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Autore: Avion946    01/06/2021    0 recensioni
Paolo Carlisi, un giovane reporter di guerra, profondamente segnato da una sconvolgente esperienza avuta durante un pericoloso, recente episodio del suo lavoro, decide di cercare di dimenticare il passato e di recuperare la sua serenità interiore effettuando un lungo viaggio turistico lungo il percorso della mitica ‘66’, la Mother Road. Sarà invece un percorso che, attraverso la conoscenza di persone ‘speciali’ e di paesaggi incredibili e misteriosi, lo porterà ad acquistare una diversa visione della realtà che lo circonda e della sua vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Strani compagni di viaggio
Capitolo I°
Paolo Carlisi percorreva sovrappensiero la Santa Monica Avenue, nella omonima cittadina balneare californiana, diretto verso il mare, gettando lo sguardo senza particolare interesse ai tanti negozi per turisti che esponevano articoli di tutti i generi ma di buon livello. Erano da poco passate le 16.00 ed il clima era piuttosto mite, come è caratteristica della zona di Los Angeles all'inizio di marzo. Paolo era un giornalista freelance che operava sui teatri di guerra. Ora, eccezionalmente, aveva realizzato un servizio sull'evento degli Oscar che si era concluso due giorni prima. Molto curato nel fisico, era alto e con un corpo longilineo, con una giusta muscolatura. Aveva un viso regolare, con le orecchie leggermente sporgenti. I suoi occhi, di un bel colore grigio, avevano uno sguardo profondo e apparentemente triste, come quello di una persona che ha visto tante, troppe cose. Aveva da poco compiuto 34 anni anche se forse le varie esperienze che aveva vissuto per il suo lavoro, davano al suo viso un'impronta adatta ad una persona di età più matura. Piuttosto stempiato, con delle piccole rughe attorno agli occhi ed una in particolare al centro della fronte che si evidenziava quando era attento o pensieroso. Era nato a Napoli, dove il padre, famoso giornalista, aveva lavorato per i più importanti quotidiani e che aveva previsto anche per lui una vita nel giornalismo, seguendo magari le sue orme. Paolo però, pur essendo attratto dalla professione dl giornalismo, era dotato di quello spirito di avventura e di quel poco di pazzia che lo aveva spinto verso il suo attuale tipo di lavoro. La morte della madre, avvenuta a causa di un incidente stradale, quando lui era ancora un bambino, lo aveva profondamente segnato. Crescendo, aveva lentamente sviluppato la strana capacità di capire cosa pensavano le altre persone. Non che fosse capace di leggerne distintamente i pensieri ma era diventato capace di prevedere le loro reazioni, leggeva le loro emozioni, era capace di capire con chi valeva la pena di stare e con chi invece era meglio evitare, riconosceva le persone vere, sincere da quelle false. All’inizio riteneva che questa qualità fosse naturale, che l’avessero tutti ma poi, parlando con alcuni suoi amici, aveva scoperto che non era così. Ma c’era anche dell’altro. Più di una volta, nel corso del suo lavoro ‘sul campo’, era stato in grado di fiutare delle situazioni di pericolo. La cosa gli aveva permesso di non correre soverchi rischi anche in condizioni di estremo pericolo. Quindi, anche per non essere preso per uno ‘strano’ e per non essere evitato, si guardava bene dal parlare di questa cosa. Per essere più indipendente, si era trasferito a Roma, più vicino al suo editore e più lontano dall'influenza di suo padre. In questo momento era deluso, scontento, amareggiato. Aveva fatto un buon servizio ma sentiva che gli era mancata la qualità che di solito rendeva il suo lavoro migliore di tanti altri. Il punto era che, probabilmente, aveva peccato di superficialità, di scarsa maturità, pensando che sarebbe stato sufficiente cambiare scenari, cambiare luoghi e situazioni per cancellare così, quasi con un colpo di spugna, tutto ciò che aveva visto e vissuto nei mesi precedenti durante un lungo periodo in cui aveva realizzato un ampio servizio in medio oriente, in una zona dove si svolgevano scontri ferocissimi e sanguinosi fra fazioni di combattenti che operavano, malgrado la presenza di civili sul campo. In quel periodo, purtroppo, si era fatto coinvolgere dagli eventi che accadevano attorno a lui, cercando di capire, di trovare delle risposte per arrivare a comprendere perchè delle persone fossero disposte a vivere in quell'inferno che è la guerra. Purtroppo, dalla sua esperienza non era stato in grado di darsi una risposta. Con i combattimenti attorno a lui, la continua vista della morte, non poteva farsi un'opinione distaccata. Aveva vissuto un'esperienza così travolgente, assistendo ad azioni talmente cruente, da ambo le parti, che non riusciva nemmeno più a capire da che parte potesse essere la ragione. Aveva perfino rischiato di morire, salvandosi solo per caso. Dopo un bombardamento del campo in cui si era rifugiato assieme ad altri suoi colleghi per passare la notte, si era risvegliato in una tenda ospedale, letteralmente coperto di sangue e con numerose ferite nessuna delle quali gravi però. Non ricordava nulla di quanto era accaduto e non aveva mai saputo chi l'avesse ritrovato e condotto in quella postazione sanitaria. Per quante ricerche avesse fatto, nessuno gli aveva saputo dire nulla. Chi lo aveva portato in ospedale,  gli aveva lasciato la macchina fotografica che aveva a tracolla. La macchina era danneggiata ma la pellicola quasi tutta impressionata, aveva rivelato foto estremamente valide per il suo lavoro. Nelle immagini però comparivano due colleghi con i quali si incontrava spesso, il giornalista tedesco Stefan Lange e la sua collaboratrice fotografa  Nicole Horn, anche lei tedesca. In realtà sospettava che fra i due ci fosse qualcosa che andava al di là del semplice rapporto di lavoro, anche se loro negavano recisamente. Dopo averli cercati a lungo, per sapere se loro conoscessero gli eventi, con grande apprensione aveva appurato che risultavano dispersi dalla data in cui lui era stato portato in ospedale. Ripresosi alla meno peggio, con il materiale che era riuscito a mettere insieme, esausto, aveva montato un ottimo servizio che era riuscito a vendere piuttosto bene al suo solito editore. Seguì comunque un periodo di depressione e confusione, durante il quale si rese conto che il suo ‘dono’, la sua strana capacità, non c’era più. Fu a quel punto che un suo buon amico, che operava nel mondo dello spettacolo, di certo per aiutarlo a superare quel tremendo momento, fece in modo che gli fosse offerta l'opportunità di seguire, documentandolo, l'evento della cerimonia della consegna degli Oscar e lui, pensando che la cosa lo avrebbe aiutato a ritrovare la giusta misura, ad allontanare quei ricordi tremendi, aveva subito accettato. Sfruttando l'amicizia di alcuni tecnici del teatro Dolby Theatre, che ormai da anni ospitava l'evento, era riuscito a realizzare un originale servizio sul 'dietro le quinte' cogliendo quegli aspetti e quelle azioni che, di norma, rimangono riservate e sconosciute al pubblico. Ma forse, anche questo aveva contribuito ad intaccare maggiormente il suo morale. I piccoli sotterfugi, le segrete debolezze dei personaggi più in vista, la curiosità per particolari, legati esclusivamente al mondo dello spettacolo e del gossip, contrapposti a quegli eventi che non riusciva a dimenticare, lo mettevano in difficoltà. Quella gente era mentalmente lontana migliaia di miglia dagli eventi a cui lui aveva assistito. Incredibili attenzioni al colore di un abito, un vestito più o meno trasparente, il nuovo fidanzato della diva, l'anello più o meno prezioso, l'ultimo modello di automobile. Che ne sapevano della morte di bambini sotto le bombe, di ospedali senza medicine, di gente falciata dalle raffiche solo per dover traversare una strada per rimediare un po' d'acqua. E poi, c'era stato.... Buio, non lo sapeva nemmeno lui cosa c'era stato e forse, almeno così gli avevano detto in ospedale, forse, era meglio. Scacciò i pensieri del passato con un tremendo sforzo di volontà, come gli avevano insegnato a fare dove era stato assistito prima di tornare a casa. Spedito il servizio, stava semplicemente occupando il pomeriggio, in attesa del volo di ritorno in Italia previsto per la mattina del giorno seguente. Continuava ad avanzare distrattamente cogliendo appena lo scenario attorno a lui finchè giunse davanti alla spiaggia. La vastità dell'oceano lo richiamò alla realtà. Il tempo era sereno e c'era una discreta visibilità. Cominciò a costeggiare la riva proseguendo sulla Ocean Avenue, verso sinistra. Si avvide che si stava avvicinando al mitico molo di Santa Monica, il Pier, come veniva chiamato. Decise di andarci, come spinto da un presentimento. Glie ne avevano parlato in molti, come meta di una visita da farsi assolutamente, qualora ci si fosse trovati nei dintorni di Los Angeles. Uno dei moli più grandi, più antichi. Arrivato quindi all'altezza della Colorado Avenue, prese deciso la direzione per imboccare il molo. Effettivamente esso pareva in grado di trasmettere una sensazione particolare, indubbiamente legata al suo passato, alla sua storia. C'erano molte altre persone, fra cui diversi bambini ma egli notò che comunque tutti si comportavano con ordine e compostezza, come se quel luogo fosse in grado di incutere un senso di rispetto. Percorse il lungo molo fino in fondo, osservando più che altro il mare, estraniandosi quasi dagli altri, dai vari locali che sorgevano lungo il percorso e ignorando quasi perfino il parco dei divertimenti che sorge alla metà circa della lunghezza del molo. Giunto all'estremità, su una grande terrazza, vide alcune panche poste rivolte verso l' oceano e trovatane una libera, si sedette osservando il mare. Sembrò quasi che la vista e l'ambiente fossero in grado di calmarlo un pò, di trasmettergli una certa pace. Il giornalista dopo aver osservato le onde, la linea dell'orizzonte, si rese conto di altre persone attorno a lui. Poco distante da dove era seduto, una rampa di scale conduceva ad una terrazza sottostante. Fra tante persone affacciate, la sua attenzione venne colta dalle varie figure dei pescatori che seduti, in piedi, con diverse attrezzature tentavano di pescare qualcosa. Alcuni apparivano molto agguerriti, con attrezzature sofisticate e d'avanguardia, dall'aspetto comunque molto costoso. Altri e forse erano i più interessanti, con attrezzature anche piuttosto modeste e con una strana aria di fatalismo, sembrava fossero lì forse più per passare il tempo che non per prendere qualcosa. Molti di questi avevano delle seggioline pieghevoli e passavano il tempo più a guardarsi intorno che a prestare attenzione alle proprie lenze. Quando dopo un poco di tempo uno di loro prese qualcosa, sembrò quasi la persona più sorpresa. Quindi Paolo non trovò nulla di strano che il pescatore recuperato il suo pesce, staccatolo dall'amo, lo ributtasse in acqua. Cominciò ad apprezzare molto quella sensazione di pace che stava provando e prese con molta amarezza la consapevolezza che il giorno seguente avrebbe dovuto imbarcarsi all'aeroporto internazionale di Los Angeles per un lungo volo che, dopo circa 15 ore, lo avrebbe riportato a Roma, nella città dove abitava, in una situazione di quotidianità per la quale non si sentiva affatto pronto. Si rese conto di avere perso la cognizione del tempo ma ora si sentiva più tranquillo, con le idee più chiare. Forse il trovarsi su quella struttura, così protesa verso il mare aperto, lo faceva sentire come separato dalla terra e dagli eventi che vi si svolgevano, quasi un territorio sospeso fra due realtà. Quella strana esperienza gli aveva fatto capire che nel profondo non voleva tornare a casa. Non si sentiva pronto per riprendere la vita di tutti i giorni. Forse stava diventando vecchio per quella attività. La sua attenzione era ora concentrata sul disco del sole che bassissimo sull'orizzonte stava per tuffarsi in mare. Lo spettacolo aveva qualcosa di ipnotico e Paolo rimase tutto il tempo a fissarlo finchè , con un ultimo, leggero barbaglio, sparì. Erano appena passate le 17.00 e lentamente, mentre usciva dalla sua particolare condizione di distacco, cominciava di nuovo a percepire attorno a lui i suoni e tutte quelle manifestazioni connesse con il luogo in cui si trovava. Ormai l'oceano cominciava a diventare scuro e le persone iniziavano a tornare verso la zona commerciale. Anche la temperatura decisamente iniziò a decrescere e lui fu contento di essersi portato il suo inseparabile giubbetto jeans. Tutti i pescatori, raccolte le loro cose, avevano lasciato le loro postazioni, molti di loro, di certo, con il proposito di tornare il giorno seguente. Lui, il giorno seguente non ci sarebbe stato. Doveva tornare alla sua vita, alla sua attività, ma stavolta, come non mai, avrebbe dato qualsiasi cosa per evitarlo. Ora anche il cielo si era fatto buio e Paolo, iniziò il suo lento ritorno verso l'imbocco del molo. Si lasciò alle spalle il Bait and Tacle, il negozio di esche, e proseguì assieme agli altri verso i chioschi ed negozi tutti illuminati ed in piena attuività. Sorpassò il 'Japadog', sulla sinistra, un chioschetto molto rinomato per la vendita di ottimi hot dog, e poi giunse alla prima zona importante??? del molo. Ospitava su una vasta superficie, a destra, un complesso di ristoranti, pizzerie, gelaterie, come il grande Scoops Ice Cream & Fanny Cakes, e dietro a questi, il famoso parco di divertimenti con la ruota panoramica. Questa, con le sue luci multicolori, era sempre in movimento, perchè chi giungeva fin lì, difficilmente rinunciava a farci un giro sopra. Lo testimoniava la fila di persone in attesa del proprio turno per salirci, anche se a quell'ora, causa l'oscurità, la vista non doveva essere proprio un granchè. Sul lato opposto, a sinistra vide il ristorante Bubba Gump, che si ispirava al film di Tom Hanks, "Forrest Gump", a quell'ora già pieno di gente per gustare i fantastici panini ai gamberoni e altre specialità. Rimase un attimo a respirare i profumi che arrivavano dai vari locali di ristoro ma il suo umore, per quanto placato???, non lo invogliava a mangiare alcunchè. Si stava dirigendo verso il blocco dei negozi più avanti, quando notò delle persone che, in vari gruppetti, si assiepavano attorno ad un palo di colore bianco, ed ognuno attendeva pazientemente il suo turno per farsi fotografare in quel punto preciso del pontile. Paolo si avvicinò incuriosito e notò che in cima al palo c'era un cartello su cui era indicato che quello era il capolinea della mitica route 66, la 'madre di tutte le strade' come veniva chiamata in tutti gli Stati Uniti. Sapeva della sua esistenza e della sua fama ma stranamente non ne conosceva appieno la storia. Sapeva però che si diceva che, percorrendola, si poteva cogliere il vero spirito dell'America che non è tanto presente nelle grandi città, quanto nelle cittadine e nei paesetti sparsi lungo l'esteso e impegnativo tragitto. Effettivamente traversava quasi tutta l'America, da Chicago a Los Angeles. Fu attratto dalla particolarità che alcuni si facevano semplicemente fotografare, altri, per lo più comitive di ragazzi, giravano dei brevi video nei quali raccontavano le loro esperienze di viaggio lungo il tragitto della strada. Il loro entusiasmo contagiò Paolo che rimase a lungo ad osservare quelle persone, mentre, quasi senza che se ne accorgesse, una certa idea cominciava a formarglisi nelle mente.  Dell'argomento ne sapeva comunque troppo poco e decise che avrebbe dovuto informarsi meglio. Poco più avanti, c'era un chiosco vetrato di colore bianco che aveva sulle insegne proprio l'indicazione relativa alla route 66. Attaccate alle pareti esterne, c'erano delle cartine, dei manifestini, dei cartelli con notizie e informazioni. Notò anche delle locandine di un vecchio film in b/n, dal titolo "The grapes of wrath", nelle quali riconobbe un giovanissimo Henry Fonda e un altrettanto giovane John Carradine, divenuto famoso nel ruolo del giocatore nel film "Ombre Rosse". Altri visi e altri nomi, quali Jane Darwell e Doris Bowdon, non gli dissero nulla, di certo legati ad un passato molto, troppo lontano. Naturalmente c'era in vendita il solito tipo di merce legato ad un negozio di souvenir. Cartoline, poster, vetrofanie, oggettistica varia, decalcomanie, magliette, cappellini. Notando Paolo, l'incaricato del chiosco, un uomo di mezza età, pratico del suo mestiere, gli chiese se volesse un bel ricordo, mostrando la merce esposta. Il giornalista gli rispose che gli sarebbe piaciuta una guida con una breve storia della strada. L'altro pescò in un mucchio di pubblicazioni impilate all’esterno e poi gli porse un bel libro pesante e molto illustrato a colori. Paolo lo guardò con uno sguardo molto eloquente e allora l'altro dopo una breve ricerca gli porse un altro volume, meno ricco di foto, non altrettanto elegantemente rilegato, ma con molte più informazioni e di certo molto più economico. "Ma cosa ha di speciale questa route 66?" - chiese Paolo al negoziante". "Strano che non ne sappiate nulla, se siete qui. Ma magari ci siete capitato solo per caso, vero? Io ho troppo da fare per starvi appresso ma se andate in un locale qui a fianco, il Beach Burger, ci troverete una persona che della 66 sa ogni cosa. Chiedete di Moses e, se riuscite a farlo parlare, è la persona che ne sa più di tutti qui attorno". Paolo ringraziò e si diresse, curioso, con il suo libro, per contattare la persona che gli era stata consigliata. Il nome che gli era stato indicato gli faceva pensare ad una specie di patriarca, con una barba fluente ed un cipiglio autoritario. L'uomo del chiosco lo guardò allontanarsi con uno strano ghigno sul viso. Moses, se si fosse comportato come al solito, non avrebbe nemmeno fatto parlare quell'avaraccio e magari lo avrebbe preso a sberle. Paolo entrò nel locale indicato e si trovò di fronte una fila di clienti che stavano davanti al bancone, posto sulla destra, per fare le loro ordinazioni. Oltre la fila nella sala c'erano due ordini di tavoli con il piano di legno chiaro ai quali si sedevano i clienti per consumare i loro acquisti. Notò ad un tavolo, a circa metà sala, un vecchio, solo, dall'aria piuttosto dimessa. Viso scavato e sguardo perduto in una tazza di caffè che aveva sul tavolo, davanti a lui. Un berretto liso, una volta verde, con visiera, da cui spuntavano disordinatamente di capelli bianchi, e che copriva parzialmente il viso, un giubbetto di finta pelle che aveva visto giorni migliori e un paio di jeans stazzonati. Questo era tutto ciò che si vedeva di quella persona. Il classico tipo che sa tante cose e spesso ha piacere di condividerle con qualcuno, magari in cambio di pochi spiccioli. Pur non corrispondendo alla prima idea che si era fatto di lui, era comunque quella che più gli si avvicinava. Gli si avvicinò e chiese:"Scusi è lei il signor Moses? Le posso parlare?". Il vecchio non dette segno di aver sentito le parole di Paolo. Questi stava per ripetere la sua domanda quando dal tavolo dietro di lui sentì una voce forte, decisa, un pò roca che gli chiese:"E tu cosa vorresti dal 'signor' - calcando l'accento su questa parola - Moses?". Paolo si girò e vide seduto al tavolo un tizio corpulento, sulla cinquantina, con una giacca di pelle nera forse un po' stretta per lui, su una maglietta dello stesso colore. Il resto dell'abbigliamento consisteva in un paio di jeans piuttosto consunti e degli stivali di pelle chiara. Aveva dei capelli grigi tagliati cortissimi e un viso rotondo, di colorito  rubizzo, segnato da profonde rughe. Il suo sguardo appariva un pò appannato, forse per le quattro bottiglie di birra vuote davanti a lui e alla quinta, consumata per metà. Ricordava quei motociclisti attaccabrighe che si vedevano sempre nei film americani. Era seduto di traverso sulla panca, con la schiena poggiata alla parete. "Vorrei che mi dicesse qualcosa della route 66 - poi aggiunse, senza sapere nemmeno lui perchè -  Vorrei sapere cosa rappresenta veramente, qual'è il suo vero spirito, e perchè...... perchè qualcosa, nel profondo, mi suggerisce che potrebbe, non so proprio come, aiutarmi a risolvere i miei problemi. Che so, forse un colpo di testa, una cosa da matti. Magari domattina non ci penserò già più, ma ora mi interesserebbe saperne qualcosa". L'altro lo guardò con uno sguardo strano, poi bevve un altro sorso di birra. "La 66 non è una strada normale, ma questo evidentemente l'hai già capito. E' effettivamente una strada magica ma allo stesso tempo è stregata. Ha la magia dell'entusiasmo di coloro che l'hanno realizzata, tanto tempo fa, nello spirito di quelli che lavorano per il progresso, per la comunicazione e ha la maledizione di tutti quei disperati che l'hanno percorsa sperando in un domani migliore, che non hanno quasi mai trovato, e molti dei quali, morti di stenti e di crepacuore, sono sepolti in tombe anonime ai suoi margini. Ora, se la percorrerai, cosa pensi o conti di trovare?". "La morte non mi fa paura. I fantasmi me li porto dentro ormai da tanto tempo. Ho paura invece di non riuscire più a trovare un'armonia, una sintonia con il mondo che mi circonda". Quelle parole gli erano uscite così, di getto. Le classiche confidenze che si fanno ai perfetti sconosciuti, mentre non si sarebbero mai fatte agli amici. E ne fu contento, perchè la cosa lo fece sentire meglio. L'altro lo osservò con attenzione per diversi secondi e il suo sguardo sembrò perdere quel velo di appannamento??? che aveva mostrato fino a quel momento, diventando invece più acuto, quasi penetrante. "Avevo capito subito che non sei il solito turista chiassone e rompiscatole. Forse qualcosa te la posso raccontare ma, prima di invitarti a sedere al mio tavolo, ti faccio notare che siamo quasi a corto di carburante - e indicò le bottiglie vuote. Senza commenti, Paolo si girò e poco dopo tornò con altre sei bottiglie di birra. Non si poteva mai sapere. L'altro apprezzò l'iniziativa. Aprì una nuova birra per sè usando semplicemente l'unghia del pollice e un'altra che offrì a Paolo. Questi notò che l'altro aveva delle mani enormi con le dita grosse e tozze che gli ricordarono quelle del personaggio dei 'Fantastici Quattro, che è trasformato in pietra. "Sono un camionista e in vent'anni la 66 l'ho percorsa centinaia di volte. E non è mai la stessa cosa. Le stagioni, il tempo, l'umore, la notte piuttosto che il giorno, fanno di ogni tragitto un'esperienza diversa. Purtroppo io, che viaggio per lavoro, non posso seguire sempre il percorso che vorrei. Si tratta di una strada antica, è nata ufficialmente, come route 66, nel 1926, per una lunghezza di circa 3800 km. Il punto è che in quel periodo quando si progettava una strada, sia per mentalità che per risorse tecnologiche, si tendeva ad assecondare le caratteristiche del terreno. Quindi se c'era un ostacolo, ci si limitava ad aggirarlo, se sul tragitto si trovava un fiume,  si preferiva costeggiarlo fino al punto più propizio per attraversarlo e questo spesso allungava di molto il tragitto. Si rispettava la natura, insomma. Quando la mentalità sui viaggi e sui trasporti ha cominciato a cambiare, in particolare dopo la seconda guerra mondiale, si è cercato di rendere tutto più veloce, più diretto. Molti tratti della 66 sono stati affiancati prima, e poi addirittura sostituiti, da delle tratte di moderne autostrade. Ad esempio fra Chicago e St Louis si viaggia sulla i-55, fra San Bernardino e Santa Monica si usa la i-10 e così per tanti altri tratti". "Questo vuol dire che la vecchia strada in quei luoghi non c'è più?"."No, la strada c'è sempre, solo che è riservata ad un traffico locale. Quando la 66 ha avuto il suo momento di massimo splendore, lungo il suo tragitto hanno cominciato a nascere tutta una serie di servizi legati al passaggio delle automobili. Stazioni di servizio, motel, negozi vari, punti di ristoro, ecc. In alcuni casi si sono formate delle comunità che hanno fondato dei centri abitati che ancora esistono. Altri paesi, invece che non hanno resistito alla crisi, sono stati abbandonati ed ora sono solo delle città morte. Ed è tutto questo insieme di elementi che dà alla 66 quel carattere di cui si parla tanto. Quell'aspetto di autenticità, quelle testimonianze del passato che fanno parte della vera storia della gente comune di questa nazione"."Qui fuori ho sentito delle persone che dicevano di averla percorsa tutta. Quanto tempo ci vuole?"."Dipende da quello che cerchi. E poi tu con che mezzo intenderesti viaggiare. Auto, moto, fuoristrada?". Paolo si rese conto che qualcosa gli stava sfuggendo di mano. Quale 'viaggiare'? Lui stava ancora chiedendo informazioni circa un'idea pazza e ipotetica che gli era frullata nella testa, così, per caso, non più di mezz'ora prima. 4000 Km? E si parlava di strade sterrate per la maggior parte del tragitto. Ma stiamo scherzando? "No, no - disse subito - io stavo solo chiedendo per chiedere, così, magari per valutare un'opportunità, ma in un secondo tempo, pensandoci un po' più a lungo"." Si, può darsi, ma non credo. La 66 è stregata. Se ti ha preso, non ti lascia più e non hai scampo. Certe notti che la percorri da solo, mentre attorno non c'è nessuno, sembra quasi che ti parli, che ti racconti delle storie. Se la percorri come si deve, con il dovuto rispetto, entri in sintonia con lei e senti la strada sotto di te come se fosse una parte di te. Se la percorri da ignorante e da chiassone, vedi solo un pò di panorami, tanta polvere, tanti sassi e il tutto condito da insetti e un gran caldo. Ma non credo che questo sia il tuo caso". Tacque tornò alla sua birra. "Accidenti, - pensava Paolo che non aveva replicato alle parole dell'altro - perchè quel tipo non la faceva finita? - ad ogni sua parola quella faccenda gli entrava sempre di più nel sangue. E poi era così evidente quello che gli passava per la mente? Ma in fin dei conti era lui che era andato a cercarlo ma forse non erano quelle le cose che voleva sentire. "Beh, - disse all'altro alzandosi - ti ringrazio per il tuo tempo ma credo di aver saputo quello che interessava, almeno per adesso"."Figurati, - rispose l'altro - sollevando l'ultima bottiglia di birra superstite - per una persona così generosa!". "Arrivederci signor..... signor?". "Moses, sono io Moses - e indicando con la bottiglia il vecchio seduto al tavolo accanto - quello è il vecchio Peter. Da quando i dottori gli hanno proibito di bere birra, passa le sue giornate guardando dentro la tazza del caffè, rimuginando sull'ingiustizia della vita. Comunque ancora per domani, mi troverai seduto qui. So che verrai, perchè te lo vedo scritto in faccia". Paolo se ne andò senza rispondere ma, percorrendo il molo e la strada fino al suo hotel, non faceva che ripensare alla cosa, quindi appena raggiunto il suo alloggio, disdisse immediatamente la sua prenotazione sul volo del giorno successivo. Un colpo di testa, aveva detto. E se invece avesse peggiorato ulteriormente la situazione? Qualsiasi cosa fosse accaduta, non gli avrebbe certo nociuto passare ancora qualche giorno in quel luogo.
