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Autore: Katniss2507    26/05/2021    0 recensioni
2020, che anno sciagurato.
Che anno maledetto.
Che anno sciagurato, maledetto e benedetto.
Io non so se lo sfogo di una quasi ventiseienne un po' folle un po' drama queen possa giovare a qualcuno, ma sicuramente è giovato a me, anche scrivere così, di getto.
“Scriva, scriva, vedrà come arriverà a vedersi intero” diceva il Dottor S. ad uno svagato e disilluso Zeno Cosini.
Ed io, scrivendo, sono riuscita a vedermi forse per la prima volta, con forze e debolezze, scelte sbagliate (molte) e scelte giuste (modiche, per quest’anno).
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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… La luna è messa lì, sembra una bandiera
Quanti baci non ancora dati
Per gli amori soli e persi
O non ancora cominciati
 


...E per tutti il dolore degli altri
è dolore a metà...




2020, che anno sciagurato.
Che anno maledetto.
Che anno sciagurato, maledetto e benedetto.

Avessi dato retta al mio cervello, invece di farmi intortare dal buon Paolo Fox come ogni anno in occasione dell’odiatissimo/amatissimo oroscopo del primo Gennaio, mi sarei barricata in casa e non avrei messo piede fuori nemmeno per andare a comprare il pane, senza farmi la benché minima bambinesca aspettativa. Cosa che ogni anno mi riprometto di non fare, cosa che, ahimè, puntualmente faccio. Ma di cosa altro campiamo noi poveri esseri umani dal cuore e dalle speranze palpitanti? Certo, confrontarsi con una pandemia mondiale è andato ben oltre le mie più oscure aspettative, roba che neanche in un milione di anni nessuno avrebbe mai potuto immaginare, ma del resto nessuno per indole è preparato a robe del genere…almeno, non credo.

Lo confesso, fino a al fatidico (e funesto) 9 marzo 2020, la mia vita, come quella di molti altri, aveva continuato a procedere su binari relativamente tranquilli, rassicuranti. Certo, la stretta del nuovo morbo dal Sol Levante incombeva sulle nostre teste come una spada di Damocle, ma ancora era percepita come una minaccia fantasma, un’opzione forse non pienamente considerata e guardata inizialmente con scetticismo.

“Capita lì, figurati se avrà il tempo di arrivarci davvero in Italia”

E invece è capitato, e non ci sono stati buoni propositi, non ci sono stati scetticismi, pubblicità progresso, precauzioni e speranze che abbiano retto.
Fino alla teatrale uscita di Bugo dal palco dell’Ariston, durante il Festival di Sanremo, inseguito da un Amadeus basito e da un Morgan sconvolto e fintissimo, il mio piccolo microcosmo aveva retto...
Tutto cominciò a cambiare nelle settimane successive. Il coronavirus, il nemico che ci sta logorando ancora oggi, era arrivato in Europa, in Italia, rivoluzionando la vita di tutti. A primo acchito, ci avevo scherzato su con i miei amici, non dando troppo peso alla cosa: Antonio e Andrea continuavano a fare gli idioti mattacchioni con lo sprezzo del pericolo, focalizzati solo su studio, sport e “schiticchiate” con gli amici, come sempre.
Giorgia era alle prese con gli ultimi esami e una pesantissima Tesi di filosofia teoretica da portare a termine. Aspettava Marzo, l’8 Marzo per l’esattezza, il giorno in cui avrebbe compiuto 25 anni e, parole sue, “si sarebbe avvicinata inesorabilmente all’alba del tramonto fisico di noi giovani fanciulle”.
Marta e Lorena, le mie “sorelle” ventennali, continuavano la loro vita, la prima divisa fra grande città e paesino per motivi di studio, l’altra a sfacchinare come sempre fra esami e lezioni al conservatorio. Il 2020 sarebbe stato l’anno di molte lauree, pronostico che, effettivamente poi si sarebbe rivelato veritiero.
Io anche arrancavo.
Dal Marzo precedente mi ero letteralmente spaccata di fatica per cercare di rimettermi in pari con gli esami della magistrale, io che mi ero iscritta con riserva e che ero arrivata a laurearmi in tempo per il rotto della cuffia. In pari, effettivamente ero riuscita a rimettermi in qualche modo, e continuavo la mia vita in maniera del tutto normale, fra studio, famiglia e amici, pensando di tanto in tanto al tirocinio che avrei dovuto svolgere e ad una nuova tesi da ideare e redigere, dopo nemmeno un anno.

L’andazzo delle cose mantenne questo tenore fino a marzo. I primi giorni del “mese pazzerello” si erano portati dietro un’aria di tempesta che congelava le ossa sino al midollo, e le brezze primaverili sembravano ancora molto lontane. A quel punto, già tutti avevamo capito che la questione sanitaria stava indubbiamente incanalandosi su pendii irti, oscuri e difficili da percorrere, ma l’illusione di una parvente normalità ancora accarezzava i cuori di noi poveri non addetti ai lavori. La sera del 7 Marzo, Giorgia, regalandoci una serata di tranquillità (l’ultima per mesi) festeggiò il suo venticinquesimo compleanno: spense le candeline a mezzanotte, tagliò la torta fra i coretti stonati di noi amici e brindò con gioia alla nuova condizione di “vecchiaia incombente”. Che bella serata passammo tutti insieme, l’ultima serata in cui respirai autentica serenità. Avevo riso, scherzato, battibeccato come al solito con quello scimmione di Antonio, e, malgrado l’edizione speciale del TG avesse annunciato in diretta l’esodo dal nord conseguente all’annuncio di chiusura dei confini regionali, avevo anche trovato il tempo di permettere a cupido di stuzzicare la mia attenzione.
E già, proprio quella sera i miei occhi si soffermarono su qualcuno.

