un bacio che era svanito molto tempo fa.

Basta così.

L’immagine di Bruno rimase ferma, con gli occhi socchiusi, eternamente sospesa in un gesto d’amore che al tempo stesso era già passato ed eternamente presente.
Leone si trascinò fino al letto, le labbra attaccata al collo della bottiglia e si sedette accanto a tutto ciò che rimaneva dell’uomo che aveva amato ma non lo sfiorò nemmeno: quella pelle non aveva il suo profumo e i capelli non odoravano di frutta.

Avrei dovuto dirti che ti amavo.

Per quello era andato a Ischia quel giorno, ossessionato da quello che Moody Blues non poteva dargli per quanto le sue riproduzioni fossero perfette.
Per sentire quel profumo portato dal vento, per appena una manciata di secondi.
Quanti giorni lo avrebbe fatto vivere quel ricordo?
Non lo sapeva.

Guardò con uno strano desiderio le medicine che prendeva per dormire ma alla fine ne ingoiò solo una, con un altro abbondante sorso di vino.

Il solito vigliacco.

Si stese accanto al ricordo di Bruno, guardando quell’azzurro perfetto ma senz’anima.

Avrei dovuto dirtelo.
Tanto ora non lo sapresti più.



***

Inizio queste note d'autore che saranno particolarmente lunghe con delle scuse, per aver scritto una cosa così crudele. Eppure ero partita con le migliori delle intenzioni finché la mia mente non si è detta "E se..." ed eccomi qui a piangere lacrime di sangue. Devo ancora capire perché devo far soffrire in questo modo disumano la mia OTP. Sigh.

Ho bisogno di dare un gran numero di reference: anzitutto, tutte le citazioni in corsivo sono tratte dal bellissimo lungometraggio animato "Your Name" di Makoto Shinkai, di cui consiglio caldamente la visione a tutti ma solo se siete armati di un gran numero di fazzoletti. Mi è stato di grande ispirazione nel seguire il tema del ricordo e della mancanza, così come del famoso filo rosso del destino che lega le persone al dilà di tutto. Il titolo della fic è meno ovvia: avevo pensato di intitolarla per l'appunto Your Name ma la scelta di Paper Boats è dovuta all'omonima canzone composta per il videogioco "Transistor", un'altra opera strappalacrime che parla di ricordi, di amanti perduti e di destino.

Grazie per essere arrivati fino a qui!
  
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