Era in piedi, nel deserto. In cielo, un sole caldo e splendente la cui luce lo abbacinava, e faticava a tenere gli occhi aperti. Era vestito con un paio di jeans ed una maglietta. Ai suoi piedi delle ciabatte infradito che aveva comprato tanti anni prima per andare al mare ma che, per vari motivi, non aveva mai usato. Sotto ai suoi piedi c'era una superficie asfaltata. Si rese conto che era il fondo di una strada che arrivava dalle sue spalle da chi sa dove e che proseguiva nella direzione opposta, a perdita d'occhio. La visuale era limitata dall'aria calda che saliva dal terreno e che, ad una certa distanza, distorceva tutte le immagini. Aveva un caldo tremendo ed una gran sete. Poi, davanti a lui, gli strati d'aria tremolanti mostrarono alla loro base dei cambiamenti, dei movimenti e pian piano cominciò a distinguere degli oggetti che muovendosi verso di lui, pian piano andavano delineandosi. Poi li vide con chiarezza. Erano dei veicoli a motore che viaggiavano in colonna lentamente, quasi faticosamente, per quanto erano carichi. Oggetti, mobili, persone, stipavano all'inverosimile quei mezzi. Erano vecchissimi camioncini, automobili antiquate e malridotte, coperte di polvere, sbuffanti. Si scansò dal centro della strada perchè capì immediatamente che non si sarebbero fermati. Così cominciò a correre a fianco dei mezzi, chiedendo che lo facessero salire, che gli dessero almeno un po' d'acqua. Le persone a bordo, uomini, donne, vecchie e bambini, tutti coperti letteralmente di polvere si limitavano a guardarlo con un'aria disperata, rassegnata, fatalista, senza tentare nemmeno di rispondergli. Sembravano delle anime che correvano verso l'inferno, costernate ma rassegnate per il loro destino tremendo e ineluttabile. Poi all'improvviso, dalle onde di calore, alle spalle della colonna dei mezzi, altro movimento. Gli fu possibile, alla fine, riconoscere delle figure a cavallo che correvano a spron battuto seguendo la colonna. Erano in ordine sparso e il loro numero aumentava in continuazione. Pur a lunga distanza, si udivano le grida di quelle persone, di quegli uomini. Quando furono più vicini, vide che cavalcavano senza sella, alcuni a torso nudo e tutti dipinti, altri vestiti di pelli. Li riconobbe come pellerossa e ebbe veramente paura. Cercò di salire su qualche mezzo ma non ci riusciva, non trovava elementi a cui appigliarsi o perdeva immediatamente la presa e poi, all'improvviso fu solo lui, lui e quei cavalieri che gli puntavano dritti addosso. Cominciò a correre come un forsennato, ostacolato dalle sue ridicole infradito che lo facevano inciampare ad ogni passo. Vide in lontananza un chiosco in pietra, con sopra un grosso sombrero colorato. Si diresse correndo come un disperato, coperto di polvere, sudore, con una sete terribile, verso quella strana costruzione senza farsi domande. Era comunque un riparo. Giunto nelle sue prossimità lesse un cartello accanto alla porta che diceva. "Vendita tacos. Accesso consentito solo ai clienti abituali". Mentre i pellerossa gli stavano sempre più addosso, si augurò che la scritta non si applicasse in quella disperata circostanza. Arrivò alla porta di legno massiccio e, trovandola sbarrata,  cominciò a tempestarla di colpi urlando che gli aprissero. Poi si udì in lontananza la famosa tromba della cavalleria. E comparvero numerosi cavalieri nelle loro caratteristiche divise blu. Avevano iniziato a sparare da lunga distanza sugli indiani. Paolo, che pure continuava a bussare disperato alla porta, udì chiaramente un suono che conosceva troppo bene. Era il suono dei mitra kalashnicov che la cavalleria usava contro gli indiani i quali risposero con lo stesso mezzo. Paolo non fece a tempo farsi domande circa quell'evidente incongruenza perchè si era immediatamente reso conto di essere direttamente sulla linea di fuoco. Finalmente la porta cedette e lui cadde lungo disteso sul pavimento della costruzione. Dopo il primo attimo di sconcerto, in un silenzio pressochè assoluto, sollevando lo sguardo, per capire cosa stesse succedendo, vide a breve distanza da lui, un indiano, vestito con pantaloni neri, una casacca molto colorata stretta in vita da una fascia di tessuto marrone e sopra, una cintura di pelle nera a cui era appeso un fodero con dentro un grosso coltello, dei pantaloni neri molto attillati, degli stivali scuri, ed un cappello a tesa larga, di colore nero sulla testa. Avrà avuto fra i 35 e i 40 anni, pelle scura, un viso con tratti molto forti e uno sguardo intenso dovuto forse anche agli occhi neri come carboni. Aveva un'espressione impenetrabile ma lo guardava con aria severa, stando in piedi davanti a lui, a braccia conserte. Poi il riflesso del sole  sulla grossa fibbia della cintura dell'indiano lo colpì dritto negli occhi e lo obbligò a coprirseli. Il brusco movimento lo portò a svegliarsi, quasi di soprassalto, notando che il sole che entrava dalla finestra della sua camera, lo colpiva dritto in faccia. Si rese conto di essere disteso sul letto, in posizione prona, completamente sudato e con il cuore in gola. Perbacco, che sogno che aveva fatto. Si sentiva tutto indolenzito per aver dormito in posizione scomoda ed con il viso poggiato sull'angolo della copertina della guida che aveva comprato sul molo di Santa Monica la sera precedente. Gli aveva stampato sulla guancia un bel segno. La notte precedente infatti era andato a letto portandosi la guida da leggere e, suo malgrado, era andato avanti tutta la notte, finchè si era addormentato senza accorgersene. Il fatto era che la storia della route 66 lo aveva conquistato per i vari aspetti che mostrava. Aveva ragione Moses. Da un certo momento in poi, la sua storia  appariva legata a quella degli stessi Stati Uniti in una saga, in una successione di eventi veramente avventurosi collegati con lo sviluppo, l'economia, il progresso e contemporaneamente alla storia di tanta gente comune che, in qualche modo, aveva legato la sua esistenza a quella di quella??? particolare strada. E infatti la guida lo aveva catturato, portandolo a leggere fin quando era caduto addormentato. Aveva così scoperto che alla fine degli anni 20 in America si era ritenuto di dover trovare un sistema per collegare meglio le varie zone degli Stati Uniti servite da una rete stradale in gran parte disorganizzata e malmessa, in una nuova ottica di dinamismo e desiderio di crescita, trasformazione e rinnovamento. Usando dei tratti già esistenti, dopo averli sistemati, e collegandoli, ove necessario, con altri nuovi, adeguatamente realizzati, eliminate le tratte ritenute troppo pericolose, alla fine al termine degli anni 30' si terminò di realizzare la 'route 66' che consentiva un effettivo collegamento fra Chicago e Los Angeles, attraversando quasi tutti gli Stati Uniti. Vista la dimensione dell'iniziativa e la sua entità, è chiaro che all'inizio, più che altro, fu importante collegare tutto il circuito stradale, senza poter badare anche alla sua qualità. Alcuni tratti, pochi all'inizio, erano di buon livello e asfaltati ma molti consistevano in strade sterrate, tragitti creati dai carri, sentieri appena tracciati. Alcune parti erano talmente pericolose, come le Black Mountain  in Arizona, che molti automobilisti, per superarli, preferivano affidarsi a esperti piloti locali. Nel tempo però ci fu chi lavorò assiduamente per portare a buon fine l'impresa di limitare i danni al minimo. Il tracciato stabilito non era comunque il più breve, che avrebbe dovuto passare attraverso Kansas City e Santa Fè, ma era stato spostato decisamente più a sud per avere più tratti pianeggianti e maggiormente agibili durante l'inverno. Infatti si evitavano zone come ad esempio le Rocky Mountains che in inverno, per molti mesi, avrebbero rappresentato un incubo per gli automobilisti e gli addetti alla manutenzione. Al progresso della strada collaborarono circa 300.000 lavoratori che il presidente Roosvelt negli anni peggiori della crisi, nell'ambito del New Deal, ossia il piano di sostegno all'occupazione, impegnò a vario titolo. E parecchi di questi operai, decisero di stabilirsi nel posto dove avevano lavorato, magari aprendo un'attività commerciale. Durante la seconda guerra mondiale enormi quantità di merci, destinate ai teatri di guerra, vennero trasportate lungo la strada, superando come tonnellaggio, addirittura il carico trasportato dalle ferrovie. Purtroppo, alla fine, fu proprio questa necessità di velocizzare e intensificare gli scambi, i commerci, gli spostamenti a decretare il declino prima e la fine, poi, della mitica strada. Già da quando, durante la guerra in Europa, il generale Heisenhower era rimasto molto impressionato dall'efficienza e la velocità delle autostrade tedesche, egli immaginò di importare quel modello in America. Con lo sviluppo automobilistica dei primi anni del dopoguerra, circa 4 milioni di vetture l'anno, la 66 iniziò a mostrare i suoi limiti e fu così che negli anni, diversi suoi tratti furono sostituiti con altri più moderni ed efficienti. E alla fine, nel 1985, dopo circa 60 anni di vita, quando il traffico prese definitivamente una direzione diversa e la strada come tale venne dichiarata chiusa, tutta una serie di iniziative commerciali, nate e cresciute lungo il suo tragitto, andò in crisi e in gran parte morì. Ci furono però molte persone che non vollero accettare questo fatto. C'era la loro storia, la loro vita, le tradizioni, i ricordi, le leggende. Nel 1990 lo stato del Missouri dichiarò la route 66 come strada di interesse storico. Anche in Arizona alcuni tratti furono registrati come luoghi di interesse storico. In California e nel Nuovo Messico, alcuni tratti??? sono stati indicati ufficialmente come elementi di grande interesse paesaggistico. Da qui nacque una tradizione per cui molti, cercando ricordi, ispirazione, avventura, cominciarono a ripercorrere il vecchio tracciato. Chi in fretta, senza capire il vero significato di quel viaggio, chi invece con calma e rispetto, per tutti gli eventi che erano accaduti su quella strada. In definitiva quindi, intorno al 1994, la 'madre di tutte le strade', rinacque, passando sotto la protezione dell'amministrazione federale dei parchi, come monumento nazionale. Paolo, ancora con molti dubbi circa l'iniziativa, comunque si fece una bella doccia e si preparò ad affrontare quella nuova giornata che prometteva di essere importante per le decisioni che avrebbe potuto prendere. Sarebbe tornato a parlare con Moses. In fin dei conti, parlare non lo avrebbe impegnato, anche se sapeva, in fondo in fondo, che la sua speranza era che l'altro lo convincesse. A differenza della sera precedente, aveva un appetito robusto e pertanto fece una sostanziosa colazione anche perché, per parlare con quell'uomo, aveva capito che sarebbe occorso ancora 'carburante' e stavolta non voleva bere a stomaco vuoto in quanto era importante che rimanesse lucido e attento alla conversazione. Mentre percorreva la Santa Monica Avenue, si accorse di osservare le cose attorno a lui con occhi diversi rispetto alla sera precedente. I colori sembravano più vivi, i rumori più consoni allo scenario e perfino gli odori gli erano graditi. Percorrendo l'ultimo tratto sulla Ocean Avenue, in vista del molo, aveva nella testa tante idee che si sovrapponevano, impedendogli di avere un minimo di chiarezza. Purtroppo l'entusiasmo in lui produceva sempre questo effetto. Gli capitava di pensare a molte cose assieme, non riuscendo naturalmente a focalizzare niente di definito e concreto. E così, quando poi prendeva una decisione, la cosa avveniva così, di getto, senza aver sufficientemente ponderato tutti gli aspetti. Il padre, che lo conosceva ormai molto bene, e che lo aveva visto commettere diversi sbagli  per questo suo atteggiamento, gli diceva sempre di far passare almeno un giorno fra la decisione e l'azione ma lui non ci riusciva. Era fatto così. Vedeva gli operai al lavoro sulla route, vedeva le prime automobili che si inoltravano nelle zone più ostiche e impervie, vedeva il deserto, le vecchie stazioni di servizio, le città fantasma il tutto mischiato a scene di film famosi ambientati sulla 66 come 'Thelma e Louise', 'Rain man', 'Easy rider' e perfino i 'Blues Brothers'. Anche il molo, visto alla luce del sole appariva molto diverso. La gente era sempre piuttosto numerosa e colorata, come di solito sono i turisti. Il mare, il cui odore si percepiva in modo diretto e penetrante, era calmo e si vedevano dei wind surf con le vele multicolori che si spingevano quasi al largo. Notò alla ruota panoramica la solita fila di persone in attesa. Con quel tempo, la visuale dall'alto della ruota doveva essere bellissima. I ristoranti, a quell'ora, servivano le colazioni a base di uova, bacon, frittelle e molto altro, con profumi così invitanti che quasi quasi Paolo si pentì di aver già provveduto. Notò da lontano che anche i pescatori avevano rioccupato le loro postazioni. Ma poi si ricordò che era lì per un altro motivo. Giunto davanti all'ingresso del Beach Burger, fece un profondo respiro ed entrò. Forse avrebbe dovuto prendere una decisione molto importante. Notò che in fila al bancone c'erano un po' meno persone rispetto alla sera precedente ma che i tavoli erano già quasi tutti occupati. Era lui che quella mattina se la era presa comoda. Giunse al tavolo occupato da Moses e senza perdere tempo poggiò sul piano del tavolo quattro birre. L'altro alzò lo sguardo per vedere chi fosse e poi tornò a guardare verso il mare attraverso uno dei finestroni del locale, senza dire nulla. Paolo notò che era nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato la sera precedente. Solo che, al posto del giubbetto di pelle con una maglietta scura sotto, ora aveva una ampia camicia a fiori dai colori piuttosto accesi. "Ti aspettavo - gli disse l'uomo - pensa che persino il vecchio Peter mi ha chiesto di te". E indicò il vecchio seduto come la sera precedente al tavolo accanto. Questo era invece tale e quale come l'aveva lasciato. Era andato a casa? E poi come al solito, apparentemente, gli altri avevano già capito cosa avrebbe deciso di fare. Forse il punto era che nel profondo aveva già stabilito anche lui cosa voleva fare ma qualcosa lo fermava, lo frenava come se avesse sentito che da quel viaggio poteva derivare qualcosa a cui non era preparato. "Di giorno tutte le cose appaiono diverse e la 66 non fa eccezione - riprese Moses - ma in ogni caso la strada ha sempre qualcosa da dirti, da raccontarti. Purchè tu visiti i posti giusti e magari con la persona adatta che sa cosa farti guardare. Qualcuno che dopo aver capito veramente cosa cerchi, ti sappia guidare nei posti particolari dove tu possa trovare ciò che più ti serve"."Ma perchè è così evidente che mi serve qualcosa - disse Paolo quasi urtato??? per le parole dell'altro. "Perchè si vede dal tuo sguardo, dai tuoi occhi che mostrano di aver visto tante cose e non tutte belle, che hai dentro una sorta di inquietudine che solo un intervento particolare o di magia può neutralizzare o equilibrare. E la route 66 può fare di questi miracoli"."No, ti sbagli, io non voglio fare un pellegrinaggio, io voglio semplicemente fare un viaggio per distrarmi un poco dal lavoro che in effetti, ultimamente, è stato piuttosto coinvolgente"."Va bene, vuol dire che mi sono sbagliato, in tal caso ti chiedo scusa - poi, dopo aver aperto una nuova bottiglia di birra e dopo aver dato una lunga sorsata, continuò - rimane il fatto che se vuoi fare una bella esperienza, forse è il caso che tu visiti i posti veramente più importanti della strada. Perchè se vuoi vedere dei posti come Las Vegas, che con la route non c'entra nulla, o gli alberghi caratteristici del Nuovo Messico o le città fantasma per turisti come Tombstone in Arizona, tanto vale che ti prenoti una settimana a Disneyland e te la godi, magari in compagnia di qualche bella ragazza"."No, certamente no, io voglio un viaggio tranquillo, magari proprio lontano dalla gente per poter riflettere o scaricare tutto lo stress che ho accumulato negli ultimi tempi"."Allora di sicuro la route potrà fare qualcosa per te, perché, se sei in grado di cogliere i segnali che ti trasmette, di ascoltare le cose che ti dice, allora la tua esperienza sarà indimenticabile. Purtroppo ora è percorsa da gente che non ha tempo da perdere, che va di fretta, che conta solo i chilometri percorsi e quelli da percorrere perchè il tempo è denaro, che cerca solo scorciatoie. Una volta non era così, per questo la 66 è in grado di raccontare storie estreme e particolari, di grande entusiasmi, di iniziativa, di impegno ma anche di grande tristezza, di disperazione unita però ad una speranza di nuove vite e nuove esistenze, e forse sono proprie queste ultime ad aver sviluppato la maggior parte delle attività lungo il tracciato". Paolo sapeva che Moses si riferiva alla migrazione disperata di centinaia di migliaia di persone che usando la 66 avevano dato luogo ad un fenomeno di massa in seguito al quale dalle grandi pianure americane si erano dirette verso la California, con il sogno e l'illusione di un domani migliore o comunque possibile. L'aveva letto nella guida che aveva comprato. La cosa doveva averlo talmente colpito che l'aveva vissuta anche nel suo sogno. E aveva scoperto che le locandine del film che aveva visto nel chiosco sul molo, si riferivano appunto ad un film di John Ford, girato nel 1940, dal titolo originale 'The grapes of wrath', 'uscito in Italia con il titolo di 'Furore' e che raccontava la storia di una famiglia dell' Oklahoma che parte verso la California in cerca di fortuna e che raggiunge la sua meta dopo un viaggio doloroso e disgraziato, solo per scoprire che per loro non c'era nulla nemmeno in quel posto. Tutto era cominciato con la prima guerra mondiale, in seguito alla quale lo sfruttamento estremo dei terreni compresi tra Texas, Oklahoma, Colorado e Nuovo Messico, attuato con decenni di tecniche agricole inappropriate, la mancanza di rotazione delle colture, l'aratura profonda, causarono nella zona indicata, una situazione di siccità estrema che trasformò il suolo secco in polvere. Anche il clima locale subì le conseguenze di questo disastro e fortissimi venti da est, soffiarono via la polvere in più riprese, creando delle tempeste che produssero danni enormi. La polvere in alcuni casi, arrivò ad oscurare il cielo di Chicago, ed in alcune occasioni si disperse completamente nell'oceano Atlantico. Il fenomeno fu indicato con il nome di 'dust bowl'. L' 11 maggio 1934, iniziò una tempesta che in alcuni giorni rimosse grandi quantità del terreno delle grandi pianure.  Il 14 aprile 1935, giorno ricordato come 'la domenica nera', il fenomeno raggiunse una tale intensità da trasformare per una grande estensione di territorio il giorno in notte, con una visibilità ridotta ad un paio di metri. L'11 novembre 1939 una tempesta che durò per due giorni, strappò via letteralmente, la superficie dei terreni del Sud Dakota. Molti agricoltori, rovinati, disperati, senza quasi più nulla, avevano messo insieme le poche cose che  erano rimaste loro e, caricato tutto sui loro camioncini o su vecchie auto erano partiti per un "viaggio della speranza" verso la California dove, intanto, si era sparsa la voce che ci fosse lavoro e ricchezza per tutti. Questa carovana composta da uomini e donne, vecchi e bambini, di solito con mezzi malridotti e per di più stracarichi, aveva bisogno di tutto. Acqua, viveri, medicine, officine, carburante e furono proprio loro, a rappresentare in certi casi il vero affare per chi decise di aprire un'attività commerciale lungo la strada. Questa gente, chiamata in modo dispregiativo 'Okies', anche se non provenivano tutti dall'Oklahoma, ne vide di tutti i colori. Quelli che riuscirono a terminare il viaggio, scoprirono, a loro spese, che la California non era poi quel paradiso che speravano, specie perchè i primi arrivati avevano colto le occasioni disponibili e gli altri dovettero contentarsi delle briciole, quando le trovavano. Molti morirono per la via e altri si persero o rinunciarono, fermandosi dove trovavano da sopravvivere. "Va bene - tagliò corto - ammesso che decida di intraprendere il viaggio, cosa dovrei fare, come dovrei preparami?"."Anzitutto verifica di avere un permesso di soggiorno valido perchè su un tragitto del genere, che attraversa tanti stati, rischi di essere fermato dalla polizia con una certa frequenza. Quindi, documenti a posto. Poi devi stabilire un tragitto per regolarti con il denaro necessario, il bagaglio, il mezzo da utilizzare"."Ma tu potresti darmi una cartina, che so, un elenco di quello che dovrei vedere?"