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Autore: Sweet Pink    22/05/2021    2 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Avviso: Questo capitolo non contiene contenuti che io personalmente definirei "sensibili", ma alcune parti potrebbero comunque urtare qualcheduno. Procedete nella lettura con cautela.
Grazie mille





CAPITOLO TERZO


ODIO




Ottobre 1729

È una verità conosciuta da tutti, ma che pochi comprendono veramente: nell’arco di una giornata, può essere stravolta l’intera vita di una persona. L’esistenza condotta con ignara serenità fin dal momento in cui si è venuti al mondo, svanisce in un battito di ciglia e, nel migliore dei casi, lascia spazio a una sofferenza tale da poterne solo venirne fuori più forti, anche se cambiati.

Nel peggiore degli scenari, le conseguenze ricadono sul futuro, stravolgendo un destino già scritto, una trama ben delineata. E, con essa, i personaggi che vi si muovono all’interno possono scoprire di poter provare sentimenti di cui mai avrebbero pensato di esser capaci: la tragedia, a volte, genera odio.

E la morte non si presenta quasi mai in pompa magna, ma bensì sotto le mentite spoglie di un evento sciocco quanto trascurabile, di cui mai si potrebbe sospettare.

Alla stessa maniera, la morte di Amandine Lynwood avvenne nel giro di una settimana. Quasi come se si fosse trattato di un'assurda presa in giro, ciò avvenne a poche settimane dalle famose nozze che avrebbero dovuto unirla in matrimonio all’amato Arthur Worthington.

A provocare la caduta dell’angelica sorella di Saffie fu una vera e propria stupidaggine.

Quel giorno di inizio Ottobre si era subito contraddistinto da un’infernale pioggia battente che, violenta, sferzava le ampie finestre di casa Lynwood come se volesse entrarvi dentro. Un vento impetuoso ululava a più riprese fuori da esse, facendo sembrare le stanze immerse nell’oscurità il teatro di un racconto gotico, dove l’ombra degli antichi abitanti si poteva cogliere solo con la coda dell’occhio.

Al contrario di ciò che si potrebbe immaginare, l’atmosfera nella dimora dei Duchi di Lynwood era di tutt’altra impronta.

“Sarà qui a momenti!” gridò un’agitata ragazza bionda, spalancando la porta del salotto con forza ed entrandovi a passo di marcia, stringendo convulsamente fra le dita una stola di seta rosa pallido che doveva aver visto giorni migliori. Dietro la sua figura alta, si affrettavano due anziane domestiche, intente nel difficile lavoro di allacciare il corsetto alla padroncina senza cadere a terra ogni due per tre.

“Signorina Amandine, vi prego di stare ferma un…”

“Saffie! Oddio, che agitazione! Come farò?”

“Padroncina…il corsetto, dobbiamo…”

“Sono così pallida – così orribile – non trovi?” esclamò ancora una Amandine sull’orlo della crisi di panico, ignorando completamente le due minuscole serve che, di nascosto nella penombra della camera, si lanciarono un’occhiata di pura esasperazione. “Un anno che lo aspetto e ora mi presento così! E se non volesse sposarmi più?”

E spalancò gli occhi turchesi di scatto, terrorizzata, in direzione della ragazza castana a cui quel fiume di domande era rivolto, come se quest’ultima potesse rivelarle chissà quale perla di saggezza dell'ultimo minuto e salvarla. In fondo, si disse la giovane Lynwood, sua sorella maggiore serviva proprio a questo, no?

A salvarmi…pure se ha dovuto rinunciare a tutto per me.

Un senso di colpa difficile da digerire si affacciò alla porte del suo animo, ma Amandine non vi badò affatto.

Lei è la mia strega buona, in fondo. Io sono la principessa.

Dal canto suo, Saffie aveva alzato gli occhi scuri dal quaderno su cui stava scrivendo e osservava, con la mano stretta attorno al pennino piumato sospesa per aria, la sagoma ossuta di Amandine tremare dal nervoso, quasi fosse alle lacrime: pareva un dinoccolato fantasma biondo e furibondo ma, si disse la più grande delle Lynwood, rimaneva comunque di una bellezza sconcertante quanto eterea.

Fu così che guardò quel visino tutto corrucciato e disse, sforzandosi di non sembrare troppo divertita: “La tua famosa bellezza è perfettamente intatta, dolce fanciulla. Se Arthur Worthington dovesse fare marcia indietro, allora non è uomo degno di te e, non dimenticare, se la dovrebbe vedere con me e papà”. La ragazza si portò poi un piccolo dito sotto il mento, fingendosi pensierosa. “Non so chi sia più terribile fra me e lui, da affrontare!”

Amandine abbassò allora gli occhi e un rossore timido si diffuse sulle sue gote bianco latte, allo stesso passo del leggero sorrisetto che le increspò le labbra carnose : era sempre stata sensibile ai complimenti degli altri e, pure se scherzose, le parole di sua sorella ebbero l’effetto desiderato, calmando lo stato di panico che aveva fatto mostra di sé dal momento stesso in cui aveva messo piede giù dal letto.

“Hai ragione, come sempre” mormorò solo, senza guardarla. “E comunque sei tu la più tremenda di tutti.”

Saffie rise apertamente, alzandosi dal suo amato scrittoio con una costruita aria di superiorità: stava ancora cercando di tirare su di morale Amandine e, per questo, fece: “Ho sei anni in più di te e sono anche una strega, ricordi?”

Non mi importa di questa prigionia, se tu puoi essere felice.

“Padroncina Saffie, dobbiamo ancora allacciare il corsetto e procedere con l'abito principale, per non parlare del cappello piumato che la signora ha fatto arrivare da Londra la settimana scorsa!” s’intromise la vocina gracchiante di una delle due domestiche, ancora in piedi dietro di loro “La Duchessa si arrabbierà moltissimo se la signorina non farà in tempo ad indossarlo!”

“Fortuna che i nostri genitori sono in città, allora” commentò con un mezzo sorriso Saffie, avvicinandosi alla sorella e facendo il gesto di prenderla per le spalle, sistemando così il tessuto spiegazzato della sottoveste. Una di fronte all’altra, era lei a sembrare la minore delle due, e non Amandine. “Penso avrai tutto i tempo per incontrare l’ammiraglio in santa pace, non sei contenta?”

“Siamo in ritardo!” insistette l’altra serva, tirando con forza i lacci di quel bustino infernale senza curarsi né del lamento sofferente sfuggito dalle belle labbra di Amandine, né del colorito funereo che aveva assunto all’improvviso.

