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Autore: Ahiryn    25/05/2021    2 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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La Partenza

IV





Prima di rientrare in casa si fermò ad acquistare qualcosa per il viaggio, un po’ di pane e formaggio, un mantello in più, erbe curative e qualche impacco che avrebbe preparato con un fornelletto da viaggio. Aveva già tutto l’occorrente, era spesso in viaggio.
Quando rientrò nell’appartamento, si sorprese di trovare Silas addormento, la testa ciondoloni. Aveva gli occhi incavati e le palpebre che vibravano mosse da piccoli spasmi, i polsi gocciolavano sangue per terra. Forse nell’agitazione aveva stretto troppo le corde, si avvicinò e iniziò a sciogliere il nodo, mentre osservava un raro momento del suo nemico inerme e vulnerabile. Era come guardare una bestia feroce assopita.
Silas si svegliò all’istante e aprì gli occhi arrossati verso di lui. Kieran si era già spostato.
 – Sei ancora vivo, ne deduco che ti abbiano creduto. Chi avrebbe mai detto che il tuo vero talento nella vita fosse mentire? – lo pungolò con voce roca dal sonno.
Finì di sciogliere il nodo e lo guardò tastarsi i polsi con un’aria irrigidita. – Ho degli impacchi e delle bende, sbrighiamoci, dobbiamo partire al più presto.
Attese porgendo una mano per bendare i polsi. Silas la guardò come se fosse avvelenata. – Premuroso da parte tua. Ci penserò da solo. Tu stammi lontano – e la voce si colorò di disprezzo.
Gli tese l’impacco e le bende allora, poi andò a riempire lo zaino da viaggio, tutto senza perdere di vista il suo coinquilino improvvisato. Vederlo occuparsi delle proprie ferite gli riportò alla mente la prima volta che lo aveva visto ferirsi, quando gli aveva rotto il naso. Era anche la prima volta che Silas lo aveva guardato per davvero.
La situazione sembrava simile, ma era cambiato tutto a tal punto che non sopportava neanche il pensiero di quel giorno.
 – Parlami del viaggio.
Kieran interruppe il ricordo. – Prenderemo il treno fino a Grenville, poi ci imbarcheremo per la Costa Bronzea. A quel punto cercheremo una guida per le Terre Spezzate, non dovrebbe essere molto interno l’esperto di sigilli.
Mentre parlava iniziò a spogliarsi della divisa per indossare gli abiti da viaggio. Si legò una cintura lungo il petto e inserì nei taschini alcuni proiettili e oggetti utili, poi fissò il fodero della spada sul fianco, un pugnale e la pistola dall’altro lato.
 – Come prenderemo il treno senza destare sospetti?
Con un movimento secco delle braccia infilò il lungo cappotto bruno che gli arrivava fin sotto alle ginocchia e una sciarpa consunta intorno al collo.
 – Ti coprirai il volto, hanno visto solo manifesti su di te, nessuno mi farà domande, ho dei permessi speciali. Il viaggio in treno dovrebbe durare una settimana, abbiamo una cabina e nessuno ci disturberà.
Silas soppresse una risata. – Ne sembri felice. È alquanto disgustoso.
Kieran non riuscì a fare a meno di arrossire, non sopportava quei commenti, soprattutto considerato quello che era accaduto anni prima.
 – Non vedo l’ora che questa storia sia finita, così da non doverti più vedere.
 – Invece io sono così estasiato di dover guardare quella tua faccia così spesso…
Si stropicciò gli occhi. – Dobbiamo prendere il treno. Indossa quel mantello, la bandana per il viso e gli occhiali di protezione.
Li prese in mano. – Occhiali da saldatore – commentò seccato. – Vuoi farmi apparire come un Forgiatore?
 – Un assistente.
Gli rivolse uno sguardo indignato. – Grandioso.
 
 *
 
La città era in fermento mentre si recavano alla stazione. Erano finiti da un po’ i festeggiamenti per l’Equinozio, ma si avvicinavano quelli del Solstizio d’Inverno. Le persone giravano per botteghe e negozi con entusiasmo, l’aria era densa del fumo delle vaporette e la monorotaia strideva più del solito quei giorni. Volavano spericolati uccellini meccanici controllati da bambini con bretelle e cappellini rossi, i più ricchi avevano giocattoli meccanici ben più impressionanti. Fuori dalle botteghe alcuni automi di bronzo si muovevano a scatti, lasciando uscire una voce registrata ovattata che raccontava le meraviglie del negozio o una melodia.
