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Autore: Magnetic_Ginger    29/05/2021    0 recensioni
***SPOILER FINALE DEL MANGA***
Dopo la sconfitta di Utsuro e del Tendoshu, Gintoki, Katsura e Sakamoto devono fare i conti con quanto accaduto. Una notte lontani da Edo, per ricordare i vecchi tempi e riuscire ad andare avanti.
“Soprattutto ora che siamo qui.. Intorno a un fuoco, sotto le stelle, come ai vecchi tempi.” allungò le gambe davanti a sé, continuando a tenere lo sguardo fisso sul cielo notturno sopra di loro.
“Quante sere come questa abbiamo passato, noi quattro?” La domanda di Katsura fu pronunciata quasi sottovoce, mentre anche il samurai dai capelli lunghi alzava il viso verso l’alto. “Sono passati anni dall’ultima volta, eppure.. eppure sembra che non sia cambiato nulla.”
(Spoiler: The Final) (Mentioned Character Death) (Mentioned: War)
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gintoki Sakata, Kotaro Katsura, Sakamoto Tatsuma, Takasugi Shinsuke
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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“Andare a caccia di ricordi non è mai un bell'affare... Quelli belli non li puoi più catturare e quelli brutti non li puoi uccidere.”

I primi giorni dopo l’ultima battaglia contro Utsuro erano stati frenetici. Finito tutto, quando la polvere si era posata, si erano tutti riversati sulle strade di Edo col cuore in gola, alla ricerca dei propri amici e compagni, nella speranza di intravedere in mezzo alla polvere un viso conosciuto, magari ammaccato e insanguinato, ma comunque vivo. Dopo le prime ore, l’euforia per essere sopravvissuti ed essersi ritrovati aveva ceduto il passo all’incessante susseguirsi di persone da ritrovare, macerie da spostare, edifici da riparare e ferite da curare. Tutti si erano impegnati per dare una mano, vecchie rivalità erano state messe da parte per poter collaborare nelle prime attività di ricostruzione e di soccorso. Di notte le strade venivano illuminate da lanterne, si dormiva accampati dove si riusciva o nelle abitazioni non andate distrutte, esausti per l’attività incessante della giornata e, per chi aveva combattuto, per le ferite riportate durante quell’ultimo scontro.

 

Si erano rivisti dopo l’esplosione, quando si erano imbattuti l’uno nell’altro sulla strada che portava al Terminal, ormai distrutto. Gintoki era barcollato verso di loro, con gli abiti strappati e il corpo pieno di graffi e ferite, gli occhi illuminati da una sorta di folle disperazione che ancora lo spingeva a continuare a camminare. Katsura e Sakamoto gli erano corsi incontro, fermandosi a poca distanza da lui. Non avevano avuto bisogno di dire nulla, le poche frasi scambiate via radio poco prima della distruzione del Terminal erano state più che sufficienti. Sapevano già, forse se l’erano aspettati fin da quando avevano saputo che i due amici si erano infiltrati nella base nemica per tentare di salvare Shoyo.
“Gintoki..”
Gintoki aveva finalmente puntato gli occhi su di loro e poterono distintamente vedere il suo sguardo spegnersi, come se la forza che lo aveva spinto a camminare si stesse finalmente esaurendo.
“Takasugi… Takasugi è..”
La voce gli si ruppe ancora una volta, come era successo via radio. Nessuno dei tre era ancora riuscito a concludere quella frase, neanche nella propria mente, perché dirla l’avrebbe resa vera. Katsura gli posò una mano sul braccio e Sakamoto sulla spalla, in un muto gesto di conforto. Rimasero qualche secondo in silenzio, senza muoversi, mentre ancora una volta un messaggio silenzioso passava fra loro, si capirono perfettamente senza bisogno di esprimere i propri pensieri ad alta voce. Annuirono appena, prima di allontanarsi in tre direzioni diverse, verso i vari gruppi che iniziavano ad adoperarsi per le prime operazioni di soccorso e di sgombero, pur senza allontanarsi troppo l’uno dall’altro o senza perdersi di vista. Da quel momento non si erano fermati un secondo. Il resto della giornata era trascorso in un turbinio confuso d’attività. Avevano aiutato a soccorrere i feriti e li avevano accompagnati alle infermerie improvvisate agli angoli delle strade. Avevano ritrovato conoscenti e compagni, coi quali avevano scambiato poche parole sommesse prima di farsi trascinare nuovamente nelle operazioni più urgenti. Avevano aiutato a raccogliere e spostare le macerie degli edifici, avevano consolato chi aveva perso qualcuno, avevano medicato ferite e scalato cumuli di pietre crollate per sgomberare le strade dai rottami. Eppure, nessuno di loro si era mai allontanato troppo dagli altri due, sempre ben attenti a non perdersi di vista di nuovo anche se non si erano scambiati più che un paio di frasi in tutto il giorno, quanto bastava per chiedere che l’altro gli passasse quel rotolo di bende o lo aiutasse a sollevare quella pietra.

Non si erano mai fermati. Non potevano farlo, perché fermarsi avrebbe significato pensare e non erano davvero pronti per rivivere gli eventi di quella giornata. Sarebbero crollati e non potevano permetterselo in quel momento, dovevano continuare a essere forti ad andare avanti e a fare ciò che era necessario. Avrebbero avuto tempo per fermarsi e per pensare davvero a tutto ciò che era successo, ma non ancora.

Era calato da poco il sole quando Mutsu si avvicinò al suo capitano e, senza dire nulla, gli sfilò dalle mani il mucchio di mattoni che stava spostando. Solo in quel momento, abbassando lo sguardo, il capitano della Kaientai si rese conto che le mani gli stavano tremando per lo sforzo e che reggersi in piedi stava diventando sempre più faticoso. 

“Dovresti fermarti, capitano. Sembrate tutti sul punto di crollare”. commentò col suo solito tono neutro e, dopo avergli lanciato un’ultima occhiata in cui a Sakamoto parve quasi di intravedere un barlume di preoccupazione, il vicecapitano della Kaientai si allontanò.

Sakamoto si guardò intorno, passandosi un braccio sul viso con un gesto stanco. Forse Mutsu aveva ragione, tutti lì intorno parevano esausti. Il papero gigante o qualsiasi cosa fosse davvero, Elizabeth, dava istruzioni ad alcuni Joi con dei cartelli. Accanto a lui, Zura era inginocchiato a terra e stava cercando di bendare la ferita al polso di uno dei suoi uomini, nonostante fosse chiaramente a un passo dal crollare addormentato. Elizabeth lo fece alzare, mentre un altro prendeva il posto del loro comandante, e lo costrinse ad appoggiarsi al muro a sua volta. Zura chiuse gli occhi, appoggiando la testa al muro e prendendo un respiro profondo. Si portò la mano al fianco, con una smorfia, chinandosi per osservare la macchia di sangue secco che sporcava le fasciature fattegli qualche ora prima, quando qualcuno lo aveva obbligato a fermarsi giusto il tempo strettamente necessario a farsi medicare.