Matteo era un collega di Giorgia, un tipetto bruno, con lo sguardo intelligente, magro magro e occhialuto, ma malgrado ciò terribilmente carino. Scriveva articoli per La Costa, lo stesso giornale di cui Giorgia era vicedirettrice, ed aveva un’aria da intellettuale perfettino che, nel corso della serata, aveva attirato più di una volta il mio sguardo su di lui. Cosa abbastanza lecita, visto e considerato che al mio fianco c’era seduto quella sottospecie di scimmione preistorico di Antonio, sempre ruttante e bestemmiante.
Nemmeno una parola…solo qualche sguardo, qualche sorriso di straforo. La mia bacata mente romantica, ad un certo punto della serata, si era chiesta “E se…?”, ed i film mentali effettivamente furono confermati il giorno dopo dalla stessa Giorgia, che giuliva e pimpante mi aveva annunciato in un lunghissimo messaggio vocale “Matteo ha detto che sei molto bella, mi ha chiesto di te e bla, bla, bla”. Ovviamente era seguita la lunghissima e dettagliatissima scheda profilo del suddetto, descritto in ogni sua più piccola minuzia e sfaccettatura caratteriale. Inutile dire che il profilo coincideva perfettamente con quello del fantomatico uomo dei miei sogni: gentile, ben educato, intelligente e con una spiccata passione per cinema, teatro, lettura e scrittura. Una parvenza di giovanissimo Alberto Angela dei poveri, ergo, almeno sulla carta, il mio tormentato sogno proibito. Ovviamente il mio cervellino bacato cominciò a ricamarci su, pieno di aspettative, alimentato dalla speranza che magari, chissà, Matteo mi avrebbe cercata, si sarebbe fatto vivo, ci saremmo incontrati e avremmo parlato di argomenti alti davanti a un caffè…

Povera illusa.

A distruggere i miei sogni di gloria ci pensò l’inossidabile Giuseppone nostrano quando, dopo un pomeriggio  trascorso insieme a Marta e Lorena a guardare film e bere tisane mantenendo le “precauzionali distanze” caldamente consigliate da qualche giorno anche dai media, mi  ritrovai alla sera, ormai a casa e sprofondata nel divano di casa mia, ad assistere impotente alla cronaca annunciata di una tragedia: IL LOCKDOWN.
Ricordo solo di essere rimasta a contemplare lo schermo come una babbea, mentre la mia razionale madre incassava la notizia con la sua solita classe e mio padre, ipocondriaco all’ultimo stadio, cominciava già a sentirsi tutti i sintomi del nuovo morbo spauracchio. A sua discolpa, posso dire di aver provato anche io qualcosa di molto simile nei giorni a seguire.

Da quel 9 marzo, la vita di tutti noi cambiò irreversibilmente. Le giornate diventarono asfissianti, interminabili, scandite dal terribile bollettino che ogni pomeriggio, alle 18.00, arrivava implacabile a notificare numero di contagi, decessi e guarigioni. Noi italiani, seduti nei salotti, sui balconi a cantare l’inno, cercammo di farci forza al meglio delle nostre possibilità. Mi tenni impegnata nei modi più disparati: studiando, disegnando, cucinando, seguendo le lezioni universitarie in via telematica…tutto così normale, tutto così irreale. Le videochiamate con Giorgia, Antonio, Andrea, Marta e Lorena si susseguirono quasi giornalmente, e quei contatti flebili e virtuali contribuirono a tenermi ancorata alla realtà. Poi, quasi due settimane dopo l’inizio della “prigionia”, quando ormai avevo riposto ogni speranza in merito a una possibile conoscenza con Matteo, dannandomi per la colossale sfiga e per il tempismo irritante del mai na gioia, il tanto sospirato messaggio arrivò.

Io non ho mai creduto nei rapporti nati in maniera virtuale, ma quello era l’unico modo in quel momento per creare un legame con una persona che, sì, aveva attirato la mia attenzione dopo tanto tempo di “aridità sentimentale”. Parlai con Matteo per tutto il periodo della quarantena, scoprendolo un ragazzo intelligente, chiacchierone ed anche fin troppo espansivo. Sarà che il momento particolare aveva cambiato le mie dinamiche di affezione, ma un po’ per il contesto, un po’ per la naturale esaltazione che crea un flirt anche se poco concreto, mi lascia trascinare dalla situazione, e credetti davvero di provare una sorta di affezione nei suoi confronti. Parlavo di questa piccola nota rosa nei miei giorni grigi con Marta, l’amica che fra tutte era quella che più sentivo come una sorella, e lei mi incoraggiava; Lorena era incuriosita dalla situazione, ma più cauta, come suo solito. Quella veramente gasata era Giorgia, che si sentiva un po’ la mia fata-madrina, il tramite che aveva reso possibile questo “connubio di menti brillanti”. Andrea e Antonio invece facevano i saputelli irritanti, dispensatori di consigli discutibili e portatori di una “saggezza maschile” che aveva donato loro la presunzione di poter sparare a zero su qualsiasi cosa. Era soprattutto Antonio ad infastidirmi, con la sua visione cinica e cruda della realtà e delle relazioni. Le sue parole mi ferirono più di una volta, soprattutto quando, senza mezzi termini, mi aveva “accusata” di essere solo una “santarellina sentimentale e sciocca”.
La voglia di vedere Matteo e parlarci di persona era tanta. Avevo così tanto idealizzato questo rapporto da aspettare quel 18 maggio 2020 come la manna dal cielo.

La fine di tutto, il ritorno cauto a una vita normale…e Matteo.

Non vedevo l’ora, immaginavo già rosei scenari in cui lui mi avrebbe chiesto di uscire e avremmo parlato per ore, passeggiando sul lungomare in una patetica imitazione di Mr. Rochester e Jane Eyre. Ero curiosa, volevo capire se vederlo avrebbe scatenato in me un sentimento vero, non di carta; volevo verificare se i due mesi di conversazione ininterrotta avessero avuto un senso.
Quel 18 maggio arrivò. Le mie amiche tornarono a riempire le mie giornate, una cauta normalità diramò il suo balsamico effetto su di me, sulla mia famiglia e sull’Italia intera… e Matteo si fece via via più evanescente. Di tutta questa storia, rimase solo il ricordo di un’uscita condivisa al bar, qualche giorno dopo. Un’uscita piacevole, che se avessi considerato lucidamente la situazione avrei considerato per quello che era: un’uscita con un perfetto sconosciuto che non era per nulla interessato ad intraprendere con me un rapporto diverso da una timida amicizia, e che io, illudendomi interpretai come presupposto a una conoscenza che si sarebbe protratta. Ero così infatuata dell’idea di questa persona, dalla voglia di contatto con il prossimo e di rinascita anche sentimentale, da non vedere nient’altro.

