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Autore: Leonhard    31/05/2021    0 recensioni
Otto anni dopo la sconfitta di Artemisia il mondo ha subito cambiamenti tali che il Garden fatica a stare al passo. Sei giovani SeeD impegnati nella più grande battaglia della vita, quella che tutti saranno chiamati a combattere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I tre si scrutarono per qualche secondo, poi il giovane sollevò lentamente una mano: stringeva un piccolo congegno simile ad una radiolina da cui spuntavano un’antenna ed una leva rossa; a coprire la mano, una piccola tastiera sotto un display su cui lampeggiava un cursore accanto alla scritta CODE.

“Salve ragazzi” disse. La figura davanti a loro conservava poco del giovane che avevano conosciuto anni prima: le spalle erano più larghe ed i capelli più lunghi, indossava un completo nero sopra una camicia bianca e guanti a mezza falange che coprivano le mani; la cicatrice si era finalmente chiusa, riducendosi ad una frastagliata linea in mezzo alla faccia ed una barba corta e ben curata incorniciava la bocca. Quistis deglutì, rimproverandosi mentalmente che quello non era proprio il momento per ammirare l’affascinante risultato degli ultimi quattro anni. La voce era sempre stentorea, fredda e sterile, ma con un qualcosa il più, qualcosa di alieno che non aveva mai sentito in lui. Non seppe dargli un nome, ma riconobbe che non era un inflessione che avrebbe avuto un dinamitardo, tantomeno un folle. “Sapete cos’è questo, vero?”.

“Un detonatore a pressione” rispose Quistis, sentendosi finalmente ed irrimediabilmente in trappola. Squall annuì.

“Esatto” assentì. “Se per qualsiasi motivo mi dovesse sfuggire di mano, il Garden esploderà”. Li studiò per qualche secondo, poi si rivolse alla figura dietro di loro, lanciando un pacchetto dalle inequivocabili dimensioni di una mazzetta. “È tutto”. La figura dietro di loro, poco più di un ragazzino, afferrò il fagotto e sorrise.

“È stato un piacere” disse. “Se avrà ancora bisogno…”.

“Sparisci” ringhiò Squall. Un semplice ordine, come quelli che aveva sempre dato, che tuttavia trasfigurò l’espressione del ragazzotto mentre armeggiava con la porta e svaniva oltre la soglia.

“A noi” disse infine. “Come ho detto per telefono, nessuno di noi vuole vedere il Garden saltare in aria: con un po’ di collaborazione non succederà niente. Prima di tutto, Quistis”. La donna gli piazzò negli occhi grigi uno sguardo bieco che lui sostenne senza apparente sforzo. “Sei disarmata, ma questo non ti rende innocua. Io non conosco le tue junction ma tu non conosci le mie: non tentare nulla, nessuno deve morire”.

“Come Ellione?” chiese la donna. Esagerava, tirava la corda, ma non avrebbe potuto fermarsi nemmeno se avesse tentato. “Squall, hai ucciso Ellione. Ed abbiamo ragione di pensare che hai ucciso anche Rinoa: come facciamo a fidarci?”. Lui scosse la testa, imperscrutabile.

“Devo parlare con Cid” tagliò corto. “Da solo”. Quistis fece un passo avanti.

“Pensi che lo permetterò?” chiese.

“Non ho intenzione di fargli del male” confessò. “Non voglio far del male a nessuno di voi, ma lo farò se mi costringerete. Cid verrà con me nell’altra stanza e la nostra chiacchierata sarà privata. Queste due porte sono le uniche di questa stanza e sono controllate entrambe da una telecamera: se scappi, il Garden esplode; se mi accorgo che spii, il Garden esplode. Tutto chiaro?”. Quistis lo fulminò con uno sguardo rancoroso.

“Non mi lasci molta scelta” borbottò infine, incrociando le braccia. Lui annuì e si volse verso il preside, facendosi di lato per liberare simbolicamente la strada verso l’altra stanza.

“Preside…” borbottò gelido. Cid entrò nella stanza con passo tranquillo e testa alta; Squall entrò dietro di lui e chiuse la porta senza voltarsi.