."Ahi, ahi! Ora mi cominci a pensare come un turista chiassone - chissà perchè Moses abbinava il concetto di turista al chiassone, pensò Paolo - Il tragitto, in un viaggio che si rispetti, a volte si sviluppa giorno per giorno, a seconda di come ti senti, di cosa trovi"."Se non ho capito male quindi tu mi stai suggerendo una sorta di viaggio mistico, con un tragitto nella storia e nella memoria di un popolo straniero! Non ti sembra di pretendere un pò troppo?". A volte Paolo aveva l'idea che l'altro lo stesse prendendo in giro. "Allora ragazzo, ora ti do la soluzione ma, per questo, ci vuole altro carburante! - e indicò la bottiglia vuota. Ma non è possibile, pensò Paolo, questo mi sta costando una fortuna in birre che butta giù come l'acqua e non mi ha ancora detto niente, se non una marea di chiacchiere. Non sarà che cerca solo polli per spillare da bere? Comunque tornò al tavolo con altre quattro bottiglie. "Bravo - disse l'uomo - hai passato l'esame! Un altro, meno determinato, mi avrebbe mandato a quel paese e se ne sarebbe andato. Allora ti dico che per il viaggio che ti meriti di fare, ti ci vuole una guida, una brava, che sappia il fatto suo e che capisca di cosa hai bisogno. Si occuperà del mezzo di trasporto, dei viveri, dei documenti e saprà parlarti della route nel modo giusto"."Un suo amico, naturalmente"."Si, ma non nel senso che pensi tu. E' una persona seria, una persona speciale e, se accetterà di accompagnarti, sarà un'esperienza indimenticabile"."Perchè c'è anche il rischio che non accetti di accompagnarmi - rispose un po' piccato il giornalista. "Beh, si, c'è questa eventualità, ma credo che se gli dirai le cose che hai detto a me, non ci saranno problemi"."E dove trovo questa persona speciale? - chiese il giornalista con aria un po' di sufficienza. Lui aveva pensato di fare una semplice passeggiata per l'America ed ora gli veniva proposto una specie di pellegrinaggio, accompagnato da una sorta di vate che, durante il percorso, per giunta, avrebbe studiato il suo comportamento per decidere come organizzare il tragitto. Non era quello che voleva e cominciò a pentirsi della sua idea. Alla fine, una settimana a Las Vegas forse sarebbe stata un'idea migliore. Però, il solo pensiero di tutta la confusione che avrebbe trovato, lo sconvolse quasi. Lui voleva solo un po' di pace. Inoltre, se quello che l'altro gli diceva, fosse stato vero, lui avrebbe potuto avere la possibilità di fare un viaggio che pochi altri avevano fatto."Allora, io ti consiglio di rivolgerti ad una agenzia che si occupa di questi viaggi - disse Moses senza dare nessun peso al tono quasi offensivo dell'altro - Dunque, prendi la Colorado avenue, alla Second Street prendi a sinistra e alla prima traversa di nuovo a sinistra verso la Santa Monica Place. A mezza strada, vicino all'Ugo Cafè, c'è una agenzia che si chiama 'Ultimate America Travel'. Entra lì e dì all'incaricato ciò che vuoi"."Tutto qui? E la persona speciale, e il tragitto, e tutto il resto? Una semplice agenzia di viaggi!"."Fidati di me, so dove ti mando - certo, pensò Paolo da qualche amico suo, magari a percentuale - Vai li e troverai quello che cerchi, altrimenti puoi tornare qui ed io ti restituirò tutte le birre che mi hai offerto e magari con gli interessi"."Per bacco, questo si che è un impegno serio. Tu che mi offri della birra! Vorrei proprio vederla questa! Ok, mi voglio fidare, ci vado. Arrivederci!"."Addio, sono sicuro che noi non ci vedremo più". Paolo fece un ultimo cenno con il capo e si allontanò per la sua strada. Dal tavolo vicino il vecchio Peter sollevò la testa uscendo dal suo apparente isolamento. "Dici che ci andrà? - chiese a Moses. "Si, sono sicuro che lo farà e andrà tutto bene come al solito". Il vecchio Peter annuì. "Restituirgli la sua birra? Tu? Questa la vorrei proprio vedere!". "Stai tranquillo, non tornerà. So quello che faccio e so riconoscere le persone. Andrà tutto come deve andare, come al solito".  Paolo, seppure con sentimenti contrastanti, seguì le indicazioni dategli da Moses. In fin dei conti poteva sempre ripensarci e tirarsi indietro. Lasciata la Second Street, diretto verso la Santa Monica Place, si fece attento. La strada era leggermente incassata fra i palazzi e i negozi ai lati, rimanevano in ombra. Alla fine, poco prima di raggiungere la piazza, con il locale che gli era stato indicato come riferimento, quello chiamato Ugo Cafè, vide l'agenzia che cercava. Era un locale con una porta ed una grande vetrina adiacente. Nella vetrina erano esposti molti poster che proponevano viaggi e visite di tutti i tipi sia negli Stati Uniti che all'estero. Ne vide uno che proponeva un lungo tour anche in Italia. Alcuni dei viaggi proposti si sarebbe potuto definire estremi, sia per la destinazione, sia per i mezzi proposti. Alla fine vide che erano presentati anche dei tour lungo la route 66, sia liberi che guidati. I poster erano così fitti che dall'esterno non era possibile vedere nulla dell'interno del negozio. Alla fine, Paolo si fece coraggio ed entrò. Un posto carino, pulito ma niente di più. Le pareti con un intonaco grezzo dipinte con colori giallo ocra, cremisi e arancione, sapientemente distribuiti, facevano pensare ad un ambiente sudamericano. In mobili in legno scuro e alcuni arazzi, rinforzavano l'effetto. In alcune nicchie, ricavate nelle pareti, sapientemente illuminate, erano visibili degli oggetti folkloristici del sud America. Sulla destra, una grande scaffale prendeva tutta la parete e conteneva numerosissimi depliant relativi ai tanti viaggi consigliati o comunque possibili. Altre due pesanti scrivanie, di fronte alla porta, completavano l'arredamento assieme naturalmente a pesanti sedioni in legno che facevano pensare all'artigianato spagnolo, molto diffuso in California. Quasi immediatamente, mentre Paolo abituandosi alla semioscurità dell'ambiente si guardava attorno, da una tenda di perline, venne fuori una ragazza che lo accolse con un magnifico sorriso. Il giornalista, pur abituato a fronteggiare varie situazioni, stavolta rimase quasi imbambolato nel vedere la ragazza. Effettivamente era un tipo che si faceva guardare. Un bel viso, rotondo, con occhi azzurri e grandi, capelli biondo cenere, raccolti all'indietro, in una lunga coda. Di altezza normale ma molto formosa. Un maglioncino attillatissimo e con una scollatura vertiginosa che mostrava parecchio di un seno molto prosperoso. Una minigonna che copriva appena l'indispensabile. Il tutto completato da un trucco, purtroppo molto pesante, ed una perfetta abbronzatura. La ragazza, consapevole dell'effetto che aveva fatto sul cliente, chiese con un magnifico sorriso: "Ciao, cosa posso fare per te?". Paolo, che intanto si era ripreso da quell'apparizione, scacciò i cattivi pensieri che gli erano venuti in mente a quella domanda e rispose invece: "Io... io vorrei delle informazioni per un viaggio"."Bene - gli rispose la ragazza - hai già un'idea precisa?"."Si. Sto prendendo seriamente in considerazione l'idea di percorrere la route 66 - rispose semplicemente il ragazzo notando la semplicità con cui la ragazza aveva stabilito una situazione di confidenza con lui usando direttamente il 'tu'. "Ah, magnifica idea - disse sorridendo la ragazza e con un agile movimento, si portò davanti allo scaffale da cui cominciò a togliere vari fascicoli e depliants - Abbiamo un mare di offerte e di opzioni". Fece segno a Paolo di sedersi ad una delle scrivanie e si sedette a sua volta accanto a lui, perchè, almeno aveva detto così avrebbero potuto sfogliare meglio i fascicoli. Ed infatti la ragazza, che si presentò come Susan, cominciò ad illustrargli tragitti, hotel, attrazioni turistiche, opzioni e mentre faceva questo, più di una volta in modo più o meno casuale, lo sfiorò con la spalla. Il profumo della ragazza era intenso ma buono, un pò penetrante e dagli strani effetti. Il ragazzo capì che Susan, da venditrice consumata, stava usando tutti i suoi artifici per vendergli di tutto e di più. "Guarda - stava dicendo - alla fine quello che io ti consiglio è la visita guidata con il nostro operatore. Quindici giorni, auto monovolume, hotel 3 stelle, tutte le cene comprese e quel che più conta, tutti i documenti a carico nostro, compresa naturalmente l'assicurazione. Tutto, ripeto tutto, comprese le mance, per soli 4500 dollari. Non è un affare da prendere al volo?". Il giornalista, sommerso da quel mare di parole, aveva sentito nominare Las Vegas, Santa Fè, Springfield, musei, villaggi western ricostruiti, spettacoli per turisti. Non era per quello che era andato lì. Quello lo avrebbe trovato in ogni altra agenzia. A meno che Moses, fosse d'accordo con la ragazza e gli mandasse i polli dopo averli convinti ben bene con tutte quelle chiacchiere cha gli aveva rifilato con la magia, l'entusiasmo e tutto il resto. "No - quindi disse - non credo che sia quello che cercavo"."Ah, non c'è problema - rispose imperterrita la ragazza - Allora qualcosa di più avventuroso. Il tragitto in moto con una guida o senza, con tutti gli hotel prenotati lungo le tappe stabilite. Naturalmente con tutti i documenti necessari, solo 3000 dollari". No, non mi sono spiegato. Non è quello che cerco. Io avevi pensato a qualcosa di più tranquillo, lontano dal chiasso e dalla confusione, lungo il vero tragitto, per cogliere la vera essenza della 66, così come mi aveva detto il vostro amico Moses"."Moses. E' lui che ti manda? - chiese con voce molto diversa la ragazza, quasi con rispetto. Si era  scostata da lui e addirittura Paolo ebbe l'impressione che si stesse tirando più giù la gonna mentre si riassestava il maglioncino per ridurre per quanto possibile il decoltè in mostra. "Ma allora non sono queste le opzioni che fanno per te". Alzatasi, dopo aver raccolto i vari fascicoli alla scrivania, tornò accanto allo scaffale, per rimettere tutto a posto. Gli indicò la tenda di perline da cui era arrivata e gli disse di entrare li e proseguire fino in fondo al corridoio. Il ragazzo, a quel punto, molto curioso per quello che stava accadendo, seppure sul chi vive, valutando la remota eventualità di avere a che fare con un gruppo alquanto strano. A quel punto però era ormai andato troppo avanti per tirarsi indietro e, curioso anche di vedere come andava a finire quella storia, seguì le indicazioni della ragazza. Percorse un corridoio in penombra lungo circa dieci metri ai lati del quale c'erano delle porte chiuse e vide che  l'altra estremità era molto luminosa, come se desse su un luogo aperto. E infatti sbucò in un giardinetto rettangolare con al centro una fontanella costituita da un gambo centrale ed in cima una scodella in cemento che raccoglieva l'acqua proveniente da uno zampillo posto al suo centro. Attorno, delle panchine in legno di colore naturale e due belle aiole verdi con fiori colorati. In alto, un pergolato schermava i raggi del sole. E, seduto su una panchina, un tizio, con in mano una lattina di gazzosa. Paolo dopo una prima occhiata, rimase esterrefatto e tornò a fissarlo ancora, quasi incredulo. Era l'indiano del sogno! Uguale. Stesso viso, stessi abiti, mancava solo la cintura di pelle nera con appeso il grosso coltello che aveva visto nel sogno. L'indiano lo fissava, senza dire una parola, forse in attesa che il ragazzo dicesse qualcosa. Valutato che l'altro probabilmente non avrebbe preso l'iniziativa, Paolo, che si era ripreso dalla sorpresa, osservò meglio l'ambiente in cui si trovava. Dai fiori, proveniva un odore delicato e piacevole. Anche il rumore dell'acqua della fontanella trasmetteva un senso di pace e tranquillità. Quasi senza rendersene conto, il ragazzo si sedette su una delle panchine. I raggi del sole, filtrati dal pergolato e mitigati da una leggera brezza che si intrufolava in quel giardinetto, erano tiepidi e graditi sulla pelle. La stessa brezza faceva muovere gli elementi di alcune campane eoliche realizzate con pezzetti di vetro colorato il cui suono andava a sommarsi a quello della fontanella accentuandone l'effetto rilassante. Che posto fantastico. pensò il ragazzo e così, semplicemente, si lasciò andare, appoggiato allo schienale e con gli occhi chiusi, come per ricaricarsi. Non si rese ben conto del passare del tempo ma ad un certo punto, si sentì meglio, quasi ricaricato, in pace. Quindi fece un profondo respiro e riaprì gli occhi. Tutto era rimasto immobile e immutato. Anche l'indiano apparentemente non si era mosso. E fu proprio lui che con una strana voce, profonda ma un pò nasale, gli chiese: "Hai trovato ciò che cercavi?". "Beh, questo è stato bello ma no, non era quello che cercavo"."Non mi dire che Susan non è riuscita a venderti nulla. A meno che tu non sia insensibile al fascino femminile - concluse l'indiano con un tono sarcastico. "No, no, ci ha provato e devo dire che andava piuttosto bene ma poi le ho detto che mi mandava un certo Moses, e di colpo le cose sono cambiate. Ha tirato su tutto e mi ha detto di venire qui. Ora sono qui e non so che devo aspettare". Anche l'indiano, al sentire quel nome, cambiò atteggiamento e con fare più attento chiese:"Ma tu, a Moses, cosa hai detto?"."Ah, lo conosci anche tu? Ma, niente. Si stava parlando di una mia idea balzana che mi era passata per la testa e ora scopro che la cosa mi ha come preso la mano, e mi ritrovo coinvolto, forse, in qualcosa che nemmeno capisco"."Ma lui la deve aver capito se ti ha fatto venire qui. Cosa ti ha detto?"."Ma, non lo so. Ha parlato di una strada che ti parla, di posti magici o addirittura maledetti. Sembrava che descrivesse in certi momenti un mondo incantato, da trattare con rispetto. Ora se ci penso mi sembra quasi che parlasse di un altro pianeta"."Forse è proprio così. Tu stai parlando della route66, vero?". "Esatto, proprio quella. Un attimo prima me ne andavo per i fatti miei sul molo di Santa Monica ed una attimo dopo mi sono trovato preso in questa faccenda, non so nemmeno io come e perchè. ". "Davvero?". "Beh, veramente non è proprio così. In realtà cercavo qualcosa che mi aiutasse ad uscire da una situazione particolare. Quando ho visto quel palo sul molo, ho sentito che una iniziativa del genere avrebbe potuto essere tanto pazza per portarmi via dalle mie fobie, dai miei problemi, almeno per un pò!"."Un bel viaggio turistico, allora. Locali, ragazze nuove, spettacoli, panorami famosi, bevute..... Una cosa così, insomma"."Niente affatto! - rispose brusco Paolo che cominciava a seccarsi. Anche quell'indiano avanzava le stesse obiezioni come Moses. Se avesse usato l'espressione 'turisti chiassoni', gli sarebbe saltato alla gola - Voglio un viaggio tranquillo, nella natura, lontano dalla gente, se possibile. Un percorso dove ascoltare le cose di cui mi ha parlato Moses, ammesso che mi abbia detto la verità e non mi abbia preso in giro"."Hai qualche problema con le persone?". "Qualche problema.... - riflettè Paolo a voce alta - Qualche problema. Una bella domanda....- si interruppe valutando se poteva dire quello che aveva voglia di dire da tanto tempo e poi si decise - Il punto è che non riesco più a trovare nelle persone un lato buono. Vuoi sapere la verità? - decise di dire quello che gli premeva dentro da un pezzo, mentre l'indiano imperturbabile lo stava ad ascoltare con molta attenzione - Per me le persone hanno dentro di loro una componente di cattiveria che si limitano solo a nascondere. Basta un nulla per far venire allo scoperto questa capacità di far del male. Tutti, nessuno escluso!". Non era pentito di averlo detto, sia pure ad un estraneo. Anzi forse proprio quello aveva facilitato semmai la confidenza. "Amico mio, credo che tu abbia veramente un grosso problema. Io non so cosa hai vissuto che ti ha portato a questa convinzione che io rispetto ma fortunatamente, non condivido. E' da molto che sei arrivato a questa conclusione?". "No. Ma ho visto cosa le persone fanno ai loro simili in situazioni particolari. E poi alcuni che fanno cose tremende, senza a volte averne nemmeno la necessità, così, solo per divertirsi". "Io credo che il dolore e la sofferenza incidano sul comportamento degli uomini, portandoli a commettere davvero azioni efferate. Oggi l'uomo vive da solo, crede esclusivamente in quello che può toccare o possedere. E più procede su questa strada, più si isola e diventa feroce con gli altri ma, a volte, ancora di più con se stesso. La pace, la calma, la solitudine possono aiutare, si. In realtà per te gli interventi dovrebbero essere ben diversi ma per cominciare, la 66 può servire allo scopo"."Che vuol dire 'per cominciare' e cosa vuol dire 'interventi'?". "Tu vuoi fare il viaggio? Sei disposto a passare 15, 16 giorni in un'avventura che ti può portare al di là delle tue aspettative? O forse no. Dipenderà da te"."Si, ora lo so. Voglio fare il viaggio. Ma un viaggio, niente di più. Niente che possa avere a che fare con le tue eventuali filosofie da indiano. Voglio solo stare in pace e credo che il territorio americano, con le sue enormi pianure, con le sue particolari montagne rappresenti un ambiente adatto. Allora? Adesso che succede?"."Nulla. Se permetti mi presento. Mi chiamo Bernardino Guglielmo Alvarez per l'uomo bianco. Non seguo nessuna 'filosofia indiana', come dici tu ma ho una 'cultura' da indiano. Per la mia tribù, i Navajos, il mio nome è Chankonashtai, ossia 'buona strada'. Sono una guida, e un'ottima guida, lasciamelo dire, e credo di rappresentare quello che ti ci vuole per la tua piccola impresa. Moses ti ha mandato da me per questo"."Ah, allora adesso che si dovrebbe fare? - chiese Paolo un po' seccato per il fatto che aveva l'impressione che qualcosa gli sfuggisse. Ognuno sembrava avere le idee chiare su cosa fare, eccetto lui che alla fine avrebbe dovuto essere il vero protagonista della storia. "Beh, per prima cosa, se permetti, dovrei sapere alcune cose su di te. A volte perfino Moses s'è sbagliato e io non voglio correre rischi"."Ma cosa vuoi sapere, io voglio fare il viaggio, ti pago e andiamo"."E no, sai, è proprio quella mia 'cultura indiana' a cui alludevi poco fa che mi porta ad essere un pochino guardingo. Ad esempio, hai armi da fuoco o intendi portarle con te?". Paolo immediatamente escluse quella possibilità, aggiungendo che di armi da fuoco non voleva nemmeno sentir parlare. "Te lo chiedo perchè tempo fa è venuto con me un altro ragazzo strano - Paolo pensò al significato di 'un altro ragazzo strano' chiedendosi se si riferisse a lui ma preferendo lasciar correre - aveva portato con sè una pistola di grosso calibro ed un fucile a ripetizione e dopo un po' aveva cominciato a sparare a tutto quello che si muoveva e non. Ad un cero punto l'ho dovuto disarmare con la forza e l'ho lasciato al primo posto abitato che avevamo sul tragitto. Credevo che alla fine avrebbe sparato anche a me!". "Conosco i tipi. C'è altro? - aggiunse un po' seccato per l'esame. "Certo che c'è. Devo sapere con chi passerò quindici giorni, devo sapere se posso fidarmi di te. Bevi?". "Solo se capita l'occasione giusta. Se pensi che io sia uno che va in giro con bottiglie e fiaschette a cui attaccarmi ad ogni occasione, ti sbagli". L'indiano imperturbabile continuava a portare avanti il suo interrogatorio. "Per mangiare ti adatti? Non sei per caso vegetariano, vegano o altro?"."Ho mangiato delle cose che cerco invano di dimenticare ma questo non significa che mi piacciono le schifezze. Comunque si, direi che mi so adattare"."Bene, per finire, hai problemi a dormire sotto una tenda?". A questo punto, mentre Paolo stava per rispondere tranquillamente di no, dal profondo del suo animo, dalle pieghe del suo subconscio, qualcosa, un'ombra cupa si agitò, facendosi vedere seppure solo per un attimo. L'indiano non potè non accorgersi del mutamento istantaneo dell'altro. Aveva sgranato gli occhi, si era irrigidito e nel giro do pochi istanti era coperto di sudore dalla testa ai piedi. Durò solo pochi istanti, poi il mostro scomparve, di nuovo sepolto là, da dove era venuto. Il ragazzo si riprese in fretta e subito affermò, ostentando una sicurezza che forse non provava: "Nessun problema. L'ho fatto tante volte e in posti decisamente pericolosi". Si rese conto di essere improvvisamente stanco, come se avesse dovuto affrontare una grande fatica, i muscoli della schiena gli dolevano così come quelli delle gambe. Inoltre si rese conto che l'indiano lo guardava con uno sguardo strano. "Bene - disse questi - Non bevi, non spari, sei un ragazzo a posto, non hai paura della natura. Sembra troppo bello per essere vero. Se mi hai mentito su qualcosa, se non sarai stato sincero, ci rimetterai solo tu. - Decise per il momento di sorvolare sullo strano episodio di poco prima. Forse il ragazzo aveva un problema ma apparentemente la cosa non lo riguardava - Ascolta cosa ti propongo. Partiamo con il mio pickup, bagaglio leggero. Pernottiamo in tenda ogni volta che è possibile e ti assicuro che nei posti che visiteremo ne varrà veramente la pena. Percorreremo il vecchio tragitto della 66 e ti porterò a vedere cose che in pochi hanno visto. Ci prepareremo da mangiare da soli, con una scorta che io porterò e con quello che potremo trovare lungo il tragitto, di commestibile, stai tranquillo. Non saremo mai lontanissimi da centri abitati quindi in ogni istante, se sarà il caso, troveremo motel con docce e tavole calde. Alla fine, fra quindici giorni, giorno più, giorno meno, ti farò arrivare a Cicago. In più, se mi darai i tuoi dati, provvederò io ai vari documenti di viaggio, necessari qui in America, perchè voi stranieri, con i documenti, fate sempre confusione. Ah, naturalmente mi fai il pieno al mezzo quando ce n'è bisogno. Il tutto ti costerà 1600 dollari". "Notevole - rispose Paolo, quasi travolto da quel fiume di parole - la ragazza me ne aveva chiesti il triplo"."Certo ma il tour che ti proponeva comprendeva alberghi, locali, pranzi, ecc, insomma tutte cose per spennare i clienti"."Ok, prima che ci ripensi, ti dico di si, qua la mano". Si strinsero la mano e poi l'indiano chiese 500 dollari di anticipo, naturalmente senza ricevuta (chi oserebbe mettere in dubbio la parola di un navajo) e gli dette appuntamento all'angolo fra la Second Street e la Broadway per posdomani alle ore sette del mattino. Gli diede delle indicazioni e dei consigli per il bagaglio e un minimo di equipaggiamento e poi, raccolti i dati che gli servivano per i documenti di viaggio, assicurazioni ecc, se ne andò. Gli aveva inoltre raccomandato di non portare con sè molti contanti perchè avrebbe potuto usare tranquillamente la carta di credito e poi era sempre meglio non avere molti soldi appresso. Paolo tornò verso il suo hotel con il forte dubbio di aver perduto 500 dollari. Moses lo aveva indirizzato ad una agenzia di viaggi, la ragazza lo aveva invitato a recarsi nel giardino. Nessuno aveva mai parlato di un indiano o glie lo aveva mai presentato. Aveva detto di chiamarsi Chankonastai o qualcosa del genere ma va a sapere chi era. Decise alla fine di pensare positivo, così si affrettò a segnare su un pezzo di carta le cose che l'indiano gli aveva detto di fare e quello che doveva comprare. In realtà non era molta roba. Con il suo lavoro infatti Paolo era abituato a viaggiare con un bagaglio minimo che di volta in volta aveva imparato a rendere più pratico ed essenziale, senza rinunciare a nulla di importante.