Come già si potrà supporre, per lui non fu lo stesso. E come dargli torto, dopotutto…ero una perfetta estranea. A meno che non avesse provato per me il fantomatico colpo di fulmine della vita, non poteva esserci molto spazio per altro. Antonio mi rimproverò molte volte di essere un’ingenua, una persona sconnessa dalla realtà. Aveva visto più lontano di me, ed era sempre stato più pragmatico di me, senza dubbio. Era da sciocchi correre dietro ad un ragazzo che conoscevo appena, soprattutto attratta da caratteristiche che, in larga parte, avevo supposto e idealizzato. Non importa quanto il Covid avesse alienato le nostre reali percezioni delle cose e delle situazioni; viviamo nel mondo reale, per le favole spazio ce n’è poco.
Ovviamente io, da idiota romantica desiderosa di affetto e approvazione, mi incaponì, anche per dimostrare a quell’orso di Antonio che non doveva essere sempre per forza come diceva lui…che un po' di speranza giova sempre.
Cominciai a pensare cose assurde, al fatto che potesse essere tutto un equivoco, cha magari il suo disinteresse fosse dovuto solo al riassestamento dopo un periodo indubbiamente difficile. Che ingenua...e che immatura.
Con Giorgia ne sperimentai di ogni: provai ad organizzare qualche aperitivo, a proporre cautamente qualche uscita serale o qualche pomeriggio in spiaggia, ma le risposte di Matteo divennero sempre più fredde, e l’unica cosa che mi spingeva a non desistere era il fatto che, dato che il mio interesse era palese, Matteo mi avrebbe chiaramente comunicato a parole il suo rifiuto. Si lo so, illudersi a questi livelli è da bambini, ma stavo attraversando un periodo di intensa fragilità…avevo solo bisogno di un po' di “rosa” nella mia vita. Cercai di fare buon uso dei consigli di Marta, che vedevo un po’ come mia guro delle situazioni sentimentali, la persona di cui più mi fidavo e che accettava anche le mie piccole fissazioni.

La conclusione?

Nel giro di un mese, i tentativi per conquistare Matteo sfumarono al vento come un mucchietto di polvere del deserto. Durante un’uscita di gruppo, l’oggetto dei miei idealizzatissimi desideri conobbe Marta e, come per uno strano scherzo del destino, il colpo di fulmine scattò…ma fra loro due. Si innamorarono, si innamorarono davvero, ed oggi, dopo quasi un anno, stanno ancora insieme, hanno condiviso tanto e sono felici.
Il capovolgimento della situazione, una situazione che oggi, chiaramente, ho completamente lasciato alle spalle, mi scioccò tanto da farmi perdere il punto della situazione e sbarellare. In un colpo il castello di sabbia era crollato, la mia vanità era stata mortificata, avevo perso un potenziale interesse sentimentale e l’amica di una vita. Marta, chiaramente, era sempre la stessa, ma ciò che allora mi spinse a credere che la nostra amicizia fosse finita non fu tanto aver “perso” la contesa per il cuore di Matteo, quanto il fatto che Marta mi avesse mentito per un lungo periodo prima di dirmi che, effettivamente, aveva già cominciato a sentire e vedere Matteo da un po'.
Non riuscì a perdonare la mia amica per mesi, e non tanto per il gesto, quanto per il fatto che avesse agito nell’ombra volutamente, alle mie spalle, entrando in un circolo vizioso di bugie che aveva rivelato solo alla fine, quando ormai non aveva potuto proprio farne a meno. Mi sentì così stupida, così tradita e ferita nell’orgoglio. Marta, l’amica a cui dicevo tutto, a cui senza nessuna vergogna avevo rivelato la mia grande attrazione fisica nei confronti di questo ragazzo, senza lesinare espressioni colorite...
Non soffrivo certo per Matteo, e questo mi provò a lungo andare che mi ero, effettivamente e logicamente, solo infatuata dell’idea di lui.
Ma per la mia amica soffrivo. Per il vuoto incolmabile che aveva lasciato nel mio cuore e nella mia vita, per la consapevolezza che, per il modo in cui sono fatta, non sarei riuscita a perdonarla del tutto.
Chiaramente, alla fine l’affetto prevalse. Qualche mese dopo, io e Marta ci riavvicinammo, ed accettammo di buttarci alle spalle i malintesi e gli sbagli che avevamo reciprocamente commesso in quel periodo. La ricostruzione della nostra amicizia è ancora in corso, ma anche se non dimenticherò mai il dolore che ho provato per esser stata presa in giro proprio da lei, ho preso atto anche del suo di dolore, il dolore di un’amica che è umana anche lei e che, come tale, ha diritto di sbagliare, chiedere scusa e di essere perdonata.
 
Il mese di luglio, in cui tra l’altro avrei compiuto gli anni, fu un periodo complicato. Con il difficile momento che stavano attraversando i miei sentimenti nei confronti di Marta, il disagio di Lorena, che chiaramente non poteva non “schierarsi” dalla parte della sorella, i battibecchi sempre più frequenti con Andrea e, soprattutto, Antonio che criticavano il mio malumore e la mia poca voglia di uscire a far nottata bevendo e non pensando a nulla, mi ritrovai da sola, con al mio fianco solo Giorgia. C’è da dire che anche lei le provò tutte per farmi uscire un po’ di più e distrarre, ma con risultati un po' altalenanti. Ero arrabbiata, Marta e Lorena mi mancavano, le parole di Antonio e la sua espressione indifferente mentre mi sciorinava freddamente tutti i suoi giudizi mi facevano soffrire.

Provavo a fare cose a caso, senza troppa convinzione, per distrarmi: andavo al mare, terminavo i miei esami, sentivo qualche ragazzo per spezzare la noia. Con uno di loro, Nino, di un anno più piccolo e rampante studente di ingegneria, ci uscì anche, ma non ero per nulla stimolata, e malgrado fosse anche un ragazzo carino e, suo malgrado, interessante, la troncai quasi subito.
Il Coronavirus, a luglio inoltrato, sembrava ormai qualcosa di lontano. I contagi erano nettamente diminuiti, e l’estate aveva portato una nuova ondata di speranza: eravamo salvi, era tutto finito. I locali riaprirono, la vita ricominciò a scorrere, e, anche se stavo attraversando una fase particolare, tutto sembrava volgere per il meglio. Avevo compiuto 25 anni e mancavano solo due esami alla laurea…il futuro era ad un passo.
In questo frangente, per sfuggire alla quotidianità di paese e ad una serie beghe personali, Giorgia organizzò e mi coinvolse in un piccolo “viaggetto”. Non fu nulla di eclatante, avremmo soggiornato in una piccola cittadina sul mare a 60 km da casa, giusto per allontanarci qualche giorno dai problemi della quotidianità. Non volevamo strafare, complice anche la particolare situazione sanitaria di cui non ci eravamo minimamente dimenticate. Un paio di fermate di treno ci avrebbero permesso di staccare la spina dai problemi e dai noi stesse almeno per qualche giorno. La nostra meta era un paese sul mare simile al nostro, ma un po’ più raccolto. Riuscimmo anche ad accaparrarci un soggiorno gratis, perché Giovanni, un collega universitario di Giorgia con cui era sempre in contatto, mise a nostra disposizione una stanza del B&B gestito dai suoi genitori. Un posto piccino, riservato, ricavato da un appartamento che si trovava sullo stesso pianerottolo di casa sua. Avremmo passato 5 giorni da lui, a divertirci insieme, a goderci gli ultimi giorni di luglio.

