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Autore: Cassidy_Redwyne    18/05/2021    1 recensioni
L’anonima Sheltz Town, dove Rufy e Zoro s’incontrano per la prima volta, è sul punto di diventare teatro di una rivolta.
Per salire di grado Morgan Mano d’Ascia sarebbe pronto a tutto, anche a mettere in pericolo i suoi cittadini attirando una delle flotte più potenti di tutti i mari, interessata all’antico segreto dell’isola, proprio a Sheltz Town.
I cacciatori di taglie di Riadh sono abili, spietati e senza scrupoli. E del tutto impreparati ad affrontare una flotta di tale calibro. Quello che Morgan non ha messo in conto, però, è che pirati e cacciatori di taglie potrebbero mettersi in combutta alle sue spalle. E potrebbero essere gli unici in grado di portare un po’ di giustizia.
***
Per poco non cadde a terra. Spalancò la bocca, la mascella sospesa a mezz’aria.
La faccia squadrata. Gli occhi non particolarmente svegli. I ridicoli capelli biondi.
E l’altro. Capelli corvini e lentiggini.
I pirati a cui aveva intenzione di dare la caccia avevano appena bussato alla sua porta.
***
«Voglio che Zoro si unisca alla mia ciurma» esclamò il ragazzino gioviale.
Riadh strabuzzò gli occhi. «Non se ne parla nemmeno! Giù le mani dai miei cacciatori di taglie!»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Morgan, Nuovo personaggio, Roronoa Zoro
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO VI

“You are a brick tied to me that’s dragging me down
Strike a match and I’ll burn you to the ground

So we can take the world back from a heart attack
One maniac at a time we will take it back

Hey young blood, doesn’t it feel like our time is running out?”
 

«Guarda chi ti ho riportato.»

Riadh, spaparanzato sul divano del salone, la schiena sul bracciolo e le gambe incrociate sullo schienale, alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo.

Sulla soglia, intravide Johnny, Yosaku, e Zoro. E una figura minuta, al fianco dello spadaccino, in shorts e canotta color cachi, con le braccia incrociate al petto e l’espressione torva, come se avesse voluto trovarsi in qualsiasi posto fuorché lì.

«DAWN!»

Riadh mollò il giornale e scattò in piedi, in modo così brusco che per poco non ribaltò il divano. Si precipitò dalla sua giovane allieva, stritolandola in un abbraccio.

«Levati di dosso» lo avvertì lei funerea. «O ti pianto un proiettile in mezzo alla faccia.»

Vedendo che la ragazza aveva già la mano sulla pistola, Riadh si affrettò ad obbedire. Dio, se gli erano mancate le sue minacce di morte non troppo velate!

«Ci ho messo un secolo, per convincere questa testa dura a venire qui» intervenne Zoro, lanciandogli un’occhiata. «Vedi di non vanificare tutti i miei sforzi.»

«Chi sarebbe la testa dura, Roronoa?» lo sfidò Dawn, incenerendolo con lo sguardo.

«Calma, ragazzi, calma» s’intromise Riadh, per poi rivolgersi alla ragazzina. «Allora, hai deciso di tornare nella Gilda?»

Si chinò fino ad arrivare alla sua altezza, come se si stesse rivolgendo ad una bambina piccola, e per tutta risposta lei gli mollò un calcio nello stinco.

«AHIA!» gridò lui, mettendosi a saltellare per il dolore.

«Quante volte ti ho detto di non trattarmi come una bambina?»

«Non cambierà mai» commentò Johnny a voce bassa, dando di gomito a Yosaku, senza specificare a chi dei due si stesse riferendo.    

«Sono venuta per la mia parte» disse poi Dawn. Riadh si accorse che evitava di guardarlo, come se ci fosse dell’altro, ma quella volta evitò di insistere. «Non so se voglio rientrare nella Gilda.»

Lui annuì. Non si era immaginato niente di diverso. «Bene.»

Attraversò il salone a grandi passi, verso un enorme dipinto della Grand Line ad olio, di fronte al lungo tavolo dove si tenevano le riunioni della Gilda. Spostò il quadro di lato, facendo attenzione a non toglierlo dal chiodo, e rivelando una cassaforte incassata nel muro. Si mise ad armeggiare con la combinazione, dando le spalle ai suoi uomini. Sapeva di poter agire indisturbato di fronte a quelli che per lui erano come fratelli.

«Ti converrebbe tornare, Dawn» sentì che diceva Yosaku. «Non ce la faresti da sola a…»

«Puttanate» lo interruppe lei. Anche se Riadh non poteva vederla, sapeva che la ragazzina aveva già serrato i pugni. «Ce l’ho sempre fatta, da sola. Non siete indispensabili per me.»

«Non è quello che intendeva dire Yosaku» intervenne Zoro. «Se almeno lo lasciassi finire…»

«Non intrometterti!»

«Dicevo» ripeté Yosaku, «che non ce la faresti ad affrontare da sola gli uomini che stanno venendo qui. Sono troppo forti. L’unica speranza che abbiamo è essere uniti.»

Mentre afferrava la mazzetta che aveva preparato per Dawn, lo sguardo di Riadh corse un attimo verso il fondo della cassaforte e il suo contenuto. La richiuse di scatto, come nel tentativo di porvi una barriera ed evitare di pensarci, e si voltò verso i ragazzi.

Dawn, di fronte a lui, stava scrollando le spalle. «Sono solo voci.»

Zoro gli lanciò un’occhiata penetrante, seguito a ruota da Johnny e Yosaku.

Riadh sospirò, sostenendo i loro sguardi, una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco.

«Dawn» esordì, e la giovane si voltò di scatto nella sua direzione. «Eccoti i soldi. Ti dispiace se facciamo due chiacchiere?»

Aveva lanciato la mazzetta lungo il tavolo di mogano, nella sua direzione, e Dawn la afferrò un attimo prima che cadesse a terra. Quando vide che si stava mettendo a contare le banconote, Riadh scosse appena la testa, vagamente divertito.

«Va bene» disse poi lei, alzando gli occhi. Forse aveva intuito che lui non avrebbe accettato un no come risposta.

«Dobbiamo andarcene?» domandò Johnny, indicando la porta con lo sguardo.

