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Autore: Ahiryn    01/06/2021    2 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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I

Accademia




893 p.U.



Mary Reed era una donna realista e concreta, ma la sua capacità di mentire e apparire ottimista aveva sempre affascinato Kieran. In quanto suo figlio aveva imparato presto a smascherare i suoi bluff e a crearne di credibili a sua volta. Però c’erano momenti in cui voleva fidarsi delle parole di sua madre, sentirsi rinfrancare senza rimuginarci troppo. Sua madre era una persona adulta, doveva saperne più di lui, non avrebbe edulcorato qualcosa soltanto per una rassicurazione temporanea.
Per questo le aveva creduto quando aveva cercato di rassicurarlo sull’Accademia della Spada.
Sono ragazzi della tua età, sono persone istruite e rispettose, ti farai molti amici, ti integrerai alla perfezione. Fra militari non conta la provenienza. È un’opportunità irrinunciabile.
Non ti sentirai fuori posto.
 Essere fuori posto era diventata invece la sua costante esistenza da quando si trovava lì, esistenza non molto lunga visto che aveva compiuto da poco sedici anni. Era certo che non fosse così difficile smettere di essere fuori luogo tutto il tempo, ma gli sfuggivano le regole di quel processo. Beh la sua faccia non aiutava, sempre corrucciata, i suoi sorrisi sembravano aggressivi e la sua postura rigida non metteva gli altri a proprio agio. Suo fratello lo prendeva sempre in giro per questo.
– Sei in ritardo – commentò il maestro Darren spazientito, al che lo guardò incerto, come se non ricordasse il suo nome – siediti, prima che ti faccia punire.
La piccola aula ad anfiteatro era in completo silenzio intenta a osservarlo. I cadetti erano disposti a vari livelli, tutti vestiti in divisa con i loro taccuini di fronte a sé. Si sedette su uno dei posti più vicini, tastandosi la pelle gonfia del viso.
– Bella faccia, mangiafieno.
Kieran non si girò e serrò i denti; aveva un occhio nero, uno dei cadetti dell’ultimo anno gli aveva chiuso la porta della mensa in faccia e poi la aveva riaperta di colpo, mandandolo al tappeto. Aveva sentito qualche risata e una serie di passi che gli sciamavano attorno, prima di riprendersi.
– Silenzio – tuonò il maestro.
Kieran tirò fuori un diario in pelle e una penna d’oca insieme a un barattolo d’inchiostro, si sentiva ancora rintronato dalla porta in faccia e attese prima di intingere la punta.
Non era stato un mese semplice.
L’Accademia della Spada era tutto ciò che avrebbe mai potuto sognare, camere spaziose, cibo di prima qualità, prati verdi curati, corridoi e sale riccamente arredate, divise di tessuti pregiati, tutto ciò che uno come lui non aveva neanche mai sperato. Forse era proprio questo il punto: quello non era il suo posto.
Era un pensiero passeggero e terrificante che scacciava con violenza. I cadetti intorno a lui sembravano determinati a inculcarglielo a forza, perché non erano stati molto gentili queste prime settimane. Andava bene, era abituato ad avere a che fare con ragazzi prepotenti e violenti, veniva da un posto ben peggiore di quello. Aveva ancora la cicatrice sulla coscia di quando Kurt lo aveva ferito con un coltellino per rimetterlo al suo posto di fronte agli altri ragazzini del Buco; era abituato ai litigi, agli insulti, anche alle risse, ma la gente lì dentro era più subdola e lui non poteva contrastarla ad armi pari. Perché dare un pugno al figlio di qualche nobile gli avrebbe causato molti problemi, il rettore lo aveva avvertito. Se voleva restare lì, avrebbe dovuto ingoiare l’orgoglio.
Non era un problema, doveva solo farsi notare dai maestri, impegnarsi più di tutti gli altri, spiccare come poteva.
Finora sta andando davvero bene.
Per il momento era riuscito soltanto a rimanere nell’ombra e a essere riconosciuto come il “contadino”, nonostante non fosse mai neanche stato in campagna. I maestri non sapevano il suo nome, i cadetti lo tenevano alla larga come se fosse un perdente appestato e lui non riusciva a emergere.
– Vaukhram sei in ritardo. Eravate insieme per caso?
Alzò lo sguardo sul ragazzo che era appena entrato, il suo compagno di stanza. Forse era troppo intimo chiamarlo così, visto che per il momento il suo compagno di stanza era più che altro un letto vuoto. Silas Vaukhram, il Discendente, aveva dormito quasi ogni notte fuori, ignorandolo di continuo e chiamandolo Credence. Lo aveva corretto un paio di volte, poi aveva rinunciato, Silas era il cadetto più importante di tutta l’Accademia, dunque era meglio interagirci il meno possibile. Poteva farlo espellere anche solo schioccando le dita, Kieran ne era ben conscio e non aveva cercato un contatto in alcun modo. Non che uno come Silas Vaukhram fosse interessato a rivolgergli la parola, Kieran non aveva titoli né soldi; Silas aveva in abbondanza di entrambi. Era talmente disgustato dall’idea di dividere la stanza con uno come lui che dormiva ramingo in giro. Non poteva chiedere che gli venisse cambiato compagno? O di avere una stanza propria per sé? Il potere di farlo non gli mancava.
– No, ero da solo. Sono desolato maestro. Non ricapiterà.
Il maestro non disse nulla e continuò a esporre gli habitat tipici delle fate. Kieran studiò il suo compagno di stanza che andava a sedersi, la divisa blu aveva il colletto sbottonato fino al petto e i baveri della blusa bianca spiegazzati. Se si fosse presentato lui così, il maestro come minimo gli avrebbe rimbeccato la sciatteria, poco tollerata verso i cadetti.
– Ti stavi divertendo, Vaukhram? – ridacchiò un ragazzo alle sue spalle e lo scosse con fare amichevole. – Di nuovo quella ragazza Forgiatrice?
Stava sussurrando, ma Kieran riuscì a udirli, forse perché si stava impicciando di proposito.