Io e Giorgia partimmo un caldissimo giovedì pomeriggio, conciate come due turiste americane giulive e pimpanti, con due valigioni troppo grandi per un tempo, obiettivamente, esiguo. Ricordo che sul treno non facevamo altro che ripetere “che meraviglia, 5 giorni di totale libertà e autonomia”, ed è quello che poi mi sono effettivamente concessa.
Alla stazione di arrivo trovammo Giovanni ad aspettarci. Alto alto, sorridente e “morbido”, come amava puntualizzare sempre Giorgia. Da bravo Cicerone, e da bravo gentleman, prese i nostri borsoni e ci guidò  per le strade della sua cittadina fino a casa sua dove, prima di depositare i bagagli in camera, nell’appartamento a nostra disposizione, ci presentò a sua madre, una donnina bassina dai modi gentili ed accoglienti, “morbidella” come lui. La signora Laura, che ci accolse con un sorriso radioso e insistette immediatamente per farsi dare del tu, fluttuava affaccendata in cucina senza fermarsi un attimo, rivolgendo a raffica domande su come fosse andato il viaggio, chiedendo in maniera compulsiva se avessimo fame e volessimo mangiare settordici qualità di gelato che conservava nel freezer. Era incredibilmente divertente.  Ricordo che il padre di Giovanni non c’era, complice un lavoro itinerante che lo portava a spostarsi tutto il giorno e a rincasare solo nel tardo pomeriggio, ma in compenso, seduto al tavolo di quella cucina, trovammo un altro componente della famiglia Giardina ad accoglierci.

Giorgia mi aveva detto che Giovanni aveva un fratello, un ragazzo nostro coetaneo che studiava Biologia e di cui, comunque, non ricordavo nemmeno il nome. Quando avevamo fatto il nostro rumoroso ingresso nella stanza, lui, alle prese con un librone enorme di una non meglio identificata materia scientifica, ci aveva lanciato uno sguardo al veleno, squadrando criticamente prima Giorgia e poi me, come un automa. Mentre sua madre ciarlava quasi allo sfinimento, quella sottospecie di mummia quasi non aprì bocca. Si limitò ad alzarsi e a stringerci la mano, accompagnando il tutto con un sorriso tiratissimo che pareva più una smorfia, mentre bofonchiava uno stringato “Piacere, Gabriele”.

“Guarda un po’ che cafone”, mi ero detta qualche attimo dopo, seguendo placidamente Giovanni e Giorgia nell’altro appartamento “spero di averci a che fare il meno possibile”.
Ad ogni modo, messo da parte l’episodio dell’“ombroso fratello Tutankhamon”, io e Giorgia prendemmo possesso della camera, cambiandoci immediatamente per uscire e andare in spiaggia con Giovanni, con la prospettiva di un tramonto e una cena a base di pizza in riva al mare insieme alla comitiva di amici del nostro anfitrione. Stravaccate in costume, con la brezza della sera e le stelle sopra di noi, ci sembrò di essere davvero sole, fuori dal mondo, libere, spensierate. Gli amici di Giovanni erano simpatici, e con loro anche quell’allegrone di Gabriele, che ci aveva onorati della sua presenza solo al tramonto e si era fiondato in acqua senza considerarci minimamente, si era lasciato andare a chiacchiericcio e risate autentiche. Fu in quel momento, mentre giocava a calcio sulla battigia con altri due amici e suo fratello, che mi soffermai ad osservarlo attentamente per la prima volta.
Certo, era stato incredibilmente scortese al nostro arrivo, ma non avevo potuto evitare di notare una cosa ora che lo guardavo scattare e fare capitomboli alla luce del tramonto: era carino.
Che non mi si fraintenda, non era il tipo di ragazzo per cui tutte avrebbero sbavato e dietro cui tutte si sarebbero accasciate al suolo al suono di “Oh mio dio, che bono”, ma io lo trovai magnetico e ammetto, con un certo imbarazzo, di essere rimasta a fissarlo come una povera idiota fino a quando Giorgia non mi aveva riportata alla realtà con un delicatissimo “ma che minchia stai guardando?”.
Lui e Giovanni non si somigliavano molto, anche se si capiva perfettamente che fossero fratelli. Erano più o meno alti uguale, ma Gabriele aveva un fisico più allenato, cui a casa,  in canotta e pantaloncini orribili, non avevo per nulla badato, ma che in costume si notava eccome; doveva chiaramente fare palestra o comunque qualche sport. Condivideva con Giovanni gli atteggiamenti e il modo di muoversi, gli stessi capelli scuri e il taglio degli occhi, ma per il resto erano molto diversi, a partire dall’accenno di barba che Giuseppe aveva e finendo con l’addominale allenato che chiaramente Giovanni non aveva.
“Ma sei seria? Ma è bruttissimo…”

Giorgia, come sempre, fu delicatissima nell’ esternare la sua costernazione per i miei “pessimi canoni in materia di uomini”. Non abbiamo mai avuto gusti equivalenti (e aggiungerei grazie al cielo, in virtù delle mie non rosee esperienze), ma da una vita lei finisce quasi sempre per infatuarsi di soggettoni un po’ dubbi, con la panzetta o calvizia incipiente (o con entrambe queste caratteristiche), ed io non sono mai così indelicata nei miei giudizi...e poi conta la sostanza, no?

Ad ogni modo, giudizi negativi o meno, l’ombrosone continuò a giocare a palla sbattendosene allegramente di me e Giorgia, delle nostre elucubrazioni e di tutto il resto. Data l’evidenza, credevo che non mi avesse minimamente notata e che non avesse comunque intenzione di stringere amicizia con “boh, amiche di mio fratello” come ci aveva carinamente definite mentre pensava che nessuna di noi due lo stesse ascoltando. Aveva l’aria di non sapere che noi due stessimo sullo stesso pianeta, figuriamoci sulla stessa spiaggia. In tutta la sera, l’unica volta in cui mi rivolse la parola era stato per chiedermi se volessi o meno un’altra birra, ma per il resto il gelo artico. Ad essere onesti, elucubrazioni sul fisico a parte, mi dimenticai ben presto anche io della sua presenza, presa dall’abbuffata di pizza, e dalle chiacchiere con Giorgia e Giovanni, e una volta tornata in camera, tutto quello che feci fu gettarmi in sequenza sotto la doccia e poi a letto, non pensando a nient’altro se non al fatto che Giorgia avesse già cominciato a russare.
 