Riadh scosse la testa. «No. Sedetevi.»

Si accomodarono al tavolo nello stesso istante, con l’unico rumore delle sedie che strusciavano sul pavimento a sovrastare il silenzio e la solennità di quel gesto.

Riadh si sistemò sulla sedia, a capotavola, guardando uno ad uno i suoi uomini, seduti scompostamente ai loro posti, com’era accaduto quando aveva dato loro quella notizia, il giorno prima. Ma stavolta era diverso. Stavolta c’era chi avrebbe contestato le sue ragioni. Quando suo sguardo si posò su Dawn, la spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco, puntualmente, si ripresentò.

«Ho parlato con Morgan» disse infine lui, dopo un lungo silenzio.

L’unica reazione di Dawn furono le sopracciglia aggrottate.

«…di quello che è successo sulla Rotta dei Delfini.»

La ragazzina s’incupì, raddrizzandosi sulla sedia. «E che ti ha detto, quello stronzo?»

«Qualcosa che non ti piacerà» disse lui, fissandola dritta negli occhi. «Quel Thalef che avete catturato fa parte della ciurma di Barbabianca.»

Stavolta Dawn non fece nulla per mascherare la sua sorpresa. «Barbabianca?» ripeté, sgranando gli occhi.

Riadh annuì.

«Barbabianca» ripeté ancora Dawn, abbassando lo sguardo sul tavolo, come stentasse a crederci. Poi alzò di colpo gli occhi su di lui. «Quindi è vero. Le voci sul fatto che stia venendo qui. Sono tutte vere.»

Riadh annuì ancora una volta. Sentiva gli sguardi degli altri tre bruciargli addosso, e capì che non poteva indugiare oltre.

«E non è finita» riprese lui, sostenendo il suo sguardo a fatica. «Morgan l’ha fatto di proposito. Voleva che catturassimo un’esca per attirare qui i membri più illustri della sua flotta, che sarebbero venuti a riprenderselo.»

Il silenzio calò per un lungo attimo sul tavolo. Gli occhi di tutti correvano da Dawn a Riadh, da Riadh a Dawn.

Poi la ragazzina scattò in piedi e batté con forza i pugni sul tavolo. «Quella testa di cazzo! QUEL PAZZO!»

Riadh non si scompose. Aveva previsto una simile reazione. Ma, se voleva tornare tra le loro fila, era giusto che venisse informata dei piani in cui la Gilda si era ritrovata coinvolta.

«Tu non puoi aver acconsentito!» Dawn lo fissava, il disprezzo che trapelava dai suoi lineamenti. «TU NON PUOI AVER ACCONSENTITO!» Lanciò la mazzetta in direzione di Riadh. «Puoi riprenderteli. Io non li voglio, questi soldi, se li devo guadagnare con il sangue dei miei compagni.»

«Dawn…» fece per dire Zoro, ma lei gli lanciò un’occhiata di fuoco.

«Non ti azzardare a dire nulla!» gridò lei, e qualcosa in lei vacillò. «Tu… che sei quasi morto nello scontro! Fammi capire, quella era un’esca? Gli altri come saranno?» Guardò Zoro, scuotendo appena la testa. «Sei davvero pronto ad affrontare quegli uomini? Solo perché lui te lo ordina?»

Aveva puntato il dito verso Riadh con sguardo accusatore, e lui incassò il colpo senza dire una parola.

Zoro lanciò una breve occhiata in direzione di Riadh e poi tornò a guardarla. «Mi fido di Riadh. Farò ciò che decideremo.» Dopo una breve pausa, aggiunse: «Questo non fa di me un burattino, ragazzina. Io lo faccio perché lo voglio. Ma tu non sai niente di lealtà, sei solo una mocciosa.»

Lei serrò i pugni, schiumante di rabbia, ed era sul punto di ribattere per le rime quando Riadh si schiarì la voce, attirando la sua attenzione.

Si era alzato in piedi anche lui, come per fronteggiarla. Johnny, Yosaku e Zoro invece rimasero seduti ad osservare la scena, mentre facevano distrattamente dondolare le loro sedie, le braccia incrociate sul petto e i piedi poggiati sul tavolo.

«Prima di dare in escandescenza» disse, «magari potresti sentire cosa ho risposto a Morgan.»

Dopo un momento di silenzio, Dawn cadde a sedere sulla sedia, come sconfitta da quella calma.

«Allora?» lo incalzò, incrociando le braccia sul petto.

«Gli ho detto che ne avrei discusso con i miei uomini» spiegò lui, sedendosi a sua volta. Gli tornò in mente con prepotenza l’immagine di Morgan che faceva il gesto di passarsi la lama sul collo e sorrideva, ma la ricacciò in fretta in fondo alla mente. «Voglio la vostra opinione. E, in particolare, Dawn, voglio la tua.»

«La mia?»

«Sei tu che hai affrontato quel pirata, insieme a Zoro. Come ti ho già detto, sei una delle più giovani e promettenti cacciatrici della Gilda. Mi fido del tuo giudizio.»

Non disse altro. Non disse che il modo in cui lei l’aveva guardato, giù alla locanda, lo aveva trapassato da parte a parte come un coltello. Non disse che, dopo l’accaduto, aveva riflettuto sulle parole che lei gli aveva scagliato contro per giorni.

Malgrado tutto l’orgoglio e i modi bruschi, in quei mesi Riadh si era accorto di quanto Dawn si fosse affezionata a lui, ai ragazzi della Gilda. A Zoro. Lei, quell’orfanella diffidente e manesca, aveva iniziato a fidarsi di loro. E lui aveva fatto a pezzi quella fiducia. Aveva messo Dawn in pericolo, aveva rischiato di farla ammazzare. Sapeva che Zoro sarebbe stato pronto a sacrificarsi e non avrebbe dubitato neanche un istante, dopo tutto quello che avevano passato insieme. Ma Dawn non ci era stata. E, senza neanche toccarlo, aveva dato un ceffone a Riadh che gli bruciava ancora sulla pelle. Quella ragazzina piccola e impertinente, ancora con il moccio al naso, aveva osato mettere in dubbio la sua autorità e gli aveva dato una lezione.