                                                                                  I° Giorno
La mattina della partenza, alle 06.00, Paolo liquidò tutte le questioni con l'hotel e con il suo bagaglio si diresse verso l'agenzia di viaggi a Santa Monica Place. Si sentiva eccitato all'idea di quel percorso pazzo e inaspettato. Purtroppo una brutta sensazione gli guastava l' umore. Aveva commesso una leggerezza eccessiva a mettere 500 dollari in mano a quel tizio mai visto e conosciuto? E se non si fosse fatto vedere? Quindi, temendo una truffa colossale, giunto nel luogo indicato, si dispose ad attendere. Ad ogni automobile che passava, diventava sempre più inquieto. Peccato, un viaggio di quel genere non avrebbe dovuto iniziare con quella sensazione ma aveva capito, ormai, che quel viaggio non sarebbe stato affatto come gli altri e che, comunque, se lo sarebbe ricordato per un pezzo. Aveva portato con sè la sua fedele Nikon, con la quale, in passato, aveva immortalato  tante scene importanti e molti rullini di pellicola. L'indiano non aveva detto nulla circa le fotografie. Aveva appena finito di ricontrollare per l'ennesima volta il suo bagaglio, se non altro per ingannare il tempo, quando, a cinque minuti alle 07.00, arrivò dalla Broadway un pickup color sabbia, evidentemente non recente, che arrivato alla sua altezza, si fermò e  l'indiano scese. "Beh, che fai ancora li, non vieni? - disse quello non lasciando capire se scherzava o parlava sul serio. Paolo, sollevato nel vederlo arrivare, si mosse di corsa e presi la  sacca ed il borsone, si diresse verso il cassone del mezzo. "Questo l’ automezzo che ci porterà dove vorremo. Non ti preoccupare se non sembra nuovo perchè in effetti non lo è però è un magnifico Chevrolet Spirit Side 5.700 benzina del 1992. Lo tengo meglio che se fosse la mia ragazza anche perchè se si sfascia magari mi lascia in mezzo al deserto". Paolo in effetti rimase colpito dalle condizioni del mezzo. Non aveva un filo di polvere ed anche le grandi ruote apparivano pulitissime e in ottime condizioni. L'indiano carezzava il cofano con affetto, come se veramente quel mezzo fosse per lui una specie di fidanzata. Poi rivolto al ragazzo: "Bene, allora siamo pronti. Metti qui la borsa - indicando il piano di carico - e porta in cabina, se vuoi, lo zaino. Hai preso tutto quello che ti ho suggerito?". Paolo rispose affermativamente e caricò le sue cose. Immediatamente l'indiano gli fu accanto per sistemarle e fissarle al meglio. Paolo notò che nel cassone c’era una grossa tenda canadese con il sacco dei picchetti. Delle scatole di cartone con cibi non deperibili ed un piccolo frigo dietro la cabina. Inoltre vide due ruote di scorta in eccellenti condizioni, dei pacchi il cui contenuto non era individuabile e quattro taniche in metallo da dieci litri fissate solidamente. "Questo è carburante di riserva? - chiese abbastanza soddisfatto da ciò che aveva visto. Non c'era dubbio che l'indiano sapesse il fatto suo.. "No, meglio di no. Purtroppo nei vari stati che attraverseremo, le leggi sul trasporto dei carburanti sono differenti e, a scanso di problemi, è meglio astenersi. Non so 'da voi' ma qui i controlli sono severi e le multe sono salate e io non voglio rimetterci la licenza. Lì c'è solo acqua e vedrai che dove andremo ce ne sarà bisogno"."Vuol dire che non abbiamo carburante di riserva?"."Intanto abbiamo una buona autonomia e poi non ho detto questo. Ma ora partiamo". Paolo non si fece pregare e si accomodò sul sedile del passeggero. Lo spazio posteriore che una volta aveva ospitato un'altra fila di sedili, era stato trasformato in una sorta di baule. Dietro ai sedili anteriori, fissato ad un pannello troneggiava un fucile Winchester. Il ragazzo sarebbe stato pronto a scommettere che gli erano state usate le stesse cure riservate al pickup. "Ti innervosisce - chiese l'indiano che aveva colto lo sguardo dell'altro - Se saremo fortunati non lo useremo mai. Ma..... andando dove andiamo noi, non si può mai dire". Paolo preferì non rispondere e disse invece semplicemente: "Dai, andiamo e iniziamo quest'avventura!"."Si,  che il viaggio cominci". Quando il giornalista vide allontanarsi le ultime costruzioni della periferia di Los Angeles, sentì che veramente era in viaggio. E si sarebbe avventurato  in un territorio sconosciuto. Non era certo la prima volta che lo faceva. Nel suo lavoro aveva visitato moltissimi posti nuovi e pieni di sorprese in tutti i sensi, ma in quei viaggi la tensione, la consapevolezza del pericolo avevano sempre limitato la capacità di soffermarsi sulle caratteristiche dei posti  dove si trovava. Più che altro cercava di cogliere  spunti interessanti per le foto,  le riprese, seguendo magari un gruppo di armati  con i quali era possibile rimetterci la vita. L'ultima esperienza lo aveva profondamente segnato e doveva esserci andato molto vicino. Non ricordava nulla se non che era andato a dormire sotto la tenda di un suo collega tedesco e che poi si era risvegliato in ospedale, indenne ma coperto di sangue, evidentemente non  suo. Lo avevano dovuto tenere sedato per tre giorni per evitare che facesse male a qualcuno o a sè stesso. Lo psicologo che lo aveva seguito per circa dieci giorni gli aveva detto che la memoria gli sarebbe forse tornata ma solo al momento opportuno. Ora il suo viaggio era diverso. In realtà era più impaziente di quanto avesse lasciato vedere. Gli avevano detto che la strada poteva essere magica e che, a volte, parlava. Lui in realtà ci aveva voluto credere e si aspettava che la strada prima o poi avrebbe parlato anche con lui. Per ora il paesaggio non gli diceva nulla  ma erano appena partiti per cui si accomodò sul sedile e poi chiese al suo compagno: "Senti, come ti devo chiamare, capo, amico, o Chanco...., non me lo ricordo nemmeno!"."Bene - rispose l'altro con grande serietà - mi puoi chiamare Will. Chankonastai è il mio nome privato, e non va usato nella conversazione"."Stai tranquillo, me lo sono già dimenticato. Will andrà benissimo. C'è la possibiità che durante il viaggio tu mi insegni anche un po' della tua lingua?"."Potrebbe accadere, per spiegarti alcune cose, che io debba utilizzare dei termini indiani  ma non ti insegnerò a parlare il linguaggio navajo, stai tranquillo"."Posso sapere come hai pensato di organizzare il nostro viaggio? Ad esempio, se faremo delle tappe importanti, o magari andiamo senza meta, e poi ci fermiamo dove capita a dormire?"."Niente improvvisato. Il viaggio è tutto qui, nella mia testa. Certo, in un viaggio come questo, possono accadere tante cose ma la destinazione ed alcuni obiettivi importanti sono fissati"."Posso sapere come li hai scelti? Fai questo percorso di routine e magari conosci dei posti speciali?"."Ah, speciali si, davvero. Ma non seguo un tragitto di routine. Dipende dai miei passeggeri. Alcuni possono vedere, devono vedere. Altri meno vedono e meglio è. Non meritano gli spettacoli della natura. Loro sono capaci di sporcare tutto"."Ma tu li accompagni lo stesso, però"."Chankonastai deve pur mangiare e allora lascia il passo a Will"."Ma tu mi hai appena detto di chiamarti Will! Allora anche io non vedrò niente"."No, con te è diverso,  ti manda Moses, e poi si sente che sei particolare. Ti capirò meglio nel corso del viaggio. Ora goditi il panorama". Paolo capì che era un modo gentile per dirgli di stare zitto. Continuava a pensare che lo aveva definito 'particolare’. Perché? E poi la frase "capirò meglio nel corso del viaggio". Magari erano delle fantasie, tanto per darsi importanza con i clienti. La periferia di Los Angeles sembrava non finire mai, erano partiti già da un po' e ancora si vedevano ai lati della strada delle casette basse, alcune spaziose, altre poco più grandi di un container. Avevano percorso quasi 50 miglia sulla 210 quando giunsero in vista della cittadine di San Bernardino. "Se tu fossi stato un turista normale di certo avresti voluto fare tappa qui - disse l'indiano - è in questo posto che nel 1948 fu aperto il primo ristorante della McDonald e che ancora funziona. Ti interessa?"."Veramente no, almeno non molto. Mi chiedo quando cominceranno gli spazi aperti di cui si parla tanto. Gli spazi sconfinati senza anima viva"."Non devi aspettare ancora molto perchè ora lasciata la 210, prenderemo la 215 e presto avrai ciò che chiedi". Lasciata San Bernardino sulla destra, il pickup prese una strada che procedeva fra due alte colline. Il terreno era coperto in buona parte da una macchia piuttosto folta. La strada era comunque ancora larga e confortevole e la temperatura si aggirava sui 23-24 gradi. Apparentemente era stata una fortuna intraprendere il viaggio in quel periodo dell’anno. Uscirono dal canyon e Will girò a destra sulla strada 40. "Ma noi siamo sempre sulla 66? - chiese Paolo che seguiva le indicazioni dei cartelli stradali."Tranquillo, il punto è che la 66 ufficialmente non esiste più ma il tracciato è comunque questo. Sarebbe stato da folli costruire un'altra strada quando c'era già quella originale. Si sono limitati semplicemente a cambiarle nome, Se tu starai attento, però, vedrai di quando in quando, cartelli particolari, che indicano che ci troviamo sulla vecchia strada". Attraversarono alcuni paesi, altri li videro da lontano come Canjon Pass, Victor Villa. Passarono accanto ad un grosso centro, Barstow, ma Will tirò dritto, segno che non c'era, almeno a suo giudizio,  nulla di veramente interessante. Poi per 50 miglia circa non videro altri segni di civiltà. Avevano raggiunto i confini del deserto del Mojave che si estendeva a sud della strada. Ma Paolo rimase piuttosto sconcertato nel vedere che l'area, non aveva l'aspetto di deserto. Anzi, molte zone erano coperte di fiori a vista d'occhio, papaveri, fiori rossi di castilleja che conferivano al territorio un aspetto davvero particolare. L'indiano gli disse che questa era una caratteristica della presente stagione perchè in estate tutta quella flora sarebbe scomparsa ed il deserto sarebbe tornato al suo aspetto usuale. Si vedevano comunque diversi cactus e alberi di jucca. Certo, era ben diverso dal deserto dove si era recato alcuni mesi prima. Lì calore, polvere,  confusione, spari, macerie. Qui il paesaggio suggeriva una situazione di calma, di pulito, non perchè erano gli USA ma perché, apparentemente, la natura la faceva da padrona, senza interventi umani di nessun genere. Di tanto in tanto, incontravano una manciata di case o vedeva delle indicazioni che indicavano villaggi come  Victorville, Ludlow; ma l'indiano tirava dritto e il ragazzo si cominciò a chiedere se il viaggio si dovesse svolgere così, proseguendo dalla mattina alla sera senza soste o mete precise. E' vero che aveva detto di non voler fare turismo spicciolo ma magari qualcosa valeva la pena di essere visto. Stava per dirlo al suo compagno quando questi lasciò la strada in corrispondenza di una semplice diramazione contrassegnata con un cartello su cui era scritto 'Siberia'. Che strano nome, in quel posto. Percorsi un centinaio di metri, giunsero sul piazzale di una vecchia stazione di servizio, ormai in disuso e l'indiano fermò il pickup all'ombra del fabbricato principale. "Facciamo una prima tappa qui - disse al ragazzo. Quindi scese dal mezzo ed aprì il cofano per controllare che fosse tutto a posto. Poi rivolto al suo compagno: "Questa è una delle innumerevoli stazioni di servizio che costellavano la 66. Vedi che oltre alla parte centrale che è un’ officina, dietro c'è un'altra costruzione, un po' più grande, con un bar, un ristorante ed alcune camere. Ormai ce ne sono tante così, abbandonate. Pensare che questa, in particolare, era una delle ultime stazioni di servizio che gli 'Okies' incontravano alla fine del loro viaggio. Arrivavano qui, stanchi, impolverati, assonnati,  e qui trovavano di tutto, certo, a pagamento. Ed erano stati anche fortunati ad arrivare fin qui. Qui c'era un traffico pressochè ininterrotto e qualcuno, almeno fino agli anni 45/50 ha fatto affari d'oro". Paolo guardava le costruzioni in silenzio, rendendosi conto che stava osservando una testimonianza  della grande storia, di cui aveva letto sulla guida pochi giorni prima. Il distributore, su cui ancora campeggiava la grossa insegna della Texaco. Sul locale attiguo c’era ancora la scritta 'Garage' tutta scrostata. L'aiola dall'altro lato del piazzale, ormai appena abbozzata con delle grosse pietre bianche nella quale al momento erano presenti solo cactus e numerosi cespugli di salsola, i famigerati cespugli rotolanti resi famosi da centinaia di film western. "Oggi pranziamo qui, se sei d'accordo. Un bel paio di bistecche con patate. Va bene? - E ricevuto un cenno di assenso del compagno gli disse di continuare a fare un giro perché, per chi sapeva guardare con gli occhi giusti, c'erano un sacco di cose da vedere. Solo lo pregò di non prendere souvenir per rispetto di quel posto e delle anime che vi albergavano. Paolo decise di non fare domande al momento e partì in esplorazione. Dal corpo centrale mancavano le due pompe della benzina di cui si vedeva però ancora lo scheletro metallico. All'interno in un'atmosfera spettrale, c'era ancora il bancone rovinato dal tempo e dalle intemperie. A terra numerosi fogli di carta ammuffita e barattoli arrugginiti. In una mensola  si vedevano ancora dei pieghevoli ingialliti con la piantina del luogo. Fra le altre cose in un cassetto semiaperto c'era un blocco ingiallito con sopra delle annotazioni ormai quasi illeggibili. Chissà chi aveva segnato quelle parole e quei numeri e quanto tempo prima. Il garage non aveva più le porte e si vedeva, al centro del pavimento, la buca per gli interventi sotto alle automobili. A quei tempi probabilmente non si usava ancora il 'ponte'. Purtroppo alle parerti e ai vari agganci  non c'era più nessun attrezzo. Restavano solo dei rottami  ammucchiati in un angolo. Un vecchio paraurti, dei cerchioni arrugginiti, pezzi di ferro non meglio identificabili. Anche qui, le intemperie avevano prodotto molti danni. Dei cartelli appesi al muro erano talmente malridotti ed ammuffiti che non si riusciva quasi a leggere il contenuto. Non meglio erano  ridotti il bar ed il ristorante. Dappertutto abbandono, danni, desolazione. Un silenzio incombeva su tutta la struttura che una volta doveva invece essere piena di suoni, voci. Il  sibilo del vento si udiva ovunque e sembrava mettere in evidenza la totale mancanza di altri rumori. Eppure non dava l'idea di un posto completamente abbandonato. Paolo aveva avuto più volte l'impressione di vedere qualcosa che si muoveva con la coda dell'occhio. Aveva la strana impressione, certo suggestione, di essere osservato. Poi fece la scoperta che più lo impressionò. A lato del locale c'erano delle carcasse di automobili davvero malridotte. Quando si avvicinò per osservarle meglio, scorse, ben mimetizzata, dietro una piccola altura, una zona pianeggiante, limitata da una macchia di cactus in cui delle croci, o quello che ne restava, sembravano indicare delle sepolture. Di morte lui ne aveva vista abbastanza ma chissà perchè queste tombe gli comunicavano una strana sensazione. Senza accorgersene si avvicinò e si accosciò accanto alla più vicina. La croce aveva il braccio orizzontale sbilenco e tenuto a posto da un fil di ferro arrugginito. Non c'era alcuna indicazione circa nome o data. Le altre erano simili. Paolo si sedette a terra e rimase così accanto a quelle tombe anonime. Provava una grande pace come se quelle persone gli stessero comunicando che anche loro, dopo averne passate tante,  avevano trovato finalmente un luogo di riposo. Fu riscosso di colpo dal richiamo dell'indiano che gli disse di essere sicuro che lo avrebbe ritrovato in quel posto e che, comunque, era ora di mangiare. In sua assenza Will aveva messo a punto una sorta di barbeque sul quale aveva cotto a puntino due bistecche per uno e delle patate sotto la brace. Paolo gustò tutto con grande appetito e poi chiese al suo compagno chi fossero quelle persone. L'altro gli rispose che molti erano rimasti sulla strada. Stenti, dolore, privazioni, malattie ne avevano falciati a migliaia. Infatti quelli non erano viaggiatori normali, erano  migranti. Però,  non doveva credere che la strada fosse tutta un cimitero. In gran parte rappresentava la voglia di cambiare, di crescere. Si poteva percepire l'energia che aveva mosso le persone. Comunque si erano fermati lì per due motivi. Il primo era che,  ben nascosto, c'era ancora un pozzo a cui rifornirsi. Il secondo era che aveva voluto vedere che effetto avrebbe fatto al suo compagno di viaggio. Non tutti avevano reagito come lui. Alcuni erano quasi fuggiti da quel piccolo cimitero. "Ce ne sono altri così?"."Si, sapendo dove trovarli ce ne sono altri ma non tutti così. Questo è un posto tranquillo. Gli spiriti legati a questo luogo hanno trovato la loro pace e si limitano ad osservarti con quieta curiosità. Ma in altri posti che ho visitato ci sono presenze cattive e maligne. Guai a capitarci. Si dice che alcuni abbiano perso il senno ed altri  siano scomparsi"."Riecco l'indiano che viene fuori - disse Paolo sorridendo. "Ti auguro di non incontrarli mai. Stai certo che me ne terrò ben lontano". E detto questo, si alzò e si mise a riporre tutti i suoi attrezzi. Alla fine ripartirono verso la tappa successiva. Dalla partenza avevano percorso circa 180 miglia e il sole ora stava tramontando. "Ora dove si va? - chiese Paolo. "Passeremo la notte in un posto fantastico, anche se questo ci porterà un pò fuori strada". Infatti, giunti all'altezza della cittadina di Amboy, girarono verso destra, su una strada chiamata appunto N Amboy road. Il paesaggio divenne  più arido, e la strada si snodava, senza molte curve, attraverso una zona desertica. Alla fine però, dopo circa un'ora di strada, superato un piccolo centro di nome Twentynine Palms, che comprendeva anche una aviosuperficie, giunsero ad una grossa insegna rizzata su  pali e su cui era scritto: 'Joshua Tree National Park'. Da li deviarono verso destra e, quasi all'improvviso, si trovarono in un paesaggio diverso, surreale. Ora la strada che percorrevano, seppure adeguatamente asfaltata, si snodava fra grosse rocce chiare, lisce e arrotondate. Fra gli ammassi delle rocce, a varie altezze, crescevano confusamente piante di cactus di vari tipi, soprattutto quello chiamato 'Cholla'. Paolo aveva sentito parlare di questo posto da uno dei suoi colleghi del passato. Will gli disse: "Questo è un magnifico parco naturale. Non avresti potuto proseguire senza visitarne almeno una parte. Venne scoperto da un gruppo di Mormoni che passavano da queste parti, all'incirca nel 1850. Rimasero impressionati dai rami degli alberi di Jucca che sembrarono loro le braccia di un Cristo in preghiera. Passeremo la notte qui e vedrai che mi ringrazierai". Paolo, ascoltata quella breve spiegazione, decise di fidarsi e accettò di buon grado la decisione della sua guida. Dopo una decina di chilometri giunsero in un'area di parcheggio di una zona chiamata "Barker Dam". A parte uno spiazzo di forma approssimativamente rettangolare dove erano parcheggiate altre quattro auto, si vedeva una costruzione in lamiera che ricordava un piccolo hangar. Attraverso due grandi vetrate si scorgevano dei banconi , con degli addetti, delle grandi carte alle pareti raffiguranti il parco e degli scaffali con depliant e souvenir. Parcheggiato il pickup, l'indiano disse al suo passeggero di restare pure a bordo perchè si sarebbe sbrigato in fretta. Entrò nella costruzione che era il centro servizi di quell'area del parco, e Paolo lo vide salutare un tizio che gli era andato incontro e poi parlare con lui. Lo vide indicare il pickup un paio di volte e il suo interlocutore lo osservò da lontano. Poi si diedero la mano e si salutarono. Will risalì a bordo e disse "Ok, tutto a posto". Lasciato il parcheggio, percorsero alcuni chilometri in quell'ambiente surreale e poi, all'improvviso, fecero una brusca deviazione che li portò dietro una grossa roccia, nascosti dalla strada. L'indiano scese e disse al suo compagno di fare altrettanto. Scaricò dal cassone del camioncino diversi pacchi, la tenda, una tanica di acqua e delle coperte. Poi, con un ramo, cancellò le tracce di pneumatici e, tagliati alcuni cespugli con il grosso coltello che si era messo alla cintura, nascose il pickup in  modo che fosse impossibile vederlo dalla strada. Paolo capì immediatamente che quello che faceva l'indiano non era tanto regolare. "Tranquillo - gli disse l'altro - è tutto a posto. Ho parlato con quel tizio che ci farà stare in pace. Queste precauzioni sono solo per evitare che qualche altro visitatore si incuriosisca e magari ci segua. Ora ti porto in uno di punti più belli del parco". Si caricò una parte del bagaglio e lasciò che il ragazzo facesse altrettanto con la parte restante. "Siamo sicuri che nel programma non ci sia anche la visita alle prigioni lungo la 66? – gli chiese. L'indiano procedette lungo un sentiero senza rispondere. Effettivamente si muovevano in un silenzio rotto solo dal rumore dei loro stivali sul pietrisco. "Ehi - chiese Paolo all'improvviso - ma ci sono animali pericolosi qui?"