Il primo risveglio vacanziero in un letto che non è il mio, è sempre un trauma. Solitamente, in viaggio, la prima notte fuori dormo poco, e dal giorno dopo ancora, comincio ad avere problemi ancora più seri…problemi…ehm…di purificazione, ecco. Il progetto in previsione per il nostro primo giorno da allegre turiste in trasferta locale, era stato quello di farci scorrazzare in macchina da Giovanni da una spiaggia all’altra. Il mare in quelle zone è bellissimo, e dopo una mattinata trascorsa in ammollo con il terrore costante che le mestruazioni irrompessero con tutta la loro violenza a rompere i coglioni, dal momento che, quando devo fare qualcosa mi accompagnano con svizzera e puntualissima costanza, Giovanni portò me e Giorgia in un posticino caratteristico appena fuori dal centro, un piccolo braccio di spiaggia, dove si racconta che uno dei più grandi cantautori italiani abbia scritto un testo dedicato ad una ragazzina di cui era follemente innamorato, canzone poi rimasta iconica nella storia della musica italiana.  Ero felice di essere lì. La compagnia era piacevole, e avevo avuto l’occasione di poter conoscere meglio Giovanni, che fino a quel momento avevo sempre e solo incontrato in contesto universitario.
Una di quelle menti lucide e brillanti che raramente si incontrano, Giovanni. Giorgia, che sogna sempre di poter realizzare i progetti romantici che traviano la sua mente e che, toh il caso, hanno quasi sempre me come sciagurata protagonista, aveva progettato deliberatamente di creare a tavolino un’improbabile liaison fra me e il suo caro collega. In realtà, millantava questi propositi già da un po', da quando io e Giovanni ci eravamo incontrati all’Università per la prima volta, a dirla tutta. Si, Giorgia è una pazza anche lei. Ad ogni modo io, un po’ per gioco un po’ per noia, stavo seriamente cominciando a considerare che, dopotutto, la versione disconnessa dalla realtà di me stessa potesse anche permettersi una cosa del genere. Il problema basilare era che si, Giovanni era un tipo interessante, spiritoso, estremamente intelligente ed in grado di intavolare una conversazione sugli argomenti più disparati, ma alla fine lo vedevo per quello che effettivamente ai miei occhi era sempre stato: il collega simpatico della mia amica, niente di più. Avrei potuto vederlo al limite come un amico, come Andrea, o come Antonio…no, Antonio meglio di no effettivamente…lui era un amico decisamente strano.
Ad ogni modo, frivolezze a parte, trascorremmo quelle ore pomeridiane come avevamo trascorso la mattina, a mollo e in relax, con l’unica eccezione di una cornice un po’ diversa e sicuramente più suggestiva. Giorgia desiderava sconfiggere la sua paura “degli abissi”, e quel santo di Giovanni si accollò l’oneroso compito di spingersi a largo senza farla affogare, mentre io prendevo il sole cosparsa da una quantità incredibile di crema solare, visto che la mattina mi ero bruciata fino a raggiungere il livello aragosta.
Chi ci pensava più a Gabriele, con tutte le distrazioni che una spiaggia affollata può fornire?

Mi ricordai dell’esistenza di Tutankhamon solo nel tardo pomeriggio, quando Giovanni, sfinito dopo le lezioni di nuoto, l’aveva chiamato per proporgli una cena a quattro. Lo giuro, mi ero completamente dimenticata dell’esistenza del mummificato, e anche quando, dopo un breve scambio di informazioni tra fratelli che non riuscì a intendere, era stato prenotato un tavolo ad una famosa Hamburgeria del posto, tutto quello che riuscì a pensare fu che a cena mi sarei strafogata come una selvaggia priva di decenza, con o senza piacevole compagnia.


Per le uscite serali, avevo messo in valigia un repertorio multicolor di jumpsuits (e mi sento molto Ferragni, nel dirlo), gli indumenti che più preferisco perché, almeno, mi fanno sembrare più magra. Una volta tornata in camera, dopo la doccia ed in un ritardo allucinante perché Giorgia aveva impiegato un’eternità a lavarsi i capelli, avevo estratto a caso un capo dal borsone, la tuta nera a fiori, e mi ero preparata e truccata senza star lì troppo a fissarmi. Una volta finito, almeno lo specchio mi aveva restituito l’immagine di una ragazza carina. Con i capelli stopposi per motivi a me ancora ignoti, visto che mi ero portata tutto il mio repertorio di bottigliame shamposo, ma pur sempre carina. Ero stata l’ultima a lasciare la stanza, accompagnata dai toni sempre troppo squillanti di Giorgia, che mi richiamava dal pianerottolo. Ecco, fu in quel momento, sul pianerottolo, che rividi la mummia, che mi ricordai concretamente della sua esistenza, e che forse lo guardai bene da vicino per la prima volta, sul pianerottolo. Fermi tutti, non sentì certo campane, uccellini, né altro. D’accordo era carino, ma non era niente di più che una presenza profumata e musona sul pianerottolo. Forse un po’ meno musona, ok, visto che provò ad accennare una smorfia “gentile” e aveva galantemente ceduto il passo a me e Giorgia, ma sempre maledettamente taciturna.

Fu al locale, una volta seduti al tavolo, con davanti dei panini enormi e la birra, che le cose cominciarono a cambiare e a prendere una piega che non avevo neanche vagamente contemplato. All’inizio c’era stato qualche sguardo, qualche sorriso più aperto emerso fra una parola e l’altra. Poi le parole accennate divennero frasi, e per quando eravamo usciti dal locale, le frasi erano diventate discorsi. Non so spiegare nemmeno io come successe, ma lasciammo ben presto dietro gli altri, e ci ritrovammo a passeggiare sul lungomare per conto nostro, seminando letteralmente Giorgia e Giovanni che, increduli, parlottavano fra di loro chiedendosi cosa stesse succedendo, come mi avrebbe riferito in seguito la mia amica. Il più sbalordito era Giovanni, che non riusciva a spiegarsi come quel fratello che tanto aveva sofferto per una storia finita poco prima della quarantena, una storia lunga e nell’ultimo periodo difficile, si stesse sbottonando in quel modo con una perfetta sconosciuta. Forse non fu tanto la situazione in sé, ma semplicemente il fatto che nessuno se la sarebbe aspettata, né Giorgia, né Giovanni, né Gabriele, né tantomeno io.