Ma, più della lezione morale, Riadh era rimasto colpito dai suoi ideali. Perché erano esattamente i suoi. Le parole che gli aveva detto sui suoi compagni gli risuonavano ancora nella testa. Lei sarebbe stata pronta a morire in ogni momento, ma non avrebbe sopportato di veder morire Zoro. Era esattamente quello in cui Riadh credeva, e lei glielo aveva ricordato. E lui, per quello e una dozzina di altri motivi, la rivoleva nella sua Gilda.

«Io non faccio più parte della Gilda, Riadh» gli fece notare lei, inarcando un sopracciglio.

Lui fece un mezzo sorriso. Poi le lanciò contro i soldi, che Dawn schivò per un soffio, un attimo prima che la colpissero in pieno volto.

Lei lo fissò a bocca aperta, la confusione che le si agitava negli occhi. «Che cazzo fai?!»

«A me risulta che tu sia seduta al tavolo di casa mia, e che io ti abbia appena pagata. E, nel caso tu te lo scordassi, ho una pistola qui con me pronta a ricordatelo» disse lui pacatamente, senza mai smettere di sorridere.

«Devi decisamente cambiare il modo in cui arruoli i tuoi cacciatori di taglie, Riadh» commentò Johnny con un risolino.

Dawn non disse nulla. Dopo aver raccolto i soldi che erano caduti ai suoi piedi, aveva abbassato gli occhi sul tavolo, e Riadh giurò di aver visto l’ombra di un sorriso comparire sul volto della giovane, un attimo prima che lei tornasse a guardarlo.

«Vuoi sapere cosa ne penso?» Dawn fece scorrere lo sguardo sui suoi compagni, soffermandosi un attimo di troppo su Zoro, cosa che, ovviamente, a Riadh non sfuggì. «Penso che dovresti mandare a ‘fanculo Morgan.»

 

***

 

Se prima Aibell aveva giurato di uccidere Marco la Fenice per averla umiliata come nessuno prima d’allora si era permesso, quando scoprì che lo stronzo le aveva anche fottuto il fucile il suo odio divenne sconfinato.

Certo, di armi ne aveva tante, ma nessuna era come quel fucile. Il suo fucile era il suo migliore amico. La sua vita. Ormai conosceva a menadito i suoi punti deboli e i suoi punti di forza, le sue parti, i suoi accessori, le sue tacche di mira e la sua canna. Lo aveva protetto dalle intemperie e da tutto ciò che avrebbe potuto danneggiarlo, come avrebbe fatto con le sue gambe o le sue braccia. Senza di lui, si sentiva proprio come se avesse perso un arto. Era del tutto inutile. E Marco la Fenice glielo aveva rubato.

Malgrado il dolore alla gamba, camminava a passo di carica per le principali vie della città, i pugni serrati e due pistole che le spuntavano dalle fodere che portava al fianco. Le persone che incontrava, perlopiù marinai e casalinghe a zonzo con i loro figlioletti, la guardavano incedere con furia omicida, guardandosi bene dall’attirare la sua attenzione.

«Vieni qui» sentì una madre dire al proprio figlio, prendendolo da parte per evitare che si facesse troppo vicino a lei. «E smettila di fissarla, lo sai che guardarla porta sfortuna...»

«Schifosa» disse un’altra, lanciandole una breve occhiata, con la quale probabilmente sperava di non essere contagiata dalla sua maledizione.

«Ehi, puttana!» l’apostrofò un marinaio. «L’ultimo che ti ha chiavata ti ha azzoppato, per caso?»

Aibell li ignorò, come faceva sempre. Zoppicava ad ogni passo, ma era così furiosa da non sentire più neanche il dolore alla gamba. Si era medicata alla bell’e meglio, dopo essere riuscita a liberarsi dalle corde che la tenevano legata, e aveva bevuto un decotto di ortica e gramigna per placare il dolore. Non aveva rimediato granché alla ferita in sé, che continuava a dolerle ad ogni passo, ma se non altro era riuscita ad estrarre il proiettile dalla carne. Nel farlo, aveva urlato così tanto che per la millesima volta aveva ringraziato il fatto di abitare in un posto tanto isolato.

In testa, però, aveva un solo pensiero. Lui.

Gli era sfuggito da sotto il naso, l’aveva lasciata a morire in cantina, e l’aveva derubata del suo fucile.

In ogni caso, non sarebbe andato lontano con quello, considerando che le munizioni che le aveva sventolato davanti con tanta arguzia erano rimaste a lei e, se fosse entrato in un qualsiasi emporio senza nascondere la sua faccia, lo avrebbero seccato all’istante, considerando che i manifesti con sopra la sua testa di cazzo erano disseminati per tutta la città.

Non sapeva neanche dove cercarlo, ma sentiva che doveva essere da qualche parte lì in città, e la furia omicida continuava a guidarla senza sosta per le viuzze di Sheltz Town, ignorando le malelingue, il dolore alla gamba e la fame che le mordeva lo stomaco. Conosceva la sua cittadina a memoria. Se quel dannato pirata fosse stato nei paraggi, lei lo avrebbe trovato.

E lo trovò. Solo non dove si aspettava di trovarlo.

Si era appoggiata al muro per riprendere fiato, incerta sulla strada da prendere, dato che le sembrava di aver fatto il giro del centro almeno una dozzina di volte, quando alzò gli occhi al cielo.

E li vide. Marco la Fenice ed Ace Pugno di Fuoco. Seduti sul tetto di un’abitazione, esattamente sopra la sua testa. Quando poi il pirata biondo le diede le spalle e vide il fucile oscillare sulla sua schiena, la rabbia la travolse come mare in tempesta.

«EHI, STRONZI!»                                                               

I due, come del resto tutti coloro che stavano percorrendo la via, si voltarono di scatto nella sua direzione. In un attimo i pirati furono in piedi, pronti a scappare. Forse attirare la loro attenzione non era stata la migliore delle idee, dal momento che in quel modo avrebbe dato loro un vantaggio nella fuga ma, non appena Aibell aveva visto il suo fucile nelle mani di quello schifoso, aveva perso completamente il lume della ragione.

