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Autore: Enchalott    31/05/2021    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il volto di un Khai
 
Delzhar si era involato con uno strepitio e l’assenza di Rhenn aveva riempito la stanza. Mahati era divenuto taciturno. Si era sporto dalle arcate a osservare il calare del primo sole, la mente lontana mille fars dalle sue stanze.
Non l’aveva considerata e la tensione di Yozora si era allentata, sebbene trovarsi a tu per tu in circostanze confidenziali la spaventasse a morte. Non era certa che non l’avrebbe reclamata prima della cerimonia: l’aggettivo piccante era ambiguo e non era stata congedata. Cercò di tranquillizzarsi con la logica: i prìncipi si erano dati appuntamento, forse Mahati aspettava il momento di uscire, non quello di saltarle addosso. Avrebbe voluto raccontargli qualcosa di sé con la speranza che facesse altrettanto: così non sarebbero stati due sconosciuti costretti ad adempiere un impersonale dovere. Tuttavia le parole che aveva in mente non si tradussero in suoni.
Il riverbero cremisi del secondo tramonto regalava alle iridi del giovane una tonalità ruggine. Le labbra morbide erano serrate a nascondere le zanne in una piega amara. Rigirava il pendente che portava al collo tra gli artigli scarlatti.
Possibile che il supremo Kharnot delle armate demoniache sia… nervoso?!
«Mi trovate interessante?» domandò lui a bruciapelo.
«Oh, ecco è… è che mi dispiace.»
«Per cosa nello specifico? Che io non corrisponda ai vostri ideali?»
«Che vi costringano a sposarmi. Non ne siete felice.»
«Felice?» ripeté Mahati sprezzante.
«Non conosco bene la vostra lingua, scusate se mi esprimo con scarsa correttezza.»
«Non è errata la traduzione, bensì il metro di giudizio. Sono tornato a Mardan come vincitore dei Salki, la guerra contro l’Irravin volge a mio vantaggio, ho guadagnato prestigio, portato onore a mio padre. Io sono eftikye. Soddisfatto.»
Yozora ascoltò l’inventario delle assurde ragioni che avrebbero dovuto rallegrarlo. Per paradosso la convinzione della sua profonda infelicità si rafforzò alla definizione distante da quella di gioia interiore. Soddisfatto non ne era un sinonimo.
«Al vostro posto attenderei un altro genere di ricompensa. Non l’obbligo di legarvi a una donna che non amate.»
«Un Khai non ama e una moglie non è un premio. Il vostro primitivo concetto di matrimonio è oltraggioso!»
Yozora si irrigidì, in difetto per aver dimenticato le istruzioni ricevute e per aver di nuovo giudicato senza conoscere. Rhenn aveva ragione: tenere a freno la lingua era il suo unico appiglio. Ma interagire era il suo modo di comprendere e, a costo di provocare Mahati, non avrebbe rinunciato a conoscerlo.
«Non è mia intenzione offendervi. Possiedo i difetti che vostro fratello ha enumerato. Ho tarato su me stessa le considerazioni pensando che, come io preferirei un marito salki, voi optereste per una sposa khai. Perdonatemi.»
Lui la fissò severo. Poi inalò l’aria e perse parte della carica aggressiva.
«D’accordo su questo. Non mi è mai importato di quale donna avrebbe ricevuto il mio seme, i clan maggiori combinano i matrimoni, non ho voce in capitolo. Ma il consenso di mio padre alla nostra unione ha precluso il trono alla mia discendenza. Mi occorre tempo per prenderne atto in quanto beneficio per il regno.»
Come chiarito da Rhenn: niente pretendenti di sangue misto. Però Kaniša avrebbe potuto organizzare il matrimonio con un qualunque membro della famiglia reale, non con uno dei suoi figli. Non riuscì a formulare ipotesi apprezzabili. Preferì concentrarsi sull’ammissione del futuro marito, che suonava come una rara confidenza personale.
«Capisco. Spero comunque di darvi un figlio di cui siate fiero.»
Lui abbassò lo sguardo, indugiando su di lei quasi con sollevata riconoscenza. Ma la replica suonò di tutt’altro impatto.
«Voi? Sarebbe un prodigio.»
«Temete di scoprire in lui le virtù della comprensione e dell’umanità? O che non risulti abbastanza crudele in battaglia?» ribatté Yozora adirata.