Poco più lontano, gli uomini della Shinsengumi si stavano lentamente radunando intorno al proprio comandante, esausti come chiunque altro lì intorno. Il comandante li salutò tutti con un sorriso stanco e una pacca sulla schiena, con qualche parola di conforto alle quali gli uomini risposero con cenni stanchi del capo o, nel caso del vicecomandante e del giovane capitano, rispettivamente accendendosi l’ennesima sigaretta e scrollando le spalle. 

“Devi fermarti Gin-San!”
La voce preoccupata del ragazzo con gli occhiali spezzò il quasi completo silenzio che aleggiava sulla strada. Sakamoto girò la testa in quella direzione e Katsura si raddrizzò appena, cercando la fonte della voce con lo sguardo. Gintoki era inginocchiato vicino a un pilastro di legno e cercava testardamente di spostarlo, senza molto successo. Anche da quella distanza potevano vedere come lo sguardo dell’amico fosse vuoto e distante, come i suoi movimenti fossero meccanici nonostante le braccia gli tremassero per la stanchezza o alcune ferite si fossero riaperte e avessero ricominciato a sanguinare. Gintoki scosse appena la testa, unico segnale che avesse sentito le parole di Shinpachi, ma continuò imperterrito a lavorare. Shinpachi e Kagura scattarono in avanti e lo afferrarono delicatamente per non peggiorare ulteriormente la situazione delle sue ferite, poi lo aiutarono a rialzarsi. Dopo qualche secondo di testarda opposizione, Gintoki sembrò cedere e lasciò che i due ragazzini lo facessero alzare in piedi, barcollando pericolosamente quando si azzardarono a lasciare la presa. 

“Vieni Gin-chan, andiamo a casa adesso” decretò Kagura. Il suo tono e la sua espressione non ammettevano repliche e, preso Gintoki sottobraccio, iniziò a camminare lentamente verso la sede dei tuttofare. Quando passarono davanti a Katsura e a Sakamoto, Gintoki si immobilizzò e cercò il loro sguardo, prima di far loro cenno di seguirli con la testa. Katsura si rialzò a fatica, allontanando con un gesto Elizabeth e altri due Joi che si erano avvicinati per aiutarlo. Scosse la testa, rassicurandoli sul fatto che andasse tutto bene, che potevano andare e si sarebbero rivisti il giorno dopo. Sakamoto intanto lanciò un’occhiata a Mutsu, ferma poco lontana con le braccia incrociate sul petto. Lei annuì appena senza bisogno che il suo capitano le dicesse nulla, per poi fare cenno al resto dell’equipaggio di seguirla in direzione opposta a quella dove era diretto il gruppo dei Tuttofare.

Gintoki osservò la scena in silenzio e non mostrò alcuna reazione quando Katsura e Sakamoto lo affiancarono, osservando i rispettivi sottoposti allontanarsi e lasciarli soli nella strada semidistrutta.

 

Il percorso fino alla sede dell’Agenzia Tuttofare fu breve eppure parve durare un’eternità. Forse era la stanchezza estrema che rendeva ogni passo più faticoso, forse era il silenzio irreale che avvolgeva il gruppetto che si trascinava attraverso le strade semidistrutte. Erano rimasti in silenzio per tutto il tragitto, nessuno aveva le forze di parlare, tutte le energie erano concentrate nel continuare a camminare. Non che avrebbero saputo cosa dire, nel caso. Il silenzio però non era imbarazzante, tutti erano consapevoli che qualsiasi parola sarebbe stata superflua in quel momento. Man mano che si allontanavano dal luogo dell’esplosione il numero di macerie e detriti diminuiva eppure l’atmosfera che li circondava era la stessa, come se l’intera Edo fosse congelata e trattenesse il respiro. La signora Otose stava fumando appoggiata all’ingresso del suo locale quando erano arrivati. Aveva solo gettato loro un’occhiata, come se vederli arrivare insieme, abbattuti, feriti ed esausti, trascinandosi passo dopo passo, fosse esattamente ciò che si aspettava di vedere ed era rientrata nel locale. Avevano arrancato fino al primo piano, i muscoli delle gambe che protestavano a ogni gradino e gli occhi che minacciavano di chiudersi ogni istante. Appena entrarono, Katsura e Sakamoto si accasciarono sui due divani dell’ufficio. Nell’istante esatto in cui sfiorarono i cuscini, i loro occhi si chiusero e si addormentarono di colpo. Gintoki rimase fermo in mezzo alla stanza, con lo sguardo fisso sui due amici addormentati. Shinpachi scosse leggermente la testa e andò nel ripostiglio, da cui emerse qualche secondo dopo con un paio di coperte di riserva che stese sopra i due uomini collassati sui divani. Kagura, intanto, aveva manovrato Gintoki fino alla sua stanza, per poi obbligarlo a sedersi sul futon con gesti quasi gentili.

Il ragazzo con gli occhiali spuntò dal bagno con le braccia cariche di bende e disinfettante.

“Credo sia meglio dare un’occhiata a quelle ferite, Gin-San” esordì dopo qualche istante di esitazione. Gintoki lo fissò stupito, come se non si aspettasse affatto quella frase. Shinpachi sostenne il suo sguardo finché l’altro non sospirò e allungò un braccio nella sua direzione, lasciando che gli sollevasse la manica e iniziasse a disinfettare un primo taglio. Shinpachi lavorò in silenzio per un po’, metodicamente disinfettando e bendando le ferite una dopo l’altra. Kagura li fissava in silenzio, accovacciata accanto a loro con le gambe strette al petto.

“Gin-Chan vuoi un po’ di riso con dell’uovo sopra? Ce ne dovrebbe essere ancora una porzione in frigo.”

Ancora una volta, il samurai osservò i due ragazzi sorpreso. Erano cresciuti così tanto da quando si erano separati, eppure non erano cambiati quasi per nulla. Ma dovevano essere davvero preoccupati per lui per comportarsi così, perché Shinpachi lo obbligasse a farsi controllare le ferite e perché Kagura gli offrisse l’ultima porzione di riso di sua spontanea volontà. Si rese conto di non aver ancora pronunciato una parola da quell’ultima esplosione. Ovviamente erano preoccupati, glielo poteva leggere in faccia, come avrebbero potuto non esserlo?