Vide che i pirati stavano parlottando tra loro e, prima che escogitasse un modo di salire sul tetto a sua volta, si accorse che i due si erano divisi. Ace stava correndo via sul lato lungo del cornicione, in direzione della periferia della città, sotto gli occhi esterrefatti dei presenti, mentre Marco, dopo aver percorso il lato corto, dalla direzione opposta a quella in cui si trovava lei, si calò giù dal tetto e sparì dalla sua visuale.

Aibell individuò in un batter d’occhio la stradina che conduceva là dove Marco aveva deciso di lasciarsi cadere, e sorrise. Sapeva che portava ad un vicolo cieco.

Si fece largo a forza di spintoni, tra la gente che cercava ancora di capire che cosa stesse succedendo, infilò la strada e si mise a correre, cercando di ignorare le fitte alla gamba che le salivano al cervello ogni volta che il suo piede toccava terra. Corse, corse, e corse attraverso le stradine sempre più deserte, così a lungo che iniziò a chiedersi se non avesse fatto male i suoi calcoli e se quello fosse davvero un vicolo cieco.

Poi si arrestò. Marco era davanti a lei, di spalle. Di fronte a loro, si ergeva un muro di cinta che il pirata non doveva aver messo in conto. Impossibile aggirarlo o scalarlo. Ai due lati della strada c’erano solo edifici, e nessuna possibilità di fuga.

Prima che Aibell potesse dire o fare qualsiasi cosa, il biondo si voltò verso di lei. Nessuna sorpresa sul suo volto, come se avesse saputo fin dall’inizio che lei lo avrebbe raggiunto.

«Ma chi si rivede» esordì, fissandola senza battere ciglio. I suoi occhi corsero con un guizzo alla gamba che lui le aveva impallinato e poi tornarono sul suo volto. «Sei riuscita a liberarti, allora. Come hai fatto?»

Aibell avanzò, estraendo le pistole dal fodero e puntandogliele contro. «Non ha alcuna importanza» disse. «Rivoglio il mio fucile. Ora.»

Marco non mosse un muscolo.

«IL FUCILE, STRONZO!» urlò lei, sparando due colpi alle sue gambe, che Marco schivò per un soffio.

Il pirata imbracciò il fucile e per un lungo, terribile attimo, Aibell pensò che fosse riuscito a caricarlo e che avrebbe risposto al suo fuoco, ma doveva avere a che fare con un individuo piuttosto ragionevole.

«Va bene» disse lui, lanciando a terra la sua amata arma. «Basta che chiudi quella bocca.»

Aibell si lanciò sul suo fucile, e solo un briciolo di contegno rimastole le impedì di baciarlo come un amante al quale si fosse appena ricongiunta.

Marco, nel frattempo, si stava guardando intorno con aria circospetta, come per assicurarsi che nessuno si avvicinasse. O che qualcuno accorresse. Ace D. Portgas sembrava essersi volatilizzato, ma Aibell sapeva che poteva essersi benissimo nascosto per poi tenderle un agguato e aiutare il suo compagno a fuggire.

«Bene» tagliò corto Marco, incrociando le braccia sul petto. «Hai riavuto il tuo fucile. Contenta? Ora vedi di lasciarmi passare.»

Aibell si alzò in piedi, sistemandosi la tracolla, ed estrasse le munizioni dalla tasca dei pantaloni. «Non sarò contenta finché non avrò avuto ciò che mi spetta» sibilò poi, fissandolo con aria truce, mentre caricava il fucile. «Ti sembra questo il modo di ricambiare la mia ospitalità?» aggiunse poi con un sorrisetto, accarezzando la canna.

Marco sputò a terra. «Quando, prima o dopo che tentassi di sgozzarci nel sonno?»

Aibell trattenne un risolino, senza mai staccare la mano dall’arma. «Hai frainteso le mie intenzioni, pirata.»

«Non ho frainteso un bel niente» ribatté Marco, il cui sguardo continuava a correre verso l’uscita del vicolo con un guizzo. «Ora sii ragionevole e fammi passare, senza che sia costretto ad ucciderti sul serio» mormorò, scandendo ogni parola. «Ho delle faccende da sbrigare.»

Per tutta risposta, Aibell imbracciò il fucile. «Anche io, tipo incassare la tua taglia. Stavolta non mi sfuggirai.»

Marco sospirò, come se avesse capito che non sarebbe riuscita a spuntarla con le buone. Poi qualcosa di indefinibile attraversò il suo sguardo.

«Io me ne andrei, fossi in te» le disse all’improvviso.

Sul suo volto comparve un mezzo sorriso, come quello che le aveva rivolto la notte prima, prima di lasciarla a morire. Un sorriso che non si allargava mai più di tanto e non coinvolgeva il resto del volto, quasi fosse stato un motore che continuava ad incepparsi nello stesso punto.

«Cos’è, credi di spaventarmi?» Aibell inarcò le sopracciglia. «Il tuo amico sta venendo a salvarti?»

«Ah, no» si affrettò a dire lui. «Ma tra poco dovrai vedertela con la concorrenza.»

Dopo un momento, le sentì anche Aibell.

Voci. In lontananza. Provenienti dall’entrata del vicolo. Coloro a cui appartenevano dovevano averlo imboccato proprio in quell’istante, e adesso si stavano dirigendo lì.

Aibell lanciò un’occhiata a Marco. Come diavolo aveva fatte a sentirle?

«L’ho visto entrare qui.»

«Ma sei proprio sicuro che fosse lui?»

«Più che sicuro. Era tale e quale al suo manifesto di taglia.»

«Ah-ah! Diventeremo ricchi.»

«Non ha scampo. Di qua c’è un vicolo cieco.»

«Non era da solo. Con lui ho visto quella puttana di Aibell.»

«Be’, non ci intralcerà. Sarebbe un peccato sciuparle quel bel visetto, ma siate pronti a fare tutto quello che è necessario. Quei berry non ci sfuggiranno.»

Aibell sentì la rabbia montare e, suo malgrado, lasciò ricadere il fucile sulla spalla, lanciando una breve occhiata in direzione del vicolo, dal quale s’intravedevano già le ombre dei cacciatori di taglie. Non erano della Gilda, o non l’avrebbero apostrofata a quel modo. Dalle loro sagome e dalle voci, dovevano essere una decina. E non avrebbero diviso un centimetro di quel pirata con lei, a costo di sciuparle quel bel visetto.