Quistis rimase sola, nel silenzioso buio della stanza; guardò la porta con occhi sterili poi si riscosse e mosse qualche passo, guardandosi attorno. La stanza era una sala da pranzo, con un grosso tavolo impolverato al centro; vasi di piante ormai secche ornavano delle finestre chiuse da assi inchiodate all’esterno da cui filtravano solo poche lame di luce; parecchi piatti impolverati erano impilati in una credenza a giorno ed aloni di muffa avevano invaso gli angoli alti dei muri.

Quistis si sedette su una delle sedie attorno al tavolo, ignorando lo sbuffo di polvere che si liberò dalla seduta imbottita; dalla porta davanti a lei non trapelava alcun rumore e, per quanto si guardasse attorno, nulla faceva pensare alla presenza di una telecamera che osservava l’intera stanza. Scosse la testa: anche se non ci fosse stata, non avrebbe comunque potuto fare nulla. Le junction così accuratamente preparate servivano a proteggerla da eventuali aggressioni, non per attaccare. E poi, era di Squall che si parlava: quattro anni prima era di fatto il SeeD più capace dell’intero Garden ed era semplicemente assurdo pensare che si fosse arrugginito solo perché non aveva più il suo gunblade.

Alla fine della guerra della Strega, aveva consegnato il Lionheart all’armeria del Garden senza dare spiegazioni chiare: l’aveva voluto mettere a disposizione dell’armeria dell’accademia e se al personale responsabile non stava bene l’avrebbe venduto al primo junkshop. Aveva nuovamente impugnato il suo vecchio Revolver ed era stato come ritrovare un vecchio amico perso da tempo: l’aveva rimirato, studiato, passato il dito su ogni imperfezione del calcio, ogni scheggiatura della lama, ogni riga del tamburo. Era un’arma consunta, vittima dell’usura e del tempo, ma era l’arma che l’aveva visto crescere e gli si era perdonato quel piccolo slancio di sentimentalismo.

Quello stesso gunblade era stato ritrovato quattro anni dopo conficcato in un corpo carbonizzato dalla magia, che l’impronta dentale avrebbe identificato come la fu Ellione. Non c’era stato veramente bisogno di un’ulteriore indagine; non avevano saputo più nulla di Rinoa, ma a quel punto nulla le impediva di pensare che fosse morta prima della Sorella. Davanti a questi ricordi, ancora troppo freschi per i GF, Quistis scosse la testa.

“Non ci posso credere…” mormorò, per l’ennesima volta da anni. La porta in fondo si aprì e ne uscì un Cid incolume ma leggermente pallido e con un’espressione perplessa sul viso. La donna si alzò, ma prima che potesse anche solo aprir bocca comparve Squall.

“Non disturbarti, Quistis” disse, intuendo le sue intenzioni. “Non dirà nulla del nostro colloquio che tu non saprai a suo tempo”. Quando il preside fu al centro della stanza, l’uomo parlò ancora. “Bene. Tocca a te”. La donna sbatté le palpebre, per la prima volta incerta.

“Scusa?” commentò. Lui annuì.

“Devo parlare anche con te” ripeté accondiscendente. “Pensi che ti abbia fatta venire come scorta di Cid?”. Lei guardò il preside in cerca di conferma: l’uomo alzò verso di lei un’occhiata confusa ed agitata, ma le fece un cenno affermativo con la testa. Vai, ma stai attenta parevano dire quegli occhi. Deglutì e si fece avanti.

La stanza accanto non era molto più pulita della precedente, ma questa era una camera da letto; il materasso era sparito ed il letto non era che una rete metallica circondata da quattro assi di legno; i mobili erano vuoti ed adesivi di aeronavi decoravano la porzione di muro che sovrastava una scrivania d’angolo; sul muro accanto alla finestra, il poster di una band, gli Insomnia, troneggiava sopra un mobile eretto ad altarino.

“Valgono le stesse regole, preside” sentì dire dalla porta. “Una mossa non gradita e si ritroverà un Garden sulla coscienza”. Quistis si volse in tempo per vedere l’uomo chiudere la porta; nella stanza cadde un silenzio di tomba. Squall si volse verso di lei e controllò l’orologio al polso; stretto nella mano aveva ancora il detonatore.

“Nervoso?” chiese la donna; la sua audacia venne ricompensata con un’occhiata sterile. “Allora, cosa vuoi?”.