Silas rovesciò la testa per guardare il banco alle sue spalle, in alto. – No, dormivo.
Le persone intorno a Silas sembravano rinvigorite dalla sua presenza, gli parlavano, gli chiedevano qualcosa sottovoce, gli toccavano una spalla o un braccio con fare amichevole.
Avrebbe voluto non sentirsi così arrabbiato e invidioso, erano sentimenti da debole, non voleva provarli. Ma Silas era il genere di persona che Kieran faticava a digerire.
Era ricco, potente, di bell’aspetto, era il Discendente di una fata antica, la sua famiglia controllava gran parte delle fabbriche della Gardenia; come se tutto questo non fosse stato sufficiente, era anche molto abile. Era un combattente formidabile, nessuno alle simulazioni era riuscito a sconfiggerlo ancora, doveva essere stato allenato fin da quando era ragazzino.
Potrebbe avere almeno un piccolo difetto, come l’alito cattivo o la calvizie precoce.
Non che lo conoscesse abbastanza per dire come fosse il suo alito, a giudicare dalla quantità di persone che si vociferava indugiasse in quella bocca… beh evidentemente la gente apprezzava il suo alito.
Silas era l’esatto contrario del fuori posto. Quello era in tutto e per tutto il suo mondo, dentro cui si muoveva sicuro di sé e tranquillo.
È già tanto che io sia qui, non devo essere… avido. Va bene così, è già più di quanto potessi sognare.
Chissà perché quei pensieri erano altrettanto terrificanti.
 
 ⚔
 
– Perché un contadino dovrebbe voler diventare un guerriero di Ferro?
Stava cercando di sciogliere i muscoli prima degli allenamenti, non era granché snodato. – Io non sono un contadino – rispose calmo.
Aveva perso il conto delle volte in cui aveva dato quella risposta.
– Fattore, contadino, stessa cosa.
– Vengo dalla città, non ci ho mai messo piede in campagna – borbottò.
Il ragazzo che lo stava interrogando sembrava scettico. – I campi fuori città?
Oh per Titania! Sbuffò esasperato.
– Sì, quelli, mungevo le mucche, aravo i campi, mangiavo barbabietole a tutte le ore – rispose annuendo. – Una vita onesta.
L’altro cadetto sembrò soddisfatto di quella risposta. – E perché vuoi combattere? Il Ferro è un onore, non è per tutti. E poi serve un titolo, dei soldi…
Era pronto a continuare a prenderlo in giro con altre risposte idiote, ma il maestro li chiamò a raccolta vicino alla pedana degli scontri. Lasciarono gli allenamenti individuali e si raccolsero intorno a lui, sudati e stanchi. Erano una trentina in tutto dei nuovi cadetti, tutti sui sedici anni, pochissime ragazze, la maggior parte maschi.
– Con l’avvicinarsi dell’Iniziazione voglio più scontri a coppie. Gli scontri servono per allenarsi, per esporre critiche e buone idee, non voglio mosse sleali e non voglio accanimento.
Forse a sedici anni è normale sentirsi così spaesati e fuori posto, non poteva saperlo, non aveva mai avuto sedici anni prima di allora, ma era piuttosto certo che molto dipendesse dal fatto che quello non fosse il suo habitat naturale.
Si guardò intorno di soppiatto; a volte aveva la sensazione di essere diverso anche nell’aspetto, di essere più rozzo. Come se non potesse neanche fingere. Jin, che raccoglieva rottami vicino la discarica nel suo quartiere, gli diceva sempre di poter riconoscere chi era nato e cresciuto nel Buco e chi no, c’era qualcosa negli occhi, nella mascella, qualcosa di arcigno, di torvo. Ancora adesso Kieran si chiedeva se gli altri lo vedessero così.
– Bella toppa, Reed – ridacchiò un ragazzo accanto a lui, un bulletto di nome Thomas che non perdeva occasione per prenderlo in giro.
Nonostante fosse figlio di una sarta, non era mai diventato granché bravo a cucire, ma rammendare la sua divisa era l’unico modo per non andarsene in giro nudo. Comprarne un’altra avrebbe significato chiedere soldi al rettore e lui si vergognava troppo. Non che gli importasse di certe offese.
– Grazie, l’ho cucita con amore – rispose sornione, fingendosi davvero lusingato per il complimento.
Era meglio fingersi un povero idiota sempliciotto e ingoiare le offese, non era un comportamento che gli piaceva o che avrebbe mai adottato giù a casa, ma qui era in lande sconosciute.
Thomas rimase interdetto e distolse lo sguardo, bofonchiando uno “strambo” fra sé e sé.
Non si faceva certo prendere in giro da uno che non sapeva neanche che cosa fosse il cucito. Non che lui fosse bravo, ma infilare quel maledetto filo nell’ago era difficile, specialmente con le sue dita grandi.
– Abbiamo già fatto diversi scontri a coppie e sono stati tutti piuttosto penosi, eccetto per Vakuhram. Voglio che la prendiate più seriamente, perché quando sarete là fuori, faccia a faccia con qualche fottuta fata purosangue, non finirà con una scrollata di spalle, ma con le vostre budella usate per le loro collane.
Sempre molto incoraggiante.
Almeno non aveva usato la solita minaccia dei testicoli come orecchini, anche se per Kieran quella rimaneva la migliore, oltre che la più raffinata.
Non che fossero minacce infondate, le fate impazzite da quel che si diceva potevano strapparti gli organi e tenerti comunque in vita, rivoltarti dal dentro al fuori o impalarti e lasciarti a soffrire per una decina d’anni. Però la minaccia dei testicoli faceva sempre un certo effetto.
– Siete qui per diventare la difesa fra la follia di quelle bestie e la civiltà, e quando si combatte contro la follia bisogna essere fermi nelle proprie convinzioni e nelle proprie conoscenze. All’Iniziazione dovrete portare onore alla vostra Accademia più di tutti gli altri. Perché questa è l’Accademia della Spada.