«Merda» borbottò, tornando a guardare il pirata.

Marco era immobile, poggiato contro il muro, le braccia incrociate sul petto, come se non avesse alcuna fretta di andarsene. Difficile capire il perché, dato che, se quei malintenzionati lo avessero raggiunto, si sarebbe ritrovato in una situazione ben peggiore della sua.

«Be’, a quanto pare non è il tuo giorno fortunato» commentò il pirata biondo, abbassando un poco il capo. I suoi ridicoli capelli gli coprirono il volto per un attimo.

Aibell deglutì, buttando giù l’orgoglio insieme alla saliva.

«Non prendermi tanto per il culo» fece poi, incrociando le braccia al petto. «Non sei in una situazione migliore per la mia. Non penso proprio che quelli là stiano venendo qui per chiederti un autografo.»

Si guardò intorno, le due pareti a fianco della strada che li circondavano senza lasciare loro alcuna via d’uscita. Davanti a loro il muro e dietro, accanto al vicoletto dal quale era sbucata, un’imponente palazzina.

«Siamo in trappola tutt’e due.» Tornata a guardarlo, aggiunse: «Certo, a meno che non usi i tuoi poteri da uccellaccio del malaugurio.»

Marco continuava a fissare l’entrata del vicolo, il volto ridotto ad una maschera di impassibilità. Alla fine, si staccò dal muro con un sospiro, venendole incontro a passo lento. Sembrava che i cacciatori di taglie in arrivo, le cui voci e i cui passi si stavano facendo sempre più vicini, non rappresentassero alcun problema per lui e, a giudicare da come stava temporeggiando, sembrava anche che non avesse intenzione di ricorrere ai suoi poteri.

«Eccoli!»

Una voce risuonò nel vicolo. Rumore di grida e di passi. In un attimo, vennero circondati da un gruppo di cacciatori armati fino ai denti e con l’aria niente affatto amichevole. Aibell ne conosceva due o tre di vista, ma non si era mai presa la briga di imparare i loro nomi.

«Aibell, tesoro» proruppe uno, rivolgendole la canna della pistola a mo’ di saluto. «Fatti da parte. Il pirata è nostro.»

Per tutta risposta, Aibell imbracciò il fucile. «Col cazzo. Se lo volete, dovrete prima passare sul mio cadavere.»

«Sarà un piacere.»

Ma, un attimo prima che il colpo di pistola dell’uomo le arrivasse dritto in fronte, Aibell e gli altri cacciatori di taglie furono travolti da un lampo di luce accecante. Riparandosi gli occhi con una mano, la ragazza vide che le braccia di Marco erano appena diventate due enormi ali infuocate, le sue gambe due zampe di rapace dagli artigli acuminati e, per una frazione di secondo, fu ipnotizzata da quella maestosità.

Trasformatosi a metà, sotto gli occhi esterrefatti dei cacciatori, Marco spiccò il volo verso i tetti della palazzina di fronte.

«Sta scappando!» esclamò uno degli uomini, ripresosi dalla meraviglia.

«Perspicace» commentò Aibell, sparando un paio di colpi nella sua direzione.

Non controllò se fossero andati a segno. La sua mente correva all’impazzata. Era sommersa dalle pistole, e non sarebbe uscita viva da quello scontro a fuoco nemmeno a pregarlo. Poi la zampa della fenice le passò davanti agli occhi.

Senza pensarci due volte, Aibell mollò il fucile e vi si attaccò con entrambe le mani. Si sentì proiettare in alto e di colpo i suoi piedi si staccarono da terra.

«Che stai facendo?!» gridò Marco, abbassando la testa verso di lei, e schivando un proiettile per un soffio.

«Mi salvo il culo» rispose lei, stringendosi alla zampa con una mano e imbracciando il fucile con l’altra per rispondere al fuoco.

«UCCIDETE LA PUTTANA!» gridò uno dei cacciatori di taglie, prima che lei gli facesse saltare in aria la testa.

Con una mano sola e non poche difficoltà, sistemò il selettore di fuoco in posizione centrale e iniziò a sparare a raffica, cercando di non pensare al fatto che, se fosse caduta da quell’altezza, si sarebbe sfracellata. Sforzandosi di ignorare le disgustose scaglie di quella zampa di gallina, vi si aggrappò con tutte le sue forze.

«Maledetta» sentì che diceva Marco, sbattendo le enormi ali.

Volavano ancora troppo bassi e di colpo Aibell si ritrovò nella traiettoria di una finestra, all’ultimo piano della palazzina. Forse Marco era rallentato dal suo peso, o forse voleva solo liberarsi di quella zavorra, ma lei non glielo avrebbe permesso.

Mollò ancora una volta il fucile, confidando nella pessima mira di quei cacciatori e, stringendosi con entrambe le mani a quella sottospecie di pollo, sfondò il vetro con gli stivali.

All’interno della casa udì delle grida terrorizzate a coprire la pioggia di vetri rotti, ma non ci stette troppo a pensare. Marco, infatti, era atterrato sul tetto dell’abitazione che avevano appena sfondato e si stava ritrasformando.

Lei si issò a fatica sul cornicione, stringendo i denti per le fitte alla gamba ed evitando un altro proiettile per un soffio. Nell’aria risuonavano i rumori delle pallottole destinate a loro ed Aibell era tentata dal rispondere al fuoco, ma non poteva lasciarsi sfuggire il pirata. Dopo un attimo di esitazione, vedendo che Marco nel frattempo si era messo a correre sui tetti, iniziò a seguirlo, cercando di non perdere l’equilibrio, e gli sparò dietro un’altra raffica di colpi.

«Non mi sfuggirai!»

 

***

 

Cosa facesse pensare ai tipacci che frequentavano il locale che tutte le cameriere fossero delle sgualdrine, Johanne doveva ancora capirlo. Non potevano essere brave ragazze che venivano a lavorare per aiutare economicamente la propria famiglia in attesa di un impiego migliore? No, erano lì che giravano per il locale con vassoi e bicchieri soltanto perché vogliose di attenzioni da parte degli uomini.

