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Autore: CatherineC94    31/05/2021    5 recensioni
Invece Aberforth sorride amaro, le loro sono tutte illusioni, fiabe in testa che prima o poi gli faranno pagare un conto troppo salato solo per aver osato.
Aberforth non ha mai creduto alle fiabe- quelle stupide trite e ritrite- storie. Anzi, al pensiero che quei quattro potessero fare qualcosa di eroico ha grugnito laconico e si è grattato vigorosamente il fondoschiena.
Lui solitamente è l’orco nelle storie colorate che lo stupido di suo fratello racconta in giro, ma Aberforth adora esserlo nella sua grottesca solitudine. Il suo volto incolto sorride di nascosto, mentre con una pacca accarezza la piccola Milly che con occhi birbanti si dirige verso il didietro grassoccio di Minus.
Vorrebbe dire a quei tre mentecatti di non fidarsi di quel tipo, ma Potter parla così tanto che quando inizia, lui farebbe prima a fare una nuotata nel Lago Nero indisturbato.
Si limita a stare in silenzio, mentre l’inetto Minus urlacchia, Black ride graffiante e Lupin li rimprovera con lo sguardo.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, I Malandrini | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie '#Aberforth'
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L'orco.
 
«Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti».
 La Spigolatrice di Sapri, Mercantini.
 

 
 
La prima volta che li ha incrociati ha urlato un’imprecazione pesante.
I suoi occhi chiari si sono trasformati in due fessure minacciose, mentre le mani hanno iniziato a muoversi convulse attorno al vecchio straccio color grigio topo.
Quattro bamboccioni, uno peggiore dell’altro.
Aberforth ha avvertito il chiacchiericcio allegro degli stupidi damerini che frequentano la gabbia di matti di suo fratello, anche se di solito quei perfetti piccoli idioti non si avventurano mai fin lassù, anche perché si diverte a scatenare Milly contro di loro.
Memorabile il mese precedente, quando tre giovani hanno urlato e corso per tutto il pomeriggio, mentre Milly come una forsennata ha tentato di mordere qualsiasi parte del loro corpo scoperta.
Ma quei quattro no.
Quegli stupidi non solo sono arrivati fino alla porta, ma uno di loro, uno scemo con gli occhiali, ha accarezzato la capra come se la conoscesse da anni.
«Sei davvero una bella ragazza!» ha detto quel tizio con una voce da far accapponare la pelle, e Milly non solo ha belato felice, ma ha leccato con  ignobile tradimento il volto rotondo dell’ameba con la parrucca a zazzera in testa.
«Ora sappiamo che fine farai se la Evans ti darà buca, Ramoso» dice uno di quelli, con tono malizioso.
«Questa volta Lily è decisa» dice l’altro, con il volto tagliato a fette quasi come quello del Goblin che si è accapigliato a sangue con un folletto l’altra settimana.
«Dovremmo andare via da qui, questo posto sembra poco raccomandabile!» esclama pauroso il più basso.
Aberforth li osserva con gli occhi iniettati di sangue, quasi per fargli capire che devono sloggiare all’istante sennò li trucida, ma loro tutti sorridenti prendono posto nella panca di destra.
«Caro barista, sono James Potter. Questi tre giovanotti sono Sirius Black, Remus Lupin e Peter Minus» esclama il tipo con gli occhiali e la parrucca in testa, senza essere degnato di attenzione.
«Che accidenti frega a me come vi chiamate?» ribatte Aberforth acido.
Quello che si chiama Black ride sommesso, Aberforth l’osserva bene e si ricorda di chi è parente e stringe la bacchetta inferocito; Potter, che avrebbe dovuto identificare visto che, conosce da anni  il vecchio esaltato di suo padre, diventa dapprima rosso per l’imbarazzo ma poi si riprende.
«Certo che ti deve fregare, noi siamo i famosi, anzi no. I magnifici Malandrini di Hogwarts! Sicuramente avrai sentito parlare di noi!» conclude baldante.
Aberforth sente che la pazienza viene meno e che sta per prenderli tutti a calci.
«Abbiamo bisogno di te, sai necessitiamo di certe merci che non si trovano in giro» sussurra furbo Black. Lupin lo guarda rassegnato, mentre Minus si mangia le unghie ansioso.
Aberforth si ferma incerto, li osserva e con un grugnito rabbioso si accorge che Milly si è acciambellata ai lati dello stupido Potter.
«Già! Poi potremmo diventare anche grandi amici!» dice quest’ultimo.
Aberforth si trattiene dal prenderlo a schiaffi, anche perché Milly sembra aver capito le sue intenzioni e belando gli mostra i denti giallastri.
«Lo fai per la strana parrucca che ha in testa? Ma con l’altro mi sei sembrata più aggressiva, piccola sudicia traditrice!» esclama uscendo nel retro con il kilt ondeggiante.
 