“No, non lo siamo, Kitty.” ribattè con fredda cortesia Saffie, puntando gli occhi castani sul viso emaciato della sorella, poiché preoccupata non riuscisse a respirare decentemente: già era un miracolo che Amandine si fosse alzata da sola, quella mattina, visti i mesi di andirivieni da una febbre all'altra, delle visite dei dottori e delle loro cure invasive. “Non credo ci sia bisogno di soffocarla in questo modo, quindi non stringetelo troppo, per favore.”

“Ma la Duchessa…”

“Kitty!”

La domestica presa in questione alzò gli occhietti grigi giusto in tempo per essere fulminata da due iridi castane e limpide, intrise non della solita gentilezza divertita, ma di una determinazione ferma e audace, intimidatoria. Il solo sguardo della ragazza bastò e avanzò per rimetterla al suo posto in silenzio, poiché ben sapeva che Saffie Lynwood covava in sé la stessa intelligenza glaciale del padre.

Solo che la odiava più di ogni altra cosa al mondo, quella parte di sé.

“Come ordinate, padroncina.”

Saffie tornò a sorriderle con la solita accondiscendenza spontanea, come se nulla fosse accaduto. Al contrario del padre a cui tanto assomigliava, la più grande delle Lynwood aveva un atteggiamento sincero e allegro che, in linea generale, portava gli altri a volersi avvicinare a lei, poiché non risultava mai affettata e costruita – come il Duca – o insopportabilmente vanesia e superficiale, come la madre.

“Grazie, Kitty.”

Il fatto che si ostinasse a trattare gli inferiori come se fossero suoi pari, infine, riempiva di grande vergogna entrambi Cordelia e Alastair.

“Sto bene, sorella” disse Amandine con una smorfia frivola, prima di prenderla in giro, alzando un sopracciglio chiaro e sottile “Te l’avevo detto, sei tremenda: mi sembrava di aver davanti papà!”

Saffie sgranò gli occhi, colpita. Come lui?

“Scherzavo” si affrettò ad aggiungere la sorella minore, specchiandosi nell’espressione improvvisamente smarrita dell’altra. “In ogni caso, sono così felice! Ci credi, Arthur è stato promosso ad Admiral of the blue e mi ha giurato che oggi sarà qui per me, dopo averlo aspettato per così tanto tempo!”

“Da ciò che dicevano i banditori, in città, la sua flotta ha riportato una vittoria schiacciante sui francesi, quando pure l’ammiraglia di James Bones era affondata insieme al resto della linea di fuoco” considerò pensierosa Saffie, cercando di distrarsi dalla scomoda figura del Duca Alastair. Era pure riluttante a mostrare la sua ammirazione nei confronti del serioso Worthington, ma non poteva negare che dovesse essere uno stratega eccellente per i suoi trentadue anni.

“Anche se pare abbia fatto una strage” pensò inoltre fra sé e sé, corrugando le sopracciglia con disappunto “Non c’è stato nemmeno un prigioniero”.

“E all’inferno devono essere rispediti, senza alcuna eccezione”

Le sue mani si ritrassero dalle spalle di Amandine lentamente, con riluttanza.

Che razza di uomo sta per sposare?

“Voi non sapete un bel niente, signorina Lynwood.”

Le piccole labbra della ragazza stavano per aprirsi, mentre uno strano timore misto a disagio si fece sentire all’improvviso nel suo stomaco, chiudendolo instantaneamente. Eppure, il tono allegro della sorella fu un suono capace di squarciare qualsiasi ombra.

“Non credo di aver mai amato qualcuno così profondamente, davvero!” esclamò quest’ultima alzando le esili braccia, lasciando così alle domestiche l’onere di arrampicarsi e infilarle il vestito rosa scelto per l’occasione. “Non vedo l’ora sia qui, Saffie.”

“Abbiamo un accordo, dunque?”

No, non poteva più dire nulla, né interferire.

Fu in questo modo, in silenzio, che la maggiore delle sorelle Lynwood si congedò da una Amandine alle prese con gli ultimi ansiosi preparativi; Saffie si voltò solo una volta, sulla soglia del salotto immerso nella penombra delle candele, e osservò la chiassosa allegria della ragazza bionda, ora intenta a esasperare nuovamente le domestiche assoldate da Cordelia: non sembrava neanche stesse piovendo, tanto la sua presenza era capace di illuminare qualsiasi momento.

Saffie sorrise, con tenerezza.

Andrà tutto bene.

Non poteva immaginare che non avrebbe mai più visto Amandine ridere in quel modo.




§




Le voci della strada erano confuse e assordanti, non riconoscibili: un assordante suono di parole spezzate a metà che si mescolavano le une con le altre e non permettevano di cogliere appieno nessun significato. All’improvviso, dal nulla, emerse silenziosa la figura minuta di un ragazzino sporco e Saffie riuscì a vedere solo le sue dita annerite stringersi attorno a un foglio di giornale stracciato.

La voce del piccolo banditore divenne l’unico suono udibile, nell’oscurità della via.

“Arthur Worthington è ora Ammiraglio dell’Impero! Sulle sue mani, il sangue di centinaia di uomini, poiché non esiste alcuna pietà per chi incrocia il suo cammino!”

Gli occhi del ragazzino si inchiodarono su di lei, verdi e freddi come una sentenza di morte.

“Voi non sapete un bel niente, signorina Lynwood.”

Saffie aprì gli occhi castani di scatto, sulla penombra della piccola camera in cui aveva trovato rifugio poche ore prima. “Devo essermi addormentata di colpo, immagino” considerò la ragazza, senza trattenere un largo sbadiglio indecoroso: in fondo, né i suoi genitori, né le domestiche erano nei paraggi per poter appuntare alcunché. “Quanto tempo è passato?”

Dalla finestra penetrava un opaco raggio di luce pallida e cupa, mentre ancora la pioggia battente non sembrava volerne sapere di allentare la presa e cedere il passo al sereno. Saffie comprese di esser stata nel mondo dei sogni non per troppo tempo e, suo malgrado, capì pure di star sudando freddo, mentre l’eco di una gelida apprensione ancora risuonava nella sua anima turbata. Un sogno fin troppo vivido.

La ragazza si alzò in piedi lentamente, dandosi al contempo della perfetta sciocca. “Non può essere che per un incubo io mi spaventi così” si prese in giro con un sorrisetto, rivolto alla scrivania e alle missive su cui aveva non tanto beatamente sonnecchiato “Non a ventisette anni! E, di certo, non a causa del noioso Arthur Worthington!”