."Se per pericolosi intendi 'che ti possono ammazzare', la risposta è si. Ci sono serpenti a sonagli, tarantole grosse come il tuo pugno e scorpioni. Ma non ti faranno nulla e staranno lontani, almeno finchè sarai con me". La temperatura mite di marzo, favoriva la loro marcia. La luce del sole ormai al tramonto, conferiva a quel luogo un aspetto incredibile. Quando ormai era quasi sparita, finalmente giunsero in una specie di minuscola valle tra le rocce. Al centro un piccolo lago dalle acque cristalline in cui si rifletteva un cielo al tramonto pieno di mille sfumature di colore dall' arancio al violetto, al blu scuro. L'indiano gli fece segno di mettere giù il carico in un punto preciso. Poi mentre Paolo osservava ogni particolare di quel posto, con grande efficienza, allestì il campo, senza trascurare nulla. Preparò un fuoco che avrebbe illuminato il loro piccolo accampamento e che accese con della legna secca che era stata accatastata dietro un grosso masso. Attorno al fuoco tracciò un cerchio e ai quattro punti cardinali dei simboli misteriosi. Poi muovendosi da un simbolo all'altro, iniziò a cantare una nenia in una lingua che il ragazzo non aveva mai sentito, certamente un dialetto indiano. Will cantando e spostandosi, ritmicamente allargava le braccia e si rivolgeva al terreno, al cielo, al paesaggio che lo circondava. Poi, senza dare spiegazioni, tornò al suo lavoro. Montò una tenda canadese a tre posti e ci mise dentro sacchi a pelo e coperte. Allestì perfino una piccola latrina al ripario di alcune rocce e, mentre il sole spariva all'orizzonte, si mise a preparare la cena. Magari non era molto fantasioso, visto che mise a cuocere hamburger e fagioli ma l'odore era estremamente invitante. Infine da un pacco tirò fuori anche della frutta per completare il pasto. Paolo, dopo il tramonto del sole, era rimasto concentrato sulle attività della sua guida, veramente impressionato per la sua efficienza. Quando fu pronta la cena, si sedettero accanto al fuoco  e solo a quel punto l'indiano disse al suo compagno di guardare il cielo. Paolo alzò la testa e..... rimase incantato. Le stelle fittissime sembravano un bianco, luminoso arazzo. Le costellazioni si notavano a fatica in a tutto quello sfavillare di luci. Paolo era già stato in zone desertiche ma a parte la diversa disposizione mentale, dovuta agli eventi che gli accadevano intorno, non aveva  mai contemplato uno spettacolo simile e l'aria secca del posto favoriva la vista di quello spettacolo stupendo. Le luci erano così fitte che si faticava a trovare nella volta spazi bui. Provava una strana sensazione. Sentiva come attratto  verso una dimensione diversa, più lieve, spaziosa, quasi magica. Sembrava quasi un invito alla più profonda parte del suo essere, della sua anima ad unirsi a quella realtà straordinaria. Quando l'indiano gli porse i piatti con la cena lo dovette quasi scuotere per distoglierlo da quella visione e gli disse: "Stai tranquillo, conosco l'effetto che questo cielo produce in chi lo guarda  come stavi facendo tu. Va preso però a piccole dosi perché, altrimenti, ci si può smarrire". Il ragazzo annuì silenzioso, un po' seccato di essere stato privato di quell'esperienza particolare ma poi ricordando l'intensità del suo coinvolgimento, capì che il suo compagno forse aveva ragione. Comunque riguardò il cielo ma non accadde nulla. Indubbiamente quel momento magico era passato. Dopo la cena, davanti al fuoco, tutti e due stavano sorseggiando la bottiglia di birra che l'indiano aveva fatto magicamente uscire dalle fresche acque del lago. Le stelle splendevano più che mai ed il posto, a parte un leggero fruscio dovuto al vento, era molto silenzioso. "Cosa provi a stare in questo posto - chiese l'indiano. "Potrei dare tante risposte ma quella che più corrisponde alla realtà forse è  banale e resterai deluso. Penso alla piccolezza dell'uomo di fronte alla grandezza di questo spettacolo che poi rappresenta solo una infinitesima parte di ciò che esiste. A te non capita mai di avere questa sensazione?". "Ma...., gli indiani, almeno i Navajos, non si pongono questi quesiti perché, sanno bene qual'è il loro posto in tutto questo. O almeno si illudono di saperlo"."Quindi voi rispettate il mondo, la natura, l'ambiente. Questa è veramente una cosa notevole"."Beh, non è così semplice in realtà. Perchè secondo il mio popolo, l'energia vitale che anima l'universo, il "Vento Divino", indica il flusso, il dinamismo, la trasformazione di tutto. Tutti gli esseri, le cose, ne sono coinvolti, intenti continuamente alla ricerca di un'armonia stabile in un sistema in continuo movimento. Interferire con questa complessa struttura intorno all'uomo, con atti come quello di uccidere, distruggere, fare del male, altera in maniera pesante  questo già precario equilibrio. Il rituale che ho compiuto serviva a renderci parte dell'ambiente, a farci accettare. Ora, se ci comporteremo bene nulla e nessuno ci minaccerà o danneggerà. E mi raccomando, perchè ho garantito per te. So che sei una persona giusta, altrimenti non ti avrei mai portato in questo posto"."Ma allora sei anche uno stregone?"."Stregone ci sarai tu. Questo è un termine che avete inventato voi che, della nostra cultura, non avete capito mai niente! - rispose un po' piccato l'indiano. Poi  riprese - Noi abbiamo i Diyin Dinè, ossia gli uomini medicina. In teoria tutti possono diventarlo ma la strada è molto difficile e impegnativa. Io conosco solo le poche cose che servono per affrontare la giornata nel modo giusto, in alcune situazioni o nel corso del mio lavoro, come in questo caso"."Vento Divino - ripetè Paolo quasi a sè stesso - Dà l'idea di qualcosa in movimento. Allora è per questo che voi all'inizio avevate scelto di vivere da nomadi. Per coerenza con la vostra religione"."Si ma ora molti hanno rinunciato. Il mondo è cambiato per tutti. Io sono uno dei pochi fortunati perchè sono quasi sempre in movimento, perchè posso frequentare posti come questo e spesso mi pagano addirittura per farlo. Naturalmente ho una casa a Los Angeles che però è più che altro, un punto di riferimento.  Ma tu hai un lavoro? Di che ti occupi? - chiese al suo compagno. Quando Paolo gli raccontò di cosa faceva , l'indiano quasi non volle crederlo e rimase molto colpito. "Ma tu vai a cercare la guerra? Le battaglie? Ti rechi in quei posti dove tanti trovano la morte. E dici che lo fai per lavoro. Ma in realtà nessuno ti obbliga! Non sei nemmeno un guerriero, almeno non lo sembri. Perchè ci vai?". "Perchè qualcuno deve raccontare quello che succede in quei posti dove si combatte. Le atrocità, la sofferenza della gente, la violenza"."E quando l'hai raccontato?"."E quando l'ho raccontato tutti vengono a sapere cosa accade veramente, senza filtri, senza giustificazioni"." Vuoi dire che ti pubblicano tutto il materiale che proponi?"."Beh, non tutto, una cernita viene comunque fatta, ma questo dipende da chi compra gli articoli, naturalmente. Le notizie vengono però pubblicate"."E la gente poi fa qualcosa?"."Questo non lo so. So che però a quel punto non può far finta di non sapere"."Spero che questo giustifichi i pericoli che corri assieme ai tuoi colleghi". A quelle parole, un brivido percorse la schiena di Paolo. Si sentì stanco improvvisamente. Così si alzò. salutò il suo compagno e si preparò a dormire in tenda. Poi vide che l'altro aveva preparato il suo sacco a pelo vicino al fuoco, all'aperto. Chiese se era un problema se avesse dormito anche lui all'aperto. Al diniego del suo compagno, si preparò il giaciglio e si distese. Si addormentò guardando le stelle. Dormì un sonno profondo e continuo, diversamente da quanto gli accadeva da diverso tempo.
                                                                                      II° Giorno
Fu un forte e piacevole odore a favorire il suo risveglio. Decise di rimanere ancora disteso ad occhi chiusi un po' per prolungare  la sensazione di pace che stranamente provava e un po' per la paura che il minimo movimento, gli confermasse le sue paure ossia di essere completamente immobilizzato  per aver dormito sul 'duro'  suolo , al freddo della notte. Poi, si decise. Con grande sorpresa, riuscì ad alzarsi con una certa agilità. Si sentiva riposato e riconobbe decisamente l'odore che lo aveva svegliato. Era il caffè che intanto Will aveva preparato. Notò in realtà con sorpresa che, non solo aveva preparato il caffè, ma stava cuocendo in una padella delle uova con la pancetta che doveva aver estratto dalla sua magica dispensa ed inoltre stava finendo di piegare i teli della tenda che aveva già smontato. Lasciando quel posto incantato, Paolo, osservò ancora una volta la valle. Il laghetto dalle acque limpide in cui si specchiava il cielo turchino, le rive bianche e apparentemente incontaminate, la vegetazione e le rocce che in qualche modo proteggeva quel magnifico luogo. Comprese perchè l'indiano tenesse tanto alla riservatezza di quel luogo e proprio per questo gli fu grato di averglielo mostrato. Allontanandosi, il ragazzo chiese all'indiano quale sarebbe stata la prossima tappa. e questi gli rispose che stavano tornando verso Amboy dove avevano lasciato la interstate 40. "Amboy merita una visita ed è entrata a buon diritto nella storia della 66. In realtà quello che a noi interessa è un locale in particolare, il mitico "Roy's Motel e Cafè". Non è antichissimo infatti la sua costruzione risale al 1938 ma per alcuni anni è stato così importante che merita una visita. Se il nome ora non ti dice nulla, vedrai che l'insegna ti riporterà di certo qualche ricordo alla mente". Ritornati sulla strada principale, la i40, alla fine raggiunsero la loro meta. In realtà il paese era pressocchè assente mentre invece appariva attivo il locale che cercavano. Paolo riconobbe immediatamente l'insegna. Un grosso triangolo di colore rosso in cima ad un traliccio piuttosto alto che, a mo' di freccia, indicava con una serie di luci al neon l'ingresso del locale. Nel parcheggio c'erano solo altre due auto. Paolo provò una particolare sensazione a trovarsi sotto quell'insegna storica, che suggeriva alla mente tante storie di un tempo passato. In realtà quel posto non era particolarmente legato alle migrazioni dei braccianti ma piuttosto ad un'altra realtà, molto più banale. Terminata la seconda guerra mondiale, le persone non più limitate dalle regole di razionamento della benzina e dei pneumatici, invogliate da un'industria automobilistica in forte espansione, riscoprì la gioia del 'viaggiare per viaggiare'. Il semplice motel-distributore fu costretto a restare aperto 24h su 24 e nella struttura, e, con aggiunta di officina, bar, ristorante, arrivarono a lavorare negli anni 50' fino a 70 persone. I viaggiatori, pur di passare di lì, erano disposti a pagare anche alte cifre per la benzina, il cibo e persino l'acqua che arrivò a costare addirittura un dollaro al bicchiere. Bisogna pur dire però che tutto, acqua compresa, veniva trasportato  da grandi distanze. Poi, fu il progresso stesso a mettere quella favolosa struttura fuori gioco. Nel 1972, infatti, con la necessità di sveltire e semplificare i tragitti, quel tratto di strada fu sostituito dalla più moderna ed agevole i40. Così, dopo tanti anni il Roy's Motel e Cafè, rimase fuori dagli itinerari più frequentati per gli alti prezzi e perchè per spostarsi, si faceva molto prima con le strade più recenti. Ora dopo tanti anni e parecchie vicissitudini quel posto era stato acquistato da una società immobiliare che riteneva quel posto importante per il suo passato, e che meritasse di essere ricordato e mantenuto in vita. Will dette una scossa al braccio del ragazzo che era rimasto col naso in aria ad ammirare quella struttura che gli suggeriva tanti ricordi. Non pensava di farsi conquistare così ma,  l'energia connessa a quel posto, lo aveva in qualche modo coinvolto. Entrarono nel bar e si trovarono davanti un lungo bancone coperto di formica gialla con davanti una serie di sgabelli, con schienali e braccioli ricoperti di sky rosa. Tutto il locale conservava un perfetto stile anni 50' che era stato ricreato con un attento restauro. Consumarono una birra al banco lasciandosi avvolgere da quella particolare atmosfera. Purtroppo la mancanza di acqua sul posto, non aveva consentito di ottenere la licenza per la riapertura del ristorante. "In realtà, anche se qui si percepisce questa atmosfera così particolare - disse l'indiano - questo locale che comunque merita una visita, non entra nel famoso esodo dei braccianti. Questo era un posto per persone con un discreto reddito, persone che viaggiavano con la famiglia per turismo, disposte, come ti ho detto prima, a pagare un dollaro per un bicchiere d'acqua. Come si diceva all'epoca, persone innamorate del viaggio senza pensare alla meta. Non parliamo del prezzo della benzina. Una tappa importante per chi si spostava in cerca di fortuna, è la prossima tappa che  credo ti interesserà. Mi riferisco al paesino di Goffes, a breve distanza da qui. Per cui finisci la tua birra e andiamo". Visto la distanza da percorrere per l'intero viaggio, l'indiano prese per la i40. La loro prossima tappa, il paesino fantasma di Goffes, distava circa 50 miglia e la superstrada avrebbe concesso loro di risparmiare un pò di tempo. Erano quasi a metà percorso quando si udì la sirena della polizia, che da qualche tempo li seguiva. Paolo riconobbe subito dallo specchietto laterale la classica forma di una Ford Crown Victroria p71, verniciata con la tradizionale livrea bianca e nera della polizia californiana. Chiese subito al suo amico se avesse infranto qualche regola e l'altro, negandolo recisamente, lo avvisò di stare fermo, zitto e calmo qualsiasi cosa fosse accaduta. Paolo accettò pur senza capire ed attese lo svolgersi degli eventi mentre il pickup accostava al margine della strada. "Mi raccomando, non dire nulla, fai parlare me ed eventualmente dicessi qualcosa di strano, non mi smentire". Fra il curioso e lo spaventato il ragazzo annuì. Dalla macchina della polizia, scese un poliziotto sulla quarantina, piuttosto corpulento ma ancora agile e vigoroso. Con una mano sulla fondina della pistola aperta, si avvicinò al finestrino del guidatore del pickup il quale intanto aveva tirato giù il finestrino. "Ma guarda chi si vede! - disse il poliziotto in tono piuttosto canzonatorio - il mio indiano preferito, Aquila Nera in persona. Ma che sorpresa!". Will che sedeva al suo posto rigido e quasi indifferente, rispose in tono neutro: "Il vicesceriffo Teodor Lee, vedo! Sempre al lavoro, sempre in caccia di malvagi e delinquenti". "Il 'signor' vicesceriffo Lee, per te, indiano! Non ti avevo detto che non volevo più vederti sulla mia strada?"."Ma signor vicesceriffo è tutto in regola ed io non ho fatto nulla di sbagliato"."Questo lo decido io, se permetti. Già il fatto che tu sia ancora vivo, è  sbagliato". Paolo non capiva cosa stesse succedendo però aveva compreso che fra quei due non correva buon sangue e, seguendo i consigli del suo compagno di viaggio, si limitava ad ascoltare. Fu però il poliziotto che lo chiamò in causa guardandolo attraverso il finestrino aperto. "Ehi, chi abbiamo quì, un altro pollo da spennare? E dove l'hai rimediato questo?". "Scusi signor vicesceriffo ma il mio passeggero non capisce bene la lingua - si affrettò a dire l'indiano, cercando di lasciare il ragazzo al di fuori della penosa discussione - comunque le sue carte sono quì e sono tutte in regola"."Ancora? - chiese irritato il poliziotto - Perchè non ti entra in quella testaccia dura da pellerossa che solo io stabilisco se le cose sono in regola qui!". Ma perchè il suo amico si faceva trattare  in quel modo, pensava Paolo. Anche per un poliziotto c'era, comunque, un limite da non superare. Fece per intervenire ma Will che aveva capito la sua intenzione, gli toccò la gamba per farlo stare zitto. "Ora controlliamo i documenti e vediamo che cosa trasporti - disse il poliziotto allontanandosi dallo sportello del pickup sempre tenendo una mano sul calcio della pistola. "Posso scendere dall'auto? - chiese tranquillamente l'indiano. "Certo, cosa aspetti?"."La sua autorizzazione signor vicesceriffo. Non vorrei che travisando le mie intenzioni, lei mi infilasse un colpo in testa, come ha minacciato di fare la volta scorsa"."Perbacco - disse ridendo il poliziotto - hai  buona memoria, per essere un indiano. Ma sta tranquillo che se voglio spararti, la scusa la trovo lo stesso"."Ne sono convinto, ma non sarebbe più prudente se lo facesse quando saremo da soli, senza testimoni?"."Eh gia. Dici che il pollastro lo racconterebbe? Mmmm. credo proprio di si! Dimmi figliolo, - disse rivolto a Paolo - lo sai si che questo pellerossa appena ne avrà l'occasione ti taglierà la gola e ti ruberà tutti i soldi?". Paolo saggiamente continuò a far finta di non capire, ma le parole del poliziotto lo inquietarono un po'. Che ci fosse un fondo di verità in quello che diceva? In fondo lui Will non lo conosceva affatto e si era fidato di Moses, altro illustre sconosciuto. Se si fosse trattato veramente di una banda che rapinava incauti turisti? Se così fosse stato, il poliziotto avrebbe potuto effettivamente rappresentare la sua unica salvezza. L'unica cosa che lo fece esitare, fu che il vicesceriffo Lee non appariva per nulla più rassicurante della sua guida, anzi! "Ora tu scarichi tutto ciò che c'è nel cassone e esaminiamo tutto pezzetto per pezzetto e appena trovo qualcosa di storto e lo troverò, te lo assicuro, ti faccio passare quell'aria da saputello imbecille che hai! Avanti! Comincia a scaricare!"."Ma signor vicesceriffo, lo sa che non troverà nulla, come al solito. Ieri ho caricato il cassone del pickup pensando a lei, si figuri. Quindi....". Il poliziotto che mostrava di non controllarsi del tutto, estrasse la pistola e la puntò contro l'indiano. "Ti ribelli? Dimmi ti stai ribellando? lo sai che ti posso sparare qui, come a un cane, su due piedi e lo sai che non chiederei di meglio!". "Magnifico, fantastico signor vicesceriffo! Lei è eccezionale! E come sa farsi rispettare!". Le parole entusiastiche di Paolo, in un inglese naturalmente stentato, piombarono su quella scena con effetto dirompente. I due si girarono verso di lui con aria sorpresa. Paolo stava trafficando con il suo cellulare e dopo pochi secondi disse pieno di entusiasmo: "Perfetto, signor vicesceriffo. Ho messo le sue imprese su un sito ‘social’ così tutti potranno vedere che poliziotto solerte è lei. A lei non la si fa! Gliela faccia vedere a quell'indiano!"."Che cosa ha fatto? - chiese il poliziotto all'indiano, quasi dimenticando che pochi istanti prima aveva minacciato di sparargli. "Pensi un po' - rispose quasi ridendo Will - quell'imbecille l'ha messa in rete, sui ‘social’, così tutti potranno vedere che solerte difensore della legge è lei. Magari le daranno anche una promozione nel vedere mentre mi spara". Il poliziotto apparve furioso e intimò a Paolo di togliere il filmato dalla rete e quando questi gli disse che non era possibile e che comunque sarebbe stato un peccato perchè nel video appariva come un eroe a difesa delle strade della California e che l’avevano già visto centinaia di persone, capì che, con quell’elemento in rete, non poteva fare altro che lasciar correre. Avrebbe trovato il modo di far fuori quell'indiano magari sulla strada del ritorno. Disse di aver udito una chiamata dalla centrale e, imprecando, andò via, sollevando una nuvola di polvere che per alcuni secondi coprì tutta la scena. I due uomini rimasti sul ciglio della strada si diedero un'occhiata e senza parlare, risalirono sul loro mezzo e immediatamente ripartirono. Poi, all'improvviso, prima l'indiano, poi il ragazzo cominciarono a ridere, quasi senza controllo, un po' per scaricare la tensione dovuta a quanto accaduto. "Accidenti, - disse ridendo Will - ma come diavolo ti è venuto in testa! Quello, arrabbiato com'era, sarebbe stato capace di spararti! Sei stato proprio forte!"."Non lo so, l'ho visto in un telefilm. E poi quello stava effettivamente per sparare a te, almeno così credo"."Eh si, - ammise l'indiano - stavolta credo che l'avrebbe fatto. Meno male che c'eri tu"."Guarda che anche tu però sei nei guai perchè se è vero che sei un tagliagole il video testimonia anche contro di te"."Hai ragione, allora questo viaggio, per me diventa una perdita di tempo se non ti posso rapinare"."Scherzi, vero? - chiese Paolo che aveva smesso di ridere. "A sentire il vicesceriffo certamente no"."Come ha tirato fuori questa storia? Effettivamente in questi posti desolati, sarebbe facile far sparire una persona"."Ti ricordi quando ci siamo conosciuti che  ti chiesi se eri un tipo che amava sparare?"."Certamente ed io ti risposi che la sola presenza delle armi da fuoco, almeno da un po' di tempo, mi rende molto nervoso"."Bene, in quell'occasione, ti parlai di un ragazzo che mi aveva ingaggiato come guida e che io, dopo aver constatato che era un mezzo matto, che si era portato un vero arsenale fra fucili e pistole e che sparava  perfino dal pickup in corsa, alla fine, non essendo riuscito a farlo ragionare, l'ho scaricato nella cittadina di Santa Rosa, nel New Mexico. Quando sono tornato a Los Angeles senza di lui, i suoi amici che lo aspettavano hanno cominciato a insinuare che lo avevo fatto sparire per derubarlo. Ho avuto effettivamente dei seri guai per quella storia. Perfino la polizia mi è stata appresso per diverso tempo. Poi per fortuna il ragazzo è stato arrestato a  Elk City, Oklahoma, dove aveva sparato a un tizio. Da allora però il vicesceriffo Lee continua a dire a tutti i miei clienti che sono un tagliagole"."Beh, è un fatto che quell'uomo ce l'ha con te,  ma perchè?". L'indiano sospirò, come ripensando a qualcosa accaduto nel passato. "E' una lunga storia, e complicata"."Di quelle che si raccontano davanti al fuoco?". "Beh non proprio e poi non l'ho mai raccontata a nessuno"."Ma io ti ho salvato la vita, non siamo fratelli di sangue? Allora a me lo puoi raccontare"."Per fortuna per diventare fratelli di sangue ci vuole ben altro, almeno fra la mia gente e in quanto ad avermi salvato la vita..... Ma, vedremo - disse l'indiano facendo capire che il discorso era per lui ormai chiuso. Esattamente a 50 miglia da Amboy, era posta la cittadina di Goffes, la loro tappa. Per quanto Paolo si sforzasse di notare la cittadina, in realtà si accorse che erano arrivati, solo all'ultimo momento, quando Will fermò il pickup davanti al recinto di una costruzione di colore bianco con tetto in tegole rosse, di notevoli dimensioni e a pianta quasi quadrata. Nelle pareti si aprivano diverse finestre ad arco. Sembrava in ottime condizioni, a differenza delle altre basse costruzioni che sorgevano attorno, in apparente stato di abbandono. Sull'edificio era posta un'insegna che spiegava che quella era la sede della "Mojave Desert Heritage and Cultural Association", ossia una sorta di museo riguardante la storia di quel posto.  Will spiegò che quell'edificio era in realtà la vecchia scuola. Quando la cittadina, terminato il fenomeno dell'emigrazione dei coloni, era diventata alla fine una città fantasma, anche quell'edificio, che era stato abbandonato nel 1937, era andato in rovina. Poi, nel 1942,  il generale Patton l’aveva scelta per addestrare i suoi uomini in partenza per la campagna d'Africa. Così i locali, opportunamente riadattati, erano stati adibiti a mensa e uffici dello stato maggiore delle  truppe della VII^ divisione di fanteria. Ma alla fine della guerra, il fabbricato era stato abbandonato di nuovo al suo destino finchè nei primi anni 90', nell'intento di recuperare quanto possibile della storia della mitica route 66, una associazione lo aveva scrupolosamente restaurato trasformandolo in un museo. Will lo invitò a seguirlo e, dopo un poco, si ritrovarono davanti ad un edificio in legno, con una ampia torre su un lato. "Ecco - disse l'indiano - per esempio questo è una copia esatta del deposito ferroviario e dell'ufficio postale originale". Le pareti di legno piuttosto malridotte conservavano ancora, quà e là, tracce della vernice bianca che le aveva ricoperte. Purtroppo l'edificio, dopo essere stato ricostruito, era stato abbandonato al suo destino ed ora appariva in cattivo stato. "Per questo posto la ferrovia è stata molto importante e se ancora qualcosa sopravvive è proprio per via della ferrovia". E indicò sul lato opposto della strada  una vera selva di cassette delle lettere, di certo non meno di trenta, relative a persone che vivevano nei paraggi della cittadina. Quasi per non smentire le parole dell'indiano, si udì non molto distante la sirena di un treno di passaggio. Will guidò Paolo fino ai binari non molto distanti e lo invitò il ad osservare il treno che sarebbe transitato di li a breve, perchè non capitava spesso di vederne uno così. Infatti pochi minuti dopo, preceduto da numerosi suoni di sirena, giunse il treno che viaggiava a velocità piuttosto moderata. Paolo ebbe modo di notare che era trainato da tre grossi locomotori diesel,  arancione, sul muso dei quali spiccava in giallo la sigla "BNSF". All'inizio il ragazzo non capiva cosa avesse di particolare quel treno ma pochi minuti dopo, si rese conto che sembrava interminabile. Continuarono a passargli davanti carri merci di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, alcuni erano semplicemente dei container, altri contenevano liquidi, granaglie, di tutto insomma. L'indiano gli spiegò che, di quei treni, ne passava circa uno ogni mezz'ora, trascinando centinaia di carri merci che muovevano un carico impressionante attraverso l'America. La BNSF, in particolare, gestiva tre linee importanti che si snodavano nel Nuovo Messico, nel Nevada, fino a Chicago. Era ormai un colosso nato dall'unione di altre compagnie ferroviarie importanti che avevano fatto la storia ma che avevano dovuto accettare di adeguarsi al mercato odierno. Era interessante che quasi tutto il traffico ferroviario americano fosse relativo al trasporto merci. Infatti, con l'evoluzione dei trasporti passeggeri per lunghe distanze, il treno aveva perso competitività nei confronti degli altri mezzi e pertanto il traffico passeggeri era stato via via abbandonato lasciando che se ne occupasse la compagnia federale Amtrak. "Per quanto sembri strano, ritengo che questo sia uno dei simboli del sistema americano - disse l'indiano - Un continuo viaggiare di merci avanti e indietro per tutta l'America, continuamente, giorno e notte in ogni luogo. Questa direttrice che abbiamo davanti, interessa la zona del sud ma di queste ferrovie ce ne sono in tutto il paese". Paolo dovette convenire che effettivamente quello scenario poteva coinvolgere, impressionare. Un treno che passa e che sembra non finire mai. "Ma ora vieni che ti mostro un'altra cosa importante  - gli disse la sua guida. Lo portò davanti ad una antica e larga costruzione in pietra, di un piano, con una ampia porta ora senza ante e con aperture alle pareti, certamente sedi di finestre ora scomparse.  