Si obbligò ad annuire. Avrebbe voluto anche rassicurarli con un sorriso, se lo meritavano, ma i muscoli facciali rifiutarono di muoversi.

“Basta che poi non ti lamenti che hai fame e che non ti do abbastanza da mangiare”, borbottò invece.

L’effetto fu immediato. Kagura gli rivolse un sorriso abbagliante e scattò verso la cucina, per recuperare la ciotola di riso in questione. Anche Shinpachi sorrise e quando riprese a bendargli il polso gran parte della rigidità delle sue spalle era scomparsa.
Dalla cucina iniziarono ad arrivare una serie di rumori sospetti, come se Kagura la stesse mettendo a soqquadro, sbattendo violentemente gli sportelli e spostando pentole.
Gintoki sollevò un sopracciglio all’ennesimo tonfo ma Shinpachi non era per nulla impressionato dal fatto che l’amica sembrasse impegnata in una lotta all’ultimo sangue con una pentola piuttosto che nella preparazione di una tazza di riso.

“Lo capiamo sai?”
La frase di Shinpachi lo colse di sorpresa. Si girò di scatto verso il ragazzino, che stava terminando di fissare la fasciatura sul braccio.
“Capiamo perché te ne sei andato, era una cosa che avevi bisogno di fare da solo, così come Kagura aveva bisogno di andare a cercare una cura per Sadaharu o come io avevo bisogno di restare qui.”
Gintoki aprì la bocca per rispondere ma non ne uscì nessun suono. Non ricordava che quel ragazzino con gli occhiali fosse così saggio.

“Quello che sto cercando di dire è che… Ci dispiace per quello che è successo, per Takasugi-San e per il tuo maestro e.. Avremmo voluto fare di più, essere d’aiuto.”

I rumori provenienti dalla cucina intanto si erano fermati. Kagura entrò silenziosamente nella stanza, spingendo la tazza di riso verso il samurai. Poi, gli allungò una piccola confezione di plastica.

Il samurai sollevò lo sguardo dal cibo davanti a lui, incredulo.
“Abbiamo sempre saputo che saresti tornato” spiegò Shinpachi. 

“Non sapevamo quando però, quindi Shinpachi ha continuato a comprare il budino preferito di Gin-Chan per non restare senza”, completò la ragazza, sorridendo appena e tornando a stringersi le ginocchia al petto.
“Non avevo mai mangiato così tanti budini come ho fatto in questi due anni, non potevo lasciare anche andasse a male.”
Gintoki li fissò, senza sapere cosa dire o come reagire. La naturalezza con cui i ragazzi lo stavano accettando di nuovo fra loro lo aveva colpito, ma non avrebbe mai immaginato nulla di simile. Erano davvero cresciuti.

“Gin-Chan, mangi o no? Guarda che se non mangi, lo mangio io”

La frase successiva di Kagura, così come il suo tentativo di allungarsi verso la ciotola di riso, lo risvegliò dalle sue riflessioni e allungò una mano verso le bacchette.

I ragazzi lo osservarono iniziare a mangiare, come se volessero assicurarsi che lo facesse davvero. Riuscì ad arrivare circa a metà della ciotola, per poi passarla a Kagura che la prese e la svuotò in un unico istante. Shinpachi li osservò, cercando di mantenere un’espressione seria e fallendo miseramente, lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso.

Aveva appena aperto la confezione di budino quando i due ragazzi ripresero a parlare.
“Perché non sei venuto a cercarci, Gin-Chan? Quando sei tornato potevi venire a chiederci aiuto.”

Gintoki sospirò, abbassando lo sguardo sul budino davanti a sé.

“Stavo cercando di salvare colui che aveva provato a ucciderci tutti. Come potevo presentarmi da voi e chiedervi di aiutarmi, dopo ciò che ci aveva fatto? Dopo avervi lasciato soli per due anni, come potevo rispuntare e chiedervi di rischiare la vita per aiutare…”

La voce gli si ruppe, ricordando che aveva detto quasi le stesse frasi a Takasugi, quando quest’ultimo gli aveva posto la stessa domanda. Non era stata solo la vergogna per ritornare dopo due anni in cui non aveva dato sue notizie, era soprattutto il pensiero di chiedere a quei due ragazzi di rischiare ancora le loro vite per salvare colui che gliele aveva rovinate. Come avrebbe potuto guardarli in faccia e fare una simile richiesta? Come avrebbe potuto chiedere a Kagura di aiutarlo, dopo ciò che era successo a Sadaharu? Non era riuscito a farlo.
“Non lo avremmo fatto per aiutare Shoyo-Sensei” lo interruppe Shinpachi, tornato serio. “Lo avremmo fatto per aiutare te. Shoyo-Sensei è stato importante per te e per noi questo sarebbe stato sufficiente. Forse ti avremmo dato dell’idiota, ma ti avremmo aiutato.”
“Gin-Chan è stato lontano per troppo tempo” commentò Kagura con tono neutro, sgranocchiando un pezzo di sukonbu che aveva tirato fuori da chissà dove “Non eravamo lì a prenderlo a calci quando dice cose idiote e si è rincretinito ancora di più”

Un’ondata di affetto per quei due ragazzini investì potentemente Gintoki, che si ritrovò a fissarli senza sapere cosa dire. Shinpachi ricambiò lo sguardo, con un mezzo sorriso, mentre Kagura continuò a mangiare l’alga con indifferenza.

“Ora dovresti dire che ti dispiace, Gin-Chan” continuò la ragazza a bocca piena “E che per farti perdonare ci comprerai una scorta a vita di sukonbu e sarai per sempre il nostro servitore”

“Kagura-chan!” esclamò Shinpachi, spalancando gli occhi alle parole dell’amica. Gintoki non poté farne a meno e una mezza risata gli sfuggì dalle labbra. Dopo un primo istante di sorpresa, anche i due ragazzi si unirono alla risata. Per un solo istante, mentre rideva con Shinpachi e Kagura, le immagini di ciò che era successo negli ultimi mesi e, soprattutto, quel giorno sparirono dalla sua mente. Da quanto tempo era che Gintoki non rideva così?

Quando smisero di ridere, Shinpachi si alzò in piedi. “Dovresti riposare, Gin-San. Prova a dormire.”

Gintoki rispose con una specie di saluto militare, a cui il ragazzo roteò gli occhi e fece cenno a Kagura di alzarsi e seguirlo nell’altra stanza. Esitarono un momento prima di uscire, come se volessero dire qualcosa.

“Se hai bisogno di me, Gin-Chan, non chiamarmi. Ho bisogno del mio sonno di bellezza.”