Niente da fare. Ogni volta che azzardava un avvicinamento, la respingeva con la gradevolezza di un ariete su un portale.
«Possibile, qualora l’unione dia frutto. Non ci conterei, non ho mai visto una Salki mettere al mondo il figlio di uno di noi. Suppongo siamo incompatibili, è il portento cui alludo.»
La ragazza frenò l’impeto, sorpresa che non stesse mirando a sminuirla. Lo guardò sconcertata: negli occhi chiarissimi che la fissavano non transitò emozione.
Il principe sganciò le spade e le appoggiò sul tavolo.
«Piuttosto mi interessa scoprire quanto piacere siete in grado di dare a un uomo.»
Yozora si sentì inondare dal puro terrore e raggelò. La posa del demone non era prevaricante, ma il fatto che stesse slacciando i rinforzi di cuoio non contribuì a rassicurarla. Come avere indosso un abito leggerissimo e facile da sfilare.
Mahati socchiuse le palpebre, dilettato dallo sconvolgimento che la svestizione le stava cagionando. Quando sciolse la cintura, la casacca si aprì sul petto e le fiamme furono visibili senza intralci: dall’ombelico si aprivano in lingue guizzanti sugli addominali, sfioravano i capezzoli e terminavano a vertice sullo sterno.
«Il segno del fuoco si chiama thyr, lo porta ogni figlio di re. Un riferimento alle nostre origini, ci farete l’abitudine.»
Yozora fissò esterrefatta gli accessori sparsi sul pavimento: la coda non era parte del suo corpo, bensì un rinforzo ancorato a un gancio. Soffocò un’esclamazione quando notò che l’acqua del recipiente in cui si stava lavando era divenuta scarlatta.
Mahati si ripulì con calma, riportando l’epidermide alla naturale tonalità ambrata.
«Avete perso la lingua?»
«N-no, ero convinta…»
«Sono fregi di guerra. Non avrete creduto che la mia pelle fosse vermiglia?»
Sbuffò a fronte dell’espressione sbigottita di lei. Il nero intorno agli occhi non si era cancellato e intensificava il nocciola delle iridi. Gli orecchini di zaffiro scintillarono ai lobi quando si raddrizzò. Non attese risposta, sfilò il diadema e la chioma corvina ricadde sulla fronte priva di escrescenze: le corna erano un altro addobbo posticcio, che non collimava con il suo aspetto originario.
«Dèi!» esalò la principessa.
Il principe khai non aveva nulla di demoniaco, se non le corte zanne che balenavano a tratti tra le labbra e gli artigli candidi come il latte.
«Questi sono veri e velenosi» sentenziò sarcastico mostrando le dita «C’è altro che desiderate ammirare prima che venga il mio turno?»
Lei riprecipitò nel panico. Mahati non indossava che i pantaloni aderenti e i fermagli tra i capelli. Era palesemente divertito e aveva l’aria del gatto che ha scovato il topo con cui iniziare il famoso gioco. Senza la tenuta da battaglia sembrava più giovane dei suoi duecento anni, ma restava pericoloso e seducente.
«Chi tace acconsente?» citò lui in lingua salki, trasmettendole la scossa per uscire dalla catatonia.
«No! Altezza, vi prego di scusarmi! Non intendevo fissarvi con impertinenza, ma vi siete smontato un pezzo alla volta, mi avete mandata in confusione!»
«Quelli importanti sono al loro posto.»
Nonostante la battuta spudorata, sul volto non transitò ilarità. La guardò, tagliente come una lama, poi le afferrò il polso e l’attirò a sé senza la minima cortesia.
La principessa serrò le palpebre al tocco indesiderato.
Non così presto, non oggi…
Le membra di Mahati erano roventi. La trattenne, ma non le stracciò i vestiti e non la costrinse sul talamo nuziale.
«Va bene, non vi siete mai coricata con un Khai. Qual è la vostra esperienza?»
«Nessuna!»
«Guardatemi, per gli dei! Se vi beffate di me, giuro che vi uccido all’istante!»
La pressione del pollice e dell’indice sulla carotide costituì un’adeguata esortazione.
«Non vi sto rifiutando, ma correte troppo! Mi fate paura! Non sono abituata ai vostri usi e non sono mai stata di un uomo! Non umiliatemi, lasciatemi essere degna di voi!»