Non è come in quei cliché inutili dei romanzetti rosa. Io non sono mai stata la tipica ragazza carina, ma insicura, che affascina gli altri ma non è consapevole. Io non sono mai stata una tipa dal rimorchio facile, e basta. Ho trascorso gran parte della mia adolescenza e prima età adulta a fare da tappezzeria nella maggior parte delle situazioni. Le mie frequentazioni le si sarebbero potute contare sulle dita di una mano, per le delusioni invece non avrei mai avuto abbastanza arti a disposizione. Inoltre, avevo sempre avuto la sensazione di non saperci fare abbastanza, di allontanare i ragazzi con un atteggiamento eccessivamente ritroso. Incredibilmente, però, in quella determinata occasione, parlare con quel ragazzo strano e schivo si rivelò dannatamente facile e, senza accorgermene, a fine serata mi ritrovai davanti alla porta della camera con un invito a rimanere con lui più a lungo. So che sembrerà esagerato, ma la reazione fu una: PANICO.
Nella mia vita sono sempre stata abituata a ponderare tutto, ad analizzare le cose con pazienza, tempo e maniacale attenzione…e in quel momento avevo esattamente dieci secondi per decidere e rispondere. 

Avete presente nei film, quando in un microsecondo nella mente della protagonista si delineano tutti gli scenari possibili derivanti da una scelta piuttosto che un’altra? Ecco, mi successe qualcosa di molto molto simile. La verità è che non avevo nemmeno vagamente tenuto in considerazione il fatto che avrei potuto “rimorchiare” qualcuno, perché tutto quello che avevo messo in programma per quella sera era stato strafogarmi al pub e fare la finta figa abituata alle serate mondane all’insegna di qualche bicchiere di Negroni e quattro chiacchiere con Giorgia, Giovanni e i suoi amici un po' fattoni. Non sarò ipocrita… avrei voluto rispondere SI immediatamente, a frenarmi erano state solo le mie paturnie, la scritta lampeggiante “CAZZATA” che intravedevo aleggiare attorno al viso di Gabriele, a mo’ di cartone animato…è chiaro che risposi di “si” all’undicesimo secondo.
Presa da una strana aspettativa, con le farfalle allo stomaco, chiesi a Gabriele di aspettarmi un attimo al portone, giusto il tempo di darmi una rinfrescatina in camera. Lo dissi con una verve incredibile, manifestando una calma che di certo non avevo e che misi da parte una volta rimasta sola con Giorgia, che si stava preparando per andare a letto.


“Gio, il fratello di Giovanni mi ha chiesto di fare due passi…noi due…”

“COSA CAZZO CI FAI ANCORA QUI? VAI!”


Giorgia…sempre così adorabile e delicata.
Dopo essermi data una sistematina, ed esser stata quasi cacciata via a calci dalla mia delicatissima compagna di stanza, ridiscesi le scale con un batticuore allucinante. Gabriele era ancora accanto al portone, stava fumando, e non appena mi vide mi restituì un sorriso tranquillo.
Dopo una serata e qualche bicchierino, sorrideva eccome. Si era sciolto notevolmente.

“Allora, dove andiamo?”

Mi stupì di me stessa, dico davvero. All’apparenza ero impeccabile, composta, pacata, ma la verità è che avevo il cervello in completa modalità aerea. Scambiammo qualche frase, ed io cercai di adottare lo stesso atteggiamento naturale che avevo adoperato per tutta la sera…quello che, in realtà, non aveva fatto alcuna fatica a venir fuori con Gabriele sin dal primo momento in cui ci eravamo trovati seduti vicini a tavola.
Ci incamminammo sul lungomare.
Tutta la “movida” era concentrata nella piazza principale del paese, luogo in cui si trovava la maggior parte di locali e bar, quindi non si rivelò particolarmente sorprendente il fatto che sulla banchina non ci fosse quasi nessuno, a parte qualche coppietta e alcuni ragazzini. Dal lungomare ci spostammo in spiaggia; era davvero una notte meravigliosa. Sulla battigia l’aria era umida, e sicuramente sarei tornata in camera con i vestiti impregnati di umidità e salsedine, ma diamine, come si stava bene. Ci sedemmo vicini, in silenzio, probabilmente tutti e due presi dall’imbarazzo. Su quella spiaggia, al buio, accanto ad un ragazzo che praticamente fino a tre ore prima era un perfetto estraneo, non sapevo cosa dire e cosa fare, forse non mi sentivo più così tanto sicura. Tutta la mia audacia sparì, inghiottita da un batticuore assurdo. E pensare che avevo parlato con Gabriele ininterrottamente, sciorinando la qualsiasi. Adesso non ricordo più se provai a dire qualcosa per smorzare la tenzione, ma quello che porto stampato nella memoria è il modo in cui quel ragazzo all’apparenza tanto schivo mi strinse a sé, mettendo un braccio attorno alle mie spalle e sussurrandomi “Sei bellissima…” poco prima di baciarmi.

Mi baciò, si…e fu bellissimo.

Mi sembrava di vivere un sogno. Tutto era perfetto: il momento, il luogo, le labbra di quel ragazzo che appena conoscevo sulle mie…dolci, appassionate.  Mi sentivo emozionata, e per la prima volta, dopo mesi e mesi di ansie, pesantezza e sofferenze, mi ero sentita di nuovo viva. Sentirsi desiderati inebria, da un senso di languore e potere, l’intima consapevolezza di star seguendo l’impulso più naturale al mondo. Ero sempre stata la ragazza ordinaria e con una vita esente da particolari colpi di scena, eppure in quel momento mi sembrò di essere davvero la protagonista di qualche favola. Stavo vivendo anche io il colpo di fulmine, il VERO colpo di fulmine, quello da cui anche Marta era stata colpita. Forse fu in quel momento che cominciai a capirla…avrei calpestato i sentimenti di chiunque pur di vivere un momento come quello, e altri cento ancora.
Egoista? No, umano.