Silas camminava di fianco a lui con il volto semicoperto dalla bandana, ma non era l’unico, i fumi della città spingevano molte persone a cercare di coprirsi il volto.
Era legato da una corda celata dal cappotto, Kieran non aveva voluto rischiare.
 – Non pensavo ti piacesse questo tipo di giochi.
 – Eh?
 – Portarmi in giro come un cane, darmi ordini. Credevo fossi tu a preferire il ruolo di cane, visto come sbavi ubbidiente per il Consiglio. Lo fai anche con quella tua adorabile ragazza, Dalia? Non sei troppo rigido per soddisfarla come si deve a letto?
Kieran digrignò i denti per nascondere l’imbarazzo. – Dalia è una mia compagna e non parlare in questo modo irrispettoso.
 – Ho offeso il tuo pudore e il tuo onore da quattro soldi?
 – C’è un modo di farti stare zitto?
Ci rifletté, mentre rubava uno degli uccellini meccanici, ignorando il bambino che piagnucolava per riaverlo. Lo studiò e Kieran glielo strappò dalle mani, per restituirlo al suo padrone.
Non erano semplici dispetti, Silas era curioso per natura come voleva il suo sangue fatato, non veniva in città da otto anni e non conosceva le nuove tecnologie. Si guardava in giro, attento.
 – Cos’è la “divisione di Lockwood”? Questo nome mi dice qualcosa.
Kieran schivò una signora anziana che passeggiava con un ombrello di pizzo. – Non ha a che fare con la tua Legione di terroristi, se può farti sentire meglio. Sono questioni riservate dei guerrieri di Ferro.
 – Siccome ho ricevuto la nomina e tengo ancora lo splendido stemma, è come se ne facessi parte anch’io, non credi? Quindi condividi con me quest’informazione, caro compagno.
 – Sarebbe stato tutto così semplice se ti avessero messo un sigillo su quella maledetta bocca.
 – La mia bocca sa fare molte cose, oltre che parlare. Al contrario della tua, che sa soltanto ripetere le parole di altri.
Kieran si limitò a sospirare in modo molto rumoroso.
Cercò di ignorarlo, ma lo sentì ridacchiare. – Basta poco per metterti a disagio.
 – Dovrai impegnarti molto più di così per riuscirci.
Mentre rispondeva i suoi occhi perquisivano ogni passante ed era certo che Silas stesse facendo lo stesso. Se fossero stati scoperti, non lo aspettava soltanto il disonore, la gogna pubblica e la prigione: lo avrebbero ucciso. Sarebbe stato giustiziato con Silas senza alcun tipo di esitazione.
Serrò i denti e cercò di scacciare il brivido di panico. Aveva preso la sua decisione ormai, se c’era una singola, unica linea guida nella sua vita, era cercare di convivere con sé stesso e con le proprie scelte; a volte gli sembrava insopportabile, a volte era più semplice, ma non doveva smettere di provarci.
Silas lo stava osservando. – Rilassati, per essere il tuo primo crimine stai andando molto bene. È normale avere paura.
Il tono derisorio sembrava nascondere una traccia autentica di conforto, ma forse era soltanto ciò che voleva vederci Kieran. – Non sai se è il mio primo crimine. Anche se non posso vantare una lista incalcolabile come la tua.
 – Le tue scappatelle dell’Accademia non contano, Reed.
Scosse la testa. – Ti confondi con te, forse ti ho rotto la testa troppe volte.
Silas all’Accademia era talmente popolare che non aveva neanche bisogno di impegnarsi per trovare qualcuno con cui dividere il letto, inoltre il titolo di Discendente prefissava un futuro radioso fra l’aristocrazia e i guerrieri di Ferro. Almeno era quello che si diceva.
Quando erano compagni di stanza ricordava i biglietti lasciati sotto la porta a ogni ora del giorno, il letto di Silas quasi sempre vuoto durante la notte e gli indumenti della divisa troppo grandi o piccoli fra i suoi vestiti.
Kieran era sempre stato più discreto in questo, anche se non sempre era stato facile. I guerrieri di Ferro godevano di enorme popolarità fra la borghesia e il popolo. Ogni volta che si recavano al villaggio o raggiungevano la città, bastava indossare la divisa per ritrovarsi assediati da ragazze che sventolavano foulard e dalle madri che le spingevano a presentarsi; alle feste e alle cerimonie molti giovani ragazzi li avvicinavano con approcci ambigui incuriositi dall’idea di avere come amanti qualcuno del Ferro, anche uomini sposati.