In fondo, si disse ancora lei avanzando a piccoli passi verso l’unica finestra della stanza, non aveva proprio un bel niente di cui preoccuparsi. Aveva già conosciuto l’ammiraglio di persona e sapeva di trovarsi di fronte a un giovane ambizioso, fin troppo integerrimo e orgoglioso: un uomo ligio al dovere che avrebbe protetto come un vero cavalier servente Amandine. La amava, no?

Eppure qualcosa non ti convince, vero, Saffie?

Perché tu l’hai vista subito, l’implacabile rabbia nascosta in quegli occhi così seri.

Ignorando un brivido sottopelle, la ragazza appoggiò i palmi delle mani sul davanzale e si sporse verso il vetro, nel tentativo di cogliere qualsiasi movimento del paesaggio al di fuori. Il viale era a malapena visibile, una sottile striscia di inchiostro scuro e grumoso che serpeggiava tra il filare di alti alberi a guardia dell’ingresso di casa Lynwood.

“Quei due saranno intenti a tubare in salotto, a quest’ora” pensò distrattamente Saffie, puntando lo sguardo sul suolo di ghiaia più in basso, come se potesse cogliere chissà cosa in mezzo a quella pioggia incessante. “O almeno lo spero, visto che mi sono autoreclusa nella stanza più lontana proprio per lasciarli soli e in pace.”

Lui le ha giurato e spergiurato che non avrebbe più dovuto aspettare.

Che sarebbe arrivato, e l’avrebbe resa felice.

Un lieve rossore tinse le gote di Saffie che, senza rendersene conto, distese il volto in un’espressione di nostalgica malinconia.

“Vieni via con me, Saffie. Solo allora sarò un uomo veramente felice.”

Una volta…anche io ho amato qualcuno.

La ragazza non ebbe modo di approfondire il suo scomodo ricordo, che il discreto suono di qualcuno intento a bussare alla porta della camera attirò tutta la sua attenzione.

“Padroncina, sono Kitty” si fece sentire una voce gracchiante, dal tono leggermente teso “Posso disturbarvi?”

Perplessa, Saffie acconsentì alla domestica il permesso di farsi avanti e la osservò entrare a brevi passetti nervosi, mentre colse immediatamente nello sguardo basso dell’anziana un turbamento che la mise sulle spine. “È per mamma e papà?” si sforzò quindi di chiedere, dandosi per la seconda volta della stupida nel giro di pochi minuti. “Immagino che non faranno in tempo a raggiungerci per il tea, ormai.”

Andrà tutto bene.

Kitty scosse la testa energicamente, in gesto di diniego. Si passò appena le dita rugose sul grezzo tessuto dell’inseparabile cuffietta con cui la signorina Lynwood era abituata a vederla da ventisette anni a quella parte, e rispose: “No, padroncina, no…io sono venuta per chiedervi notizie della signorina Amandine”.

E alzò lo sguardo grigio su di lei, di scatto.

“A…Amandine?” bisbigliò Saffie, quasi soffocando il nome della sorella nella gola, di fronte all’espressione terrorizzata che aveva fatto mostra sul volto della loro domestica personale, nonché ex tata. “Non è in salotto con l’ammiraglio?”

Un altro cenno di nervoso diniego, anche se alla ragazza sembrò di non riuscire a coglierlo perché, bizzarro, un cuore furioso aveva cominciato a martellare contro la sua cassa toracica, prendendosi tutte le attenzioni. “Lo era fino a due ore fa, quando io e Meredith siamo scese a controllare se ci fosse bisogno di qualche nostro servigio” fece l’eco di quella che doveva essere la voce di Kitty “Ma è da parecchio tempo che non è più là”.

“E Arthur Worthington?”

“Non è venuto.”

Un agghiacciante presentimento piombò addosso a Saffie nel giro di un secondo. Nello stesso lasso di tempo, la ragazza si lasciò la figura della serva alle spalle, lanciandosi di corsa giù per le scale di casa Lynwood e maledicendo contemporaneamente l’ampia gonna elegante che, ovviamente, la rallentava nei movimenti; non aveva nessuna intenzione di ammazzarsi sugli scalini di marmo, ma doveva a tutti i costi trovare subito Amandine.

“Un anno che lo aspetto e ora mi presento così! E se non volesse sposarmi più?”

“Perché non sono stata avvertita subito?!” gridò, voltando appena il viso in direzione di una Kitty ansimante che, con scarso successo, cercava di tenere il passo della stravolta signorina Lynwood. “Perché non mi avete chiamata?!”

“Eravamo convinte fosse in camera sua o, come al solito, in vostra compagnia!” fu la lacrimosa risposta che la ragazza ricevette, mentre entrambe imboccavano a passo svelto l’ampio salone d’ingresso, superando così anche un salotto che – ad una veloce occhiata – si rivelò ovviamente deserto. Saffie riuscì a cogliere con la coda dell’occhio lo scialle rosa pallido di Amandine abbandonato sul pavimento, all’esatto centro della stanza.

La stola in seta che lei stessa le aveva regalato per il suo sedicesimo compleanno, diversi anni prima. Come una pazza, ricordò di averle scritto una lettera in cui le aveva promesso che sarebbe stata sempre al suo fianco, che non l’avrebbe mai lasciata.

E si ricordò pure di come, qualche ora prima, non aveva accettato l’invito della sorella di attendere insieme l’arrivo dell’ammiraglio Worthington.

“…o, come al solito, in vostra compagnia!”

Un sudore freddo cominciò a imperlarle il viso pallido e una brezza fredda, pungente, si insinuò sotto i suoi vestiti inattesa. Saffie non aveva bisogno di cercarne la fonte, poiché il portone di casa era spalancato.

Sarei dovuta rimanere con lei.

“No!” urlò ancora, stavolta senza accorgersene; e fu un lamento spontaneo, doloroso, sfuggito direttamente dal suo cuore impazzito. Pregò che fosse una dimenticanza di qualche domestico, che Amandine non fosse uscita per davvero, pure se conosceva già la risposta ai suoi dubbi.

Al di là della sicurezza della loro ricca prigione dorata, la pioggia e il vento ancora imperversavano minacciosi e potenti. Senza pensarci due volte, Saffie varcò la porta di casa di corsa, ignorando completamente i richiami allarmati di Kitty che, ovviamente, la richiamava al suo dovere di aristocratica modello.