Per raggiungere il posto passarono davanti ad una stazione di servizio di medie dimensioni e Paolo notò dai cartelli informativi sul prezzo del carburante che era venduto a due dollari in più al gallone rispetto a Santa Monica. E da quello che gli aveva detto la sua guida, quello era ancora niente. Procedendo verso l'interno, in alcuni luoghi, il prezzo sarebbe stato addirittura il doppio. All'interno della costruzione Paolo, con una certa delusione, non vide altro che il contorno di un grosso pozzo, chiuso da una botola. Guardò con aria interrogativa la sua guida che sorridendo gli disse: "Questa è la dimostrazione che non tutte le cose importanti appaiono subito per quello che sono o per quello che sono state, come in questo caso. Questa costruzione era la meta più ambita per quelli che si spostavano per raggiungere la California al tempo della crisi. E' il motivo per cui la cittadina di Goffes, per un certo periodo divenne piuttosto famosa, attirando diverse attività commerciali che però ora non ci sono più. Questo che vedi era un pozzo aperto al pubblico, gratuitamente, dopo miglia a e miglia di zona arida. A chi viaggiava doveva sembrare il benvenuto della California. Naturalmente poi questa gente scopriva che la situazione era molto diversa. Anche questo posto rappresenta un pezzo di storia americana anche se qualcuno non ha molto interesse a ricordare quei periodi di miseria e dolore. Peccato, invece, perchè il messaggio che se ne potrebbe cogliere è che la popolazione, pur affrontando momenti difficili ha saputo reagire, ribaltando spesso la situazione". Paolo annuì in silenzio e continuò ad osservare i vari elementi di quel posto così caratteristico. In realtà non era così convinto i poveracci che erano passati di li avevano avuto poi un grosso peso nel ribaltare la situazione. Certo, qualcuno era riuscito ad uscire dalla condizione in cui si trovava e a far fortuna. Ma in tutti i viaggi che aveva fatto,   aveva visto cose e situazioni che lo avevano portato alla conclusione che i poveracci restano il più delle volte nella loro misera posizione. Però se all'indiano piaceva pensare che le cose fossero diverse, andava bene lo stesso. Consumarono un normale pasto a base di hamburger e patatine fritte presso la modesta zona di ristoro della stazione di servizio, il tutto completato da una generosa fetta di torta con marmellata di ciliegie e caffè nero. "Beh, anche questo è molto americano - disse l'indiano notando una certa aria di insoddisfazione nel suo compagno di viaggio - Sai quanta gente qui, pranza in questo modo?"."No, il punto è che il viaggio si basa sul passato, come se solo quello sia stato bello e appagante e invece sappiamo che non è proprio così. La forza di una nazione secondo me dovrebbe basarsi sulla forza della sua crescita, del suo progresso"."La forza di una nazione si basa anche sulle sue origini, sulle sue tradizioni, quali che siano, belle o brutte. Dalle radici nasce l'unità, la collaborazione, il desiderio di migliorarsi. Comunque - disse l'indiano finendo il suo caffè - senza volere, hai stabilito la prossima tappa. Ti servo un altro po' di tradizione americana". Pagarono il conto e salirono sul pickup. Will apparve molto misterioso sulla loro prossima meta con grande curiosità di Paolo che invece avrebbe voluto saperne di più. Superarono una cittadina chiamata Needless e proseguirono superando il confine con l'Arizona. Paolo si accorse che il paesaggio iniziava a cambiare ,  dopo tanto territorio desertico, si cominciava a vedere un po' di verde che si allargò sempre di più, finchè costeggiarono un grande lago. L'indiano gli disse che quello era l'Havasu National Wild Life Refuge. Praticamente un'oasi nel deserto dove trovavano rifugio molte specie di volatili ed anche altri animali di piccola taglia. Si poteva soggiornare sul posto, fare escursioni in barca e osservare la fauna nel suo ambiente naturale. Il ragazzo  disse che gli sarebbe piaciuto fermarsi. La guida rispose che per le visite occorreva prenotarsi ma che comunque non sarebbe stata una buona idea perchè al personale del parco lui non 'stava particolarmente simpatico'. Il punto era che, in passato, aveva apertamente criticato la politica della struttura, che organizzava periodicamente battute di caccia. Ma che razza di parco naturale era se offriva riparo agli animali e poi li faceva abbattere? “Quindi al momento niente visita” pensò Paolo. Dopo un poco, attraversarono su un robusto ponte di ferro il Colorado che alimentava tutto il bacino  allontanandosi però, si ritrovarono di nuovo in un ambiente brullo e arido. Percorsero poi altre 25 miglia circa e, in corrispondenza del cartello stradale che indicava che mancavano 30 miglia per un posto chiamato Kingman, l'indiano curvò bruscamente a sinistra per prendere una  strada apparentemente secondaria che si inerpicava fra le alture. Paolo, preso alla sprovvista, fu costretto a reggersi alla  maniglia dello sportello e chiese informazioni ma la sua guida che si limitò a invitarlo a guardare il panorama. Via via che procedevano, la strada diventava sempre più scoscesa e irregolare. Stavano salendo una notevole pendenza senza alcuna protezione con un burrone alla loro destra. Will sembrava non accorgersi della situazione continuando a guidare a velocità elevata sollevando ad ogni sterzata nuvole di polvere e pietrisco. Paolo, letteralmente irrigidito al suo posto, vedendo passare il ciglio dell'abisso sotto il pickup, non capiva che intenzioni avesse l'altro. Finalmente, percorsi circa 10 chilometri, la strada si allargò, terminando in una spianata adibita a parcheggio, oltre la quale si notavano le case di una cittadina. Li, finalmente, il pickup si arrestò con una brusca frenata. Paolo, ancora scosso, si accorse che il suo compagno stava ridendo, di certo di lui. Gli ultimi tratti della strada erano stati tremendi. A picco su un burrone di oltre mille metri, e con la sede stradale che era in parte franata. "Benvenuto nella cittadina perduta di Oatman, l'autentica cittadina western dove il tempo si è fermato - disse l'indiano, prima che il suo stravolto compagno di viaggio potesse proferire parola, mostrando con la mano le case che si trovavano davanti a loro. "Ma che diavolo volevi fare, ammazzarmi? - gridò   invece Paolo ancora tutto irrigidito per la tensione a cui era stato sottoposto durante il tragitto - Forse non mi taglierai la gola, come diceva il poliziotto, ma di certo sembra che l'idea di farmi fuori non ti abbia solo sfiorato....". Poi, come se le parole dell'indiano gli fossero giunte in ritardo, smise di gridare e,  meravigliato, si girò verso le case, rimanendo quasi senza fiato per la sorpresa. Davanti a lui un autentico villaggio western, con i suoi negozi, le caratteristiche costruzioni e gli abitanti che, vestiti in modo adeguato allo scenario, sbrigavano i loro diversi affari. Anche se evidentemente si trattava di una realizzazione per turisti, era stata realizzata con tanta cura che sembrava  autentica. "Andiamo, - disse Will dopo aver chiuso le portiere del pickup e si avviò seguito dal ragazzo veramente curioso di visitare quel posto. Non voleva fare il turista ma quell'atmosfera gli trasmetteva un non so che di stimolante, di coinvolgente. Le botteghe erano perfette, sia per lo stile sia per la mercanzia in vendita, le persone si muovevano con una naturalezza incredibile. Se erano attori, erano veramente bravi. "Che ne dici - chiese l'indiano - non ti senti trasportato nel vecchio West? Anche questo aspetto fa parte della storia americana e qui è rappresentato al meglio perchè tutto quello che vedi è autentico. Nulla è stato rifatto. Le case, i locali, perfino i recinti per i cavalli, tutto autentico e la gente, qui ci abita veramente. Questa era una città mineraria e due miniere sono ancora in attività. Quindi fra le miniere, il turismo e altre piccole iniziative le persone del posto hanno di che campare dignitosamente". Cominciarono a percorrere le vie della cittadina osservando le botteghe, le case e le varie attività. Videro molti artigiani  intenti a realizzare oggetti tipici western di buon livello. Ogni tanto incrociavano anche qualche turista come loro ma nel complesso non erano poi tanti, forse per la stagione. Arrivarono alla fine davanti al saloon con le classiche porte 'a vento' e le finestre di vetro colorato dalle quali si poteva intravedere l'interno. Paolo stava per salire il gradino della passerella che conduceva all'ingresso, quando le due ante si aprirono con violenza ed un uomo volò letteralmente fuori, rotolando fin sulla strada. Quasi subito dopo, un altro dall'aspetto truce e risoluto, si affacciò alla porta e gridò a quello in strada che era un maledetto baro e che l'avrebbe pagata cara. Paolo, preso alla sprovvista dalla scena, guardò il suo accompagnatore che gli fece segno di seguirlo sul margine della strada, senza intervenire. Intanto quello che era ruzzolato per la strada, si era rialzato e si toglieva la polvere dai vestiti. Era un cow boy di piccola statura e dalla pelle scura ma con una espressione di pura cattiveria sul volto stravolto dall'ira. Rispose all'altro, decisamente più grosso,  che il baro era lui e che ora avrebbe dovuto affrontare la resa dei conti. Intanto, mentre i due si scambiavano insulti sempre più pesanti, i lati della strada erano andati affollandosi sia di residenti che di turisti. Finalmente arrivò lo sceriffo che cercò di placare gli animi ma ambedue i contendenti lo invitarono in malo modo a farsi i fatti propri, cosa che alla fine lo sceriffo, anziano e piuttosto corpulento, decise di fare. I due ora erano uno di fronte all'altro, ambedue armati di pistola. Il limite era stato superato, erano volati insulti e parole grosse e non c'era più nulla da fare. Infatti, all'improvviso quello più basso estrasse l'arma e fece per sparare ma l'altro decisamente più veloce, lo precedette e con  due colpi, lo centrò in pieno. Il primo cadde a terra come una bambola rotta e lì rimase, immobile. Lo sceriffo gli si avvicinò e potè constatare solo che era morto. Il pistolero a quel punto, rimessa l'arma nella fondina, si avvicinò al suo rivale e disse qualche parola. Poi si chinò e... allungò una mano al 'morto' per aiutarlo a rialzarsi. I due si inchinarono al pubblico che rispose con un fragoroso applauso. Paolo che verso la  fine della esibizione aveva capito qualcosa, era però rimasto colpito, almeno all'inizio, dalla veridicità della scena. "Non ci avevi mica creduto? - lo prese in giro la sua guida. "Beh, tenendo presente la tua prerogativa di guida spirituale, non avrei mai pensato che mi coinvolgessi in una farsa per turisti - rispose un po' piccato il ragazzo. "Guarda che  nelle tradizioni  del vecchio West,  questa pratica era piuttosto diffusa fra voi visi-pallidi specie in questa zona". "Adesso ricominciamo a parlare di visi-pallidi?". "No, naturalmente. Scherzi a parte questo posto incarna veramente l'atmosfera del vecchio West e, a parte queste forzature, allestite per intrattenere un certo tipo di turismo, qui puoi trovare la sua vera essenza. E' tutto autentico, come ti dicevo e anche la gente sembra vivere fuori del tempo. Stasera lo vedrai. Ma ora vieni, pensiamo al tuo alloggio". Guidò il ragazzo ancora per alcuni metri fino a trovarsi davanti all'ingresso di un palazzetto in pietra bianca, a due piani , circondato da un colonnato, sormontato da un insegna che lo indicava come  Oatman Hotel. Entrati, Paolo rimase immediatamente colpito dal fatto che le pareti interne del ristorante fossero letteralmente tappezzate di banconote da un dollaro, fin quasi al soffitto. Persino parte delle finestre ne  era ricoperta. Un omone in jeans, stivali e camicia di flanella a quadri, si diresse verso Will, gli strinse la mano e poi lo abbracciò. Paolo rimase colpito dalla cordialità dell'incontro. Allora non tutti volevano sparare alla sua guida. Fatte le presentazioni, Paolo vide la sua mano sparire nella stretta della enorme mano dell'uomo, che poi era il gestore-direttore dell'hotel. L'indiano gli spiegò che stava accompagnando il ragazzo in un giro per fargli assaporare la classica, autentica atmosfera dell'America e che quindi non poteva mancare una sosta in quel luogo. L'uomo  lo assicurò che avrebbe fatto di tutto per farlo sentire a suo agio. "Passeremo la notte qui - disse l'indiano a Paolo - Tu dormirai in un vero letto, anche se d'epoca e ti riposerai per bene in attesa delle prove che ti attendono i prossimi giorni". Il gestore li accompagnò al piano superiore dove erano le camere. Con molto orgoglio, mostrò al ragazzo una stanza in particolare, nella quale, raccontò, erano stati Clark Gable e Carol Lombard in luna di miele nel 1939. La stanza in realtà era piuttosto piccola, con un letto da una piazza e mezzo e spalliere di ferro verniciate di bianco. Completava lo spartano arredamento un cassettone e delle tende alla finestra. Niente di che. Comunque per non contrariare il gestore che sembrava tenerci molto, Paolo si disse molto contento di aver potuto vedere quella interessantissima testimonianza del passato. Questo e la raccomandazione di Will gli fecero ottenere, eccezionalmente, alloggio in una stanza dell'hotel, di solito adibito più che altro a museo. Prima di cena il ragazzo e la sua guida, fecero una passeggiata per le vie della cittadina che si erano un po' animate. Ai lati della strada erano parcheggiate diverse auto vintage perfettamente curate e si udivano voci e suoni provenienti dai bar. Paolo notò che per le strade si muovevano indisturbati degli asinelli ai quali molte persone davano da mangiare qualcosa. L'indiano gli spiegò che quella era una tradizione del luogo. I minatori molti anni prima, lasciando la città avevano abbandonato i loro somari da carico e quelli, trovato riparo sulle colline circostanti si erano moltiplicati ed ora erano diventati un caratteristica del posto. Guai a mancar loro di rispetto.  Alla fine tornarono verso l'Hotman hotel e si misero seduti ad un tavolo del ristorante. Il piano del tavolo era coperto di tela cerata ma Paolo pensò che non si poteva pretendere troppo. Era colpito invece dalla  quantità di banconote appese alle pareti e perfino al soffitto. Erano di tutto il mondo e sopra si notavano sigle, scritte o simboli. L'indiano gli spiegò che era ormai tradizione che tutti  gli avventori lasciassero la loro banconota per ricordo. Mentre su un piccolo palco si esibiva un discreto gruppo folk, ordinarono il menù della casa che consisteva in un panino al doppio hamburger di bufalo, patate fritte, insalata della casa e una generosa fetta di torta di mele. Il tutto annaffiato da una abbondante quantità di birra. Alla fine del pasto, mentre la musica si diffondeva in modo discreto, Will si accese un sigaro e disse al suo compagno: "Oggi sulla strada ti ho osservato. Avevi proprio fifa! Allora ti preme la pelle"."Che diavolo vuol dire? Che  volevi vedere se ero un matto come te o se, da persona ragionevole, cercavo di salvarmi la vita?". "Non sono un matto. So guidare bene, ecco tutto. Credi che metterei a rischio il mio pickup solo per gioco? Non abbiamo mai corso serio pericolo. Ma se tu non sei un incosciente, allora significa che fai il tuo lavoro  in buona fede. Questo ti rende due volte più coraggioso". Paolo rimase colpito da quelle parole che non si aspettava. Dopo un poco però chiese al suo compagno: "Proprio perchè alla pelle ci tengo, devo aspettarmi di trovare per la strada altre persone che ti vogliono sparare?"."No, almeno che io sappia. Di solito sono tutti amici, come hai visto anche qui"."Allora, quello, perchè ce l'ha con te?"."E' una lunga storia....."."Beh siamo qui seduti, la birra c'è, abbiamo tempo. Dimmi". L'indiano stette diversi secondi a fissare la cenere del suo sigaro, come a pensare se raccontare o no la storia. Poi, iniziò: "Tanti anni fa, nell'insediamento dove vivevo con la mia famiglia c'era una ragazza bellissima, un po' più grande di me, allegra, intelligente e soprattutto seria. Ci avevano provato praticamente tutti i ragazzi del posto ma non c'era niente da fare. Pensava solo a studiare, a farsi una posizione. La vedevo spesso perchè eravamo imparentati e lei era molto gentile e simpatica. Il suo nome per la tribù era Tòazhish, acqua che danza, e le si addiceva per la leggerezza con cui si muoveva e per la sua ansia nel cercare di sapere tutto ciò che poteva". Qui si fermò come per mantenere un ricordo che forse era scaturito nella sua mente a causa del racconto stesso. Paolo attese in silenzio che l'altro dopo qualche minuto ricominciasse. "Purtroppo proprio la frequenza della scuola la portò fuori del villaggio e fu così che conobbe un giovane bianco, un bel ragazzo, un poliziotto. Fra i due nacque un amore intenso, travolgente, tanto che la ragazza decise di lasciare la sua famiglia e di andare a vivere con il suo uomo. La famiglia di lei fece di tutto per dissuaderla dicendole che non sarebbe durato, che il ragazzo non era adatto per lei, che non aveva una buona reputazione. Non servì a nulla. Lei se ne andò". Qui l'indiano fece un'altra pausa e Paolo di nuovo attese in silenzio. Probabilmente il racconto gli stava suscitando dei ricordi piuttosto spiacevoli . Poi, bevuto un sorso di birra e ripreso fiato, riprese: "Inutile dire che la famiglia aveva ragione. Lui beveva e a volte era violento. Il suo mondo, i suoi stessi colleghi, non gradivano il suo rapporto con la ragazza e gli faceva pressioni continue perchè si liberasse dell'indiana. Evidentemente il suo amore non era poi così profondo perché, una sera, tornò a casa, forse più ubriaco del solito e, dopo averla gonfiata di botte, la  cacciò letteralmente di casa. Lei distrutta, cacciata, non se la sentì di tornare dalla sua famiglia perchè si vergognava troppo. Così, il giorno successivo, salì in cima ad una rupe e si lasciò cadere di sotto. I suoi genitori, i suoi parenti, che, saputo il fatto, la cercavano dappertutto, la trovarono solo quattro giorni dopo. Il giovane poliziotto messo alle strette dalla famiglia, disse di averla cacciata perchè aveva scoperto che lei era una donnaccia che andava con tutti quelli che avvicinava. Naturalmente era una bugia. Quando il padre protestò per queste accuse, il giovanotto minacciò di sparargli se non si fosse ritirato e i suoi colleghi avrebbero fatto altrettanto con qualsiasi indiano che si fosse azzardato a ripresentarsi. Così, dopo circa un mese, una notte che il poliziotto al suo solito, piuttosto alticcio, fece ritorno a casa, trovò ad aspettarlo quattro persone incappucciate e irriconoscibili. Solo ciò che avevano in mano li distingueva. Uno aveva una spranga di ferro, un altro un pezzo di catena, un altro ancora il manico di un piccone e l'ultimo una mazza da baseball. Sulla porta di casa, mentre l'ubriaco cercava di destreggiarsi con le chiavi, gli piombarono addosso tutti assieme e, tutti assieme, cominciarono a menare colpi senza pietà. L'idea era quella di fargliela pagare anche se questo poteva dire spingersi troppo oltre. Purtroppo il ragazzo aveva il revolver di ordinanza e riuscì ad estrarlo. La persona con la mazza da baseball se accorse in tempo e gli vibrò un tremendo colpo che spezzò il braccio al poliziotto ma un colpo di pistola partì comunque, senza colpire nessuno, per fortuna. Ma ormai l'allarme era stato dato e gli aggressori si dettero alla fuga. Avevano comunque fatto un buon lavoro perchè quel farabutto si fece due mesi di ospedale ed il braccio spezzato non tornò più completamente a posto. Ora lui è convinto che noi della famiglia c'entriamo qualcosa in quella faccenda, anche se da controlli accurati fatti all'epoca, risultò che noi parenti della ragazza eravamo altrove con numerose persone a testimoniarlo. Il vice sceriffo Teodor Lee, però non ci credette mai e continuò ad incolpare noi familiari. Un giorno di questi, di sicuro, arriverà a sparare a qualcuno che solo gli dia una buona scusa per farlo". "E tu - chiese Paolo dopo una breve pausa - chi eri dei quattro?"."Quello con la mazza da baseball - rispose Will, senza esitare. Scese il silenzio dopo questo racconto ed il ragazzo capì che l'altro aveva voluto dargli un particolare segno di stima, raccontandogli quella storia. A meno che..... "Ma dì, mi hai preso in giro, ti sei inventato tutto?". "Certo, che credevi che avrei raccontato questa cosa ad un estraneo?". E il discorso finì li ma era chiaro che invece la storia era vera. Terminata la cena, l’indiano disse a Paolo di andare a dormire nella stanza che il gestore gli aveva messo eccezionalmente a disposizione. Gli disse anche che se avesse visto un fantasma passare, non avrebbe dovuto spaventarsi perchè 'Oatie', così disse che veniva chiamato, era solo curioso ma non pericoloso. La stanza era piuttosto piccola,  come le altre, insomma, ma tutto era estremamente pulito. Messosi a letto, si rese conto che stava per addormentarsi in un posto decisamente speciale. Frequenti scricchiolii gli fecero tornare in mente la storia del fantasma ma non lo inquietarono più di tanto. Invece cominciò a pensare sempre più intensamente che forse in quello stesso letto avevano dormito avventurieri, minatori, uomini di affari, pistoleri. E ad un certo punto sentì quasi di far parte di tutto quel gruppo eterogeneo, con le loro aspettative, i loro sogni, le loro paure, le loro preoccupazioni. Era forse quella la magia di cui gli aveva parlato Moses? Poi, pian piano, quella sensazione si affievolì fino a lasciargli solo un lieve ricordo di tutta quella esperienza. Così, profondamente stanco, accompagnato dal suono delle voci che venivano dalla strada,  si addormentò.