Silas non poteva essersi accorto delle sue scappatelle, aveva cercato di stare attento, ma uno come lui, che era passato dal non essere niente all’avere immense prospettive… beh, non sempre era riuscito a tenere l’euforia sotto controllo, per così dire.
 – La mia testa funziona bene, non preoccuparti, così la mia memoria – rispose secco.
Kieran non ribatté, perché avevano raggiunto la stazione. Abitava abbastanza vicino proprio perché spesso doveva partire ed era bastato un quarto d’ora per raggiungere il cuore pulsante della città.
La stazione degli Orologi era un gioiellino in tutto il continente, decine e decine di treni a vapore che la attraversavano su vari livelli, mentre la monorotaia la circumnavigava in un abbraccio, accogliendo turisti e viaggiatori. Ovunque erano disseminate vaporette nelle forme più varie, da quelle classiche con il tettuccio aperto e due enormi ruote sottili a sostenerla, alle specifiche auto per turisti, alcune a forma di carrozza, trainate da finti cavalli meccanici, altre chiuse e riservate, altre ancora monoposto. Ogni singola vettura sputava vapore e fumo, che si agglomerava alla nube densa di quello generato dai treni, creando una cappa spessa. Alcune rune dissipavano in parte la pesantezza del vapore e rendevano l’aria nebbiosa, ma non soffocante.
Appesi ovunque comparivano decine e decine di orologi di tutte le dimensioni, forme e colori. Railia era considerata la città degli orologiai, perché dagli orologiai era partita la corporazione che aveva poi dato vita a gran parte delle innovazioni meccaniche che avevano rivoluzionato il loro mondo, la Gilda dei Meccanici. Tuttora traevano grande orgoglio da quella nomea e si organizzavano fiere e concorsi per gli orologi più raffinati e innovativi. Nessuno a Railia mancava di orologio da taschino, sarebbe stato sciocco e bizzarro, come dimenticare di infilare dei calzoni.
 – Il nostro treno, soldatino?
Kieran stava osservando la sicurezza e si accorse con un certo ritardo del tono basso dell’altro. Si voltò e notò subito il suo pallore e gli occhi stanchi nascosti dietro le lenti degli occhiali a fondo di bottiglia. Sembrava esausto e provato, anche se fingeva di essere a suo agio.
Troppo ferro runico. Rifletté, guardando un’altra volta i treni. Erano vere e proprie creature di metallo, alcuni avevano il muso e la coda con forme animali, perché i treni erano prima di tutto delle fortezze. Fortezze contro le fate e soprattutto contro la Caccia Selvaggia. Le pareti di ferro erano molto spesse e il metallo usato veniva prima incantato da rune che ne aumentassero le proprietà, questo veniva usato solo per le prigioni, per i treni e per gli ingressi della città, per scongiurare anche le creature più resistenti.
Silas veniva da un lignaggio molto resistente al ferro, inoltre era per metà umano, ma le sue difese dovevano essere state già sfiancate dalla prigionia e dalle infusioni di ferro, non riusciva a schermarsi da quelle nuove intossicazioni in agguato. Aveva visto alcune volte Discendenti o emissari fatati delle Corti morire da intossicazioni di ferro, il sangue brillante spillargli dalla bocca a fiotti mentre tossivano.
Questo a Silas non sarebbe successo, il suo sangue fatato era diluito, ma c’era la possibilità che perdesse i sensi.
 – Non svenire, ci siamo quasi.
Silas gli rivolse un’occhiata fredda. – Sto bene, idiota, non farci perdere tempo con le tue premure non richieste.
Kieran lo guidò nella fiumana di viaggiatori e turisti appena scesi o in partenza, puntando con sicurezza al binario undici. Aveva letto sul bollettino delle partenze il treno di cui aveva bisogno, sperava che il suo permesso fosse sufficiente.
Un ufficiale in divisa rossa cercava di indirizzare la folla, fischiando e sbraitando contro i ladruncoli che infestavano la stazione. I fischi dei treni coprivano la sua voce, così come la moltitudine di voci affaccendate, i bagagli trascinati.
 – In treno starai peggio? Puoi sopportarlo? – domandò turbato dall’idea.
Per i membri delle Corti Fatate era una tortura, per un Discendente come Silas si avvicinava pericolosamente a essere lo stesso.
Serrò i denti nel tentativo di non mostrare il suo malessere. – In treno starò bene, ora datti una mossa e smettila di chiedermelo.
Raggiunsero il controllore che sostava di fronte l’ingresso al treno, accompagnato da un soldato. – Biglietto?