«Per chi mi avete preso?! Diverrete mia moglie, una delle principesse reali! Non siete una dorei o una sgualdrina, non vi tratterò come tale! Un conto è trarre piacere l’uno dall’altra con cognizione di causa, un altro è… tsk, il vostro caso!»
La speranza di Yozora rinfocolò come un lumino.
«Attenderete le nozze?»
«Che siate istruita a dovere! È inaudito che mi abbiano consegnato una ragazzina sprovveduta!»
Riprese a spogliarsi senza vergogna. Lei gli girò le spalle paonazza, obbligandosi a non fantasticare su ciò che non aveva ancora visto.
«C-cosa intendete?»
«Quando mi guarderete senza comportarvi come un’infante, vi giudicherò adeguata al mio letto. La pazienza non è tra le mie virtù, se rileverò tempi eccessivi vi rimanderò a Seera un pezzo alla volta.»
La principessa si sentì a metà tra il sollievo e la vergogna. Mahati aveva promesso una proroga, ma aveva ricavato di lei di un’impressione negativa.
«Non vi deluderò. Grazie per l’indulgenza.»
«Non è questione di eikonsha, bensì di onore. Voltatevi.»
Yozora obbedì trepidante: era drappeggiato in una veste incrociata sul davanti, un cinto bianco la serrava spiccando sul blu della seta. Scorgere un Khai in abiti civili le fornì una percezione di bizzarra intimità, ma non diminuì la sensazione di pericolo.
«Vi cedo le mie stanze per ora» proseguì il principe.
«Non cenate in mia compagnia?»
«Dopo mesi di privazioni il cibo non è prioritario.»
Allacciò le spade e si diresse all’uscita interna. Passando accanto alle guardie, sfiorò la spalla di una di esse: la guerriera si inchinò e lo seguì.
Yozora impiegò qualche secondo a connettere. Poi trasecolò.
Ha selezionato la donna con cui trascorrere la notte!
La sua paura, la sua insicurezza, il suo disperato rinviare erano concorsi a causare la sofferenza di un’altra. Non conosceva le usanze khai, certo il volto della prescelta non aveva espresso soddisfazione.
«Principe Mahati, aspettate!»
Lo rincorse, ma le ancelle la circondarono premurose.
«Altezza, per carità! Non è opportuno, ne va dell’onore!»
«Che dite!? Non permetterò che un’incolpevole divenga il mio rimpiazzo!»
«Principessa, vi scongiuriamo! Se mostraste disaccordo, perdereste la faccia, così il principe! La predilezione del figlio del re è un privilegio!»
Mahati lasciò gli appartamenti riservandole un’occhiata di gelido disprezzo. Qualcosa in lei si ribellò. Era inconcepibile ostentare un consenso fasullo per non intaccare la dignità davanti al fatto che si svagasse con un’altra. Come pensare che la sfortunata non vedesse l’ora di concedersi.
«È diritto del Šarkumaar finché è celibe» ripresero le schiave «In seguito alle nozze vi sarà fedele.»
Confortante.
Seguì il calare dell’ultimo sole, primo su quel mondo sconosciuto.
 
Il tempio consacrato al dio della Battaglia si elevava possente sulla rocca di Mardan, ammantato di una coltre vaporosa. Le tre torri, marcate di scarlatto agli spigoli, svettavano incombenti, segnando il confine tra l’umano e il divino. L’edificio centrale ostentava lucidi tetti a pagoda ricoperti di tegole d’argilla; un paio di corna ricurve sul colmo forniva un indizio essenziale sulla natura del dedicatario. L’imponente portale era spalancato, il selciato era segnato da rocce levigate e illuminato dalle fiaccole.
Le pareti interne scintillavano di ori, le colonne a sostegno del soffitto ligneo erano dipinte di vermiglio. L’occhio centrale, rivolto a ovest, esibiva il chiarore morente del terzo crepuscolo.
Ishwin si genuflesse davanti all’ara di Belker, un blocco di marmo borgogna sul quale ardevano quattro lampade a olio. L’aroma violento degli incensi si spandeva in volute pigre dai bracieri di bronzo. Versò la libagione e si raccolse in preghiera, scortata dal gocciolio monocorde che si perdeva attraverso le canaline scavate nella pietra. Le vesti scarlatte e il velo impalpabile la mimetizzavano con l’ambiente, nel quale prevaleva il colore che si narrava fosse gradito al dio guerriero.