“Padroncina! Non potete uscire così, senza nemmeno un ombrellino!”

Se avesse avuto tempo da perdere, la ragazza si sarebbe voltata di scatto e, con due occhi di fuoco, avrebbe gentilmente commentato che, a lei, non gliene poteva importare proprio un bel niente di ciò che una brava signorina doveva o non doveva fare.

Al contrario, Saffie Lynwood non si fece intimorire né dalla furia del vento, né dalle gocce di pioggia cho ormai avevano impregnato i numerosi strati dei suoi fastidiosi vestiti lussuosi, rendendole faticoso proseguire nel suo cammino. “Amandine!” urlò, portandosi le mani bagnate attorno alle labbra, proprio come il maledetto giorno in cui Arthur Worthington era entrato nelle loro vite. “Amandine, rispondimi!”

Si rese a malapena conto delle confuse figure dei servi di casa che, dietro di lei, si agitavano sul viale alla ricerca della sorella minore. “Potrebbe essere ovunque” pensò con vera e propria disperazione, togliendosi nervosamente dagli occhi le ciocche di capelli bagnati che cominciavano a scivolare via dal suo chignon, appiciccandosi al viso pallido e fradicio. Le sue scarpette venivano letteralmente risucchiate da quella che sembrava una scura melma fangosa e torbida, come se anche la terra stessa volesse impedirle di ritrovare Amandine. “Potrebbe essere ovun…”

“Non credo di aver mai amato qualcuno così profondamente, davvero!”

Un gemito pietoso, da niente, arrivò dritto alle orecchie di Saffie: si era trattato di un pigolio basso e timido, ma alla ragazza castana era bastato e avanzato per individuare con lo sguardo un mucchietto d’ossa rosa pallido che, a parecchi metri di distanza, qualcuno sembrava aver abbandonato per strada. Le lacrime risalirono i suoi occhi scuri mentre, inconsciamente, Saffie si rendeva conto che sua sorella non era riuscita nemmeno ad arrivare agli alti cancelli della dimora.

Qualcosa in Amandine doveva averla portata ad uscire fuori come una perfetta sciocca, nel tentativo di aspettare la venuta di un Arthur che non aveva rispettato alcuna promessa.

Lui le ha giurato e spergiurato che non avrebbe più dovuto aspettare.

La signorina Lynwood non seppe neppure come fosse riuscita ad arrivare a lei così in fretta poiché, in un battito di ciglia, si trovò inginocchiata al fianco della ragazza bionda. Urlò qualcosa di incomprensibile ai suoi servi, mentre due occhi di un turchese quasi accecante saettavano sul suo volto bianco come un cencio. “Non è venuto” biascicò solo Amandine, la cui espressione vacua sembrava la rappresentazione stessa della morte “Perché…non è venuto?”

Sua sorella minore la guardava come se anche quella volta lei avesse potuto darle una risposta illuminante ma, con una stretta allucinante al cuore, Saffie si rese conto di non saper più cosa dire. “Non lo so” mormorò atterrita, forse rivolta più a sé stessa che ad Amandine. “Dobbiamo andare a casa.”

E fece forza sulle sue esili braccia, nel tentativo di sollevare la sorella da quella che sembrava essere una tomba di fango. Malgrado la disperata preoccupazione che le divorava l'animo, una domanda atroce già stava rimbalzando da una parte all’altra della sua mente. Una domanda che Amandine stessa le aveva posto, e a cui lei non era riuscita a rispondere.

Perché non è arrivato?

Senza che se ne accorgesse, un seme d’odio era stato piantato nel suo cuore.




§




La ricca camera di Amandine era completamente avvolta da un’oscurità totale, definitiva. A una prima superficiale occhiata sarebbe potuta sembrare completamente abbandonata e in disuso, ma un rumore roco tradiva la presenza di una persona immobile, stesa sul letto al centro della stanza.

Quel respiro irregolare e affaticato, pensò Saffie, sembrava la voce della malattia di sua sorella. Il grido di trionfo di un essere che sapeva di stare per vincere, poiché la morte era vicina.

“Quello che si legge nei romanzi è proprio vero” mormorò la più giovane delle Lynwood, a fatica. “Alla fine si può veramente morire per amore.”

“…sono così felice che potrei morire!”

“Non dirlo nemmeno per scherzo” le rispose Saffie di getto, grata al buio che nascondeva ad Amandine i suoi occhi colmi di lacrime, rossi e affaticati dal pianto e dalla mancanza di sonno. “Sono io quella che dice sempre un mucchio di sciocchezza, non tu!”

Amandine sorrise appena, nell’udire la risata forzata della sorella maggiore. “Ora tocca a me…e, visto il momento, posso permettermi di prenderti in giro un’ultima volta.”

“C’è ne saranno tante altre, lo sai.”

“Sappiamo entrambe che stavolta non andrà così, Saffie.”

E di nuovo cadde un silenzio strano, come mai c’è ne erano stati fra le due ragazze. Il fischio basso del respiro di Amandine riempiva qualsiasi cosa e, per la ragazza castana, sembrava inghiottire qualsiasi suo pensiero ed emozione, annichilendo qualsiasi suo proposito o parola. Proprio lei, che non riusciva mai a rimanere senza qualcosa da dire.

Ma, stavolta, i medici erano stati chiari: la giovane principessa non sarebbe migliorata affatto e, il suo terribile destino, si sarebbe compiuto entro pochi giorni, proprio come la maledizione di una fiaba.

Una settimana era passata da quel terribile giorno di pioggia e Saffie non aveva voluto saperne di lasciare il capezzale della sorella che, ormai, non aveva più la forza nemmeno per mangiare senza aiuti. Non che avesse molta scelta, in realtà, visto che la reazione dei Duchi di Lynwood alla notizia era stato un muto shock, trasformatosi poi in ostinata negazione.

La figlia prediletta stava per morire e i due aristocratici, non avendo il coraggio di vederla in quello stato, si erano resi irrintracciabili: Cordelia vagava con gli occhi spenti da un corridoio all’altro della casa, come un fantasma senza pace; mentre Alastair si era rinchiuso nel suo studio e da lì non sembrava intenzionato ad uscire tanto presto.

Come sempre, c’era Saffie per Amandine.

“Lui…di lui, sai qualcosa?” parlò nuovamente la più giovane, gli occhi fissi su un’oscurità a cui stava cominciando ad abituarsi.