“Kagura-Chan!”

I due si allontanarono continuando a battibeccare e Gintoki si stese sul futon, facendo attenzione a non mettere troppo peso sulle ferite. La stanchezza di quel giorno lo travolse nuovamente e si addormentò quasi all’istante, un mezzo sorriso ancora stampato sul viso.

 

***

 

Il giorno dopo continuarono ad aiutare nelle strade. Appena svegli avevano parlato tutti insieme: Gintoki, Katsura e Sakamoto avevano messo al corrente Shinpachi e Kagura degli eventi accaduti anni prima, seppur con poche e semplici frasi, cercando di soffermarsi il meno possibile sui momenti peggiori. I ragazzi erano sconvolti da ciò che i tre adulti avevano finalmente raccontato, evidentemente non aspettandosi nulla di simile. Anche quando Gintoki aveva parlato di ciò che era accaduto il giorno prima, lo aveva fatto in modo freddo e distaccato. Sakamoto era rimasto in silenzio, stringendo i pugni sulle gambe incrociate. Katsura teneva gli occhi chiusi e la testa china, le dita strette intorno alla tazza di tè che aveva in grembo. Era stata la prima e l’unica volta in cui i tre adulti avevano parlato ad alta voce di tutto ciò che era successo, riportando alla luce gli eventi che anni prima li avevano separati e quelli che più di recente li avevano riuniti, e anche in quel momento avevano tutti mantenuto un autocontrollo d’acciaio che aveva stupito i due ragazzi.

A quel punto i tre uomini si erano alzati ed erano usciti. Non erano rientrati fino a serata inoltrata, dopo aver trascorso la giornata in strada a fare tutto il possibile per rimettere in piedi Kabuki-Cho. La sera avevano cenato in silenzio, mangiando il cibo che Mutsu aveva portato loro direttamente dall’ammiraglia della Kaientai. Sakamoto aveva abbassato le bacchette e le aveva rivolto un sorriso stanco, dicendole di “fare i complimenti a Nonnina, è sempre una cuoca imbattibile”. La vice aveva risposto con un sospiro esasperato e un “diglielo tu stesso quando ritorni a bordo, Capitano”, prima di lasciare la stanza. Anche Elizabeth aveva trascorso la serata con loro, aggiornandoli sulle ultime notizie della situazione politica di Edo. Katsura lo aveva ascoltato, annuendo distrattamente, mentre gli altri lo ignoravano preferendo concentrarsi sul cibo. Ancora una volta erano tutti andati a dormire appena finito di mangiare, Katsura e Sakamoto sui divani e i tre tuttofare nei rispettivi futon.

 

Il terzo giorno dalla battaglia fu identico al giorno precedente.

 

Ormai non c’era quasi più nulla da fare, tutte le operazioni d’emergenza erano state portate a termine, eppure i tre ex-Joi avevano continuato a uscire tutte le mattine dopo colazione e a non rientrare fino a sera inoltrata, a cenare in silenzio e ad andare a dormire. Tutte le sere, Mutsu, Elizabeth, Shinpachi e Kagura li osservavano in silenzio. La quarta sera, dopo che i tre uomini si erano congedati, rimasero loro quattro sulla veranda in legno davanti all’ingresso.

“Sono preoccupato per Gin-San” commentò Shinpachi, lo sguardo fisso sull’ingresso. “A parte il primo giorno, non ha più parlato di quello che è successo al Terminal. Non.. non può continuare così.”

Elizabeth annuì soltanto, sollevando un cartello in cui si poteva leggere “Anche Katsura-San non sta bene.”
“Ieri non mi ha corretto quando l’ho chiamato Zura” confermò il ragazzo con gli occhiali, annuendo.

Il vicecapitano della Kaientai era in silenzio, appoggiata a una delle colonne di legno.

“Non ho più sentito il capitano ridere da quella battaglia, neanche una volta.” commentò soltanto, incrociando le braccia sul petto. “Non pensavo avrei mai sentito la mancanza della sua risata irritante.”

“Non avevo mai visto Gin-chan così.” mormorò Kagura mentre accarezzava le orecchie di Sadaharu, che decise di partecipare alla conversazione con un mugolio triste.

Dall’altro lato dello shoji, i tre uomini erano seduti sul pavimento con le schiene appoggiate al muro e ascoltavano la conversazione all’esterno. Sakamoto sospirò e appoggiò la testa alla parete, per poi incrociare lo sguardo degli altri due. Gintoki chiuse gli occhi e strinse i pugni, furioso con sé stesso per star facendo preoccupare i due ragazzini per l’ennesima volta. Fuori dall’Agenzia Tuttofare era tornato il silenzio quando i due ragazzi erano scesi da Otose insieme a Elizabeth e Mutsu. 

“Pensate che dovremmo…?”

Katsura si interruppe. Ne avevano parlato solo una volta e solo per pochi minuti, ma avevano velocemente lasciato perdere l’idea quando erano stati nuovamente assorbiti dal lavoro. Sakamoto annuì, sfregandosi distrattamente il polso destro.

“Dovrei lasciare un messaggio a Mutsu, di non venire a cercarmi.” Lanciò un’occhiata a Gintoki “E tu dovresti fare altrettanto, Gintoki.”

Quest’ultimo riaprì gli occhi e si alzò in piedi,

“Partiamo fra due ore” commentò soltanto, prima di chiudersi la porta dell’ufficio alle spalle.

 

Il mattino dopo, Shinpachi fu malamente svegliato da Kagura. L’amica era pallidissima e lo stava scuotendo per svegliarlo. Ci mise qualche secondo per decifrare ciò che gli stava dicendo, ma appena capì si alzò di scatto.
“Come sarebbe a dire che Gin-San è scomparso?”

Corse verso la stanza del suo capo, seguito a ruota dalla ragazza. “Non ha dormito qui stanotte e quando mi sono svegliata non c’era”. Spalancarono la porta e la stanza in cui si trovarono era deserta, il futon inutilizzato.

Si impose di restare calmo. Kagura era già abbastanza agitata, almeno lui doveva mantenere la lucidità. Gin-San non poteva essersene andato, non di nuovo, non così presto.

L’attenzione di Shinpachi fu immediatamente attirata da un biglietto lasciato sul tavolo. Si avvicinò e lo aprì con dita tremanti.

“L’ha scritto Gin-San”

Kagura si avvicinò, cercando di sbirciare sopra la sua spalla.
“Cosa dice?”

Lesse velocemente le poche frasi scritte sul biglietto.
“Che tornerà fra qualche giorno e di non preoccuparci.”