Kieran estrasse il foglio di autorizzazione e glielo porse, mostrando lo stemma del Ferro. – Sono richiesto con urgenza altrove con il mio assistente, mi dispiace per lo scarso preavviso ma ho bisogno di una cabina per noi due su questo treno. L’amministrazione del Consiglio coprirà i costi e rimborserà i clienti in caso sia necessario farne scendere alcuni.
Il controllore lesse l’ordine con serietà e allargò gli occhi. – Ma certo maggiore, abbiamo una cabina vuota in prima classe, il ragazzo vi condurrà lì. Farò avvertire della vostra permanenza…
 – No. La questione è riservata, mi fareste una gentilezza a non avvertire nessuno. Pagherò i miei extra come gli altri passeggeri, vi ringrazio.
Aveva usato un tono educato, ma calcò la voce di una certa autorità e il controllore annuì e lo rassicurò.
Saliti dentro l’aria era meno densa rispetto a fuori. Il treno era largo, spazioso e caldo, come lo stomaco di una qualche creatura mastodontica; era decorato con un lungo tappeto rosso orlato d’oro e piccoli lampadari di cristallo che avrebbero tremato e tintinnato per tutto il viaggio. Alcuni servitori stazionavano all’ingresso rispondendo alle domande dei passeggeri con aria un po’ esasperata.
Si lasciarono guidare da uno di essi verso la propria cabina.
I treni erano sempre di grosse dimensioni e viaggiavano piuttosto lenti. Gli impedimenti messi dalle fate potevano durare anche giorni ed era necessario che queste fortezze su binari fossero in grado di resistere ed essere confortevoli allo stesso tempo. La coda era la parte destinata al popolo più basso, le cabine erano piccole e anguste, il vagone ristorante poco fornito e di certo non c’erano lampadari di cristalli. La parte dove si trovavano loro era di tutt’altra pasta.
La loro cabina era abbastanza grande da contenere due letti a posto singolo spaziosi ed eleganti infossati in una rientranza, un tavolino da dama con due poltroncine in velluto verde, un divanetto morbido e una vetrina di alcolici e liquori.
Certo che il Generale non bada a spese.
Slegò il suo prigioniero con cautela, dopo essersi accertato di aver chiuso a chiave la porta scorrevole.
Silas si sedette sul divanetto con le braccia spalancate indietro e rovesciò la testa verso il soffitto. Tolse occhiali e bandana con un gesto rabbioso. Aveva il respiro roco, come se avesse corso una maratona e il suo colorito non prometteva bene.
Kieran posò il bagaglio a terra e lo guardò. – Ti senti meglio?
 – Mi sentirò meglio quando lasceremo questa città merdosa – mormorò a fior di voce. – Mi sentirò meglio quando sarai sottoterra – aggiunse in un sussurro denso di veleno.
Sembrava provato, Kieran ignorò l’ultima frase e iniziò a riflettere che non gli aveva dato neanche da mangiare o da bere.
Per sua fortuna sul tavolino era poggiato un cesto di frutta, alcuni dolciumi e delle tartine.
 – C’è del cibo, mangia qualcosa.
 – Avrò bisogno di qualcosa di più sostanzioso.
Kieran aggrottò le sopracciglia. – All’Accademia non eri così sensibile al ferro, e ce ne facevano ingerire di continuo.
Silas si passò una mano fra i capelli neri, sciogliendo la treccia sfatta e lasciandoli ricadere lunghi sulla spalla.
 – Sono anni che non entro in città e non ne assumo. La mia resistenza si è fatta più… debole. Ma non fraintendere, per ridurmi in questo stato hanno dovuto riempirmi di ferro per due mesi ogni giorno in cella. Dunque non credere di poterlo usare contro di me.
Sospirò, stanco. – Era solo una domanda.
Si affacciò fuori dalla cabina e fermò una delle domestiche del treno, chiedendo di poter consumare il brunch in privato. Gli venne portato un grosso carrello di uova all’occhio di bue di un rosso vivo, pancetta croccante e lucida, fette di pane imburrato e patate calde rosolate nelle spezie.
Portò dentro il carrello e passò il vassoio a Silas, che aveva le pupille dilatate dalla fame. I suoi occhi luccicarono, come succedeva molto di rado. Era tipico di chi aveva sangue fatato denso nelle proprie vene, quando erano in preda di forti sensazioni gli occhi potevano assumere un bagliore.
Malgrado la fame insaziabile mangiò composto ed elegante, assaporò ogni singolo boccone e la tensione sembrò lasciare appena il suo corpo. Kieran lo osservò mentre consumava il suo pasto, di sottecchi, senza farsi vedere. Di certo non lo avevano trattato bene in galera. Nonostante quello non toccò la carne e la scansò, senza neanche guardarla.