“Siediti” rispose lui, indicando una poltrona poco lontana. “Con te potrebbe volerci un po’ di più”.

“Non so se sentirmi lusingata o offesa” commentò lei: cercava una reazione, uno scatto emotivo, qualcosa a cui aggrapparsi per tentare di fermarlo, di arrestarlo, almeno solo per capirlo. Squall sospirò e mosse qualche passo svogliato. Si fermò accanto al letto e si volse verso di lei, trapassandola con uno sguardo di ghiaccio.

“Ellione è morta” disse con voce atona. Di riflesso, Quistis strinse i pugni. “Rinoa non ha avuto un destino molto diverso ed in entrambi i casi c’entro io: dovrebbe riassumere bene il quadro, no?”. La donna si morse la lingua, pregando che il dolore la aiutasse a controllare istinti primordiali che minacciavano di prendere il sopravvento. Davanti al suo silenzio, l’uomo continuò. “Sono stato bollato come disertore e traditore tra le varie cose che avete segnato accanto al mio nome. Mi avete cercato per anni senza cavare un ragno dal buco, mentre a me sono bastate una telefonata ed una foto per farvi correre a rotta di collo al mio cospetto: tutto molto divertente, se mi concedi la digressione, ma ad un certo punto bisogna anche pensare alle cose serie, no?”.

(Devi prendere tempo, Quistis) pensò furiosamente la donna. (Lascialo parlare: più parla, meglio è). Emise un respiro, poi un altro, senza arrischiarsi a parlare. L’uomo non si mosse, poi parlò ancora.

“Possiamo chiacchierare quanto vogliamo, nessuno ci corre dietro” disse.

(Qui è dove ti sbagli) pensò furiosamente, ma Squall guardò l’orologio e distrusse ogni sua sicurezza.

“Immagino che ci siano Zell e Seifer al piano MD” borbottò. “Ma considerando che sono potuti scendere solo quando eravate qui fuori, ci metteranno ancora una ventina di minuti per trovare la bomba e tornare in superficie quanto basta per qualsiasi comunicazione”. Davanti all’espressione colpevole della donna, disegnò un lieve ma crudele ghigno. “Non avete mai avuto il controllo, professoressa”. Tra i due serpeggiò un silenzio pregno di astio, delusione, malinconia; infine, Quistis parlò.

“…perché?” mormorò con voce rotta. “Cos’è successo, Squall? Tutto questo…” allargò le braccia, indicando l’intera stanza. “Come siamo arrivati a questo?”. Si alzò e si avvicinò al ragazzo: era fermo, silenzioso e non le toglieva gli occhi di dosso. La prima lacrima cadde dalle ciglia della donna, poi una seconda ed una terza. “È stato qualcosa che abbiamo fatto noi? È colpa nostra? Ellione! Rinoa!”. Lui la guardò con occhi sterili per qualche secondo, poi indicò con un cenno la sedia dietro di lei.

“Siediti, Quistis” disse. “Dobbiamo parlare”. Lei lo scrutò con occhi affranti, poi obbedì passandosi rabbiosamente una mano sugli occhi.

“Parlare?” commentò. “E di cosa?”. Squall incrociò le braccia.

“Di lavoro” rispose. “Della missione che vi voglio assegnare”.
 


Zell arrivò al fondo del piano MD e si guardò intorno, inconsapevole che in quel momento, da qualche parte a Timer, Quistis stava sgranando gli occhi alla prospettiva di lavorare per Squall. Accanto a lui, Seifer scese la scaletta e si spolverò l’abito tracciando spesse e marcate sbavature di grasso motore sul tessuto bianco.

“Vedrò gli Shumi con le ali per tentare di pulirlo” borbottò. “Come diavolo si levano delle macchie così?”.

“Potrai chiedere al personale del Garden” replicò il pugile, saltellando sul posto dal nervoso. “Sempre se ci sarà ancora il Garden perché, non so se ti ricordi, siamo qua per cercare UNA MALEDETTA BOMBA!”.

“Calma e sangue freddo, gallinaccio” borbottò lui, prendendo il telefono ritrovato sulla lapide di Ellione. “Dalla foto sembra il nucleo energetico del disco di levitazione, quindi al fondo della scala oltre quella porta”.

“Come diavolo ha fatto ad intrufolarsi qui dentro e mettere una bomba?” commentò Zell. Seifer scosse la testa.