Strinse il foglio di carta nel pugno.

“Sono scomparsi anche Katsura-San e Sakamoto-San, non è vero?”.

La ragazza annuì. Shinpachi sospirò, chinando la testa, per poi dirigersi verso il telefono sulla scrivania.

Il vicecapitano della Kaientai rispose al secondo squillo.

“Ha lasciato una nota che torneranno fra qualche giorno.” confermò, prima ancora che il ragazzo aprisse bocca. Il suo tono non era per nulla stupito, come se si fosse aspettata sia quella telefonata che di svegliarsi quella mattina e scoprire che il suo capitano era scomparso. “Sarei pronta a scommettere che anche Elizabeth-San abbia trovato un biglietto simile questa mattina.”
“Cosa possiamo fare, Mutsu-chan?” intervenne Kagura, strappando la cornetta dalle mani del ragazzo con gli occhiali.
“Niente.”

“Come niente?!”

“Assolutamente niente.” confermò il vicecapitano della Kaientai, tagliente. Tacque un istante e, quando riprese a parlare, il suo tono di voce aveva perso quella vena d’acciaio che spesso lo caratterizzava. “Quei tre hanno bisogno di venire a patti con ciò che è successo e per farlo hanno bisogno di tempo per pensarci ed accettarlo, e non lo faranno mai se continuano a restare qui. Hanno bisogno di stare da soli, solo loro tre. Tutto ciò che noi possiamo fare ora è lasciar loro lo spazio che gli serve ed esserci quando finalmente si sentiranno pronti a tornare.”

Shinpachi e Kagura tacquero. Sapevano che Gin-san, così come Katsura-san e Sakamoto-san stavano avendo difficoltà ad accettare la morte dell’amico ma… li avevano sempre visti forti, in grado di rialzarsi e andare avanti nonostante tutto. Avevano sempre continuato a camminare e a sorridere, non lasciandosi mai abbattere. La morte di Takasugi doveva averli colpiti più profondamente di quanto i ragazzi avessero immaginato.

“Torneranno presto, vedrete. E saranno di nuovo i tre cretini che conosciamo. Fino ad allora, non possiamo fare altro che aspettarli.”

 

***

 

This is where the chapter ends
A new one now begins
Time has come for letting go
The hardest part is when you know
All of these years - When we were here
Are ending, but I'll always remember

 

We have had the time of our lives
Now the page is turned
The stories we will write
We have had the time of our lives
And I will not forget
The faces left behind
It's hard to walk away
From the best of days
But if it has to end
I'm glad you have been my friend
In the time of our lives

 

Si erano accampati in un piccolo spiazzo fra gli alberi. Avevano lasciato cadere le borse sul terreno coperto di foglie e avevano iniziato a darsi da fare per accendere il fuoco. Quando le fiamme iniziarono a scoppiettare, gettando riflessi rossi sui loro visi stanchi, si sedettero intorno al falò.

 

Era stata una giornata lunghissima. Avevano lasciato Kabuki-cho prima dell’alba eppure solo nel tardo pomeriggio erano finalmente arrivati alla loro destinazione. Le rovine della Shoka Sonjuku. Si erano fermati al limitare di quello che un tempo era stato il territorio della scuola, osservando le rovine in silenzio, senza sapere bene cosa dire. 

Dopo qualche minuto, finalmente Gintoki aveva preso l’iniziativa. Avevano camminato fra le rovine in silenzio, fino ad arrivare a quello che un tempo era il dojo ed edificio principale. Non era rimasto molto, solo alcuni monconi di travi carbonizzate e mattoni anneriti.

Si erano inginocchiati davanti ai resti dell’edificio. L’atmosfera era surreale. Un silenzio di tomba aleggiava in quel luogo, a parte il leggero fruscio del vento freddo che soffiava intorno a loro. Anche i rumori della foresta sembravano attenuati e distanti, come se quel luogo fosse racchiuso in una bolla.

Non avrebbero saputo dire quanto tempo erano rimasti lì, inginocchiati in silenzio fra le rovine di quella che un tempo era stata la casa di due di loro, un luogo che nessuno avrebbe mai pensato di visitare di nuovo. Quando il sole era iniziato a tramontare, si erano rialzati e avevano lasciato quel luogo fantasma, ritornando ad addentrarsi nei boschi che lo circondavano.

 

Ora erano seduti nello spiazzo in cui avevano deciso di accamparsi, il fuoco che divampava allegramente in mezzo a loro, illuminando la radura e gettando bagliori sui loro visi stanchi. Erano esausti ed emotivamente svuotati. Avevano pensato che visitare i resti della scuola li avrebbe aiutati a trovare una sorta di chiusura, ma non era stato così. Sapevano di non poter continuare a scappare da ciò che era successo, a stremarsi al punto di non dover pensare. Trovarsi lì seduti, loro tre, li stava per la prima volta mettendo di fronte ai fatti e nessuno di loro sapeva come iniziare ad affrontare quel nodo che serrava loro la gola.

Il silenzio che si era creato fu rotto dal brontolio improvviso dei loro stomaci. Si scambiarono un’occhiata stupita. Sakamoto si passò una mano fra i capelli, lasciandosi sfuggire una mezza risata, mentre Katsura storse il naso fingendo che non fosse stato anche il suo stomaco a brontolare. Nessuno di loro si era reso di quanto tempo fosse passato dal loro ultimo pasto, o di essere così affamati. Katsura aprì una delle borse e ne estrasse alcuni onigiri che passò agli amici, per poi mettersi a mangiare a sua volta.

 

Where the water meets the land
There is shifting in the sand
Like the tide that ebbs and flows
Memories will come and go
All of these years
When we were here
Are ending
But I'll always remember
 

We have had the time of our lives
Now the page is turned
The stories we will write
We have had the time of our lives
And I will not forget
The faces left behind
It's hard to walk away
From the best of days
But if it has to end
I'm glad you have been my friend
In the time of our lives

 

Fu solo quando tutti e tre ebbero finito di mangiare che il loro sguardo fu attirato dalla confezione di onigiri aperta fra loro. Confezione che sarebbe dovuta essere vuota e invece conteneva ancora una quarta porzione. I loro sguardi si incrociarono. Sakamoto aveva gli occhi spalancati, Gintoki si era irrigidito in una espressione neutra, Katsura era impallidito di colpo.

“Non.. non ci ho pensato.” riuscì solo a mormorare, tenendo lo sguardo fisso sugli onigiri ancora nella confezione. “E’ stata l’abitudine, non ho neanche pensato a quanti prenderne”.