                                                                                         III° Giorno
Al mattino successivo , fu svegliato dalla sua guida che bussava insistentemente alla porta. Si preparò in fretta e scese al ristorante-bar per una robusta colazione all'americana. Il gestore del locale li salutò molto calorosamente. Terminato il pasto, sul punto di lasciare il locale, Paolo d'impulso, tirò fuori dalla tasca un biglietto da 1 dollaro su cui aveva scritto qualcosa e con la spillatrice a disposizione, individuato un posticino disponibile, lo attaccò assieme agli altri. Poi uscì. Will sorrise ma non gli disse nulla. "Va bene, - disse alla fine il ragazzo - lo fanno tutti e allora?"."Stai tranquillo, sono solo affari tuoi. Ricordati che il viaggio è il tuo. Io mi limito solo a suggerirti delle mete interessanti. Poi, se vuoi andare in altri posti, non mi riguarda. Devo solo portarti a Chicago entro quindici giorni, giorno più, giorno meno. Certo che se cominci a scegliere destinazioni e posti particolari, il nostro accordo salta"."No, aspetta io non ho nulla contro l'itinerario che stai seguendo. Non volevo assolutamente criticare le tue scelte. Certo la cittadina che abbiamo appena lasciato mi ha preso un po' alla sprovvista perchè sembrava la classica trappola per turisti ma tu sei riuscito a farmela vedere sotto un altro aspetto. E poi ... - indugiò per valutare se poteva parlare liberamente o no, poi - durante la notte ho creduto di sentire qualcosa. E’ stato come se mi fossi identificato, non so come, con gente che apparentemente ha vissuto qui. Che so, ricordi di fatti particolari, brani di conversazioni fra sconosciuti di tanti anni fa. Non saprei spiegarmi meglio, magari è stato solo un sogno"."No, non credo. Dormire in quella stanza, a qualcuno, trasmette delle sensazioni particolari, che poi interpreta come meglio crede. Certo che, se ti devi immedesimare nello spirito del vecchio West, e hai l'impressione di vivere in prima persona certe esperienze, ti puoi reputare molto fortunato". "Ci devo pensare. Ora dove mi porti? Quale sarà la prossima tappa?"."Oggi camminiamo un po'. E per pranzo ci fermiamo in un posto che spero ti piacerà, almeno se ti piacciono i cartoni animati". E senza aggiungere altro continuò a guidare verso Kingman ma con maggiore prudenza rispetto all'andata. Dopo circa 20 miglia raggiunsero la periferia della cittadina. “Non ci fermiamo qui? – chiese Paolo. “Pur essendo una bella cittadina, non c’è nulla di speciale, salvo il solito museo e i negozi di souvenir. Il punto è che questo posto aveva un’economia che dipendeva solo in parte dalla 66. Quindi non ha poi risentito molto della deviazione del traffico. Infatti ci sono campi da golf, una nota università, e molte attività commerciali. La reale attrazione turistica che c’è qui intorno non è legata alla 66 e  verrebbe comunque visitata da chi si trovasse a passare da queste parti. Guarda la’ – e indicò al suo compagno un grosso cartello posto al lato della strada, rallentando perché lo potesse osservare più dettagliatamente. Si trattava della pubblicità di un hotel, per l’esattezza il “Gran Canyon Caverns & Inn” posto a poche miglia. “Di che si tratta ? – chiese il ragazzo. “Poco distanti da qui ci sono delle caverne dentro le quali sono stati trovati i resti di alcuni dinosauri. Chiaramente le persone del posto hanno deciso di sfruttare la cosa per fini turistici e ci hanno montato attorno tutta una struttura destinata a attirare visitatori. Ma nulla che valga realmente la pena per qualcuno che, come te, sta attraversando la nazione da un capo all’altro. Il viaggio continuò in silenzio e Paolo approfittò di quella pausa per guardare con più attenzione il paesaggio circostante. Sapeva che alla sua destra stava scorrendo il paesaggio relativo al deserto del Mojave. Gli tornarono alla mente nomi di località come Sonora, Chihuahua, Toucson. Gli ricordavano la sua infanzia, i film western di cui era appassionato. Provò un brivido rendendosi conto che ora era a li, e quei posti erano reali, come se fino a quel momento appartenessero solo al mondo della celluloide. Strano che visitare quei posti gli facesse quell’ effetto. Eppure ne aveva fatti di viaggi e aveva visto tanti luoghi. Qui però c’era qualcosa che lo coinvolgeva profondamente, intimamente. E poi capì. Era la figura di sua madre che lo accompagnava al cinema, in sostituzione di un padre perennemente occupato. Quel ricordo lo prese alla sprovvista. Non aveva mai accettato la sua morte prematura. Addirittura i primi tempi dopo la scomparsa, l’aveva presa molto male e quasi l’aveva incolpata e ritenuta responsabile di quello che credeva un abbandono. Il padre si era fatto un po’ più presente ma la perdita, anche per lui, era stata incolmabile. Era tanto tempo che non pensava più a questa cosa e gli occhi all’improvviso gli si riempirono di lacrime. Fu sorpreso nel constatare che era in grado di provare ancora delle forti emozioni, contrariamente a ciò che pensava. E ne fu felice perché significava che in fondo la sua umanità era ancora presente.  Se l’indiano si era accorto di questa cosa, non lo  diede comunque a vedere. “Cosa ci aspetta nel posto dove siamo diretti? – chiese Paolo. “Apparentemente niente di speciale – rispose l’altro, sempre attento alla strada – E’ una cittadina che si chiama Seligman. E’ un posto estremamente anonimo ed una perfetta testimonianza del dramma che hanno vissuto queste comunità quando da un giorno all’altro su queste strade non è passato più nessuno. Nei momenti d’oro sul vecchio tracciato della 66 per Seligman passavano circa 4000 veicoli al giorno. Pensa, benzina, ristoro, spettacolo, meccanici e tutto il resto. Poi, un giorno, il silenzio. Più nessuno. La cittadina era quasi morta. E invece, all’improvviso, la Pixar Animation realizza un film di animazione, “ Cars, motori ruggenti”, o qualcosa di simile, e pone la storia in un paesino che nel film si chiama Radiator Spring. Ma alla fine si scopre che tutto è riferito alla cittadina che stiamo per raggiungere. E’ chiaro che gli abitanti hanno preso l’occasione al volo e hanno adattato il paese alla realtà del film. Hanno trovato dei modelli di vecchie auto e le hanno trasformate nei protagonisti del cartone. Le trovi lungo il corso principale del paese ed anche i locali sono stati riadattati. Vedrai”.”E tu mi porti li per vedere delle vecchie auto?”.”Certamente no. Li è una delle tappe per il rifornimento della benzina. Poi ti farò conoscere una ragazza stupenda e dopo tanta carne, assaggerai del pesce fantastico. Vedrai, non te ne pentirai”. All’arrivo alla cittadina, Paolo si rese conto che in realtà essa consisteva solo in poche case ed esercizi. Non doveva essere stato facile, per quella gente, sopravvivere ed era chiaro che molti dovevano essersene andati. All’inizio dell’abitato, sulla destra subito un grosso distributore della Chevron con annessa officina. Poi magazzini, capannoni per attività operative???. Poi case e, solo nell’ultimo tratto, attività di ritrovo e ristorazione. Un edificio basso, in legno, di colore verde, con un balcone al secondo piano dove erano stati esposti diversi manichini con fattezze femminili e rivestiti con biancheria succinta. Era The Rusty Bolt, che a detta della guida, avrebbe dovuto far pensare alla vecchia attività del posto, ora adibito a bar e negozio di souvenir, che era in origine quella di un bordello piuttosto conosciuto. Ma l’effetto era piuttosto pacchiano e grottesco. Più avanti un edificio in legno, tipo grosso garage, dipinto di giallo, con l’insegna “Route 66 Historic Seligman Soundries”. Davanti erano parcheggiati diversi modelli delle auto che erano state rappresentate nel film. La Mercury che rappresentava la polizia, la Plymut Superbird che rappresentava il personaggio di King ed il pulmino VW colorato, anni 60, che rappresentava il personaggio di Fillmore. Tutto sempre affiancato dalla apparentemente immancabile ferrovia. Su uno dei binari appariva parcheggiata ed in attesa, chissà di cosa, una interminabile fila di carri merci. Giunti quasi alla fine delle case lungo la strada, comparve una costruzione con sopra un’insegna che indicava un’attività di ristorazione, il “Delgadillo Burgers” con a fianco un “Minimarket cafè”. Inaspettatamente, Will prese a sinistra, apparentemente diretto in mezzo al nulla. Invece, dopo circa cinque minuti, arrivarono ad un costruzione in mattoni rosso scuro, piuttosto ampia, con un corpo centrale di forma quadrata ed una veranda coperta, tutta attorno all’edificio, che ospitava dei  tavoli con sedie, ma senza insegne ne’ pubblicità. “Cos’è questo posto? - chiese il ragazzo”.”Questo è un posto speciale riservato a pochi amici. E’ la casa di una bellissima ragazza che, se non mi sbaglio, sta arrivando proprio ora”. Infatti dalla porta aperta della costruzione, uscì una donna mora, con lunghi capelli sciolti e con abiti classici messicani ossia, un’ampia gonna di tessuto colorato ed una camicetta bianca. La nuova venuta li guardò con interesse ma subito dette segno di aver riconosciuto l’indiano e si gettò immediatamente fra le sue braccia. I due andarono avanti così per diverso tempo, come due ottimi amici che si ritrovassero  dopo una lunga separazione, con Paolo che non sapeva come comportarsi. Poi Will, ridendo presentò la ragazza al suo compagno di viaggio. Paolo notò subito che la donna, non giovanissima, era però veramente bella, con la carnagione scura e due occhi neri dallo sguardo penetrante ed un sorriso smagliante. Will presentò la donna come una sua cara amica, si chiamava Mary, e da come si comportavano, si capiva che si conoscevano bene e da molto tempo. L’indiano chiese alla ragazza se era possibile assaggiare qualcuna delle sue specialità, confermando che quello in cui si trovavano era un ristorante, probabilmente riservato a pochi. Una sorta di club privato. Mentre la donna, che dopo aver acconsentito era prontamente entrata in casa per preparare, l’indiano disse al ragazzo che doveva andare a fare una commissione e che pertanto sarebbe tornato più tardi. Che si comportasse bene perché non voleva fare brutte figure con Mary. Poi, senza dare tempo all’altro di replicare, saltò sul suo mezzo e, ridendo, partì verso la strada principale. Paolo, piuttosto seccato da quel comportamento, entrò dentro la costruzione, ritrovandosi in un ampio ambiente, con un bancone, dietro al quale si notava la consueta abbondanza di alcoolici, e vari tavoli. Il tutto nella penombra. Mentre ancora osservava i particolari dell’ambiente, si sentì chiamare e, seguendo la voce, uscì sul retro della casa, dove la donna, sorridendo, gli indicò un barbecue già acceso, dicendogli che presto avrebbe assaggiato una specialità del luogo. A questo punto Paolo fu colpito da un profumo di pesce arrosto che fino a quel momento non aveva avvertito e la cosa stimolò immediatamente il suo appetito, malgrado il malumore per il tiro che gli aveva giocato l’indiano. Perché l’aveva lasciato solo con quella ragazza? Quello era solo un ristorante o cos’altro? Non era che magari Mary faceva parte delle attrazioni locali? Paolo non sapeva che fare, anche perché, magari, si sbagliava e lo stavano solo prendendo in giro. Ancora non aveva capito se fidarsi o no di quell’indiano che pareva a volte una persona sicura di sè e competente e altre volte, invece sembrava totalmente inaffidabile come quando aveva affrontato la strada in salita verso Oatman a tutta birra, rischiando inutilmente, secondo il suo giudizio, la vita di tutti e due. Mary gli chiese di avvicinarsi e lo invitò a guardare la griglia dopo aver sollevato il coperchio del barbeque. Un profumo più intenso colpì le narici del ragazzo. Sulla brace si stavano arrostendo in modo perfetto due grossi pesci gatto, quattro persici ed alcune trote, tutto arricchito con delle particolari erbe aromatiche che trasmettevano al pesce un profumo delizioso. “Ma siamo nel deserto – disse Paolo – da dove viene questo pesce?”. “Sei nel deserto solo se vieni da fuori – rispose la ragazza con il suo accattivante sorriso – Se sei di qui, sai che il deserto serba notevoli sorprese, come quella per cui il fiume Colorado, a 30 miglia a nord da qui, ha un numero notevole di rami secondari, alcuni dei quali, prima di scomparire nel deserto, arrivano a pochi chilometri da qui. Il fatto che la zona sia praticamente sconosciuta, fa si che si possano trovare le varie specie che normalmente popolano le acque di quel fiume. Hai fame? – chiese Mary cambiando repentinamente discorso”.”Eccome! – esclamò Paolo. La donna, mentre il pesce finiva di cuocersi, veloce apparecchiò un tavolo sotto la veranda e alla fine si trasferirono tutti e due all’esterno per mangiare. Al centro del tavolo, troneggiava un vassoio con i pesci arrostiti, piatti e bicchieri di terraglia e, al posto del pane , della focaccia ancora calda, verdure fresche e birra a volontà che veniva presa direttamente al frigo del locale quando necessario. Dopo uno sguardo iniziale, in seguito ad un muto invito della ragazza, Paolo si gettò letteralmente sul pesce imitato immediatamente dalla sua compagna di tavola. Il ragazzo, cercando di non farsi, notare la osservava curioso. Mary mangiava di buon appetito ma aveva una grazie tutta sua e,  anche se mangiava con le mani, appariva sempre a posto, mai volgare. E intanto si chiedeva cosa ci facesse lui li. Era un cliente di Will? Un suo conoscente? Che conto avrebbe presentato e a chi, visto che l’indiano se l’era squagliata? La ragazza, come intuendo i suoi pensieri, gli chiese cosa avesse e, al silenzio dell’altro, riprese serena a mangiare. “Ma Will non mangia con noi? – chiese il ragazzo cercando di definire meglio quella strana situazione”.”Will ha le sue faccende da sbrigare. Credo che, più che altro, non voglia far sapere a nessuno dove sono le sue misteriose scorte di carburante che lui ed i suoi amici, hanno seminato per tutto il tragitto della 66 per risparmiare sulle spese. Una volta, quando l’ ho interrogato in proposito, mi ha risposto ‘segreti indiani’ e io non ho insistito”. “Non riesco a inquadrarlo esattamente. Sono sicuro che si tratta di una brava persona, certamente in gamba, ma ci sono alcuni aspetti che emergono di quando in quando, che mi lasciano perplesso. Ad esempio il fatto che mi abbia lasciato ora qui con te, senza spiegarmi nulla, senza una ragione apparente”.”Will, come lo chiami tu o Chankonashtai, come dice di chiamarsi lui, quando lo ritiene importante è veramente una persona speciale, e quindi ha certo le sue stranezze. Ma è gentile, fidato e corretto. Ha una notevole cultura, assimilata negli anni, frequentando vari ambienti, compresi quelli della sua gente. Non è propriamente un uomo medicina perché non ha voluto, ma mi sembra di aver capito che, a suo tempo, abbia fatto scelte diverse per la sua voglia di viaggiare, di vedere cose nuove. – poi, dopo un breve lasso di tempo, come per valutare se valutare se proseguire, continuò – Io gli devo molto. Sono nata qui, in questa casa. Non vedevo l’ora di fuggire e capirai che con Las Vegas a due passi, mi sentivo attratta dal suo fascino. Mi dicevano tutti che avevo una bella voce, con un fisico, giusto e quindi appena ne ebbi la possibilità, partii alla volta del mio radioso futuro- qui di nuovo fece una pausa – Oh, certo, ce l’ ho avuto il futuro, ma radioso non direi proprio. Promesse, speranze, poi compromessi, successo alternato con periodi bui e squallide esperienze. Arrivata, certo. Ma non dove volevo io. Non era la vita che avevo sognato fin da bambina. Mi resi conto che mi stavo perdendo, stavo bruciando in modo inadeguato e mediocre gli anni più belli della mia vita, la mia gioventù. E poi incontrai Will. Un incontro fortuito, ma che mi ha aiutato a dare una svolta alla mia esistenza. Mi ha ascoltato, mi ha parlato e poi  ho preso la mia decisione che non ho mai rimpianto. Gliene sarò grata per sempre. Sono tornata qui, nella mia casa, vivo fra veri amici e quando ho voglia di qualcosa di diverso faccio qualche viaggio”. “Ed ora gestisci questo ristorante per vivere?”.”No, non è un ristorante vero e proprio. Qui organizzo delle feste con i miei amici o ospito delle persone per particolari ricorrenze. Sono tornata qui per stare tranquilla ma mi piace comunque vedere gente”.”Ma allora il barbeque, il pesce pronto, come hai fatto? Will ti aveva avvisato del nostro arrivo?”.”No, non serve con lui.  Fra noi si è stabilito un particolare legame ed io lo sento arrivare – disse semplicemente la ragazza, come se fosse la cosa più naturale del mondo”. Seguì una pausa di silenzio, durante la quale il ragazzo non sapeva cosa replicare. Quella sconosciuta gli aveva raccontato una parte della sua vita, come spesso si racconta a degli sconosciuti. Ad un invito di Mary, ripresero tranquillamente a mangiare. Alla fine, avevano letteralmente divorato quasi tutto. Paolo non ricordava da quanto non mangiava così bene. Poi gli venne in mente che erano tante le cose che non riusciva a ricordare. Mary che era ritornata con due tazze di caffè, notando la sua espressione gli sedette accanto e senza preamboli gli prese il braccio sinistro. Gli sollevò la manica della camicia fino al gomito e poi, guardandolo fisso negli occhi con uno sguardo intenso, affondò il pollice della sua mano al centro della parte interna dell’avambraccio di lui. Paolo, colto di sorpresa, pensò dapprima ad una strana tecnica di approccio. Ma poi, notato lo sguardo della ragazza, che si era fatto severo, quasi duro, si spaventò quasi e credette di avvertire nel braccio come una  leggera corrente elettrica. Istintivamente gli venne di ritrarre il braccio ma la donna , con incredibile energia lo tenne stretto e gli intimò con voce inaspettatamente perentoria di stare fermo. Poi, sempre guardandolo fisso negli occhi, fece scivolare il suo pollice fino al polso, seguendo il tragitto del nervo mediano e qui di nuovo fece pressione sul centro del polso. Paolo, con sua sorpresa, non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi profondi e magnetici, si sentiva soggiogato, controllato, spaventato. Che stava succedendo? Chi era in realtà quella donna? Ma che scherzo gli aveva combinato l’indiano? Mentre per la mente gli passavano tutti quegli inquietanti pensieri, la pressione del pollice della donna sul suo polso diminuì ed il suo sguardo si addolcì. Poi piano piano, quasi con delicatezza, Mary gli prese entrambe le mani e dopo averle disposte con il palmo verso l’alto, prese ad osservarle con grande attenzione. Il ragazzo pensò che fosse un sorta di fattucchiera locale. Dopo averlo fatto mangiare e bere ora avrebbe cercato di togliergli un bel po’ di soldi. Magari gli avrebbe proposto anche di andare a letto. Astuto Will. Lo portava li, se ne andava, poi alla fine prendeva la sua parte. Ma lui non era un ingenuo. Certo, la ragazza era proprio bella e lui se ne sentiva in qualche modo molto attratto. Perciò sarebbe stato attento. Alla fine Mary, con uno smagliante sorriso, gli lasciò le mani e gli fece una carezza, poi si alzò ed entrò in casa. Paolo si rese conto di sentirsi benissimo. Era sollevato, tranquillo, fiducioso. Si sentiva però pesante, come se non riuscisse a sollevarsi dalla sedia, ma non gli importava. Non sapeva cosa gli aveva fatto quella donna ma l’effetto era straordinario. Gli sembrava di avvertire suoni e odori lontani. Le sue percezioni si erano estese. “Sentiva” le cose accadere intorno a lui. Un’esperienza incredibile. Ma ora cosa avrebbe dovuto fare? Seguire la donna dentro la casa? Sentiva che se ci avesse provato, avrebbe rovinato tutto. Così fece un profondo respiro, chiuse gli occhi e si addormentò. Fu svegliato dall’indiano che lo scuoteva in modo sempre più energico. “Basta, basta – protestò Paolo – sono sveglio!”