L’Accademia della Spada non era per tutti, avrebbero potuto scrivere questo sui cancelli d’ingresso per essere più onesti, invece l’insegna titolava una frase ispirante in una qualche lingua morta che Kieran non conosceva.
 Anche se chiunque poteva diventare un guerriero di Ferro, quella specifica Accademia era riservata ai comandanti di domani, ai soldati d’élite, era il posto dove le famiglie più importanti mandavano i figli che non avrebbero ereditato granché, per trasformarli in valenti condottieri contro la piaga delle fate sui confini. Oltre che un onore era anche un lavoro molto redditizio, come tutti quelli che coinvolgevano le Gilde.
Tuttavia non si accedeva a quell’Accademia senza un titolo o una gigantesca fortuna. In questo era una sorta di eccezione, era entrato sotto raccomandazione del rettore, che non era un evento così raro quando si parlava di persone ricche senza un titolo; lui però non era neanche ricco, era un nessuno bello e buono cresciuto in una famiglia sgangherata. E purtroppo gli altri cadetti sembravano fiutarlo di continuo.
Pochi anni per compensare la mancanza di studi ed educazione, per recuperare libri, un istitutore privato, il tutto in parte pagato dallo stesso rettore, in parte da sua madre. Aveva frequentato la scuola nel suo quartiere negli anni, ma a parte leggere, scrivere e fare di conto non aveva mai imparato molto altro.
Conosceva e percepiva l’abissale differenza fra lui e gli altri cadetti, le loro maniere, la loro educazione, la cultura. La sua scrittura era molto storta, il suo lessico più limitato, faticava a tenere una certa concentrazione nelle lezioni teoriche ed era lento a leggere. La maggior parte del tempo se ne stava in silenzio, sperando che non notassero troppo quella lieve inclinazione dialettale– popolana che non aveva mai perso. Purtroppo gli altri cadetti sembravano sempre notare le sue differenze, chi con curiosità, chi con un certo riguardo, chi con disprezzo. Non che fosse l’unica eccezione, ma erano in pochi i fuori posto come lui.
–  Reed giusto? Non ti ho ancora visto lottare, porta le tue chiappe sul ring cadetto, vediamo cos’hai imparato in queste prime settimane.
Kieran perse un battito quando venne chiamato e i suoi pensieri si interruppero. Gli altri cadetti si voltarono a guardarlo e sentì subito le orecchie andargli a fuoco. Avrebbe voluto sudare di meno, ma da qualche anno il suo corpo aveva reazioni incontrollabili, gli arti erano cresciuti talmente in fretta che gli facevano male ed era più alto di quasi tutti i suoi coetanei; si sentiva anche più goffo spesso.
Gli arrivò un colpo sul collo da qualche cadetto e sussultò.
– Dai Reed, fallo per la tua fattoria!
– Poveretto, se la sta facendo sotto. Qualcuno gli dia un forcone.
Non aveva idea di dove fosse nata la convinzione che lui venisse dalla campagna, neanche la aveva mai vista. Sapeva soltanto che era troppo nervoso per pensarci.
– Vaukhram, anche tu, sul ring.
Oh merda.
I suoi occhi saettarono sull’avversario con un moto di eccitazione e paura.
– Voi due siete compagni di stanza, giusto?
Kieran annuì in modo meccanico, senza smettere di osservare l’altro.
Silas era intento a stiracchiarsi le braccia e non lo guardava nemmeno. Aveva finito di avvolgere le bende intorno alle mani e si era legato i capelli scuri in un piccolo codino da cui sfuggivano alcune ciocche. Indossava soltanto una maglia bianca, come tutti loro. La sua corporatura con gli abiti appariva piuttosto slanciata, allampanata forse. Aveva un corpo strano, si notava la presenza di sangue fatato, era magro e i suoi arti ricordavano quasi i rami di un tronco, i muscoli intrecciati sotto erano forti, ma diversi da quelli umani. Di solito non si percepiva la differenza, ma bastava osservarlo un po’ perché quella corporatura elegante e affusolata apparisse bizzarra.
Kieran si sentiva molto più sgraziato vicino a lui, era più robusto ed erano alti quasi uguali, ma Silas lo superava appena, anche se non era di certo quello il problema al momento.
 Silas non aveva mai perso quegli incontri e avvertiva già diverse risatine.
– Vaukhram rimandalo a casa dalle sue capre.
Entrarono nel piccolo campo di sabbia rialzato, accolti dalla voce del maestro. Non era un vero e proprio ring visto che non si trattava di boxe, Kieran era sgattaiolato da piccolo a un incontro di pugilato con altri ragazzi del quartiere ed era qualcosa di molto diverso dalla lotta che veniva insegnata nell’Accademia. Era un genere di combattimento corpo a corpo volto a sopravvivere contro esseri agili e veloci, era fatto di prese, colpi frastornati e velocità. La strategia migliore era intrappolare una creatura fatata, erano rapide e potenti, ma mancavano di una grande forza fisica, dunque era più semplice immobilizzarle.
In realtà era meglio evitare lo scontro disarmato contro chiunque sapesse usare la magia, ma dovevano essere preparati ad ogni evenienza.
– Ricordate, è un’esercitazione, ma prendetela seriamente. Soprattutto tu Vaukhram. Niente cazzate.
Questo annuì. – La prendo sempre seriamente – rispose, quasi offeso, ma con un sorriso che non riusciva a nascondere.
Pensa di aver già vinto, beh non mi sorprende, non ha mai perso.
Non sapeva neanche dire se si fosse reso conto di stare per lottare contro il suo compagno di stanza. Era un coinquilino fantasma che si rifiutava di dormire nella sua stessa camera, ma a parte questo non era stato ostile o spocchioso, solo… assente.
Si sistemarono, mentre intorno i cadetti si lasciavano andare a commenti poco piacevoli su Kieran, tifavano tutti per il Discendente e a quanto gli aveva spiegato il rettore, era la norma. Considerato il prestigio dei Discendenti quasi tutti volevano essere notati da lui, farci amicizia, entrare nella sua cerchia, se poi era anche un Vaukhram, c’era poco da aggiungere.