Fu Sakamoto ad allungare una mano e a posargliela sulla spalla, in un gesto di conforto. Senza aggiungere nulla, chiuse il coperchio della confezione di onigiri e la ripose in una delle borse. Alzò il viso verso il cielo, osservando le stelle.

“Anche io non riesco ancora a crederci” mormorò soltanto, la voce stranamente bassa rispetto a suo solito “Che se ne sia andato, intendo. Mi aspetto di girarmi e trovarlo qui, e invece non c’è.”

Era la prima volta che uno di loro affrontava il discorso così apertamente, a parte quell’unica volta la mattina dopo. Katsura annuì appena, stringendo la stoffa del kimono nei pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Solo Gintoki non aveva ancora detto nulla, si limitava a fissare le fiamme, il corpo rigido e l’espressione vuota.

“Soprattutto ora che siamo qui.. Intorno a un fuoco, sotto le stelle, come ai vecchi tempi.” allungò le gambe davanti a sé, continuando a tenere lo sguardo fisso sul cielo notturno sopra di loro.
“Quante sere come questa abbiamo passato, noi quattro?” La domanda di Katsura fu pronunciata quasi sottovoce, mentre anche il samurai dai capelli lunghi alzava il viso verso l’alto. “Sono passati anni dall’ultima volta, eppure.. eppure sembra che non sia cambiato nulla.”

“Mh, le stelle sono ancora le stesse di allora.” Gli occhi del mercante erano ancora fissi verso l’alto. Anche da ragazzo era spesso stato così, con lo sguardo puntato in alto, sulle stelle e sulle mille avventure che lo attendevano nello spazio. Scosse la testa, tornando a fissare il fuoco. “Guardandole, Sembra quasi che non sia passato neanche un giorno, e invece...”
Katsura si strinse appena nelle spalle, rivolgendo un sorriso stanco agli amici. “Non avrei mai immaginato che ci saremmo ritrovati, o che avremmo passato un’altra serata così. Non dopo così tanti anni.” fece una pausa e si lasciò sfuggire un sospiro. “Dopo la guerra abbiamo passato così tanti anni da soli, ad evitarci o addirittura ad odiarci. Forse, se ci fossimo ritrovati prima... “

 

La voce gli si spense in gola. Il silenzio tornò a calare intorno al fuoco, mentre tutti ripercorrevano mentalmente sia i momenti passati insieme che i lunghi anni che avevano trascorso separati, incontrandosi solo sporadicamente e mai tutti insieme, mai davvero affrontando ciò che li aveva separati.

Gintoki non aveva ancora parlato, si era limitato a tenere lo sguardo fisso sulle fiamme, la gola serrata da un nodo che non riusciva a sciogliere. Era sollevato di essere finalmente lì con i due amici, di poter finalmente lasciar cadere la facciata che fino ad allora si era obbligato a mantenere per non far preoccupare gli altri. Ma sapeva che quella facciata non era necessaria con Tatsuma e con Zura, perché anche loro condividevano quella sensazione di vuoto che gli stringeva lo stomaco.

Quando li aveva rivisti a fine battaglia, ammaccati e feriti ma vivi e insieme a tutti gli altri, gli era sembrato che il peso che sentiva sulle spalle si fosse improvvisamente sollevato e aveva sentito il potente impulso di correre verso di loro e abbracciarli, assicurarsi che fossero davvero lì. Vedendoli coperti di polvere e sangue era stato come essere trasportato indietro nel tempo, sui campi di battaglia di tanti anni prima, quando dopo ore passate a combattere si ritrovavano all’accampamento e il sollievo di riunirsi riusciva a scacciare le sensazioni della giornata. Sapeva che anche per gli altri due era stato così, motivo per cui avevano trascorso i giorni seguenti senza perdersi troppo di vista. Eppure proprio il sollievo di averli rivisti, il lampo di comprensione sui loro visi quando avevano incrociato il suo sguardo e la loro muta comprensione aveva peggiorato la consapevolezza del vuoto lasciato da Takasugi.

Si riscosse solo quando vide Sakamoto porgergli un bicchiere e una bottiglia di sakè, un mezzo sorriso di comprensione dipinto sul volto. La tensione che sentiva in tutto il corpo si allentò. Prese il bicchiere che gli porgeva l’amico e lo riempì. Sia Katsura che Sakamoto fecero altrettanto, riempiendo i propri bicchieri.

Rimasero così, con in mano i bicchieri di sakè. I loro sguardi si incrociarono e di nuovo una sola occhiata fu sufficiente a capirsi. Tatsuma e Zura avevano ragione quando dicevano che l’essere lì insieme era quasi come le centinaia di serate che avevano trascorso accampati insieme durante la guerra. Ma l’assenza del quarto del gruppo era troppo forte, troppo palese, perché fosse davvero come allora.

 

We say goodbye
We hold on tight
To these memories
That never die
We say goodbye
We hold on tight
To these memories
That never die


I lunghi anni trascorsi combattendo fianco a fianco li aveva portati a sviluppare una sorta di telepatia, la capacità di capirsi solo attraverso uno sguardo o un piccolo gesto. Nonostante il tempo che avevano trascorso separati, sembrava che quella capacità di capirsi non fosse scomparsa ma solo sopita. Quando si erano ritrovati sullo stesso campo di battaglia si era naturalmente risvegliata, permettendogli di combattere come un unico essere, muoversi in perfetta sincronia senza bisogno di parlarsi, sapere dove si trovassero gli altri senza bisogno di cercarli e avere la sicurezza che si sarebbero guardati la schiena a vicenda; ora gli permetteva di capirsi senza bisogno di vocalizzare le emozioni che non avrebbero comunque saputo come esprimere. Sakamoto estrasse un quarto bicchiere dalla borsa e lo passò al samurai dai capelli argentati, che lo riempì e lo appoggiò davanti a sé. 

Si schiarì la voce. “Una volta… qualcuno mi ha detto che certe ferite si possono guarire solo così. Che non importa chi vince la guerra, perché si perderà sempre qualcuno o qualcosa. Ma che se ci sarà qualcuno che porterà avanti quegli ideali, anche coloro che sono morti non se ne saranno andati per sempre, la loro anima sarà ancora viva.”

Katsura e Sakamoto lo guardarono. Erano seri, eppure un’ombra di sorriso aleggiava sui loro volti. Gintoki era consapevole di avere un’espressione simile dipinta sul viso, un sorriso nostalgico e triste.

Fece un respiro profondo.
“Takasugi non è morto, non davvero, perché noi continueremo a ricordarci di lui e del tempo trascorso insieme. E allora noi non abbiamo bisogno di funerali o parole di addio. Ci basterà scambiarci queste tazzine di sakè, bere tutti e quattro insieme come facevamo allora.”