Il tono di voce improvvisamente incrinato della sorella arrivò alle orecchie della più grande che, con un piccolo sussulto, cercò di non tradire il suo stato d’animo. La ragazza se ne stava seduta su uno sgabello posto di fianco al letto di Amandine, ma il suo corpo era del tutto proteso verso quest’ultima, le braccia incrociate sulle lenzuola e la testa che fra di esse cercava rifugio, protezione. “Sta arrivando” le disse piano, cercando nel buio le dita bianche dell’altra “Ha detto che vuole raggiungerti a tutti i costi, poiché una settimana fa è stato trattenuto da questioni veramente gravi.”

E, nel pronunciare quelle parole, una repulsione immediata le risalì alla gola, facendole venir voglia di vomitare. Odiò sé stessa come mai le era capitato fino a quel momento.

Perché aveva raccontato solo un’enorme menzogna.

“Sono contenta di saperlo” sospirò Amandine, che non aveva nemmeno per un attimo messo in dubbio le su parole. “Anche se quando arriverà io non ci sarò più.”

Saffie si accorse di star piangendo contro il tessuto della coperta ricamata, ma cercò in tutti i modi di nasconderlo. Aveva raccontato l’ultima delle sue storie alla sorella, ed era stata una bugia.

Forse sono veramente meschina come mio padre.

Io sola ho ereditato i suoi occhi.

La lettera di Arthur Worthington era arrivata quella stessa mattina: si trattava di un misero foglio di carta su cui l’uomo aveva scritto poche e sbrigative righe, in cui affermava di non essersi potuto presentare a causa della cerimonia organizzata in suo onore a Londra, dove il Re stesso aveva presenziato per qualche ora e non aveva mancato di complimentarsi con lui per la schiacciante vittoria riportata sulle forze francesi. Infine, la missiva trovava la sua conclusione in una striminzita frase di commiato, in cui l’ormai famoso ammiraglio salutava freddamente Amandine e la di lei famiglia, senza far alcun cenno di scuse all’amata per la sua mancata promessa, o al loro matrimonio imminente.

“Mio figlio ha raggiunto un traguardo che nessuno finora ha osato sperare”

Un qualcosa dentro Saffie cominciò a svegliarsi e a muoversi strisciando nelle pieghe delle sua coscienza senza che, ancora una volta, la ragazza se ne rendesse propriamente conto. Era un sentimento nuovo e sgradevole, quello che stava mettendo radici nel suo cuore.

L’ambizione ha sempre un lato oscuro, poiché travolge senza pietà ogni ostacolo sul suo cammino.

Gli occhi iniettati di sangue di Saffie si aprirono nuovamente sul buio della stanza, ed erano lucidi di quella glaciale emozione che la ragazza non riusciva a riconoscere. “Mentre Amandine sta morendo, inchiodata a questo letto da giorni…in questo momento, voi che state facendo?”

E fu un pensiero tanto fugace quanto doloroso, quasi mortale.

Per questo non sei arrivato?

Come sempre, fu la voce affaticata e dolce di Amandine a salvarla, distraendola da quell’oscurità soffocante. “Stai piangendo?” chiese la ragazza bionda, spostando lo sguardo esausto sulla piccola figura rannicchiata al suo fianco “Non devi farlo più, Saffie…perché mi sono scelta io questa morte, come una stupida accecata dall’amore”.

“Stai continuando a dire un mucchio di sciocchezze!” commentò Saffie istericamente, strusciando le guance bagnate contro il tessuto delle candide lenzuola che avvolgevano il corpo fin troppo magro della sorella minore. “Come puoi dire una cosa del genere?!”

Saffie trovò assurdo il dolore provato in quel momento, così sordo e straziante che le sembrò di esser lei stessa quella destinata a morire e non Amandine, di cui quasi invidiava la serena rassegnazione.

Perché non è arrivato?

Perché non sono rimasta con lei…come è sempre stato?

“Non è colpa tua, Amandine” aggiunse biascicando, senza il coraggio di alzare la testa castana e guardarla “Perdonami, ti prego”.

Perdonaci tutti. Anche mamma e papà, che ti hanno messa al mondo solo per tenerti prigioniera una vita intera.

Le iridi turchesi della più giovane delle Lynwood si erano perfettamente abituate al buio della stanza e poterono cogliere ogni sfumatura del tormento provato dalla disperata Saffie, la cui sagoma rassicurante era ora ridotta a un insieme di muscoli tremanti: a quanto sembrava, negli ultimi istanti sarebbe toccato proprio ad Amandine consolare la sorella e non viceversa, come sempre era stato.

Saffie sentì una mano ossuta posarsi con affetto sulla sua chioma tutta arruffata e in disordine.

“Almeno una di noi sarà libera” fece una voce eterea, quasi innaturale “Sono io che ti chiedo scusa: è a causa mia, se sei stata costretta a rinchiuderti qui con me e rinunciare alle tue aspirazioni in questi due anni…come tanto hai dovuto sacrificare, quando eravamo ragazzine”.

“L’ho sempre fatto volentieri e, di sicuro, lo rifarei per altri vent’anni, se per questo.”

Lo farei per sempre, se tu ora potessi vivere.

“Ho vissuto una bella vita, Saffie” commentò in risposta quella voce che, davvero, non pareva appartenere a qualcuno in punto di morte “Non sono mai uscita dal Northampton, o dalla nostra proprietà, ma ho conosciuto l'amore e ho avuto il dono della tua vera amicizia. Ricordi, la fiaba della strega che scrissi da bambina?”

Un sorriso malinconico increspò le piccole labbra della ragazza castana, che sussurrò: “La ricordo molto bene, vista la tua faccia tosta nel descrivermi come una furba vecchietta armata di gatto e scopa volante”.

Una risata gracchiante scosse l’aria immobile della camera da letto. Amandine cercò di trattenere l’eccesso di tosse in cui quel suo scoppio incontrollato minacciava di trasformarsi, e disse divertita: “Ecco la Saffie che conosco!” si prese il tempo di un profondo e sofferente respiro, prima di aggiungere “Come i paesani di quella sciocca storia, questo mondo sconosciuto io l'ho scoperto e visto tramite i tuoi occhi, sorella mia. È stato grazie a te e ad Arthur, se me ne vado felice”.

Altre lacrime silenziose marchiarono il viso stravolto di una Saffie che non sapeva più cosa dire.

Non è vero.

Di nuovo, gli artigli affilati di un essere oscuro sembrarono graffiare la poca anima rimasta dentro di lei, incidendo cicatrici di bruciante senso di colpa, che quasi la ragazza non udì le parole seguenti della sorella.