 Kieran invece poteva al massimo ricucirgli male la camicia.
– Interromperò quando lo riterrò opportuno – commentò il maestro e guardò preoccupato Kieran. – Se non ce la fate più, ditelo e battete terra – e continuò a osservarlo con insistenza.
 Anche Silas ora lo guardava, ma appariva distratto, stava pensando ad altro, non lo percepiva come una minaccia.
Si crede davvero migliore di me questo stronzo.
Gli salì un inspiegabile fastidio. Sapeva che gli aristocratici erano migliori di lui sotto molti punti di vista, ma non accettava di essere così sottovalutato, non dagli altri cadetti, non dal maestro e tanto meno non da quel montato di Vaukhram; non dopo tutto l’impegno che ci aveva messo, non dopo quanto aveva investito in quella possibilità.
– Iniziate.
Silas si mosse prima che i suoi occhi potessero vederlo, rapido come un’anguilla. Lo prese lateralmente con un calcio nel fianco e tentò di saltargli sulla schiena per immobilizzarlo. Kieran cercò di reagire, ma non fece a tempo. Il braccio di Silas si strinse intorno al suo collo e lo tirò indietro con forza, bloccandogli la gola. Era più alto di lui, dunque non faticò a sentire il suo respiro accanto all’orecchio. Per essere così agile non avrebbe dovuto avere tutta quella forza.
– Già finita? – commentò divertito un cadetto.
La presa si fece più serrata, voleva fargli perdere i sensi. Kieran però non lo avrebbe permesso. Tirò una gomitata con forza nel suo fianco e poi una capocciata indietro, spaccandogli il naso. Ci fu un verso di sgomento quando Silas si portò le dita al viso per fermare il sangue. Diversi rivoli gli erano colati fra le labbra, a intaccare il sorriso sorpreso.
Kieran aveva il fiatone e raggelò, conscio all’improvviso di quello che aveva appena fatto.
– Ma dai, il ragazzo di campagna sa difendersi – commentò Silas e il suo sguardo perse quella foschia di distrazione e si concentrò su di lui.
Si pulì il naso sanguinante con la maglia, gli occhi lacrimavano per il dolore, ma apparivano determinati.
Kieran lo raggiunse rapido e assestò un calcio alla sua gamba per farlo barcollare indietro. – Non sono un ragazzo di campagna – sbottò ansimante.
In quel momento gli sembrava di essere tornato nel Buco, quando con i suoi amici correva per i vicoli scappando dai ragazzi più grandi che uscivano dalle fabbriche. Doveva essere rapido, doveva essere cauto, ma anche coraggioso. Non doveva farsi mettere in un angolo, non si usciva indenni dall’angolo.
Forse il suo sguardo tradì quei ricordi, perché Silas perse il sorriso e assottigliò le labbra. Strinse i pugni e gli girò intorno come una tigre, capendo di dover fare sul serio.
Era sceso il silenzio, gli altri cadetti trattenevano il fiato, non si erano aspettati che Kieran potesse tenergli testa e già sentiva mormorii contrariati per come gli aveva spaccato il naso.
– I Vaukhram andranno su tutte le furie.
Silas si asciugò di nuovo il naso con il polso. – Non li ascoltare, non lo faranno – replicò serio.
Al che si scagliò contro Kieran; il suo approccio fu più cauto e preciso, ma stavolta Kieran era pronto. Incassò il pugno in viso e avvertì il sangue invadergli la bocca, ma riuscì ad afferrargli il polso prima del secondo colpo. Lo girò su sé stesso come una trottola e frappose una gamba fra le sue per farlo cadere a terra. Funzionò e non appena Silas toccò il pavimento, lo bloccò sotto il suo corpo tenendolo dal collo.
Silas tentò di districarsi con l’agilità, poi provò con la forza bruta e infine assestandogli dei colpi. Kieran non si mosse nonostante il dolore, continuò a schiacciarlo finché il maestro non decretò la fine della simulazione. A quel punto si tolse e Silas si rigirò con uno scatto, gli occhi che emanavano scintille. Provò ad offrirgli una mano, ma la ignorò.
– Il vincitore è Reed – mormorò il maestro, piuttosto stupito. – Complimenti Reed, hai talento. Avete visto come lo ha intrappolato a terra? È fondamentale bloccare l’avversario in modo che non possa muoversi o usare la magia, e bisogna essere rapidi.
Silas si rialzò in piedi, il naso che aveva ripreso a sanguinare. Non gli toglieva gli occhi di dosso.
Gli altri cadetti erano nervosi, non sapevano se congratularsi o farsi gli affari propri. Una ragazza dal viso affilato gli si avvicinò quando scese dal ring.
– Non male Reed, mi è piaciuta quella presa. Anche se all’inizio eri troppo esitante – e gli sorrise.
Era Dalia Tucker, una delle poche cadette entrate con una borsa di studio e una delle pochissime donne dell’Accademia. Aveva occhi vispi e intelligenti, una delle migliori nella scherma.
– Grazie – rispose accennando un sorriso stupito. – Vado a sciacquarmi.
Aveva il labbro spaccato dal pugno. Il cuore gli batteva a mille e non riusciva a calmarlo, a malapena sentiva i suoni intorno a sé.
Raggiunse i bagni, dove le tubature arrugginite si dipanavano sul soffitto, portando acqua fredda. Gli scaffali erano pieni di teli per asciugarsi o pulirsi e alcune panche di metallo bronzeo erano alternate da piccole poltroncine.
Aprì uno dei rubinetti d’ottone e si sciacquò il viso. Alzò la maglia e notò che alcuni lividi si erano formati sull’addome.
Certo che colpisce forte.
Malgrado tutto lo specchio gli restituì un mezzo sorriso gongolante. Aveva sconfitto Silas Vaukhram, aveva sconfitto il migliore dell’Accademia. Certo, il Discendente lo aveva sottovalutato forse ed era partito prevenuto, nonostante non gli avesse dato quest’impressione. Ciò che contava era il risultato.