È vero, dimenticavo che non mangia carne.
Anche così affamato non la degnava di uno sguardo. Alcune corti fatate non ne mangiavano quasi mai, solo quando organizzavano la caccia per onorare la natura, Silas aveva sempre rispettato quella consuetudine del suo retaggio.
Si alzò e decise di mangiare anche le tartine e i dolci offerti dalla cabina, non lasciò una sola briciola a parte tutto ciò che fosse carne, ma non perse le sue buone maniere.
 – Ora mi sento meglio – mormorò crollando sulla poltroncina in una posa sfatta.
Non sapeva se stesse dicendo la verità, ma aveva ripreso un po’ di colore. I suoi occhi erano stanchi, non doveva però abbassare la guardia.
Si versò una tazza di tè caldo. – Mettiamo subito in chiaro delle regole.
Silas alzò gli occhi al cielo. – Non è la tua caserma di manichini questa.
Lo ignorò. – Non uscirai da questa cabina per tutta la durata del viaggio, mi occuperò io di ordinare il cibo e parlare con il servizio. Dormirai legato e – allungò una mano in un gesto evidente, – starai lontano dai coltelli.
Il Discendente sospirò in modo teatrale e con una rotazione del polso tirò fuori il coltello che aveva nascosto e lo piantò sul tavolino. – Almeno te ne sei accorto stavolta, suppongo che anche uno stupido cane possa imparare a forza di bastonate.
 – Non cado due volte nello stesso sporco stratagemma. Credevi sul serio di potermi uccidere con il coltello da burro? Un piano maldestro anche per i tuoi standard.
 – E uccidere anche me stesso? Se volessi davvero farti fuori mi basterebbe una piuma d’oca, da quando siamo partiti hai lasciato talmente tante aperture. Non ho fretta però, c’è tempo.
Scosse la testa e tolse il coltello dal tavolo, sperando che la servitù non se ne accorgesse. – Il bagno è in quella cabina, lo controllerò ogni volta che dovrai andarci, nel caso tu decida di nasconderci qualcosa.
 – Questo sì che è romantico, sei sempre così affascinante con le persone che rapisci?
 – Non ti ho rapito, sei venuto di tua spontanea volontà se ricordi bene.
 – Perché l’alternativa era la morte, ma inizia a non sembrare così male.
Avrebbero potuto continuare all’infinito, Kieran lo sapeva e voleva fermarsi, ma ogni piccolo commento lo irritava e sentiva il bisogno di avere l’ultima parola. Peccato che avere l’ultima parola con quello lì fosse un’impresa impossibile.
Devo mostrarmi superiore.
 – Beh queste sono le regole, che ti piacciano o no – replicò brusco.
 – Come ti pare. Visto che stai parlando di questo, spero che adesso condividerai il piano in modo più dettagliato con me. Che ti piaccia o no dovrò venire con te.
Kieran aveva finito di mangiare e bevve il tè con pochi sorsi, scottandosi la lingua; sistemò i piatti e le stoviglie sul carrello da restituire. Non era meno stanco dell’altro e già temeva per il momento di dormire. Avrebbe dovuto chiudere a chiave la cabina e legare Silas al letto. Già poteva sentire le battute.
Sollevò la sua valigia e la aprì con un click secco delle mollette. La sollevò e ne estrasse una mappa, al che la allungò sul tavolo.
 – L’esperto di sigilli si chiama Cleobert Higgins, a quanto pare è un fattucchiere piuttosto potente che ha studiato la magia latente degli umani ed è stato cacciato dal Diaspro per comportamenti poco consoni e studi non autorizzati.
Silas sembrava poco interessato inizialmente, ma bastò nominare il Diaspro perché abbassasse il viso a osservarlo. – Un membro ufficiale?
 – Già, perciò possiamo immaginare che sia potente.
Tutti i maghi che ottenevano un posto nel Diaspro lo erano, la maggior parte erano Discendenti, ma ciascuno di loro aveva competenze magiche tali da essere considerati piuttosto temibili. Silas era una delle giovani promesse volute dal Diaspro, ma aveva scelto una strada diversa, ignorando i loro inviti a studiare nella loro Accademia e scegliendo i guerrieri di Ferro.
 – Studia magia latente degli uomini – considerò fra sé e sé. – Cosa sai sui suoi studi?
Kieran scrollò le spalle. – I suoi libri analizzano la magia nel sangue umano. La tesi che sostiene in tutti è che gli umani di per sé sono sempre stati magici, ma soltanto la Grande Migrazione del popolo fatato ha attivato la loro magia, che è molto diversa. Non ci sono purtroppo libri sui sigilli, credo siano stati tolti dalle biblioteche o censurati.