 
 
 
«Poi, Ab l’ho portata vicino a Mielandia…» chiacchera come un forsennato Potter, tutto rosso in viso.
«Non chiamarmi così, scemo quattrocchi» tuona lui.
Potter nemmeno dà segno di aver capito che fra poco gli sta per staccare la testa-zazzera nera compresa- a morsi.
Sono chiusi nel Pub da almeno due ore, quell’ignobile domenica, a sentire le sue avventure d’amore.
Aberforth preferirebbe una cena a lume di candela col fratello invece di doversi sorbire, ore ed ore di dettagliata cronaca delle sue fregnacce.
Gli altri tre nullafacenti stanno seduti nell’angolo più scuro del locale; Black scrive una lunga lettera facendo finta di non sentirlo, chissà quante volte gli avrà ripetuto ogni particolare come una donnetta in calore.
Lupin, l’unico che sembra avere un cervello in quel gruppo sta studiando; il suo colorito è pallido ed Aberforth, che non si cura di niente e di nessuno ci pensa per un attimo di accantonare il proverbiale egoismo che lo contraddistingue.
L’altro, che sembra un folletto alla fiera dell’oro gratis mangia ogni cosa che riesce a capitargli a tiro.
«Poi, le ho poggiato la mani con leggerezza sulla spalla stringendo una ciocca di capelli. Ab! Dovresti sentire che sono lisci e profumati. AH!» esclama stridulo Potter quando si ritrova uno sgabello in testa che lo fa tornare dagli altri molluschi.
Milly punta gli zoccoli minacciosa.
«Mi stava triturando i bolidi» si giustifica, alzando le mani.
«La riunione sarà domani» dice Potter eccitato.
«Abbassa la voce, James» lo ammonisce Lupin.
«Finalmente prendiamo parte all’azione» mormora Black fiero.
«Perché non possiamo farci da parte e lasciar fare a chi ha le competenze?» squittisce tremulo Minus.
«Non possiamo stare a guardare, Peter. Dobbiamo lottare, siamo insieme, non avere paura!» ribatte Potter felice come quando qualcuno gli dice che ha vinto una stramaledetta coppa di Quidditch.
Invece Aberforth sorride amaro, le loro sono tutte illusioni, fiabe in testa che prima o poi gli faranno pagare un conto troppo salato solo per aver osato.
Aberforth non ha mai creduto alle fiabe- quelle stupide trite e ritrite- storie. Anzi, al pensiero che quei quattro potessero fare qualcosa di eroico ha grugnito laconico e si è grattato vigorosamente il fondoschiena.
Lui solitamente è l’orco nelle storie colorate che lo stupido di suo fratello racconta in giro, ma Aberforth adora esserlo nella sua grottesca solitudine. Il suo volto incolto sorride di nascosto, mentre con una pacca accarezza la piccola Milly che con occhi birbanti si dirige verso il didietro grassoccio di Minus.
Vorrebbe dire a quei tre mentecatti di non fidarsi di quel tipo, ma Potter parla così tanto che quando inizia, lui farebbe prima a fare una nuotata nel Lago Nero indisturbato.
Si limita a stare in silenzio, mentre l’inetto Minus urlacchia, Black ride graffiante e Lupin li rimprovera con lo sguardo.
 