“Non dovrai mai più piangere per me, quando non ci sarò più.”

Le dita lunghe e magre di Amandine incontrarono la sue nell’oscurità, e ad esse si aggrapparono, in una muta richiesta. “Giuramelo. Giurami che andrai avanti e sarai libera, che non verserai più alcuna lacrima per la tua frivola e fragile sorella.”

Come puoi anche solo pensarlo?

Eppure Saffie giurò. Mossa dalla forza dell’amore infinito che provava per la ragazza al suo fianco, sigillò un giuramento a cui già sapeva di non potersi attenere.

Infine, gli ultimi momenti di Amandine Lynwood furono nel silenzio di una notte fonda e senza luna, ma accompagnati dalla rassicurante presenza di Saffie che, sdraiata sul materasso morbido, era crollata in un sonno profondo quanto esausto.

Gli occhi turchesi della più giovane si spostarono per l’ultima volta sul viso finalmente disteso della sorella maggiore: le aveva detto che finalmente sarebbe stata libera, ma entrambe conoscevano fin troppo bene la tossica tenacia del Duca Alastair e, per questo motivo, Amandine sapeva ciò che sarebbe accaduto dopo la sua morte. Non provò, in quegli ultimi attimi, né invidia, né odio nei confronti di Saffie, ma solo infinito affetto.

“Forse non sarà come volevi, ma vivrai comunque la tua avventura” pensò, voltando con uno sforzo immane il volto verso la piccola figura addormentata al suo fianco.

Uno strano sorriso comparve sulle labbra screpolate della ragazza, poiché uno squarcio si aprì improvvisamente nell’oscurità e Amandine potè vedere Saffie camminare felice in una terra di sole e alberi mai visti, voltarsi e ridere in direzione di una persona dietro di lei. Quella persona era Arthur Worthington.

Sì, sapeva prima di tutti come sarebbe andata a finire, visto che nel pomeriggio assolato in cui l’uomo era entrato nelle loro vite, lei aveva colto subito gli occhi ridenti della sorella e la divertita dolcezza con cui l’ammiraglio l’osservava. Se ne era accorta ma, comunque, aveva fatto finta di nulla. “Forse questa è anche la mia, di punizione” considerò Amandine, mentre il vero buio cominciava a calare sulle sue palpebre.

Sapeva di dover andare, eppure non provava un briciolo di paura: fino alla fine, Saffie le era rimasta accanto.

“Prendetevi cura l’uno dell’altra.”

E il suo ultimo pensiero fu di divertimento: l’ultimo scherzo nei confronti della sua amatissima strega buona.

Che cliché banale, vero, cara Saffie?


§




Il giorno precedente al funerale di Amandine Lynwood non smise di piovere nemmeno per un secondo, come se la natura stessa piangesse grosse e pesanti lacrime sulla nuda terra. Ed era un pianto di morte copioso e muto che, dal cielo, ricopriva ogni cosa di un velo di immobile oscurità.

Come se il mondo intero fosse morto con lei.

Questo fu il pensiero di Saffie che, stringendosi nel suo pesante abito nero pece, cercò di non indagare la voragine infinita di cui sembrava essere ora costituita la sua intera anima: risvegliarsi con accanto il corpo freddo ed esanime di Amandine era stato un trauma che, in un colpo unico, si era portato via qualsiasi gioia o speranza futura, poiché la ragazza castana non riusciva a intravedere alcuna vita senza di lei, la principessa dolce e capricciosa con cui era cresciuta.

E non c'era alcun bisogno di osservare i volti straziati dei suoi genitori, invecchiati di cent’anni in un giorno; o di indossare rigidi indumenti da lutto per ricordare che ormai il loro angelo biondo non era più con loro. La sua assenza era la voragine stessa che aveva preso il posto dell’anima di Saffie.

“Non la vedrò mai più” pensò quest’ultima, con la consapevole disperazione di chi vuole e sa di farsi del male, punendosi attraverso determinati pensieri. “Non sentirò più la sua voce sciocca e squillante.”

La ragazza si portò meccanicamente verso le ampie finestre del salotto, muovendosi rigida e lenta come una vecchia marionetta. Ingaggiò per l’ennesima volta una feroce battaglia contro i suoi stessi sentimenti, nel tentativo patetico di trattenersi dal piangere a dirotto: le aveva promesso di non farlo, ma mantenere il suo proposito era tutt’altro che facile.

Infatti, seppe di star fallendo miseramente quando, senza che ci potesse fare nulla, le forme verdi al di là del vetro cominciarono a perdere qualsiasi continuità e danzarono confusamente davanti ai suoi occhi, rendendole impossibile distinguere anche solo una pianta del giardino di casa.

“Mi dispiace, Amandine” singhiozzò; e fu un fievole sussurro che a malapena appannò la superficie della finestra di fronte a lei.

“Non dovrai mai più piangere per me, quando non ci sarò più.”

Le sue piccole mani si andarono a chiudere su due iridi liquide e rosse, traboccanti di dolore disperato, nascondendole così alla vista di quella stanza vuota.

“…perché mi sono scelta io questa morte, come una stupida accecata dall’amore”.

Così come avevano cercato di proteggerla, le dita della ragazza scivolarono lungo le sue guance rigate di lacrime e da esse si allontanarono, lasciando alla proprietaria il modo di comprendere che non esisteva alcuna fuga dall’abisso in cui già stava precipitando. Un vuoto silenzioso, bagnato di pioggia e pianto, dove era sbocciato un fiore d’odio.

“Saffie…perché non è venuto?”

Un sentimento orribile la investì all’improvviso e con una potenza tale da farla tremare tutta, da capo a piedi. Era una pulsione tremenda, riconobbe Saffie, perché per un attimo spaventata da ciò che era riuscita a far nascere dentro di lei: l’odio nei confronti della sfrenata ambizione di Arthur Worthington o, più probabilmente, dell’uomo in questione bruciava dentro un cuore che in quei giorni si era scordata di avere.

“L’avevi giurato” pensò Saffie con il suo nuovo e implacabile disprezzo, gli occhi puntati lontano, verso un interlocutore invisibile “E allora, perché non sei arrivato?”

Nella sua beffarda maniera di tirare le fila dell’esistenza umana, il fato si rivelò piuttosto sarcastico nei riguardi della signorina Lynwood, visto che le diede immediatamente la possibilità di trovare risposta alla sua domanda.