Gli altri due annuirono, sollevando i bicchieri.

“Avremmo dovuto farlo prima.” commentò Sakamoto, con un mezzo sorriso. “Certo, a volte ci vedevamo comunque ma… non era lo stesso, non c’eravamo tutti.”
Nessuno dei tre ebbe il coraggio di dire ad alta voce che non sarebbe mai più stato lo stesso, nonostante tutti lo stessero pensando. 

Bevvero il sake nello stesso momento, poi Gintoki allungò la mano verso il quarto bicchiere e lo sollevò. La mano gli tremò per un istante, finché non fece un respiro profondo e cercò lo sguardo dei suoi amici. Con un unico gesto ampio, versò il liquore nell’aria, lasciando che ricadesse intorno a loro in tante piccole gocce, come il comandante della Shinsengumi aveva fatto in omaggio all’allora appena deceduto Shogun anni prima.

Nessuno aveva detto nulla mentre le gocce di sake erano ricadute sul fuoco in mezzo a loro. Non avevano distolto lo sguardo, neanche per un secondo. Eppure, mentre il fuoco continuava a scoppiettare, tutti e tre si ritrovarono a sorridere mentre il senso di vuoto che li aveva accompagnati in quei giorni si attenuava leggermente. In quel momento, ebbero quasi l’impressione di essere ancora una volta in quattro, di non avere neanche vent’anni e di essere seduti intorno al fuoco dopo una lunga giornata sui campi di battaglia. Gli sembrò di sentire le risate dei soldati poco lontano, il nitrire dei cavalli e le reclute che cantavano per alleviare la tensione. E soprattutto gli parve di sentire la voce di Takasugi dargli degli idioti per il modo in cui stavano reagendo, per lasciarsi abbattere così, che avevano sempre saputo quali fossero i rischi e che non si era mai aspettato che quell’ultima battaglia finisse diversamente, quindi di smetterla di comportarsi come delle fighette imbecilli e darsi una regolata.

Katsura scosse la testa, lasciandosi sfuggire un verso divertito.
“Se ci vedesse, ci direbbe che siamo tre idioti.”
Gintoki lo guardò, stupito. Sakamoto non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.
“E ci avrebbe preso a pugni tutti e tre.” aggiunse, scuotendo la testa, strappando una risata anche a Katsura. Gintoki rimase in silenzio per un istante ma, prima di rendersene conto, si rese conto di star ridendo a sua volta. Gli altri due avevano ragione, Takasugi non li avrebbe mai voluti vedere così, non ora che era finalmente riuscito a raggiungere l’obiettivo che si era prefissato così tanti anni prima.

“E poi ora ci darebbe di nuovo degli imbecilli e dei bastardi, perché stiamo ridendo, e ci direbbe di crepare.” continuò Sakamoto, fra le risate generali.

“Non gli andava mai bene niente, a quel nano malefico.” commentò Gintoki con un ghigno, strappando agli altri due l’ennesima risata.

 

Continuarono a ridere, immaginando l’amico sbraitare contro di loro, minacciare di ucciderli e tentare anche di farlo. Trascorsero così l’intera sera, seduti sotto le stelle a ricordare i momenti trascorsi insieme e a bere sakè. Più ricordavano, più ridevano, complice anche l’alcool che gli arrossava le guance e gli annebbiava il cervello. Quando finalmente le risate si calmarono, Gintoki si rese conto che erano anni che non rideva con loro così tanto e così a lungo, o che non riusciva a parlare del proprio passato così serenamente.

Sia le risate che l’alcool erano finite quando si sdraiarono sull’erba, con le mani dietro la testa e gli occhi puntati sul cielo pieno di stelle. Rimasero così per ore, con le teste vicine a quelle degli altri, a scambiarsi battute e racconti su tutto ciò che era successo in quegli anni, sia ciò che avevano trascorso insieme che le avventure vissute da soli. Sakamoto gli indicò le varie stelle su cui era stato, fra racconti sempre più folli. Katsura si lanciò in racconti altrettanto assurdi sulle sue imprese per sfuggire alla Shinsengumi e cambiare il paese, facendo roteare gli occhi a Gintoki per il modo in cui l’amico riusciva sempre a nascondere la sua idiozia dietro a una maschera seria e compassata. Anche lui si lasciò andare, raccontando agli amici le mille avventure che aveva vissuto da quando Shinpachi e Kagura avevano in un certo senso deciso di adottarlo. Risero insieme delle cose più ridicole che gli erano capitate, completandosi a vicenda le frasi quando parlavano delle avventure che invece avevano condiviso.  Gintoki non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma stare lì sdraiato con i suoi amici di sempre, ascoltando Tatsuma ridere e punzecchiare Zura che rispondeva piccato, gli era mancato più di quanto si fosse mai permesso di realizzare. In fondo non li aveva mai completamente lasciati andare, per quanto si fosse convinto di averlo fatto, di aver reciso ogni legame che lo aveva legato a quei due, a quei tre idioti. E ora che li aveva ritrovati, non aveva intenzione di commettere di nuovo lo stesso errore e perderli di nuovo. Forse si sarebbero separati e ognuno sarebbe andato per la sua strada, ma sapeva che comunque non si sarebbero più persi del tutto.

Si addormentarono vicini, schiena contro schiena, come si erano abituati a fare da ragazzi. All’epoca era per questioni di sicurezza, per avere le spalle coperte in caso qualcuno li attaccasse nel sonno. Ora era dettato dall’abitudine, ma anche dal bisogno di sentire gli altri due, di ricordarsi che erano lì. Gintoki era abituato a dormire all’addiaccio sul terreno, lo aveva fatto per buona parte della sua vita dopotutto. Non gli era mai piaciuto, non era neanche letteralmente paragonabile alla comodità di un futon e una stanza calda. Eppure, osservando gli altri due già addormentati, sentì una sorta di calore all’altezza del petto che non provava da quando aveva parlato con Shinpachi e Kagura la notte dopo la battaglia, un moto di affetto per quei due imbecilli che ancora una volta erano testardamente rimasti al suo fianco per quanto avesse cercato di allontanarli. Scosse appena la testa, incolpando l’alcool per quei pensieri d’affetto verso gli amici, pensieri che non avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, prima di addormentarsi a sua volta.

 

We have had the time of our lives
Now the page is turned
The stories we will write
We have had the time of our lives
And I will not forget
The faces left behind
It's hard to walk away
From the best of days
But if it has to end
I'm glad you have been my friend
In the time of our lives
I'm glad you have been my friend
In the time of our lives

 

La mattina dopo Gintoki fu svegliato da tre cose. Primo, il raggio di sole che gli colpiva il viso. Secondo, un rametto conficcato nella schiena. E terza, la voce soave di Sakamoto Tatsuma che lo chiamava.