I giorni che seguirono mi proiettarono in un’atmosfera da sogno, una realtà fatta di sole, mare, felicità e Gabriele. Fu come se un’altra me stessa mi avesse sostituita, e quella particolare versione di me stessa voleva dimenticare tutto, le sofferenze, le responsabilità, il momento difficile…voleva vivere quei pochi giorni come fossero l’eternità, accanto ad un ragazzo che era un perfetto estraneo, ma un perfetto estraneo che le sembrava di conoscere da una vita intera e che la stava aiutando a non pensare più a nulla.
Cercavo una via di fuga, come lui del resto.
Nell’intimità della camera da letto, ci promettemmo di prendere quella situazione per quello che era, una cosa bella che stava facendo bene ad entrambi, ma che in seguito sarebbe anche potuta rimanere una semplice parentesi. Innamorarsi non era compreso nel pacchetto, e dopotutto come si fa ad innamorarsi in pochi giorni? No, se provai qualche sentimento, questo si sviluppò dopo, nei mesi, in modo bizzarro e per vie spesso sbagliate. Il giorno del nostro ritorno a casa, risalì sul treno mentre ancora stringevo la mano di Gabriele, con un nuovo numero di cellulare in rubrica e nessuna promessa in tasca. Avevo anche fatto la parte della primadonna emancipata, dicendogli che non ero sicura sul fatto che l’avrei richiamato, né che gli avrei scritto. In realtà, la parte razionale di me una storia non la voleva, non ero assolutamente pronta, perché avevo bisogno prima di regolare i conti con me stessa.
Ovviamente, non fu la parte razionale che guidò i miei gesti e i miei pensieri una volta tornata a casa. Scrissi a Gabriele appena il giorno dopo, caldamente sollecitata da Giorgia che mi aveva dato dell’idiota per il modo in cui mi ero congedata da lui. Era il 5 agosto, e continuai a sentirlo per tutta l’estate. Grande intesa, grandi chiacchierate, battutine e foto salaci, le mie aspettative crebbero giorno dopo giorno. Ero così offuscata, così bisognosa di sentirmi amata e desiderata da non far caso ai tanti aspetti negativi che, mio malgrado, esistevano. Dopo la conoscenza partita col botto, la nostra “relazione” si cristallizzò in una curiosa amicizia di penna, alimentata più dalle mie aspettative che da una concreta esistenza. Rividi Gabriele solo a fine settembre, su mia esplicita insistenza e dopo aver percepito che lui, in realtà, voleva proprio archiviare quel capitolo della sua vita, o al limite mantenerlo inquadrato in una sorta di corrispondenza virtuale. Mi venne a trovare una calda mattina di Settembre, con la chiara intenzione di non vedermi mai più, come ebbi modo di apprendere in seguito. In modo del tutto inaspettato, però, riuscì a tirare l’acqua al mio mulino. Una cosa che appresi solo in seguito, era che Gabriele era fondamentalmente una persona fragile, non tanto avvezzo a gente che gli dava battaglia e alla dialettica da retore che avevo sviluppato un po' per natura un po' grazie ai miei studi. Un po' a discorsoni un po' a baci languidi e carezze, lo convinsi a darci una possibilità, una vera possibilità. Cercai di fargli comprendere che le cose nella vita non capitano mai per caso, che gettare al vento un’intesa come la nostra era uno spreco immane, che almeno dovevamo provare a metterci realmente in gioco, per far si che il nostro “sentimento” avesse la possibilità di diventare reale.

Fu una giornata splendida. Percepì nuovamente tutte quelle emozioni che avevo provato poco più di un mese prima durante quella breve vacanza che mi aveva salvata da me stessa. Lo portai a visitare la cittadella fortificata, pranzammo insieme, ci scambiammo baci e mezze promesse. Lo riaccompagnai in stazione con il sorriso, con la certezza, o meglio, la speranza, che qualcosa di bello per me stesse solo iniziando. Con il senno di poi, sono contenta che la me stessa di quasi 8 mesi fa abbia almeno posseduto un giorno di speranza, gioia e aspettativa nei confronti di quella storia. Un giorno d’amore che vale una vita.
La realtà che si dipanò davanti nei mesi immediatamente successi, fu tutt’altro che semplice da gestire e digerire. A mio modo, provai davvero qualcosa per quel ragazzo che era spesso sì, strano, sfuggevole, altalenante, ma che mi regalò anche ricordi bellissimi, momenti di passione intensa e speranza. Le bugie, quando sono belle, hanno il potere di ammaliare chiunque, di farci vedere solo un lato della medaglia, la faccia che più ci piace. In realtà, i dubbi di Gabriele su di noi avevano radici più profonde di quanto io potessi immaginare, il suo umore era spesso mutevole, e se un giorno era capace di farmi sciogliere il cuore con una frase, quello dopo era pronto a distruggerlo con le sue titubanze e le sue parole dubbiose, con il suo voler tenere tutta la situazione nascosta. Arrivai al punto di non poter più accettare di vivere un compromesso del genere, una relazione pressapochista vissuta nell’ombra che, francamente, solo io desideravo ardentemente portare avanti. Così, dopo tanta remissività e una culminante telefonata in cui lo pregai in tutti i modi, fallendo, di non mandare tutto a puttane, recuperai la dignità e la troncai. Non farò la superdonna, soffrì come un cane, e scaricai la mia frustrazione, le mie ansie e il mio dolore su chiunque mi stesse intorno. Tutto sembrava di nuovo nero: la situazione Covid, in autunno, peggiorò nuovamente; gli ultimi esami e la tesi pendevano sulla mia testa come una spada di Damocle; Gabriele non c’era più. La cosa che mi ferì di più fu scoprire che, nemmeno venti giorni dopo aver chiuso, quello stesso ragazzo che tante volte mi aveva detto di non cercare e non volere una relazione stabile, facendo passare la relazione con me quasi come una gentile concessione, si era felicemente fidanzato con una ragazza delle sue zone, sbandierando la testimonianza del loro amore su ogni social, in tutti laghi e in tutti i luoghi. Fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. Provai tante cose: confusione, sorpresa, rabbia, dolore, delusione, voglia di riscatto. La gente forte, la gente intelligente riesce a prendere le emozioni, anche quelle negative, e a farle fruttare, riscattandosi e trovando la forza di riscattarsi sotto ogni aspetto. Io strinsi i denti, e canalizzai parte di quella negatività nello studio, per non pensare più a niente. L’unica nota positiva fu il mio contestuale riavvicinamento a Marta. Ero stanca di tanta negatività, la mia amica mi mancava, e volevo che le cose, almeno fra noi, due ritornassero gradualmente alla normalità. Ci furono urla, accuse, tante lacrime e infine tanti abbracci. Avevo pensato che non sarei mai riuscita a perdonare le sue bugie, ma forse la vera amicizia è questa: accettare l’umanità dell’altro e perdonarla, senza renderla un capo d’accusa.

Ma purtroppo siamo umani, spesso una sola buona ragione non basta a salvarci e non ci comportiamo quasi mai come gli eroi dei romanzi. Vittima della mia stessa negatività, del mio risentimento, decisi che, visto che l’amore mi aveva ingannata, mi sarei vendicata di lui snaturandomi e prendendomi solo quello che poteva far star bene il mio corpo. Senza coinvolgimento, senza alcun tipo di sentimento. Se potevano farlo gli altri, potevo farlo anche io. Fu allora che commisi il secondo errore.