Voleva esultare, l’adrenalina non sembrava intenzionata ad abbandonare il suo corpo.
– Reed.
Si voltò e si trovò davanti Silas. Si stava sfilando la canottiera sporca di sangue, i capelli scompigliati sfuggiti al codino.
Kieran non riuscì a trattenersi e guardò per un attimo la pelle scura del petto, gli addominali appena accennati e una cicatrice più chiara sul fianco. Era impossibile non guardarlo, anche solo di sottecchi; sapeva che molte persone morivano a causa delle fate dopo averle seguite spontaneamente nei boschi, per qualche motivo era difficile distogliere lo sguardo. Non si trattava di bellezza, era come volersi sporgere a tutti i costi a guardare dentro un pozzo scuro, sperare di cogliere qualcosa di spaventoso.
– Mi dispiace per il naso.
Gli si avvicinò con una certa aggressività. Kieran si accorse che aveva gli occhi umidi. – Facevi tutto l’inetto campagnolo, ci ero cascato pure io! Goditi il tuo colpo di fortuna.
Era troppo vicino, riusciva a vedere tutti i riflessi chiari dei suoi occhi violetti. – Non è molto sportivo da parte tua.
– Non lo sono con quelli come te.
– Quelli come me? – domandò indignato.
Silas lo squadrò. – Quelli che imbrogliano. Quelli che recitano.
Gli rivolse uno sguardo scandalizzato. – Non sai davvero accettare una sconfitta, mingherlino – replicò con uno sbuffo.
Il suo compagno di stanza sembrava pronto per la rissa, in lui c’era una frustrazione che andava oltre lo scontro che avevano avuto, era come se volesse sfogarsi di qualcosa. Kieran aveva troppo il sangue al cervello per ragionarci con lucidità.
– Beh non tutti nascono perdenti, sai? Per alcuni è un’esperienza più unica che rara, ma immagino tu non possa capire.
– Lieto di farti scoprire nuove esperienze, vossignoria, ora se ti levi…
Lo bloccò sul posto. – Chi ti ha insegnato?
– Sarà stata la mia vita da contadino – replicò ironico con un’alzata d’occhi molto esagerata.
Silas non sembrava credergli. – Continuiamo qui.
– Levatelo dalla testa, non voglio guai, fammi passare.
– Hai paura?
Kieran si asciugò le mani sui pantaloni. – Pensa quello che vuoi.
Schivò un colpo e indietreggiò, sbatté contro il lavabo e osservò Silas con rabbia. – Se vuoi prenderle di nuovo, accomodati, viziato del cazzo.
– Allora ce le hai un po’ di palle.
Si svolse tutto troppo in fretta perché Kieran potesse pensare a una strategia. Si scontrarono con molta meno correttezza del ring, prima ancora di reagire si ritrovò per terra a menare pugni alla cieca; si alzò, prese Silas per la collottola e lo sbatté contro il muro. Kieran era più grosso di lui, ma ciò non impedì a Silas di sorridergli con rabbia e di sfuggire alla sua presa con un calcio fra le gambe.
– Giochi sporco – ringhiò, mentre si accasciava sulle ginocchia.
Silas colse quel momento per gettarlo a terra, ma intervenne il maestro a dividerli aiutato dai cadetti. Kieran venne tirato indietro da due braccia mentre un coro di commenti riempiva lo spogliatoio. Aveva la bocca piena di sangue mentre gli levavano Silas di dosso, che ben più agile di lui si divincolò dalla presa emanando sguardi di fuoco ai cadetti che lo avevano afferrato.
Mentre era ancora stordito arrivò la strigliata del maestro, che gli afferrò la maglia a pugno chiuso.
– Domani pulirai le stalle da cima a fondo razza di esaltato, vediamo se ti viene ancora voglia di comportarti come un selvaggio.
Sbatté le palpebre, stordito, e realizzò che il maestro si stava rivolgendo soltanto a lui.
Silas non era stato punito, sebbene la colpa fosse sua.
È un nobile, non pagherà mai.
Gli veniva da ridere.
Se l’era cercata per essere stato un idiota. Sapeva come funzionavano le cose, sapeva che perdeva in partenza contro queste persone, doveva starsene buono e per i fatti propri, invece aveva ceduto alla rabbia e all’orgoglio come un moccioso.
– Mi sono spiegato, cadetto?
Il maestro lo strattonò per la maglia. Kieran lanciò un’occhiata per cercare Silas, ma doveva essersene andato.
– Sissignore.
 
 
La sera in camera Silas non c’era, ne era rimasto sollevato, la situazione era troppo spinosa e non voleva rimanere solo con lui. Soprattutto perché aveva una gran voglia di spaccargli la faccia e questo sarebbe stato controproducente.
Silas non rientrò tutta la notte, non che fosse una novità, era risaputo che avesse comportamenti discutibili, forse era andato a leccarsi le ferite da qualcuno e a farsi consolare per la cocente sconfitta. Avrei vinto anche la rissa se non fossero intervenuti. Pensò altezzoso, ignorando le fitte al fianco per i colpi ricevuti.
Non rientrò neanche la mattina, ma lui d’altronde fu costretto ad alzarsi prima dell’alba per la sua punizione, i lividi erano peggiorati e il labbro si era gonfiato. Era da un po’ che non si svegliava così di malumore.
Raggiunse gli alloggi della servitù al piano più inferiore, gli avevano detto che il capo domestici gli avrebbe spiegato che cosa fare.
La parte che gli bruciava di più era l’aver perso il controllo, aveva promesso al rettore di essere razionale, gli aveva detto di poter sopportare ogni angheria con freddezza. Non gli piaceva cedere alla rabbia così.
E se si fosse vendicato?
Se Silas avesse trovato il modo di farlo espellere? Di togliergli tutto? Magari voleva fargliela pagare, lui non aveva qualcuno alle spalle che potesse aiutarlo. Il pensiero lo nauseava, se avesse sprecato quest’occasione così non si sarebbe mai perdonato.
Non era mai stato nei piani inferiori dell’Accademia, dove dormivano i domestici. Gli creava una strana sensazione, perché per le sue origini quel posto avrebbe dovuto essere più appropriato a lui forse.