“Ohi, Kintoki! Svegliati bell’addormentato!”

“Stai un po’ zitto, razza di mercante da strapazzo.” borbottò, più per abitudine che perché fosse davvero seccato. “Ti sembra il modo di urlare di prima mattina?”
Sakamoto rise e Gintoki nascose un mezzo sorriso, fingendo di girarsi e dargli le spalle per continuare a dormire.
“Su su, Kintoki! E’ ora di alzarsi, Zura ha preparato la colazione!”
“Non sono Zura, sono Katsura. E Tatsuma ha ragione, la colazione è pronta.”
Gintoki si alzò, osservando i due amici sorridergli da sopra le braci del fuoco della sera prima.
Katsura gli allungò una tazza fumante di caffé.
“Come diavolo avete fatto a preparare il caffé in mezzo a un bosco?”
Sakamoto scoppiò a ridere e Katsura si strinse nelle spalle. “Uno degli infernali affari amanto che Tatsuma ha raccattato chissà dove nello spazio. Almeno funziona, per una volta.”
“Ohi”

Gintoki osservò i due amici battibeccare da sopra la tazza di caffé e non poté fare a meno di sorridere alla normalità della scena che aveva davanti. Nascose velocemente il sorriso fingendo di bere. Sorriso che si trasformò in una smorfia disgustata al primo sorso, che si affrettò a sputare addosso a Katsura.

“Zuraaaaaa questa schifezza è senza zucchero!”

 

Finito di fare colazione fra un battibecco e l’altro, si misero in spalla gli zaini e tornarono ad incamminarsi verso le rovine della scuola. Nella luce del mattino quel luogo sembrava meno spettrale che la sera prima. Forse era cambiata anche la loro percezione, forse la serata che avevano condiviso aveva finalmente allentato il nodo che gli serrava lo stomaco. Quella che un tempo era la scuola dove avevano studiato non appariva più come un luogo spettrale e gelido. Era sempre abbandonato, eppure l’atmosfera era pacifica, serena, di un luogo d'altri tempi che è finalmente venuto a patti con la fine della propria epoca.

Anche quel mattino si fermarono davanti a quello che era stato l’edificio principale e, come avevano fatto il giorno prima, si inginocchiarono e rimasero qualche secondo in silenzio, con la testa china.

Finalmente Gintoki aprì lo zaino e ne estrasse un oggetto avvolto in un panno bianco. Lo aprì lentamente, rivelando la katana spezzata di Takasugi. Ancora una volta un nodo gli serrò la gola. Tutto taceva come se l’intera foresta si fosse fermata e avesse lo sguardo puntato sui tre uomini in mezzo alle rovine, impegnati nell’ultimo omaggio a quello che era stato uno dei loro migliori amici.

Posarono la spada spezzata su una pietra davanti a loro, in una sorta di tomba simbolica. Accanto, vi lasciarono i quattro bicchieri per sake da cui avevano bevuto la sera prima e la scatola con l’onigiri avanzato.

 

Avevano già detto tutto ciò che c’era da dire quella notte davanti al fuoco, quindi si alzarono e si avviarono verso il limitare delle rovine camminando fianco a fianco. Improvvisamente, un soffio di vento spazzò il luogo. Esitarono, fermandosi appena prima dei primi alberi, come se qualcuno li avesse chiamati.

Istintivamente Gintoki si girò, il suo sguardo attratto dalla tomba simbolica che avevano creato per il loro amico. Il fiato gli rimase bloccato in gola.

Seduto sulle pietre, con uno dei bicchierini di sake che avevano posato lì solo pochi istanti prima stretto fra le dita e impegnato a fumare la pipa, Takasugi incrociò il suo sguardo.
Gintoki rimase immobile a fissarlo mentre allontanava la pipa dalle labbra, sollevava il bicchiere di sake e lo beveva in un unico sorso, come avevano fatto loro la sera prima quando avevano brindato in suo onore.

Sbatté le palpebre e, quando riaprì gli occhi, Takasugi era scomparso.
Gintoki sorrise, prima di tornare a girarsi e raggiungere Tatsuma e Zura, che lo attendevano qualche passo più avanti con aria interrogativa. Passò un braccio intorno alle spalle di ognuno di loro, sorridendo, per poi continuare a camminare nella direzione da cui erano venuti il giorno prima, senza voltarsi più indietro. Non aveva bisogno di farlo.

Ci vediamo all’inferno Takasugi. Aspettami lì.


****
Note dell'autrice

Gli headcanon presenti in questa fanfiction sono condivisi con Quasar93 e Bored94, quindi se avete letto/leggerete più fanfiction nostre e trovate delle somiglianze è normale, siamo d'accordo per riempire a turno i vari missing moments. Ci conosciamo irl e spesso facciamo brain storming insieme quando scriviamo. Il risultato è stato questo progetto collettivo di millemila ff varie ed eventuali, per soddisfare la nostra ossess   il nostro amore per questo fandom e per quei quattro scemi che sono Gintoki, Takasugi, Katsura e Sakamoto.

Le nostre fanfiction che rientrano al momento nel progetto sono, in ordine cronologico:
- Sometimes the only choices you have are bad ones. But you still have to choose - Quasar93
- L'unica scelta possibile - Bored94
- Il peso di una promessa - Bored94
- Riconciliazione - Bored94
- Propositi e vendette - Bored94
- Nightmares – Quasar93
- Non fare domande se non sei pronto per la risposta – Bored94
- Andare a caccia di ricordi non è mai un bell'affare... quelli belli non li puoi più catturare e quelli brutti non li puoi uccidere - Magnetic_Ginger

Mentre la timeline su cui ci basiamo, ricavata dai riferimenti canon e adattata un pochino è questa (basata sull'età di Gintoki):
- 8 anni Gintoki viene trovato da Shōyō
- 10/11 anni Takasugi e Katsura arrivano alla Shoka Sonjuku
- 16/17 anni Shōyō viene catturato e i ragazzi entrano in guerra
- 18 anni incontrano Sakamoto
- 21 anni morte di Shōyō, i jōi4 si separano, Gintoki si consegna agli Hitotsubashi
- 22 anni Gintoki si stabilisce a Kabuki-chō
- 27 anni incontro con Shinpachi e Kagura
- 30 anni guerra contro l'esercito della liberazione
- 32 anni arco dei due anni dopo
- 34 anni epilogo del manga

La citazione del titolo è di Giorgio Faletti.

   
 
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