 
L’ultima volta che li ha visti tutti insieme lo ricorda molto bene.
I quattro scemi hanno preso posto in quel lungo tavolo di legno consunto, tutti sorridenti ed avvolti in lunghi mantelli da viaggio; Aberforth non ha voglia di parlare, fa finta di non accorgersi e procede diritto.
«Ab! Come stai? Ti ricordi di noi?» dice con voce stridula Potter.
Aberforth grugnisce annoiato e colto sul fatto torna indietro.
«Come sta Milly, Ab? Guarda un po’!» gli dice senza che lui avesse chiesto nulla.
Potter afferra la mano di una donna e la trascina davanti al suo campo visivo; lei alza gli occhi e tenta di fare un sorriso cortese.
«Fammi indovinare, la tua Evans?» chiede senza allegria o interesse.
«Si Ab!» risponde quasi cinguettando.
«L’avrà costretta con la Maledizione Imperius?» chiede Aberforth a Black che si sta pregustando la scena con un ghigno canino.
«Un tizio così potrebbe mai fare una cosa del genere? Guardala, lei è troppo bella ed in gamba» ribatte sarcastico Black.
Aberforth non riesce a trattenere una risata, lo guardano allibiti.
«Che c’è? Quando incontro un’idiota del genere che dovrei fare, piangere?» gracchia tagliente.
Aberforth scuote la testa prendendo posto nell’angolo più remoto della stanza con un sapore amaro in bocca. Quella non è una storia a lieto fine, li osserva mentre stanno ridendo tra di loro ed offrono le loro vite ignari; lui sa, che di solito l’orco sopravvive mentre gli eroi muoiono.
 
 
«Non vi siete stancati presumo».
La sua voce è tagliente nel buio di quella stanza; il fuoco avvolge le due sagome davanti al camino che immobili nemmeno si voltano.
«Hai portato ciò che ti ho chiesto?».
La voce di Black è metallica, intrisa di dolore e rabbia.
Aberforth poggia la bottiglia ai lati del bracciolo destro e si volta.
Non ha spazio per le amarezze altrui, e non gli dice nemmeno che probabilmente morirà di cirrosi apatica continuando a trangugiare tutto quell’alcol.
«E la capra?» gli chiede forse in un lampo di lucidità temporaneo. Nella sua testa, i ricordi che non ha mai dimenticato si affollano; la faccia paonazza di Potter si ripresenta, mentre con  un fare da dodicenne troppo truccata abbraccia Milly.
«Mi aspetta» mormora glaciale Aberforth.
Esce dalla stanza senza voltarsi.
 
 
Fuori il cielo è limpido.
Aberforth siede silenzioso, afferra sgraziato l’ultimo pezzo di salsiccia e lo irrora in bocca con un generoso sorso di Whisky.
La porta del Pub si spalanca.
«Il pub è chiuso» dice a denti stretti.
«Anche per me?».
Abeforth fa un respiro tentando di calmarsi, a malapena riesce a condividere il cognome con quel mostro, adesso anche la stessa stanza.
Lo trova invecchiato, la mano ormai persa penzola sinistra.
«Cosa vuoi?» gli chiede.
«Non posso venire a trovarti, sono tuo fratello dopotutto» ribatte serafico.
«AH!» esclama ironico, alzandosi di scatto.
«Tu vuoi sempre qualcosa da tutti, è il tuo scopo prenderti ogni cosa e servirtene» aggiunge maligno.
Albus lo guarda strano, forse per la prima volta dietro quella magnifica maschera riesce a scorgere il pentimento e la sofferenza.
«Non riesco mai a concludere una discussione con te, Aberforth» gli dice.
«Sono troppo rozzo e stupido vero? Un orco come me, non potrebbe mai stimolare una mente così grande come la tua!» lo attacca Aberforth.
Albus l’osserva per un attimo infinito e si volta verso l’uscita; prima di aprire la porta si poggia malamente sulla panca di destra.
«Non l’ho mai pensato» sussurra.
Aberforth non l’ascolta, per un momento è impegnato a rivedere quei quattro beoti seduti, che ciarlano come idioti delle loro avventure e dei loro sogni; invece adesso sono quattro metri sotto terra.
L’avrebbe voluto anche lui, ma gli orchi si sa, sopravvivono nelle fiabe.
 
 
 
 


Note.
Quante cose avrei da dire. Insomma questa storia stava in testa da tanto; oggi mi sono seduta e l’ho scritta di getto, non so doveva uscire e con velocità lampante è stata creata su foglio. Spero vi piaccia. AH! Il fatto del parrucchino che nomina Aberforth si riferisce alla raccolta su Abe e Sibilla, quando lui incontra Mundungus Fletcher, la trovate sul mio profilo. Un abbraccio.
   
 
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