I domestici erano già a lavoro, i corridoi dei loro alloggi erano pressoché vuoti. Incontrò un paio di servette, la prima squittì una risata imbarazzata vedendolo, l’altra le diede una gomitata e non osò neanche guardarlo. Kieran impacciato si specchiò su un candelabro per controllare di non avere nulla in faccia. Aveva infilato la divisa in modo svogliato e non aveva neanche allacciato la giacca sulla blusa. La abbottonò, mortificato.
Quando raggiunse la stanza del maggiordomo in fondo al lungo corridoio, rimase imbambolato a osservare la persona che attendeva con una mano nella tasca della divisa e l’altra su una cicca accesa.
Silas non aveva un aspetto migliore di lui, con il naso fasciato e pesto, gli occhi rossi dal sonno e i capelli neri spettinati. Per una volta sembrava in tutto e per tutto un sedicenne, uno molto irritato, con una sigaretta fra le labbra che sembrava spenta da un pezzo.
Ma certo, era venuto a gongolare, gongolare per aver fatto punire solo lui. Era un meschino e un viziato, ne aveva visti di abusi di potere, ma questo piccolo figlio di puttana gli mandava il sangue al cervello.
Prima che potesse strozzarlo, il capo domestico uscì dalla sua stanza tenendo un secchio pieno d’acqua e due scopettoni. Ne porse uno a Silas e un altro a un attonito Kieran.
– Le vanghe per il letame sono nella stalla, questi vi serviranno per il portico. Se non finirete in tempo per le lezioni mi è stato detto che continuerete a fine giornata. Qualcuno verrà a controllare.
Richiuse la porta e li lasciò da soli. Silas non lo degnò di un saluto, lo superò tenendo il secchio e poi si girò a guardarlo.
– Sei ancora nel mondo dei sogni? Finiremo di pulire fra una settimana se continui a dormire in piedi. E io che pensavo che i contadini si svegliassero col buio tutti i giorni.
Kieran era ancora frastornato. Gli andò dietro con passo spedito. – Per l’ultima dannata volta, non sono un contadino.
– Ah no? Un pecoraio allora.
– Sono la stessa cosa.
– Non è colpa mia se sembri un campagnolo, con quell’aria spaesata.
– Sei insopportabile.
– Me lo dicono spesso.
Il suo malumore forse era un po’ migliorato.
 
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La stalla era situata nei giardini dell’Accademia, non lontano dai grandi cancelli dell’ingresso. L’odore acre di letame non sembrava disturbare i cavalli stanziati nei box, tutti ben curati e puliti. Sbuffavano di tanto in tanto, scacciando le mosche con la coda.
La stalla era divisa da un grosso androne che separava le due file di cavalli, sulla destra erano impilate selle, redini, frustini, spazzole e tenaglie, mentre sulla sinistra c’era l’occorrente per cambiare i ferri degli zoccoli. Sul fondo erano accatastate diverse balle di fieno.
Kieran era abbastanza intimidito dai cavalli all’inizio, era raro che qualcuno li usasse in città. Le prime lezioni di equitazione non erano andate molto bene, il suo cavallo non si era dimostrato amichevole. Qualche carota e zuccherino dopo era riuscito ad ammansirlo a sufficienza da non essere disarcionato seduta stante.
Gli si avvicinò e gli diede qualche carezza sul collo, lo aveva spazzolato pochi giorni prima.
– Come va, Cherry?
Negli ultimi tempi però era migliorato e gli piaceva l’equitazione. Le fate non permettevano a vaporette o mezzi di trasporto meccanici di entrare nei loro territori, dunque l’unico modo per muoversi all’interno delle loro zone senza provocare conflitti era a cavallo. I guerrieri di Ferro non potevano esimersi dall’imparare a cavalcare.
Silas poggiò i secchi d’acqua sul portico fuori dalle stalle e prese le vanghe. Si era fermato a salutare il proprio cavallo, uno stallone bianco dall’aria massiccia.
– Sbrighiamoci, io spalo da questa parte tu da quella, poi laviamo il portico.
– Tu non mi dai ordini – replicò Kieran e prese la vanga.
Silas alzò gli occhi al cielo. – Hai un metodo alternativo da proporre?
– Uhm no.
– Bene.
Iniziarono a pulire di buona lena dopo essersi arrotolati i pantaloni in cima agli stivali; a parte gli sbuffi dei cavalli e il ronzare delle mosche non c’erano altri rumori, nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare. Era appena sorto il sole, le lezioni e gli allenamenti sarebbero cominciati fra due ore.
Kieran rimase in silenzio, immerso nei propri pensieri, si dimenticò quasi del suo compagno di punizione, che invece sembrava più irrequieto.
– Sei forte per avere sedici anni – bofonchiò a un certo punto Silas.
Si passò il dorso della mano sul naso fasciato e fece una smorfia.
Kieran alzò lo sguardo, torvo. – È un modo per scusarti di non saper accettare una sconfitta e averci fatto finire in punizione?
Silas gli rivolse un’occhiataccia, poi sospirò risentito. – Stavi davvero fingendo.
– Fingendo di fare cosa?
– Di essere un sempliciotto. Sempre a testa bassa, non emanavi alcuna minacciosità e invece lotti come un forsennato.
Kieran non sapeva se essere offeso o lusingato. Nel dubbio scelse di essere entrambe le cose. – E quindi? Ti crea problemi?
– Sì. Perché non ti ho mai osservato con attenzione.
Era sempre più confuso da quelle risposte. – Te lo chiedo di nuovo: è il tuo modo per dirmi che ti dispiace?
Abbassò lo sguardo. – Forse.
La risposta era uscita bofonchiata, ma senza alcuna ironia.
Kieran guardò la montagna di letame da togliere di fronte a sé. Non aveva voglia di rendere quella punizione ancora peggiore con un altro litigio. Forse era sufficiente.
– Prima di venire qui ho lavorato in una fabbrica, mi occupavo di trasportare alcuni carichi pesanti.