“Più che altro, quando l’ha fatto” replicò. “Può aver approfittato della manutenzione dell’anno scorso, può essere entrato a qualunque sosta in qualunque posto in un momento qualunque di questi anni; per quel che ne sappiamo può averla messa otto anni fa alla vostra prima visita a FH. Che ce ne frega?”. Si volse verso di lui, l’espressione che esprimeva tutto l’odio verso il suo vecchio rivale, tutta la tensione della loro missione. “A me basta il fatto che c’è e che l’ha messa lui: solo per questo, la prossima volta che l’avrò davanti ai miei occhi, lo passo a filo di spada senza stare a farmi troppi problemi”. Zell sospirò.

“Non so…” borbottò. Il compagno si volse verso di lui.

“Cosa non sai?” chiese. “Quale parte del corpo rompergli per prima?”.

“Ho solo pensato che tutto ciò è assurdo” disse. “So che è colpevole, ma seguimi un attimo: abbiamo fatto la crociata contro Artemisia, durante la quale ritroviamo Ellione e Squall e Rinoa fanno coppia fissa. Dopo quattro anni di calma, un bel giorno si sveglia, le trucida entrambe e tanto per non farci mancare nulla mina il Garden e ci prende in ostaggio per chissà quale motivo: ora, se capitasse tutto nell’arco di pochi giorni potrei anche pensare che sia uscito di cervello, ma in otto anni? Dico solo che è strano…”. Seifer lo liquidò con un verso sprezzante e scese la scaletta quasi in caduta libera; Zell non aggiunse altro.

Nel nucleo del piano MD l’aria era pesante, umida e puzzolente; i macchinari erano in funzione, lucidi di olio e grasso, e saturavano l’aria con un ronzio basso e penetrante. I due si guardarono intorno ed infine la videro: molto più in alto della loro posizione, seminascosti dalla penombra, sei cilindri legati tra di loro con uno schermo agganciato a lato. Zell deglutì.

“Diavolo, c’è per davvero” commentò. Seifer gli colpi la nuca con un buffetto.

“Pensavi fosse una battuta?” disse acido. “Forza, arrampicati: io mi sono già sporcato abbastanza”.

“Ma le vedi le pareti piene di grasso?” replicò lui. “Arrampicati: ma senti questo…”. Estrasse dalla tasca una torcia e la puntò sulla bomba.

“Vuoi spaventarla?” chiese il biondo. Zell fece per rispondere, ma la frase gli morì in gola.

“Seifer…” mormorò sconvolto. Il compagno alzò lo sguardo e vide anche lui.

“Avvisa Quistis” disse lentamente, incapace di credere ai suoi occhi. Zell prese il telefono, ma si fermò.

“Non c’è campo qui sotto” disse. “Solo chiamate di emergenza”.

“Questa è un’emergenza, porca Leviathan” esplose Seifer. Digrignò i denti, poi aprì il suo cellulare, zoom al massimo e scattò una foto all’ordigno. “Ok, adesso fuori di qui. DI CORSA!”.
 


“Lavorare…per te?” commentò Quistis: per un attimo credette ad uno scherzo, ma l’espressione di Squall non lasciava intendere nulla di ciò. Occhieggiò allora il detonatore. Lui continuò.

“Ho una missione da assegnare a tre SeeD” ripeté. “Più precisamente a te, Zell e Seifer. La consegna è…”.

“Sai che non lavoreremo mai per te” interruppe la donna. “O è una delle cose che dobbiamo fare se no il Garden esplode?”. Lui sospirò.

“Vi sto assegnando una missione” osservò lui. “Una come tante”.

“Zell e Seifer non accetteranno mai di fare una missione richiesta da te” obiettò lei. E poi, deve essere convalidata dal preside”. Squall prese dalla tasca un foglio accuratamente piegato e Quistis ebbe l’orribile sospetto che stesse aspettando solo quelle parole. Deglutì secco mentre l’uomo davanti a lei le mostrava la pagina.

Era un foglio rilegato, fittamente scritto e con il timbro del Garden di Balamb in fondo, ufficializzato dal ghirigoro frettoloso di Cid Kramer. Sentì il cuore perdere un battito, rendendosi immediatamente conto del significato delle parole di Squall quando era entrata, del motivo per cui loro stavano ancora parlando mentre il preside, nel giro di dieci minuti, era fuori, nell’altra stanza, teoricamente al sicuro.