Johanne fissò la nuova cameriera, Alma, mentre cercava di opporsi come poteva all’abbraccio in cui un uomo al tavolo l’aveva coinvolta, un sorrisino storto sulle labbra che celava il suo evidente disagio, e provò pena per lei. Poi il suo sguardo si posò sull’uomo in questione e i suoi occhi si strinsero.

Squalo. Quell’essere, con i capelli sudici e i denti mancanti, le provocava ribrezzo solo a guardarlo da lontano. E per fortuna era da solo. Quando si presentava al locale con i suoi amici marinai, dei porci schifosi quasi quanto lui, che ridevano sguaiatamente e allungavano le mani dove non dovevano, per Johanne era un vero incubo.

«Dai, pupa, lasciati stringere un po’!»

Osservò Alma cercare di sottrarsi alla stretta dell’uomo e deglutì a vuoto. Squalo sembrava averla già puntata, e sapeva per esperienza che non sarebbe andata a finire bene. Era per lui, dopotutto, che Kisumi aveva cambiato locale ed Alma era stata assunta al posto suo.

Mentre asciugava i bicchieri, lanciò un’occhiata al suo capo, che stava fissando la scena a sua volta, come in attesa di vedere quel che sarebbe successo. Scosse piano la testa. Giusto, perché, quando venivano così ingiustamente importunate, non potevano neanche ribellarsi a dovere, dal momento che il capo le sorvegliava a distanza e avrebbe diminuito loro la paga se solo avessero osato prendersela con qualche cliente.

Povera Alma. Con un po’ d’esperienza, avrebbe capito che il trucco in quel locale era assolutamente bandito, se non voleva essere presa d’assalto come un pezzo di pane in mezzo ai gabbiani.

Quando la ragazza si avvicinò, il capo chino perché nessuno vedesse le lacrime che le pizzicavano le palpebre, Johanne le posò una mano sulla spalla.

«Ehi» mormorò piano, facendole alzare la testa verso di lei.

Gli occhi delle due cameriere si incrociarono. Come immaginava, quelli di Alma erano lucidi.

«Quell’uomo…» La voce le si strozzò in gola, mentre tentava di non scoppiare in singhiozzi.

«Lo so» fece Johanne, lanciandogli un’occhiata colma d’odio. «È uno stronzo.»

«Ma io non gli ho fatto nulla» si difese Alma, tirando su col naso. «Sono stata sempre attenta.»

Johanne le porse lo straccio con cui stava asciugando i bicchieri, poi si guardò intorno per appurarsi che il capo non le stesse guardando. Sapeva che, se le avesse beccate lì a non far niente, entrambe avrebbero ricevuto una lavata di capo.

«Ascoltami» le disse, prendendola per le spalle, come per imprimerle meglio in testa quelle parole. «Qui non c’entra quello che fai o non fai. Non è colpa tua. È lui che fa così e basta.»

Una scintilla di rabbia attraversò lo sguardo di Alma. «E perché il capo non fa niente per punirlo?»

Johanne levò gli occhi al cielo. Quante ce ne sarebbero state da dire, al riguardo!

«Perché a lui interessano solo i guadagni» disse, traendo un lungo sospiro. «Squalo e i suoi amici sono qui a ubriacarsi tutte le sere e pagano bene. A lui importa solo questo.»

«Tutte le sere?» Alma aveva preso a tremare. «E io che faccio?»

L’occhio di Johanne cadde per un attimo sulla pezza di stoffa che le aveva dato per asciugarsi le lacrime, i segni sbavati del trucco che vi erano rimasti impressi.

«Ti darò qualche dritta» disse.

Sperando che basti, pensò.

 

***

 

Marco credeva fermamente che sarebbe stato Ace a fargli infine perdere la pazienza, una volta arrivati a Sheltz Town, aggiudicandosi un primato, ma non aveva ancora messo in conto quell’ottusa cacciatrice di taglie.

Anche senza voltarsi, percepiva chiaramente la sua presenza dietro di lui, mentre saltava agilmente da un tetto all’altro, e sbuffò. Probabilmente era così impegnata a tentare di stargli dietro che non si era neanche accorta che, dove i suoi proiettili lo colpivano, la sua pelle si rimarginava all’istante. Aveva già esaurito le munizioni delle pistole da un pezzo e anche i proiettili di quel fottuto fucile, soprattutto in modalità automatica, non sarebbero durati per sempre.

Marco, la cui mente correva al pari delle sue gambe, era preda di sentimenti contrastanti. Avrebbe potuto fare fuori quei cacciatori in qualsiasi istante ma, ogni volta che era tentato dallo sfoderare i suoi artigli, le parole del Babbo gli riecheggiavano nella mente. Sii discreto. Non attirare l’attenzione. Non coinvolgere civili. Si era detto che trasformarsi per metà, anziché compiere una strage in quel vicolo, lasciando i muri insozzati di sangue come se li avesse firmati, avrebbe dato meno nell’occhio, ma non ne era poi così sicuro. La gente di quei posti non era abituata a vedere in azione gli effetti dei frutti del diavolo, e ricercava le cause di quegli eventi nelle maledizioni e nelle stregonerie che, lo sapeva, facevano sempre un certo scalpore. Aveva l’atroce sospetto, quindi, che la sua azione non fosse passata inosservata come aveva sperato.

Stanco di fuggire, Marco si arrestò, le punte dei sandali che oscillavano sul bordo del cornicione di un’abitazione. Aveva evitato di compiere una carneficina, ma un morto non avrebbe fatto certo la differenza, e si sarebbe confuso tra le vittime di quello scontro a fuoco tra cacciatori di taglie. 

Si voltò per fronteggiare la donna, che era rimasta parecchio indietro e in quel momento si trovava dall’altra parte del tetto. Anche se non poteva vederla, poteva percepirla scalare a fatica la falda attraverso l’Ambizione, accecata dalla rabbia ma rallentata dalla gamba a cui lui le aveva sparato. Marco scosse impercettibilmente la testa. E dire che aveva avuto anche dei ripensamenti, prima di colpirla!

Fu quando tornò a guardare la strada, quasi distrattamente, mentre aspettava che la cacciatrice lo raggiungesse per un altro patetico tentativo di ucciderlo, che vide la locanda sotto di lui.