 – Chissà come mai.
Kieran aggrottò le sopracciglia. – La magia dei sigilli è troppo pericolosa, e la nostra situazione lo dimostra.
 – Ma il Consiglio se ne serve nelle carceri. Come dovrebbe funzionare? È troppo pericolosa soltanto per chi non ha una casacca appariscente e una poltrona nel Consiglio?
Scosse la testa. Non aveva alcuna voglia di discutere di politica con un pazzo criminale. – Pensa ciò che vuoi.
Silas aveva recuperato un bocchino dal cassetto e si era acceso una sigaretta. Kieran non aveva idea di dove avesse recuperato il pacchetto sgualcito, doveva averlo rubato fra la folla, aveva sempre avuto mani molto leste. L’aria si riempì di fumo presto nella piccola cabina. Silas girò la sedia e ci si accomodò al contrario, poggiando le braccia ciondoloni sullo schienale.
Aveva il respiro roco fino a un minuto fa e ora fuma.
 – Ancora questa risposta, eh?
Rammentò subito la scena a cui si riferiva: Silas che gli urlava contro e lui che rispondeva seccato. Pensa ciò che vuoi.
Bloccò il ricordo prima che sgorgasse nella sua testa indesiderato, doveva rimanere focalizzato sul piano.
 – Ad ogni modo – esordì in un tentativo goffo di cambiare discorso, – il treno ci porterà fino alla città costiera di Grenville, da lì dovremo imbarcarci per la Costa Bronzea. A quel punto potremo raccogliere più informazioni su Cleobert prima di addentrarci nelle Terre Spezzate.
Silas espirò una boccata di fumo e guardò verso la mappa, gli occhi che calcolavano attenti.
 – Dove nelle Terre Spezzate?
 – Non lo so, ma deve stare dentro il confine.
Silas sembrava pensieroso. – E se non fosse così? Se è un Discendente può sopravvivere anche oltre il confine. Come dovremmo cavarcela?
Ci aveva pensato, ma era un problema da affrontare più avanti. D’altronde il suo compagno di viaggio sapeva essere un maniaco del controllo peggiore di lui. – Se non ci fermiamo troppo non dovrebbero esserci problemi, sono abbastanza resistente, sono già stato lì, la magia astratta ci metterebbe giorni a danneggiarmi.
 – Non hai risposto alla mia domanda.
Picchiettò con impazienza il tavolo. L’immobilità gli dava sempre un certo fastidio. – Non ci spingeremo oltre i confini, l’esperto non potrebbe mai vivere lì. Se così non fosse staremo attenti, sarà un’operazione rapida.
Silas non sembrava affatto convinto. – Senza la mia magia sarò carne da macello. Preferirei essere giustiziato che diventare il giocattolo da rompere di qualche Valksha immortale.
 – Non accadrà.
 – Andrà qualcosa storto, ma mi piace il tuo ottimismo immotivato. Insomma, guarda dove ti ha portato. Qui. Con me.
Kieran sbuffò mentre richiudeva la mappa. – Almeno io penso a delle soluzioni, tu a parte essere sarcastico e fare il bell’aristocratico annoiato che apporto stai dando?
 – Oh, pensi che io sia bello? Mi lusinghi, sappi che solo il pensiero di te mi ripugna invece.
Kieran spalancò la bocca nel tentativo di replicare subito qualcosa, ma rimase con quell’espressione idiota, imbarazzato. – Penso che tu sia un assassino e un traditore.
 – Grazie. Ma al momento sono un prigioniero, ricordi? Non è mio compito rendermi utile.
 – Sei più una palla al piede in realtà.
Silas fece per replicare, ma si portò una mano al fianco in alto con un sussulto. Rimase in silenzio per una manciata di secondi, la cenere della sigaretta che si accumulava. La spense con le dita che tremavano e parlò in un sibilo: – devo riposare, se vuoi legarmi fallo, ma inizio a…
Non finì la frase e si passò le mani sul viso. Deglutì e affondò i denti nel labbro per finire di parlare.
 – Riposati. Per ora sono sveglio quindi non ti legherò.
Silas alzò lo sguardo su di lui. Tutta la baldanza era sparita e il suo sembrava il volto di un malato. Sorrise appena, ma uscì fuori una smorfia amara. – Deve darti un certo piacere, vedermi così miserevole e in disgrazia…
Non aggiunse veleno alla constatazione, ma solo amarezza. Il sorriso sparì e rimase un’espressione fioca, spenta.