Volevo del sesso, sesso senza impegno, cancellare quello che c’era stato prima con qualcosa di totalmente fisico e fine a sé stesso. Quanto poteva essere difficile trovare qualcosa del genere? Fu facile, facilissimo, mi bastò mandare un sms ad Antonio chiedendogli di fare sesso, senza se e ma, senza introduzioni laconiche. È vero, io e Antonio eravamo amici da una vita, e un azzardo del genere poteva essere rischioso, ma mi feci forte dell’idea che tanto i nostri rapporti si erano fatto già tesi da un po', e che comunque, conoscendolo da così tanto tempo, e trovandolo in parte terribilmente irritante e animalesco, non mi sarei mai fatta coinvolgere sentimentalmente proprio da lui.
Ma perché l’angioletto che sta sulla mia spalla destra non ha più voglia di parlare con me, da un anno a questa parte?
Quello che doveva essere un evento isolato, diventarono varie occasioni di incontro, e quello che doveva essere sesso senza impegno si trasformò, nell’intimità di un sedile posteriore o di una stanza poco illuminata, in un’occasione di confronto, di tenerezze appena accennate, in voglia comprensione. Antonio mi si presentò sotto una nuova luce. Era ancora lo scimmione arrogante e prepotente che credeva di poter sputare sentenze su chiunque e qualsiasi cosa, ma era anche il ragazzo che viveva una quotidianità complicata, fatta di genitori che lo mettevano sempre al secondo posto rispetto ai fratelli, e sulle cui spalle gravavano tristezza repressa e frustrazione. Antonio mascherava tutto dietro un’espressione impassibile, sembrava che niente potesse scalfirlo, invece io il suo disagio lo percepivo chiaramente.
Con lui passai un Natale diverso, fatto di incontri eccitanti e clandestini ovunque, lottando costantemente con i limiti e i divieti posti a tutti per causa di forza maggiore. Arrivò Gennaio, e con esso sopraggiunse la consapevolezza che non solo avrei in qualche modo potuto amare quel ragazzo duro e impossibile, ma che forse un’alchimia speciale fra noi ci fosse sempre stata. C’era molta passione, ma c’era anche altro, e fu con un po' di imbarazzo che entrambi ammettemmo che, malgrado le scaramucce, negli anni qualche pensierino sull’altro era scappato, e aveva galoppato.

Poi, nuovamente beffata dal caso, la situazione cambiò bruscamente. La quotidianità fatta di battutine, screzi e incontri piacevoli sfumò, lasciando spazio al silenzio. Antonio divenne freddo, distante, e cominciò a trattarmi come una palla al piede da utilizzare all’occorrenza. Ammetto che la situazione mi spaesò, ma ero stata io ad iniziare quel gioco con intenti non diversi dal sesso…e avevo troppa paura di avanzare pretese, rischiando di perderlo. Non volevo più perderlo, a quel punto.
Mi comportai male e commisi molti errori, soprattutto nei confronti di me stessa, divenendo niente più che una bambolina dipendente dalla volontà di Antonio, che non assomigliava più allo scimmione rozzo, ma tutto sommato buono e simpatico, che avevo imparato ad “amare” e apprezzare, ma ad un ragazzo freddo e menefreghista, capace di ferire con cattiveria e indifferenza. L’esperienza precedente, però, mi aveva anche aiutato, e quando compresi che stavo ricadendo nello stesso circolo vizioso, per quanto differente fosse la situazione, me ne tirai immediatamente fuori. Presi la situazione di petto, e parlai ad Antonio chiaramente, chiedendogli se per noi ci fosse un futuro e se avesse senso continuare la nostra storia, ma se soprattutto i suoi sentimenti nei miei confronti fossero qualcosa di più rispetto ad “amicizia” ed attrazione fisica.
Con lui fu più semplice capire, a differenza di Gabriele, era stato sempre molto diretto. Mi disse senza mezzi termini che per lui la situazione affettiva era sempre la stessa, che non era cambiato nulla tra noi, e che tanto valeva ritornare “amici come prima”. Seriamente, ma qualcuno al mondo crede davvero che si possa tornare “amici come prima” o siamo tutti vittima del cliché più devastante?

Chiaramente non tornammo amici come prima, perché quelle poche parole scambiate una sera di febbraio in macchina e senza vicinanza, misero fine a tutto: all’amicizia, ai ricordi, agli anni di scuola passati assieme. Il distacco da Antonio fece ancora più male. Tre mesi sono poco tempo, ma dieci anni di condivisione, giornate a scuola, risate e, perché no, anche litigi, come si metabolizzano in un fiat? Piansi tantissimo, e ad un certo punto arrivai a dubitare del mio stato emotivo. Fra Covid, delusioni varie e mutamento fisiologico, non ero più la stessa. Ero un’estranea anche ai miei occhi.

Mi gettai ancora una volta nello studio come un automa. A marzo mi sarei laureata, la tesi era quasi finita, non potevo proprio permettermi di rimanere indietro o, peggio, di bloccarmi. Lo dovevo a me stessa e lo dovevo ai miei genitori, che gestirono quei mesi difficili al mio fianco, senza invadere i miei spazi, ma inondandomi di conforto e comprensione. A loro devo tanto, come devo tanto alla vita…anche solo per il fatto di aver vissuto, di aver sbagliato, di aver imparato qualcosa.

Io non so se lo sfogo di una quasi ventiseienne un po' folle un po' drama queen possa giovare a qualcuno, ma sicuramente è giovato a me, anche scrivere così, di getto.
“Scriva, scriva, vedrà come arriverà a vedersi intero” diceva il Dottor S. ad uno svagato e disilluso Zeno Cosini.
Ed io, scrivendo, sono riuscita a vedermi forse per la prima volta, con forze e debolezze, scelte sbagliate (molte) e scelte giuste (modiche, per quest’anno).

Alla fine di un percorso lungo mesi, il 24 Marzo 2021 è arrivato.

Sapete, mi sono laureata…si ok, ho fatto tutto da casa, circondata da pochissimi parenti e con un bagaglio di amori e di amicizie perse, ma anche di “amori” e amicizie ritrovate. Che ve lo dico a fare, certo che è stato difficile, certo che ho sofferto, ma ho capito anche tante cose su me stessa e sugli altri.



A questo 2020. Questo 2020 maledetto. Questo 2020 maledett
o e benedetto.


 
  
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