Silas fermò la pala e si voltò a guardarlo. – In una fabbrica?
– Dopo la scuola, dalle mie parti quasi tutti i bambini fanno dei lavoretti, o aiutano i genitori nelle botteghe o vanno in fabbrica. Io ci sono stato solo un anno e mezzo.
Si poggiò contro la vanga, pensieroso. – Era faticoso?
Kieran guardò gli stivali inzaccherati di letame. – Sì, molto, ma non lavoravo tanto, solo alcune ore. Mia mamma non voleva, c’erano spesso incidenti.
Si sentiva osservato e si voltò. Silas di fatto lo stava soppesando senza mostrare imbarazzo, il mento poggiato sulla cima della vanga.
– Dobbiamo sembrarti tutti molto viziati qui dentro.
Kieran si grattò la nuca. – No, beh ogni tanto, ma anch’io vizierò i miei figli quando sarò ricco – rispose sornione.
Silas ridacchiò. – Vuoi dei figli?
– Non lo so, forse. Hai finito con le domande? Tu perché come fai a vincere sempre?
Scrollò le spalle. – Ho avuto molti tutori privati.
Kieran voleva chiedere altro, ma distratto com’era rischiò un calcio in piena pancia da un cavallo. Si allontanò dal box e ricominciò a spalare. La conversazione si interruppe e stavolta desiderò che Silas ricominciasse a parlare. Gli piaceva in realtà ricevere domande.
Si voltò per cambiare box e si ritrovò il Discendente a un palmo dal naso. Indietreggiò impacciato. – Mi hai fatto prendere un colpo, non venirmi così vicino.
Silas si fermò, imbarazzato. – Scusa, mi dimentico che alle persone può dare fastidio.
Kieran sapeva che i Discendenti potevano avere comportamenti eccentrici a volte e che la loro curiosità era molto più spiccata della maggior parte di umani, ma a volte si dimenticava che il suo compagno di stanza fosse per metà fatato.
– Non fa niente, ma non farlo di soppiatto – bofonchiò.
Silas lo guardava con la testa inclinata, i capelli neri che pendevano da un lato. – Tu sei stato raccomandato dal rettore, giusto?
Prese la maglia con un gesto stanco e iniziò a scuoterla per farci entrare un po’ d’aria fresca; iniziava a sudare.
Sbaglio o Silas si sta dando molto meno da fare di me? Rifletté imbronciato.
Gli rimise la vanga in mano con fare stizzito e Silas tornò a concentrarsi sul letame. Sembrava distrarsi con facilità. – Allora? – lo incalzò.
– Sì, il rettore è la persona che ha garantito per me e ha pagato alcuni tutori prima che venissi qui. È il mio benefattore e gli devo tutto.
– Beh non proprio tutto, i tuoi traguardi sono solo tuoi.
Sbatté le palpebre al tono sereno con cui aveva parlato. Si girò a guardarlo. – Immagino di sì… ma il rettore è un uomo straordinario.
– L’ho sentito, sembra uno tutto d’un pezzo, ci ho parlato poche volte.
Kieran all’improvviso era su di giri. – Lo sai che è il guerriero di Ferro più giovane nella storia ad aver abbattuto una fata purosangue? Aveva solo quattordici anni!
Silas aggrottò le sopracciglia. – Philip il Temerario aveva quasi la stessa età, secondo me avrebbe potuto batterlo.
– Non sai di che cosa parli – protestò. – Il rettore lo avrebbe conciato per le feste.
– Ne dubito. Il Temerario non aveva neanche la pistola all’epoca, visto che non erano state inventate.
Iniziarono a rimbeccarsi e a creare scontri immaginari fra il Temerario e il rettore, ciascuno sostenendo la propria tesi.
– Se il rettore fosse su un’aeronave e con una mano legata dietro la schiena, riuscirebbe comunque a uccidere la fata e salvare tutti.
– Il Temerario aveva perso un occhio da ragazzo, sarebbe stato capace di fare lo stesso anche da cieco.
Non trovarono un vero vincitore alla sfida, ma iniziarono a riflettere su quanto sarebbero stati forti assieme se solo fossero vissuti nella stessa epoca. Silas sembrava saperne molto di storia dei guerrieri di Ferro e ammise infine che il rettore William Rorgerson fosse effettivamente una leggenda.
Per la fine della conversazione avevano finito di spalare il letame e potevano iniziare a sciacquare il portico d’ingresso. Si pulirono gli stivali, anche se entrambi emanavano un odore poco piacevole.
– Sai, se ti infastidisce avermi come compagno di stanza, puoi chiedere un cambio.
Non poté fare a meno di dirlo. Si detestò per il tono appena lamentoso, ma lo pensava davvero e non poteva rimanere zitto.
Silas lo guardò perplesso. Erano sul portico di fronte la stalla; il sole basso della prima mattina feriva gli occhi a entrambi, l’aria era pungente e gli pizzicava le guance.
– Vuoi cambiare compagno, Reed?
– Non stavo dicendo questo! Ma dormi sempre fuori, tu…
Silas scoppiò a ridere. – Non è per te che dormo fuori, certo che sei davvero poco sveglio – rispose divertito. Poi corrugò la fronte, incerto. – Di notte mentre dormo rilascio inconsciamente la mia magia, un pizzico almeno. Man mano che imparerai a percepire la presenza di magia fatata con l’addestramento ti darà fastidio, potrebbe tenerti sveglio per ore.
Kieran gli rivolse uno sguardo sbigottito.
– Cosa?
– Non hai sentito? Sono comunque per metà una fata e qui dentro impariamo a ucciderle le fate. Non era niente di personale.
Stava forse dicendo che si era preoccupato per… il suo sonno? Aveva pensato a non disturbarlo?
Kieran impiegò poco a sentirsi un vero idiota. Aveva passato il tempo a piangersi addosso e a pensare il peggio di quell’atteggiamento di Silas, convinto di essere disprezzato a priori.
Guardò il secchio pieno d’acqua, non sapendo bene come reagire. Non era abituato lì dentro alle premure.