Eccola.
Uno spiraglio in mezzo alla ridicola facciata che teneva dalla mattina alla sera, che aveva anche ai tempi dell’Accademia, quando era un ragazzo eccentrico e solo. Non era del tutto una facciata, ma una buona percentuale.
Voleva approfittare di quel momento di vulnerabilità per affondare un colpo, per umiliarlo e sfogare la rabbia che ancora serbava. Sottolineare quanto sì, fosse un piacere per gli occhi vederlo così spezzato, ricordargli con crudeltà che lo aveva avvertito, che era soltanto il conto da pagare per le sue azioni.
Eppure non ci riusciva.
Tornò a guardare la mappa. – Non mi ha mai dato piacere, ha sempre solo reso più miserevole anche me. Immagino che fosse ciò che volevi.
Non lo guardò, ma Silas rimase fermo per una manciata di secondi a osservarlo; poi lo sentì alzarsi e andare verso il letto, dove il fruscio delle lenzuola lo accolse dopo che si fu liberato dagli stivali.
– No, non era ciò che volevo. Non è affatto sufficiente. Ti renderò molto più miserevole di così.
La frase era uscita pregna di risentimento, anche se il tono era controllato e caldo, come quello di un amante. Forse per questo gli diede i brividi e faticò a dargli la schiena e a non voltarsi, sentiva un formicolio sulla nuca, una minaccia crescente alle proprie spalle. Sapeva che quella minaccia era lo sguardo pieno di rancore di Silas.
Non controbatté, non ne aveva alcuna intenzione. Sapeva già quali fossero i suoi sentimenti, per quanto tentasse di nasconderli dietro il suo comportamento irritante e frivolo. Sapeva di essere odiato e gli andava bene così.
E allora perché a volte con Silas non riusciva a chiudere la bocca, non riusciva a rifilargli qualche idiozia e basta, blaterava la verità senza rendersene conto? Era uno dei tanti brandelli rimasti della complicità che avevano in passato? No, forse semplicemente non gli importava di mentire.
Aspettò qualche minuto e poi trovò il coraggio di osservarlo, quasi incredulo di ciò che aveva fatto. Anche se lo ripercorreva nella mente non sembrava reale.
Silas dormiva silenzioso, i capelli neri sparsi sul cuscino come una criniera. Kieran sentì i ricordi colpirlo come un colpo di pistola, le notti insonni prima dell’Iniziazione, quando si voltava nervoso a osservare Silas che dormiva scomposto sul proprio letto, i suoi capelli che finivano ovunque sparsi in giro.
Si poggiò contro il tavolo a braccia conserte e prese un bel respiro.
Voleva negare con tutto sé stesso, perché anche solo pensarlo gli sembrava un ulteriore tradimento, una debolezza che aveva rigettato con forza, ma non poteva: faceva ancora male, più di quanto si fosse aspettato.
 
*
 
Silas si svegliò di soprassalto a una manciata di minuti dall’alba, poteva percepire sulla sua pelle l’imminente ascesa del sole. La cabina era silenziosa, ma il treno al contrario faceva un gran baccano. Rimbombava il rumore delle grosse ruote, lo sbuffare del vapore, i vetri che tremavano, il tintinnio delle bottiglie nella vetrina e il cigolare violento del letto. Persino il respiro impercettibile di Reed nell’alcova accanto, quasi inudibile, riusciva a disturbarlo.
Voleva togliersi il sudore dal viso, ma non poteva muoversi. Socchiuse gli occhi mentre il sogno gli danzava ancora di fronte agli occhi, vivido come il soffitto di metallo sopra di lui.
Voltò lo sguardo e trovò Kieran in una posa rigida, militaresca, addormentato. Le armi vicino al letto, la pistola sotto il cuscino.
Riportò lo sguardo sul soffitto con disappunto. Era legato al letto con mani e braccia, non si era certo risparmiato dal pungolarlo con battute oscene durante l’operazione, strappandogli qualche frase di protesta, ma non aveva potuto fare altro. Kieran si era però vendicato, dicendogli di svegliarlo se avesse avuto bisogno del bagno.
Piuttosto si sarebbe ucciso.
Il sogno poi non aveva calmato la sua irritazione. Non gli piaceva affatto sognare ricordi, soprattutto quando erano distorti a quel modo. Così tanta luce, così tanti sorrisi. Non era andata così.
Sbadigliò appena e si contorse per grattarsi la schiena, scivolò su e giù nel tentativo goffo di scacciare il prurito.