L’odore resinato favorì la concentrazione della sacerdotessa, che non si avvide che qualcuno aveva violato l’onorabilità del luogo. Non udì lo scalpiccio dei piedi sul lastricato e non percepì l’odore dell’intruso.
Braccia forti la afferrarono alle spalle, schiacciandola contro l’altare. Gli artigli calcati sul collo e sulla bocca funsero da deterrente mentre le stracciava i vestiti e la piegava ai suoi lussuriosi voleri. La pressione del corpo dell’uomo aumentò, mani capaci esplorarono la sua nudità, sicure, inclementi, provocandole un gemito di piacere. Il respiro accelerò e si intrecciò all’ansito ritmato di lui, che la possedette con impeto incontenibile, fino ad abbandonarsi spossato sul blocco di marmo.
Solo allora la pithya guardò negli occhi l’unico mortale che ardiva offendere Belker nel suo santuario. Non si era ripulito dal colorante rosso e indossava gli abiti da guerra slacciati ad hoc sul fisico privo di imperfezioni. Il sogghigno appagato scintillò acuminato come un coltello.
«Sei un sacrilego, Rhenn! Osi entrare nel tempio senza esserti purificato!»
«E io che mi aspettavo un rimbrotto per averti presa brutalmente sull’ara sacra.»
Ishwin simulò sdegno, ma negli occhi grigi stagnava l’eros suscitato dalla dissoluta improvvisata. Una lampada si era rovesciata nella foga dell’amplesso: la sistemò, poi gli sfiorò la guancia con una carezza sensuale.
«All’evidenza Belker non disdegna che si consumi la passione carnale all’interno delle sue mura. Ho perso il conto, ti avrebbe fulminato anni fa.»
Il principe osservò la chioma ruggine di lei aperta a ventaglio sulla pietra. L’incarnato chiaro spiccava lascivo nella penombra.
«È un modo per dire che ti sono mancato?»
«Da come mi sei saltato addosso, sei tu quello nostalgico.»
«O l’astinenza vince su tutti.»
«In tal caso saresti andato da tua moglie.»
Lui aggrottò la fronte contrariato. Ishwin sapeva come provocarlo da quando non era che una presuntuosa ragazzina destinata a servire il dio della Battaglia. In qualità di Ojikumaar, erede al trono, Rhenn era considerato incarnazione di Belker e chi si votava al dio guerriero, doveva ottenere il suo insindacabile consenso. Lei lo aveva conseguito stuzzicandolo. Non gli era dispiaciuto farle scendere il veleno negli artigli e la proibizione di accoppiarsi con una pithya non lo aveva mai angustiato. Oltre al piacere che ne traeva, risultava utile ai suoi scopi.
«Ripetilo e mi troverò un altro passatempo.»
Lei sorrise, soddisfatta che la frecciata avesse raggiunto il bersaglio. Lo spogliò della casacca e gli percorse la pelle con le unghie dipinte.
«Non lasci mai il tuo seme dentro di me. Perché non vuoi che metta al mondo tuo figlio? Il trono non può restare privo di eredi.»
«Non è cosa che ti riguardi! Rasalaje appartiene a uno dei clan più potenti di Mardan, è perfetta come regina. Partorirà il mio successore come stabilito.»
«Io non lo sono?»
«Oh certo, sei avvenente e capace, non nella misura da rendermi così idiota da scatenare una faida. Inoltre, come giustificare che una sacerdotessa di Belker mi ha dato un discendente? Persino io passerei dei guai, se si sapesse che ti ho privata della purezza.»
«Traendo l’opportuno vaticinio, i Khai si inchinerebbero senza eccepire. Le persone credono a qualunque cosa, sapendo come presentarla.»
«Non ho dubbi.»
«Sulle mie capacità divinatorie o sulla dabbenaggine dei più?»
«Sulla tua smodata ambizione.»
La sacerdotessa serrò le labbra sulle zanne candide.
«Potrei raccontare che mi hai stuprata. Nessuno dubiterebbe della mia parola.»
«Provaci. Smetteresti di essere eccitante.»
Ishwin tornò a sdraiarsi sull’ara, attirandolo a sé con licenziosità.
«Ti stimolo, eh Rhenn? Ammettilo e avrai la divinazione che ti aggrada.»
«Inciti una parte di me» restituì lui inchiodandola all’ara.
   
 
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