Come parecchi mesi prima, la porta di quel salotto maledetto si aprì all’improvviso e, senza che nessuno l’avesse annunciata, l'alta sagoma dell’ora Ammiraglio Worthington comparve sulla soglia della stanza.

Proprio come il loro primo incontro, Saffie alzò lo sguardo sbalordito su due iridi sì di un verde disarmante, ma piene di un gelido tormento che lei non fece fatica alcuna a riconoscere.

Disperazione.

L’uomo la osservava in silenzio e stravolto, quasi nemmeno la stesse vedendo lì di fronte a lui. Con un rigurgito d’ira, la ragazza capì come egli dovesse aver cavalcato da Londra senza mai prendersi un attimo di riposo: due pesanti occhiaie scure cerchiavano infatti i suoi occhi immobili, mentre i capelli scuri scendevano bagnati fradici su una stropicciato divisa blu, anch’essa grondante di pioggia. Lo sguardo castano di Saffie si soffermò per un momento sulla lunga e pesante giacca appoggiata alla meno peggio sulle ampie spalle di Arthur, poiché il colore dorato delle sue rifiniture eleganti pareva quasi accecante.

“Sulle sue mani, il sangue di centinaia di uomini, poiché non esiste alcuna pietà per chi incrocia il suo cammino!”

Allora la ragazza si impose di mettere a tacere il suo cuore turbato dall’odio e dall’inaspettata apparizione dell’ammiraglio, prima di articolare le due parole in croce che era in dovere di dire: “Se sono i Duchi di Lynwood che cercate, non avrete modo di vederli oggi: si sono recati dal parroco per prendere gli ultimi accordi in vista del funerale.”

Saffie aveva sussurrato quelle informazioni senza neanche guardarlo in faccia e, se per questo, si voltò nuovamente verso le finestre del salotto, muovendosi in direzione del suo amato scrittoio in mogano. Sentiva di stare tremando a causa di nervosi e glaciali brividi di rancore, per cui non voleva dover sopportare la presenza dell’uomo più a lungo del necessario.

Ma niente, in effetti, l’aveva preparata ad affrontare l’ira repressa contenuta nella voce che si fece sentire dietro di lei.

“Non sono qui per loro. Sono qui per te.”

La ragazza si voltò di scatto, in tempo per vederlo avanzare nella sua direzione e raggiungerla in due lunghi passi. Arthur Worthington non si preoccupò di nascondere più nessuna emozione nell’espressione del suo viso raffinato, che ora esprimeva un disprezzo freddo e mortale, irremovibile. “Dovevi occuparti di lei” sibilò con ira l’uomo, imprigionando la signorina Lynwood fra lui e la scrivania, impedendole così qualsiasi via di fuga. “Perché l’hai lasciata sola?”

Saffie alzò gli occhi spaventati su di lui, più stupita dalla sua voce d’acciaio e dal suo gesto improvviso, che dalla consapevolezza fulminea piombatale addosso: l'ammiraglio doveva ben essere informato delle circostanze in cui aveva trovato la morte Amandine, eppure mai la ragazza si sarebbe aspettata di vederlo incombere su di lei con tanta aggressività.

Per la prima volta, si specchiava in due occhi lucidi d'odio.

Il suo cuore prese a battere ferocemente nella cassa toracica, animato da nuova rabbia.

Questa persona…mi chiedo chi sia veramente.

Un’altra cascata di rancore si abbattè su Saffie, a pari passo con le parole di un Arthur che alla ragazza sembrò di non riconoscere, come se un perfetto estraneo fosse appena entrato dalla porta della stanza. “Perché hai lasciato che uscisse in strada?!”

Ecco chi sei.

Non si era nemmeno degnato di mantenere il formale voi, Arthur Worthington, e neppure si impietosì di fronte alla debole resistenza opposta da una signorina Lynwood sull’orlo del pianto: la osservò cercare di allontanarsi da lui, mentre i suoi occhi grandi precipitavano al suolo, negandogli qualsiasi risposta. Questo, ovviamente, non gli andò affatto bene.

Non fuggirai dalle tue responsibilità, ragazzina.

Saffie incontrò la dura superficie del mobile alle sue spalle nell’esatto istante in cui l’uomo decise di imprigionarla definitivamente, afferandole l’esile braccio con fin troppa forza. Con un rumore graffiante e fastidioso, la scrittoio si spostò di qualche centimetro per poi fermarsi di botto, facendo cadere a terra le innumerevoli missive della ragazza, nonché il libro suo e di Amandine.

Lo sguardo freddo di Arthur scivolò sul quaderno condiviso dalle sorelle e, come ovvio, riconobbe immediatamente l’oggetto in questione. Un sorriso sprezzante trasformò il suo volto all’improvviso, oscurandolo di un’ironia crudele, poiché tante volte la sua Amandine gliene aveva parlato, idolatrando le storie della donna terribile che aveva davanti.

“Sì, Saffie si occupa di me più di me stessa, Arthur! Sa che sarei persa senza le sue cure!”

Perché non sei stata al suo fianco?

Sentiva di odiarlo, quel libro. Quasi quanto sentiva di odiare lei.

“Amandine era malata e tu non c’eri” cominciò quindi l’ammiraglio, inchiodando nuovamente i suoi occhi sul volto della ragazza. “Chissà in quali delle tue inutili sciocchezze dovevi essere impegnata, non è vero?”

“…le tue strampalate idee agli altri!”

E allora Saffie seppe che, davvero, non c'era alcun modo di risalire il fondo dell’abisso su cui aveva appena appoggiato i piedi: il doloroso e malvagio sentimento nato dentro di lei esplose infine con violenza, come un temporale nel bel mezzo dell'estate.

“Tu, piuttosto, non sei arrivato! Le avevi giurato che non avrebbe più dovuto aspettarti e lei ti ha creduto!” gridò quasi la ragazza, strattonando la presa ferrea dell’ammiraglio Worthington; lo guardò con vero e proprio rancore e aggiunse, abbassando il tono di voce: “Lei era un’ingenua, ma non si meritava la disgrazia di amare te”.

La colpa è tua. Solo tua.