Era dal lato opposto della via, e l’entrata stretta e striminzita era seminascosta tra le bancherelle di due bazar, ricolme di abiti e stoffe sgargianti, così ben occultata che, nel guardare la strada, all’inizio non l’aveva nemmeno notata. Due uomini erano appena usciti, massaggiandosi le pance rotonde come botti, per cui non v’erano dubbi che fosse aperta.

Marco sgranò gli occhi, di colpo dimentico dell’inseguimento. Prima che lui ed Ace venissero interrotti da quella maledettissima donna, avevano iniziato a fare il giro delle locande, cercando di confondersi tra i passanti e poi tra gli avventori, guardando chi usciva e chi entrava, alla ricerca di un volto familiare, e scandagliando l’interno delle stanze con l’Ambizione. Quella, però, gli era sfuggita. E, visto com’era dimessa, sembrava un posto perfetto in cui nascondersi.

Il cuore di Marco ebbe un fremito. Forse avrebbe potuto seminare i cacciatori di taglie una volta per tutte e, cosa più importante, trovare finalmente Thalef. Lanciò un’ultima occhiata alla donna, di cui intravedeva solo le mani, che avevano appena raggiunto la linea di colmo del tetto. Arrancava a fatica e aveva smesso di sparare, forse perché troppo impegnata ad arrampicarsi, o forse perché non aveva più proiettili in canna. Rappresentava meno che mai una minaccia, ma Marco non poteva permettersi che continuasse a distrarlo.

Corse verso di lei, scalò la falda del tetto e, giunto a sua volta sulla linea di colmo, trasformò rapido le proprie gambe e falciò con gli artigli le tegole alle quali lei si stava aggrappando. I loro occhi si agganciarono, un attimo prima che alla donna venisse a mancare ogni appiglio e crollasse giù in strada insieme alle tegole, in una pioggia di calcinacci.

Marco non stette a guardare oltre. La distanza da terra non era fatale, ma era sicuro che in quel modo se la fosse finalmente tolta dai piedi. Corse dall’altra parte del tetto, sotto il quale aveva visto la locanda e, soffocando la tentazione di trasformarsi completamente, si inginocchiò sul cornicione e si lasciò cadere a terra, i piedi tornati umani.

Mentre si avviava verso la locanda, lanciò una breve occhiata ad entrambi i lati della strada, dal quale non proveniva anima viva. Amplificando al massimo i sensi, percepì la presenza della cacciatrice, ancora viva, immobile nel punto in cui era caduta, ma non quella della banda dei cacciatori di taglie. Nel ripercorrere il vicolo, cercando di individuare la loro presenza sui tetti, i ceffi dovevano aver imboccato un’altra traversa. Tirò un sospiro di sollievo, nel constatare che si era liberato anche di loro.

Giunto di fronte alle bancarelle degli empori, attento a non farsi vedere, rubò un cappello dalla tesa larga e una camicia a fiori, e poi si precipitò nel locale, mentre ancora si allacciava gli ultimi bottoni. Non aveva percepito alcuna forza degna di nota all’interno, quindi Thalef non si trovava lì in quel momento, ma poteva comunque averla scelta come alloggio, anche se a Marco continuava a sfuggire il motivo. Cosa gli era successo? E perché non aveva cercato di mettersi in contatto con loro?

Immerso nella penombra dell’osteria, non guardò nessuno dei pochi avventori presenti e proseguì a capo chino fino ad un tavolo in un angolo del locale, dove si lasciò cadere, calcandosi bene il cappello sulla testa, e poté rilassare i muscoli.

Finalmente.

Sheltz Town gli era parsa un’isola tanto tranquilla, dalla nave, che quasi stentava a credere che lui ed Ace avessero incontrato tanti fastidi, lungo la via. La sua mente corse subito al fratello, e Marco pregò che non fosse nei guai, mordendosi la lingua perché lo aveva lasciato da solo e non l’aveva raggiunto all’appuntamento che si erano dati prima di dividersi. Ma era necessario che rimanesse lì per un po’, cercando di capire se Thalef stesse alloggiando lì e, nel caso, perché. In ogni caso, una volta riunitisi, si sarebbero dovuti dividere comunque per cercare il fratello, come avevano fatto quella mattina, quindi tanto valeva che stesse lì. Oltretutto, rimettendosi in strada, c’era il rischio che incappasse di nuovo in quel branco di cacciatori di taglie inetti, e si augurò che, nella loro spasmodica ricerca, quelli non s’imbattessero proprio nel fratello. Ace era uno dei giovani pirati più forti in cui Marco si fosse mai imbattuto, ma rimaneva un incosciente e non poteva non stare in pensiero per lui.

Nel frattempo, il proprietario del locale, un uomo attempato e con un occhio storto – ipotropia, pensò distrattamente – gli aveva lanciato un’occhiata da dietro il bancone, ma poi era tornato ad occuparsi di un altro cliente e Marco ne fu contento. Presto o tardi avrebbe dovuto ordinare qualcosa, se avesse voluto fingere di essere un avventore qualunque – e, a dirla tutta, quella corsa gli aveva messo addosso una gran sete – ma per il momento era un bene che non s’interessasse a lui. Non era sicuro che quel cappello e quella camicia rappresentassero un travestimento poi tanto efficace.

Si stava guardando intorno, studiando quei volti sconosciuti, quando l’occhio gli cadde sulla porta d’ingresso, che era appena stata aperta. Lì, stagliata contro la luce abbagliante di mezzogiorno, c’era la cacciatrice di taglie.

Cristo santo, pensò Marco, raddrizzandosi di colpo sulla sedia. Era peggio di una zecca, quella lì. Era ridotta così allo stremo delle forze che lì per lì non l’aveva neanche percepita.

La donna era coperta di polvere, il volto tumefatto e graffiato, con un rivolo di sangue che le colava lungo la tempia, e i suoi occhi erano fissi su di lui.

Dopo un attimo di teatrale silenzio da parte degli avventori, seguito a quell’apparizione surreale, la ragazza iniziò a procedere a passo di carica verso di lui, zoppicando vistosamente, il fucile che ancora fumava dietro la schiena, e Marco vide con orrore che tutti si stavano voltando nella sua direzione, mandando a quel paese ogni suo tentativo di apparire discreto.