“Hai bisogno di altre conferme?” chiese lui: la frase poteva essere canzonatoria o irritata, ma la sua voce la tramutò in un’atona domanda quasi senza vera importanza. Accolse il suo silenzio come un tacito consenso e le porse il foglio. Quistis lesse con crescente perplessità; arrivò a guardare il timbro del Garden senza capire perché Cid avesse accettato di firmare una missione del genere. Fece domande ed ascoltò le risposte, finché Squall non decise che di tempo gliene aveva dato abbastanza.

“Serve la tua firma adesso” disse.

“E se non la firmassi?” chiese. Squall alzò semplicemente il braccio che stringeva il detonatore: domanda retorica.

“Vuoi il detonatore disinnescato?” chiese. “Basta mettere una firma ed è tutto tuo”. Scrutò negli occhi della professoressa lo smarrimento, l’indecisione, il dubbio; emise un sospiro che assomigliava pericolosamente ad uno sbuffo stizzito e si volse verso l’orologio.

Quel gesto ebbe il potere di mettere il turbo al cervello di Quistis. Gli occhi saettarono per il contratto, alla disperata ricerca di fregature, trappole ed imboscate senza trovarne: la consegna era a dir poco banale, la paga ottima ed il rischio minimo per non dire nullo. Eppure, sentiva che Squall non le stava dicendo tutto. Ma che scelta poteva avere? Quanto poteva ancora temporeggiare?

Gli occhi grigi di Squall la guardarono firmare la missione.

“Perfetto” borbottò, prendendo il foglio e strappando la copia sovrapposta in carta carbone. Quistis si volse, decidendo di giocarsi l’ultima carta del suo mazzo.

“E se non la portassimo a termine?” chiese. “Anzi, se nemmeno la facessimo, cosa succederebbe?”. Per tutta risposta, l’uomo digitò per qualche secondo sul pad agganciato al detonatore; un piccolo suono elettronico e lo lanciò sulla scrivania all’angolo. Il cuore di Quistis perse un battito.

“Siamo a Timber” fece presente lui. “Sede del Timber Maniacs, una delle riviste più lette del mondo e dichiaratamente anti-SeeD: se in redazione si presentasse il figlio di Laguna Loire con una cosa come questa da raccontare, cosa succederebbe? Per la cronaca, i Garden mi hanno bollato come nemico pubblico numero uno ma per il resto del mondo sono uno come tanti e posso entrare dove voglio, specialmente in un posto che deve a mio padre una bella fetta della fama di cui gode”. Si volse ed aprì la porta; Cid era ancora nella sala, fermo dove l’avevano lasciato.

“Quistis!” esclamò: nella sua voce vibrò per la prima volta la preoccupazione.

“La chiacchierata è finita” disse, asciutto. “Il detonatore è sul tavolo ed il Garden è ancora intero: abbiamo vinto tutti, esattamente come promesso. Ora fuori dai piedi”.
 


Avevano appena riconquistato la via centrale quando il cellulare di Quistis squillò: la tensione degli eventi dell’ultima mezz’ora era crollata e si sentiva a pezzi come se avesse corso per tutta Timber senza fermarsi nemmeno un istante. Rispose alla chiamata senza nemmeno guardare il numero.

“Pron…”.

-Quistis, non farlo scappare!-. La voce di Seifer, troppo alta ed irruenta per il suo umore irrimediabilmente guasto, le fece digrignare i denti.

“Con Squall abbiamo finito” disse massaggiandosi distrattamente una tempia. “Ha disinnescato la bomba e mi ha dato il detonatore: siete scesi all’MD?”.

-La bomba era un falso-. La frase la fece fermare in mezzo alla strada. Cid si volse verso di lei con occhi interrogativi: stava riprendendo lentamente colore, ma era evidente la sua fretta di lasciarsi alle spalle quella giornata e quella città.

“Che stai dicendo?” mormorò.

-La bomba erano tubi di plastica legati con il nastro da pacchi- precisò Seifer. –Ed il display di controllo un adesivo su una placca: la bomba non è mai esistita-.
   
 
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