Alzò piano gli occhi su Silas, che appariva in difficoltà. Per la prima volta pensò che il suo sguardo fosse gentile e non affilato, malgrado il volto senz’età e l’atteggiamento sempre sarcastico e sicuro di sé.
– A me va bene, non dà fastidio. È anche la tua camera.
– Sì, ma…
Sbuffò. – Se mi sveglio è un problema mio in caso, non tuo. Inoltre sottovaluti il mio sonno, io dormo come un neonato. Non sono abituato a dormire da solo poi. Sei come un sonnambulo magico, non è un problema, ci farò l’abitudine.
Silas rabbrividì appena per una ventata fredda; si erano affacciati grossi nuvoloni lontani, il sole spariva e riappariva di continuo. Colse l’occasione per distogliere lo sguardo. – Se va bene a te, suppongo vada bene anche a me.
Stavolta fu Kieran a ridere. – Ti serviva il mio permesso, Vauk?
– Oh chiudi il becco, Reed, sono un gentiluomo io.
Gli cinse il collo con il braccio e lo trascinò indietro. – Oh ma allora hai davvero un animo gentile sotto quella presunzione. Un gentiluomo, eh? Raccontalo ad altri, volevi picchiarmi solo per aver perso! – e ridacchiò mentre cercava di mantenere la presa.
Silas rimase interdetto dal gesto di confidenza, s’irrigidì di colpo e le pupille si restrinsero, violente. In pochi secondi sembrò realizzare che Kieran stesse giocando, perché si rilassò e iniziò a divincolarsi.
– Hai avuto un colpo di fortuna, volevo dimostrartelo subito così da non darti false speranze – rispose e tentò di afferrarlo a sua volta.
Mentre si azzuffavano ridendo, il vecchio Nelson trotterellò vicino a loro con la coda monca che scodinzolava.
– C’è il bastardo del custode.
Il bastardino dell’Accademia si fermò vicino a loro, attirato dalle risate; aiutava il custode e se ne andava a zonzo per i giardini a dormire sotto il sole sui prati. Spesso era accompagnato da un paio di gatti pigri che i domestici tenevano per cacciare i topi, dovevano essere nei dintorni.
 Aveva perso un pezzo di coda da qualche parte anni addietro e anche l’orecchia lunga di destra era frangiata.
Kieran si chinò ad accarezzarlo e lo seguì quasi subito Silas. – Non hai qualcosa da mangiare?
– Secondo te mi porto qualcosa da mangiare mentre vado a spalare letame? Per le fate, ne fai di domande sciocche.
– Oh scusa tanto, principino. E comunque io di solito mi porto sempre del cibo nelle tasche.
Silas lo ignorò e grattò le orecchie del bastardino. – Questo cane ha le pulci e le zecche.
– Nessuno è perfetto. Chissà cosa pensa lui di te.
In realtà Nelson sembrava pensare bene di entrambi perché aveva la bocca spalancata e la lingua di fuori penzoloni mentre si godeva le carezze.
Silas si guardò attorno circospetto, poi sollevò appena una delle bende sul naso e grattò la pelle finché un rivolo di sangue non colò lungo la bocca. La afferrò con un dito e la poggiò sul muso del cane. Recitò il verso di una ballata oscena sui capelli sporchi di una dama bellissima e il pelo di Nelson per un attimo fu lucente. Si sgrullò e caddero alcuni esserini morti.
Kieran era senza parole. – Cos’hai fatto?
– Un incantesimo di protezione. Non durerà a lungo purtroppo.
– La magia può fare anche cose del genere?
Silas si parò la faccia dalle leccate del cane; sembrava percepire la magia da lui e appariva euforico.
– La magia può fare tantissime cose, questo è facile – rispose con un sorriso beffardo.
Osservò il rivolo di sangue. – Hai sempre bisogno del sangue per lanciare una magia?
Si pulì il viso con la manica della blusa. – Man mano che diventerò più bravo non mi servirà, imparerò a usare tutto il mio corpo. Il sangue, le ossa e gli organi sono le parti più pregne di magia di una fata e di un Discendente, quindi per ora mi risulta più facile se uso il mio sangue.
Kieran era rapito da quelle spiegazioni, sembrava incredibile poter fare qualcosa del genere. – Allora se mi prendo i pidocchi chiedo a te.
– Ti rasi i capelli di nuovo come tutti, genio.
– E perché tu non li hai rasati?
Si arricciò una ciocca intorno al dito. – Perché anche i miei capelli sono magici, non posso tagliarli troppo – e nel dirlo l’espressione s’incupì appena, ma fu solo per un istante.
Kieran allungò le dita e prese la ciocca delicatamente, mentre Silas lo osservava interdetto.
Guardò i capelli da vicino: erano sottili e nerissimi. – Beh sono comunque i tuoi capelli, se ti va li tagli e basta – e lasciò la ciocca. Rovesciò la testa indietro e socchiuse gli occhi quando il sole fece capolino dalle nuvole. – Ho così tanto sonno.
Silas non lo stava guardando e sembrava evitare il suo sguardo. I capelli gli erano ricaduti sopra l’orecchio a punta. – Dobbiamo finire o dovremo continuare dopo.
– Lo so lo so. La prossima volta che ti batto evita di farci finire in punizione.
– Tranquillo, non ricapiterà mai più che tu mi batta.
Kieran riaprì gli occhi quando il sole venne inghiottito di nuovo dalle nuvole. Si voltò a guardare Silas che stava carezzando ancora Nelson.
Mh? Che strano.
Gli venne da sorridere.
– Che hai da ridere? Ti ho colpito troppo forte ieri?
– Niente – rispose e si alzò in piedi. – Finiamo.
In quel momento non si sentiva così fuori posto.
 
 


Questo è il primo capitolo nel passato, ce ne saranno alcuni che ogni tanto compariranno fra i capitoli nel presente, in particolari momenti, andranno in ordine cronologico.
Kieran e Silas a sedici anni erano decisamente più tenerelli e insicuri.
 
   
 
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