Così, Marco fece la prima cosa che gli venne in mente. Si alzò di scatto in piedi, mille immagini che gli vorticavano in testa. Scappare a gambe levate, trasformarsi, falciare la donna con un’artigliata e, così facendo, distruggere il bar di quel pover’uomo… afferrò la mano della cacciatrice e la strattonò fino al tavolo, costringendola a sedersi con lui.

Rimasero immobili così, in silenzio l’uno di fronte all’altra, la tensione che saliva attimo dopo attimo, mentre tutt’intorno gli avventori osservavano la scena. Poi, con la coda dell’occhio, Marco vide con sollievo che i clienti, visibilmente delusi dal non veder scorrere del sangue, stavano distogliendo lo sguardo. Qualsiasi cosa riguardasse la loro disputa, non somigliava più ad un conto da regolare e quindi non era più degna d’attenzione.

Dopo essersi assicurato che nessuno stesse più facendo caso a loro, Marco si rivolse alla donna, che continuava a fissarlo in cagnesco, e sospirò stancamente. «Vuoi smetterla di perseguitarmi, prima che ti ammazzi sul serio?»

Per tutta risposta, lei cacciò il fucile sotto il tavolo e gli piantò la canna dritta contro la patta dei pantaloni.

Lui fece un sorrisetto. «Credi che non abbia capito da un pezzo che hai finito i proiettili?»

Non avrebbe aggiunto che, in ogni caso, avrebbe potuto rigenerare anche quello.

«Stronzo» disse lei fra i denti, e dallo sguardo lui capì d’averla smascherata.

«Lasciami andare» le mormorò, fissandola negli occhi e scandendo ogni parola, come se si stesse rivolgendo ad un moccioso particolarmente testardo, oppure ad Ace.

Lei strinse le palpebre. «Mai.» Poi, malgrado fosse del tutto inoffensivo, spinse ancor più il fucile contro di lui, tanto che fu costretto ad indietreggiare sulla sedia.

Marco la fissò, scuotendo impercettibilmente la testa. Il suo volto tumefatto era contorto in una smorfia, un misto di testardaggine e disperazione. Sembrava conscia del fatto che non sarebbe riuscita ad ammazzarlo, ma allo stesso tempo non voleva rinunciare a quell’idea, adesso che era così – letteralmente – vicina a lui.

Sbuffò e si guardò intorno nel locale, maledicendo suo fratello per aver bussato a quella dannata porta, la sera prima, e poi maledicendo gli altri, che avevano mandato Ace con lui, quando avrebbe potuto tranquillamente svolgere il suo lavoro e tornare alla nave in un attimo, e nella mente così affollata dai pensieri per un istante fece capolino un’altra idea, mentre fissava il whiskey color ambra ondeggiare nel bicchiere di un tavolo poco lontano da loro. Un’idea che gli avrebbe consentito di rimanere nella locanda per un po’ e di liberarsi di quella donna con un modo che ai pirati di Barbabianca si confaceva più che l’omicidio.

L’alcol.

In quel momento, un’ombra calò su di loro. Marco fece appena in tempo ad alzare lo sguardo che si trovò ad incrociare quello strabico del locandiere. Per un attimo temette che lui l’avesse riconosciuto, o che avesse visto il fucile che la donna gli stava puntando contro l’inguine, sotto il tavolo, ma l’uomo si limitò a rivolgere loro un sorriso cordiale, un occhio fisso su di lui e l’altro sul pavimento.

«Allora, volete ordinare?»

 

 
Avete capito il piano di Marco per liberarsi di Aibell? E secondo voi come finirà? (ve lo dico io: malissimo!) E, in tutto questo, che fine ha fatto Ace? Inizialmente il capitolo doveva includere anche tutte queste scene, ma poi l’ho diviso all’ultimo perché mi sembrava troppo lungo e, soprattutto, troppo denso di avvenimenti. Perché dobbiamo ancora vederne delle belle ;)
 
Questa faccenda dell’Ambizione è come una catena al collo (o a brick tied to me that’s dragging me down, come Aibell per Marco) e non riesco bene ad intuirne i “confini”. Marco la usa indiscriminatamente o la può (passatemi il termine) attivare? Quanto è potente? Immagino che nel suo caso la sia davvero tanto, considerando quanto il suo personaggio sia intuitivo. Temo comunque di stare sottovalutando la sua reale portata nella scrittura ma, giuro, mi sta facendo dannare! ç-ç
 
Qualche curiosità random: le parole d’amore che Aibell rivolge al suo fucile non sono farina del mio sacco. Si tratta del “credo del fuciliere”, quello che compare in Full Metal Jacket, per intenderci. Ho rivisto il film di recente e a quella scena mi sono detta “No vabbè, ma queste frasi potrebbe dirle Aibell!”. Poi, non l’ho scritto perché non fa parte dell’universo di One Piece, ma il fucile di Aibell è un AK-47 – un kalashnikov!
 
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto. Approfitto di questo spazietto anche per fare una comunicazione. Speravo di avere più tempo libero, in questo periodo, ma purtroppo non è così, quindi temo sarò costretta ad aggiornare ogni due settimane… minimo ç-ç Chiedo infinitamente scusa per questo, ma si tratta di un periodo un po’ complicato, perché a breve devo trasferirmi (pensavo ci fossero poche cose più stressanti dello scrivere scene con il POV di Marco, ma cercare casa a Londra si aggiudica il primato!) Oltretutto, con il fatto che gli esami sono finiti, ogni occasione è buona per fare baldoria e ho praticamente invertito il mio ritmo circadiano ç-ç In tutto questo, spero che l’ispirazione non mi abbandoni, anche se questa storia è sempre in un angolino della mia mente, che prega di essere scritta, più o meno come una mosca che ronza contro una finestra nel tentativo di uscire, ehm.
 
Ringrazio tantissimo Fenix per la recensione dello scorso capitolo, e anche solo chi ha dato un’occhiata alla storia. Se in futuro vorrete lasciarmi un commentino o un messaggio in codice morse o un segnale di fumo, ne sarò davvero felice. Giuro che non mordo! :)
 
Un bacio e a presto (spero!)
Cassidy.

  
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