“Devi crederti così superiore agli altri, signorina Lynwood” commentò in risposta Arthur, senza battere ciglio. Se Saffie aveva sperato di far vacillare la sua ira, o di spegnere il sorriso di crudele ironia stampato sul suo volto, ebbene, dovette rimanere delusa. “L’ho sempre pensato: in fondo, non sopportavi l’idea che Amandine fosse la preferita, non è vero? Con tutta la tua supponente intelligenza, non sei mai arrivata ad essere che un’ombra della tua cara sorella…”

Ma Worthington non finì mai la frase. Come un fulmine a ciel sereno, le piccole dita aperte di Saffie si scontrarono contro la sua guancia sbarbata, senza effettivamente smuovere di un sol passo l'uomo che, sorpreso, si trovò a fissare due pozze lucide di lacrime e…disgusto.

“Parli proprio tu, grande Ammiraglio” fece la ragazza, senza badare al dolore che pulsava forte nella sua mano. “Per te Amandine rappresentava solo l’ennesimo trofeo da appendere alla parete: lei ti aspettava, ma è stata la tua ambizione ad ucciderla.”

La stretta delle dita forti di Arthur sulla pelle di Saffie divenne micildiale, spaventosa. L’uomo chinò la testa bruna sul viso della ragazza, tanto che quest’ultima potè sentire un forte odore di pioggia invaderla all’improvviso. “Ripetilo” la minacciò lui, glaciale “Avanti, ripetilo”.

I loro volti erano stravolti dal dolore, ma entrambi parevano accorgersi solo del rancore reciproco; poiché erano accecati da un unico pensiero.

Non è vero. Non è colpa mia.

La colpa è tua, che ora mi vomiti addosso questo disprezzo.

Alla fine, Saffie fu la prima ad abbassare lo sguardo: era pronta a crollare in pezzi, esausta di quel sentimento che l’aveva così all’improvviso travolta ma, si disse, non avrebbe mai lasciato ad Arthur Worthington la soddisfazione di vincere contro di lei. Non c’era più bisogno di fingere alcuna costruita simpatia, ora che Amandine non c’era più.

“Io e voi siamo molto diversi, non è così?”

E fu con un cuore pesante, di piombo, che la ragazza disse, sottovoce: “La mia unica speranza è che la giornata di domani giunga a termine al più presto, così che voi possiate sparire per sempre dalle nostre vite”.

Dall’alto, due iridi chiarissime la trafissero per l’ultima volta, in un silenzio tanto teso quanto doloroso. Una smorfia sprezzante attraversò per un attimo il viso dell’ammiraglio che, senza commentare in alcun modo la frase di Saffie, mollò bruscamente la presa e si allontanò di un passo da lei.

Eppure, la ragazza avrebbe dovuto immaginare che nemmeno per l’uomo era consuetudine abbandonare il campo di battaglia tanto facilmente. Saffie lo osservò chinare l’alta figura verso il quaderno di Amandine e una veloce paura s’impossessò del suo animo, nel vedere la mano grande di Arthur stringersi attorno alla copertina sbiadita.

Non osare toccarlo

Cominciò a muoversi verso di lui, ma Worthington fu più svelto e si rialzò in piedi.

“Questa roba, bruciala” fece Arthur in tono calmo e accondiscendente, ma con due occhi di pietra. Paradossalmente, a Saffie sembrò intimidatorio come non mai e uno strano brivido di soggezione la attraversò a tadimento, lasciandola attonita di fronte alle parole crudeli dell’uomo.

Ora che Amandine se ne è andata, per noi non c’è più alcun bisogno di fingerci due persone che non siamo.

Fu in questo modo, infine arrendendosi di fronte all’incrollabile rancore di Arthur Worthington, che Saffie chinò la testa castana verso il pavimento: desiderava solo vederlo uscire dalla stanza e ringraziò il cielo nel sentire la porta del salotto aprirsi con un cigolio cupo.

L’uomo si fermò sulla soglia solo il tempo necessario per aggiungere, stoico: “Saffie Lynwood, voi non sarete mai nemmeno la metà di quello che è stata Amandine”.

La rabbia e il dolore che si propagarono nel petto della ragazza, le fecero comprendere che, in quella maniera, l’ammiraglio aveva siglato la sua vittoria su di lei: non voleva ammetterlo nemmeno con sé stessa ma, dentro di sé, sentiva di essere d’accordo con le parole crudeli dell’uomo.

“È stato grazie a te e ad Arthur, se me ne vado felice”

I suoi occhi si riempirono di lacrime.

Non è vero, perché io sono una persona meschina, proprio come mio padre…

E l’ammiraglio Worthington non è mai stato l’uomo di cui ti sei innamorata.

Saffie aspettò di sentire la porta chiudersi alle spalle di Arthur, prima di crollare in ginocchio sul pavimento e lasciarsi andare in un pianto costituito da senso di colpa e disgusto.

“Abbiamo un accordo, dunque?”

Alla fine, pensò la ragazza coprendosi il viso con le mani, entrambi non erano mai stati altro che due bugiardi.

Saffie non poteva certo immaginare che, sul corridoio di casa Lynwood, Arthur se ne stava letteralmente abbandonato contro il duro legno della porta come un uomo senza più alcuna speranza. L’ammiraglio lasciò ai suoi mossi capelli scuri il dovere di nascondere un viso tormentato dal dolore: la sua disperazione sembrava ora nutrirsi dei singhiozzi provenienti dalla stanza che aveva appena abbandonato.

“Puoi nasconderti fin che vuoi ma, non lo sai, che tu sai solo fare del male?”

Il viso dolce di Amandine gli apparve davanti, con tempismo perfetto.

“…lei ti aspettava, ma è stata la tua ambizione ad ucciderla.”

Puoi fingere, ma per te non c’è alcuna redenzione, Arthur Worthington.










Angolo dell'autrice:

Lo dico subito: so che in questo capitolo non è presente l'anticipazione inserita nel precedente ma, sappiate, il capitolo sarebbe altrimenti diventato troppo lungo! (T.T)
Avevo anche pensato: ma sì, chissene, facciamolo chilometrico sto terzo capitolo!
Però poi ho compreso che sarebbe stato meglio pubblicarlo così com'era, anche per il fatto che non pubblico da un bel po' di settimane...e chi mi legge merita di avere un altro capitolo!
A proposito di questo...non posso che chiedere scusa per il mio ritardo in ginocchio, ma posso solo dire che sto lavorando tutti i giorni della settimana e, fra e altre cose, questa parte della storia è parecchio difficile per me da gestire: voglio fare le cose per bene, non frettolosamente, ecco.
Anche se in questo momento sto scrivendo alla velocità della luce, visto che devo andare a lavoro... (T.T)
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto!!!
Se vi va, fatemi sapere!!
Un abbraccione,
Sweet Pink














  
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