Aveva sognato la loro Iniziazione all’Accademia, la sua e quella di Kieran; ma era stata molto più cupa di come il sogno gliela aveva presentata, così come il periodo precedente.
C’erano state urla e pianti. Civili uccisi in modo cruento, fra cui ragazzini, ne avevano ritrovato uno con il corpo trafitto da fiori, alcuni gli uscivano dalla bocca e dagli occhi, impiastricciati di sangue. Non era stata una morte veloce per nessuno di loro. Gli altri cadetti erano stati più fortunati, le canne di bambù li avevano trafitti rapidi, uccidendoli.
Silas era certo di morire. Non poteva fuggire e la sua magia non si avvicinava neanche lontanamente a quella di una fata antica. Ma Kieran non era dello stesso avviso. Aveva caricato la figura eterea a testa bassa con un’agilità e una potenza impareggiabili. Era stato trafitto al braccio sinistro, ma aveva ignorato il dolore.
C’erano stati dei deboli festeggiamenti, presto stroncati dai numerosi cadaveri intorno a loro che avevano dovuto raccogliere e trascinare fino al villaggio. Gli altri avevano vomitato fino a piangere per lo scempio dei corpi, raramente morire per mano d’una fata era una morte normale. Le fate erano ossessionate dalla bellezza, amavano creare capolavori anche nella violenza, i corpi straziati, spezzati, tutto mentre le vittime erano ancora vive, le cose morte le annoiavano presto.
Quello era stato il primo momento in cui aveva pensato che Kieran avesse qualche rotella fuori posto. Ma non la prima volta in cui aveva realizzato che Kieran fosse più talentuoso di quanto desse a vedere. Quel ricordo risaliva a molti mesi prima dell’Iniziazione, quando neanche si era preso la briga di imparare il suo nome, era soltanto il ragazzo senza titolo con cui divideva la stanza.
Quanti anni fa? Dieci? Undici?
Kieran era salito sulla pedana con aria nervosa, ancora adesso ricordava le sue mani scivolose dal sudore e il modo in cui si grattava le lentiggini sotto gli occhi agitati. A una prima occhiata sembrava il ragazzino sopra cui non scommettere, e non era abbastanza interessante perché qualcuno gli gettasse una seconda occhiata.
Se lo avessi guardato bene fin dall’inizio, avrei immaginato tutto questo?
Il treno prese un brutto scossone e tremò così forte da suscitargli una smorfia in reazione.
Kieran non sembrava però essersi svegliato; aveva sempre avuto una sorta di filtro per i rumori pericolosi. Anche quando dividevano la stanza in Accademia. Nonostante quelle volte che aveva sfoderato il pugnale per ucciderlo nel sonno, lui non si era mai svegliato. Forse Kieran avvertiva che non sarebbe andato fino in fondo, non percepiva una vera ostilità da Silas.
Non ne aveva idea, avrebbe solo voluto riavere una di quelle notti indietro e tagliargli la gola. Aveva maledetto ogni giorno la sua debolezza. Senza Kieran avrebbe realizzato il suo scopo molto tempo prima.
Doveva trovare un modo per liberarsi. Le corde erano meno strette di quella mattina, forse poteva forzarle un po’.
Voltò lo sguardo verso la vetrata laterale dove il paesaggio scorreva veloce. Non avevano chiuso la tenda, Kieran da bravo soldato voleva alzarsi con il sorgere del sole. Il treno di metallo aveva un sistema di chiusura in caso di pericolo: le finestre venivano coperte da placche di ferro automatiche e il treno si blindava. In quel momento però era tutto tranquillo. Il panorama notturno era sfocato dalla nebbia, la macchia avvolgeva la pianura come un cappuccio di pelliccia. Si vedevano alcuni fuochi fatui appena visibili lungo il confine del bosco, fiammelle violacee del popolo fatato per segnare il confine. Gli creavano una nostalgia agrodolce, un richiamo atavico. Vedeva le cime dei cipressi carezzate dal vento e immaginava i rumori della notte, le corde dei liuti, i flauti e le lire, i fuochi che crepitavano, i passi di danza che battevano a tempo, il vino e l’idromele bevuto da coppe di fiori e teschi.
Quella notte avrebbe riposato, era troppo debole. Si sarebbe concesso una notte di sonno per ritornare in forze e poi avrebbe pensato a come consegnare il Campione nelle mani della Legione.
 
 

 
Un’informazione, come avete visto alla fine sto pubblicando ogni martedì– mercoledì, quindi farò uscire i capitoli con questa cadenza.
Grazie per aver letto ^^
 
   
 
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