. “Che figura mi fai fare con la mia amica? Ti lascio sveglio e bello carico in compagnia di una splendida ragazza e tu crolli per un pranzetto? E Mary, l’hai lasciata sola. Che figura, per uno che dovrebbe tenere alta la bandiera del latin lover”. Per fortuna il ragazzo si rese conto quasi subito che l’altro stava scherzando e solo per questo non gli rispose male come gli sarebbe venuto di fare in un primo momento. In quel momento, la ragazza si affacciò sorridendo alla porta e Paolo riuscì a cogliere un segno di intesa fra i due. Non si era sbagliato, quindi, erano d’accordo. Immediatamente la mano gli corse al portafogli. Era ancora lì. Allora non ci capiva più niente. Si rendeva conto solo che quella situazione non era normale e rischiava di sfuggirgli di mano. E lui era una persona che, invece, era abituata a controllare ogni singolo dettaglio. Ora però, per qualche strano motivo, si sentiva disposto a lasciar correre, come se accettasse di vivere quella strana avventura semplicemente permettendo che le cose andassero come voluto da qualcun altro. Inoltre i fatti, almeno fino ad allora, avevano sempre smentito le sue paure ed i suoi sospetti. Così decise di non fare domande e, dopo essersi trattenuti per il tempo di bere un altro caffè, i due uomini si accomiatarono. Mary, al momento dei saluti lo abbracciò molto stretto e restò così per vari secondi, in silenzio. Poi gli fece un’altra tenera carezza e, senza aggiungere una parola, rientrò dentro casa. “Andiamo – disse l’indiano infrangendo quella sorta di momento magico che si era creato – Dobbiamo fare ancora un po’ di strada prima di stasera”.”Dove mi porti adesso?”.”Ora ti attende uno spettacolo che non puoi perdere. Sto parlando del Grand Canyon. Per questo arriviamo alla cittadina di Williams a 50 miglia da qui. Ci passiamo la notte e tu, domani mattina, vai a fare la tua escursione”.”Ma vado da solo? E tu?”.”Io non ti servo. Il Grand Canyon è una attrazione per turisti, bella, particolare, ma sempre un’attrazione turistica, se la consideri in un certo modo. E’ un’occasione speciale, invece, se la guardi con gli occhi giusti. E perché questo avvenga, se avverrà, è meglio che tu sia da solo. Comunque c’è una comodissima ferrovia che ti porterà prima a destinazione e poi ti riporterà indietro. Quello che otterrai, da questa visita, sarà solo una tua scelta”.”Io credo che voi abbiate nei miei riguardi delle strane e vane aspettative. Tu, Moses, addirittura quella ragazza che a un certo punto mi ha quasi spaventato. A proposito, ma cos’è, una specie di fattucchiera?”. L’indiano sorrise continuando a guidare. “Non siamo noi ad avere  particolari aspettative. Sei tu stesso. La 66 non ti ha scelto a caso. Forse hai bisogno di questa esperienza per trovare qualcosa di importante, qualcosa che magari hai perduto e, per questo, allora, dovrai vivere la strada per ciò che essa sarà in grado di darti. Io sono solo la tua guida, anche se cercherò di scegliere le tappe giuste. Quanto a Mary, non è una strega, stai tranquillo. E’ una donna speciale, questo si, ma in un momento della sua vita ha capito che si stava perdendo in un mondo di eccessi, avidità, dolore, squallore. Ha avuto il coraggio di lasciare tutto e venire via. La strada che ha percorso, l’ha liberata dalla sua angoscia e dal suo dolore. E’ chiaro che, alla fine del suo percorso, per le esperienze che ha dovuto affrontare, è cambiata. Ora vede le cose con altri occhi, a sua volta aiuta gli altri e, devo dire, che è anche molto brava”.”Mi ha raccontato qualcosa di sé, in effetti – rispose Paolo – e so che ha deciso di lasciare tutto per ritornare nella sua casa. Peccato per la sua carriera perché sono sicuro che fosse brava. Ed ora comunque ha scelto di gestire il suo ristorante per vivere”.”Guarda che Mary ha fatto delle scelte coraggiose ma non è certamente una stupida. Non ha bisogno di gestire un ristorante per vivere anche se le piace far credere che sia così. Quella ragazza è molto ricca. Possiede una bella fetta di un hotel casino di Las Vegas. Solo, ha preso le distanze da quel posto e da quella gente. Ha soldi per comprarsi mezza Flagstaff, volendo. In realtà conosce un po’ tutti e, in modo anonimo, aiuta quelli che ne hanno bisogno. Più che altro, cerca di evitare che altre persone, accecate da speranze e illusioni,  lascino quel posto in cerca di facili successi ed abbiano le sue stesse brutte esperienze. E quando ha voglia di cambiare un po’ aria, intraprende quelli che lei chiama viaggetti ma sono in realtà viaggi in diverse località nel mondo, sempre però con lo scopo di apprendere qualcosa che la aiuti a vivere meglio con se stessa”. Intanto la strada che velocemente scorreva sotto di loro era una bella strada a due corsie per ogni senso di marcia, indicata, sulla carta,  con la sigla i40. Si snodava fra boschi piuttosto folti di pini. Quando raggiunsero la periferia di Williams ormai il sole stava già calando. Passarono sotto un arco di ferro dove campeggiava la data della fondazione della cittadina, il 1884, e la dicitura “Porta per il Grand Canyon”. Anche qui vi erano case basse, magazzini, imprese locali, qualche distributore e modesti motel.  Paolo rimase sorpreso perché, appena entrati nella cittadina, la macchina svoltò a destra, per la S6th street e proseguì allontanandosi dall’abitato. Notò anche che stavano costeggiando un grande bacino idrico. Will gli spiegò che quella distesa di acqua, chiamata Santa Fe Reservoir, faceva parte di una serie di bacini simili, destinati a servire i bisogni delle cittadine, specialmente d’estate, quando poteva esserci penuria d’acqua. Quel bacino, in particolare, forniva un’abbondante quantità di trote, pesci gatto e pesci sole che di certo avrebbe trovato in vendita in più di un ristorante del posto. Gli disse anche che stavano andando presso la sede di un ufficio federale locale, per ottenere dei permessi per visitare un posto speciale durante una delle successive tappe. Dopo un chilometro, infatti raggiunsero una grande costruzione in pietra con il tetto di ardesia scura, davanti al quale c’era un grande cartello con la scritta Kaibab National Forest Supervisor’s Office. L’indiano disse al ragazzo di restare in macchina e veloce sparì nell’edificio. Paolo, sceso dall’auto, passeggiando nel parcheggio vide, attraverso una grossa finestra, la sua guida che discuteva animatamente con un agente in divisa, che sembrava deciso a non concedere quello che gli veniva richiesto. Poi l’indiano indicò più volte nella sua direzione, continuando a parlare. L’altro sembrò alla fine convincersi e, a quel punto, sparirono entrambi in un ufficio. Cosa diavolo stava combinando quell’indiano e che intenzioni aveva. Will uscì dall’edificio con un bel sorriso sulle labbra. Evidentemente aveva raggiunto il suo scopo. Tornarono verso l’abitato e l’auto riprese la 66. Sulla sinistra, notò la stazione della Zipline, della quale gli aveva già parlato Will, che consisteva in una funivia che correva sul percorso cittadino della 66, per una durata di circa 10 minuti. Le varie attività stavano ormai accendendo tutte le luci, facendo assumere al posto il classico aspetto di tutte le cittadine americane, piene di luci, di colori. Quando Paolo  fece osservare alla sua guida che non si scorgeva nulla del paesaggio, questa gli rispose che non stavano poi perdendo un granchè. Percorsero praticamente tutta la strada, in fila con le altre auto del posto  ad una velocità  di 15 miglia/ora, limite imposto dalle autorità cittadine. Questo permise al ragazzo di avere una visione delle case e dei locali davanti ai quali passavano. Notò delle costruzioni semplici, molte in legno, con attaccati fuori grossi cartelli per indicare l’attività che vi si svolgeva. Ristorazione più che altro. Alcune, ma poche, avevano una struttura in tufo arancione che ricordava le costruzioni del Messico e sembravano quelle più datate. Notò anche una bella galleria d’arte indicata con la scritta The Gallery Inn, attaccata all’hotel Grand Canyon. Apparentemente esponeva pezzi di buon livello ed il motivo era che l’attrazione del Grand Canyon richiamava turisti di tutti i generi e di tutte le estrazioni, fra cui anche intenditori d’arte che trovando qualche buon pezzo, erano anche disposti a spendere. Passarono davanti a diversi motel, quasi tutti con lo stesso aspetto, a uno o due piani, con un grande parcheggio sul davanti. Il Gran Canyon Railway Motel, il Motor Motel, The Lodge, l’American Best Valley Inn ma l’indiano li sorpassava tutti senza avere nessuna idea di fermarsi. Chissà dove aveva progettato di passare la notte. In un negozio, indicato con una grande insegna in legno posta sulla porta sui cui era scritto “Freedom is not Free – Native American” vendevano abiti ed accessori per cow boy ed anche oggetti ed abiti degli indiani nativi, ma sembrava tutto piuttosto costoso. Un cartello indicava a 30 miglia dalla cittadina, la località di Bedrock, Arizona, la cittadina dei Flintstone, i cavernicoli degli omonimi cartoni animati. Uscito da Williams, finalmente l’indiano girò a sinistra, raggiungendo dopo un po’ un hotel, il Canyon Hotel & RV Park, costituito da un corpo centrale in pietra grigia e altre costruzioni più piccole disposte  a ferro di cavallo, dove erano situate altre stanze per gli ospiti, alcune delle quali erano ricavate da vecchie carrozze ferroviarie e locomotive. Will disse al ragazzo che si sarebbero fermati li per la notte. Il prezzo sarebbe stato giusto e avrebbe avuto un buon trattamento. Dette al ragazzo un’ora di tempo per sistemarsi e magari, volendo, lavare un po’ di panni presso la lavanderia a gettone dell’hotel, poi sarebbero andati a mangiare qualcosa. Tornati nella cittadina, la guida portò il ragazzo presso l’ “Italian Bistrot”, un ristorante realizzato in una bassa costruzione con pochi coperti. “Approfitta per mangiare qualcosa di diverso dal solito, perché ho idea che lungo la via, nei prossimi giorni, ci aspetteranno piatti piuttosto monotoni – disse Will al ragazzo – Qui non si mangia male ma io ti consiglierei la pizza, perché magari la pasta sarà pure italiana, ma credo che il cuoco abbia delle personali idee sulla sua cottura e vorrei evitarti delusioni”. Paolo decise di seguire il consiglio e non se ne pentì affatto. Completò la cena con un’altra bella pizza , accompagnata da una ricca insalata ed un grosso boccale di birra. “Ah, questa è stata una bella sorpresa – esclamò Paolo - , mi fa sentire un po’ a casa mia. Effettivamente è buona anche se quella di Napoli….”.”Napoli, Napoli, certo – gli rispose Will, con un atteggiamento molto serio – la ‘vostra pizza’. Ma se non vi portavate il pomodoro da qui, voglio vedere cosa cucinavate”. Paolo dovette riconoscere che l’altro aveva ragione e quindi ridendo, preferì lasciar cadere il discorso. Finito di mangiare, tornarono a piedi verso l’hotel mentre Will spiegava cosa sarebbe accaduto il giorno seguente. Gli spiegò, anzitutto, che il Gran Canyon era una profonda, impressionante spaccatura del terreno lunga circa 440 Km e larga mediamente 27Km. Le tremende forze che l’avevano generato  avevano lasciato una forte impronta in tutto il paesaggio. Sul  fondo scorreva il fiume Colorado. La profondità arrivava a 1600 metri. Si indicavano i suoi bordi con il nome di Riva Sud e Riva Nord. Malgrado la poca distanza, esse erano molto differenti perché quella nord era 300 metri più alta di quella sud. Questo influiva in modo incredibile sul clima e quindi su tutto quello che ne poteva derivare, ossia la flora, la fauna e la conformazione del terreno. La Riva sud era quella dove si trovavano e che il ragazzo avrebbe visitato il giorno seguente. Turisticamente molto meglio attrezzata ma questo, assicurò Will al ragazzo, non avrebbe assolutamente rischiato di rovinare la sua esperienza. Gli disse che il Canyon dava alle persone l’idea di essere un pezzo di eternità e che la conseguenza naturale di quell’esperienza era che, quasi tutti, tornavano cambiati, salvo alcuni casi disperati, come li definì lui. “E’ una visita difficile quella che ti aspetta domani. Hai poche ore per un’esperienza che richiederebbe almeno due settimane. Ti devo dare delle informazioni ma devo cercare di dartele nel modo giusto per non alterare il tuo giudizio, quindi mi scuserai se su alcune cose ti sembrerò un po’ evasivo. Domani capirai – fece una breve pausa e riprese il discorso – Domani mattina alle 9.30 salirai sul treno che ti porterà a destinazione. In circa 2 ore e un quarto sarai alla stazione di arrivo. Lì ti troverai in un posto, un centro turistico, che si chiama Grand Canyon Village. Naturalmente guardati intorno perché, anche se con gran confusione, quella che vedrai è comunque vita ‘americana’. Senza perdere però troppo tempo, perché poi potresti pentirtene, cerca la stazione dei pullman e prendi la navetta rossa. Il tragitto ti farà passare su un importante tratto della riva sud molto panoramico. Tu scenderai alla nona stazione, l’ultima, che si chiama Hermits Rest. Lì c’è una vecchia grande costruzione in pietra, restaurata in modo discreto, adibita a bar, ristorante, negozio di souvenir. Guardati magari un po’ intorno e, poi, prendi il sentiero per  Hermits View. Quella è la tua vera meta. Li, se sei la persona che penso, troverai qualcosa di speciale. Muoviti con cautela perché il Grand Canyon conquista le persone ma è anche in grado di ingannarle. Potrebbe farti vedere quello che non è. L’anno passato sono morte 36 persone in incidenti vari, ma più della metà per essere cadute da rocce che sembravano sicure”. “Va bene, ho capito, sarò prudente, lo prometto. – poi, dopo aver pensato un attimo e memore di alcune esperienze passate vissute nel deserto, chiese – Ci sono animali dove vado? Rischio di fare brutti incontri?”. “La presenza dell’uomo ha praticamente allontanato gli animali selvatici che vivono ormai in gran parte sulla riva nord. Qualcosa comunque si può ancora incontrare, abbastanza innocua però. Cerbiatti, conigli. Non si sono visti da un pezzo leoni di montagna ed altri animali, quali i coyotes o i pipistrelli sono essenzialmente animali notturni. Una cosa però è importante. Attento a dove metti le mani, i piedi e a dove ti siedi. Ci sono sempre rischi per ciò che riguarda i serpenti a sonagli e dei grossi ragni che somigliano a vedove nere. Ma per quelli non devi preoccuparti perché ho preparato una cosa per te”. E dal taschino della camicia estrasse un involtino di stoffa rossa e lo consegnò a Paolo il quale con grande curiosità lo prese e lo osservò con attenzione. Poi, non riuscendo a capire di che si trattasse, lo aprì e all’interno vide con sorpresa una figuretta di legno scolpito raffigurante una testa di serpente ornata con fili e nastrini colorati intrecciati a formare un intricato schema attorno ad un rametto da cui sporgevano delle foglioline. Tutto molto pulito, molto accurato, di certo non un gadget turistico. Gli ricordava le elaborate esche che suo padre usava per la pesca nei brevissimi periodi che passavano insieme. “Finchè avrai questo su di te, nessun animale ti recherà danno. Certi incontri non sono piacevoli.  L’ho fatto per te, per cui puoi tenerlo ma abbine cura, non à un giocattolo ne’ un gadget per turisti”. Paolo aveva  notato che l’altro aveva parlato molto seriamente e si guardò bene dallo scherzare e anche di far presente all’altro che quanto ad incontri con animali pericolosi, non si era fatto mancare nulla, dagli scorpioni ai cobra reali, ma non erano certo stati quelli gli esseri viventi che si erano comportati in modo peggiore. Per un attimo gli tornarono alla mente alcune terribili scene a cui aveva assistito anni prima ed ebbe un leggero brivido. Poi, per fortuna, le sue difese razionali tornarono a seppellire tutto nel profondo della  memoria. Ringraziò perciò l’altro senza commenti e si mise il piccolo involto nel taschino della camicia. Intanto erano arrivati sul piazzale del suo hotel. Will disse al ragazzo di riposare e che avrebbe pensato lui a tutto il necessario per il giorno seguente. Poi, con un breve saluto lo lasciò, dirigendosi fuori dell’hotel. Paolo si rese conto di non avergli chiesto dove alloggiasse ma di certo si era organizzato al meglio. Si sentiva emozionato per l’escursione del giorno seguente, per l’importanza della visita che si apprestava a fare. Gli sembrava quasi un sogno essere dove era e visitare tutti quei posti. Aveva già viaggiato parecchio ma quelli erano luoghi speciali, i luoghi su cui aveva fantasticato nella sua infanzia.
 
 
                                                                                   IV° Giorno
Il mattino successivo, Will lo svegliò, bussando energicamente alla sua porta. Paolo si destò di soprassalto e, per la disciplina appresa in tanto tempo di lavoro estremo, si alzò subito. Aprì la porta per vedere chi era e si trovò davanti l’ indiano già vestito e preparato che gli disse di sbrigarsi perché per il treno non c’era tempo da perdere. Mentre il giovane si preparava, l’altro gli preparò lo zaino che avrebbe dovuto portare, aggiungendo che aveva anche già sistemato tutto con l’hotel. Poi partirono veloci con la macchina e ad un certo punto della strada principale, Will girò invece a sinistra imboccando la Slagel street e fermandosi poi davanti ad un hotel, con un nome piuttosto altisonante, il Grand Canyon Hotel ma che in realtà appariva piuttosto ordinario, di dimensioni ridotte e di scarse pretese,  come se fosse a conduzione familiare. Paolo venne condotto all’interno della sala dal suo compagno. Era una sala che fungeva da reception, caffè e salottino. Mentre una bella ragazza di chiare origini indiane gli serviva un caffè ed una fetta della immancabile torta di ciliegie, buona però, Will incontrò un uomo anziano, un indiano come lui, con il quale si scambiarono un cordialissimo saluto. Paolo si rese conto che tutto l’albergo presentava un’impronta dei nativi. Dagli ornamenti alle pareti, con stoffe e oggetti caratteristici, agli arredi e agli abiti delle persone che vide. Intanto Will con l’altro uomo erano entrati in un ufficio lasciando però la porta aperta e il giovane riusciva a vederli anche se non poteva capire cosa si dicessero. Vide la sua guida che parlava accalorandosi e indicandolo di quando in quando. L’altro lo guardava a sua volta e sembrava avanzare delle obiezioni. Alla fine, anche se non convintol, sembrò cedere perché scuotendo la testa, allargò le braccia come in segno di resa, e, aperto un cassetto dette all’altro una busta chiusa. Poi tutti e due uscirono dalla stanza e si diressero verso di lui che intanto aveva terminato la sua colazione. L’uomo gli tese la mano e mentre gliela stringeva, osservandolo negli occhi con uno sguardo profondo come se  volesse leggergli dentro. Poi gli disse: “Il tuo amico tiene molto a te, come se avesse visto qualcosa di speciale. Vedi di non deluderlo”. E se ne andò lasciando Paolo interdetto e pieno di domande. Risolse tutto Will che, prendendolo per un braccio, lo portò fuori dicendogli di sbrigarsi. Il giornalista decise di non fare domande, almeno per adesso. Se aveva capito qualcosa del suo compagno di viaggio, era che non gli avrebbe spiegato nulla se non al momento opportuno. Arrivarono ad un parcheggio davanti all’ hotel Red Garter Inn e, attraversata la strada, si trovarono alla stazione ferroviaria che coincideva con la stazione di partenza della Zip Line, la funivia che passava sul tragitto cittadino della 66. Il treno era già in stazione. La locomotiva era una classica vaporiera con la caldaia già in pressione che non aspettava altro che di partire. I vagoni invece erano simili a quelli tradizionali degli intercity americani contrassegnati però da una fascia gialla bordata di rosso e la scritta GCR – Grand Canyon Railway. Will mise in mano al ragazzo la busta che aveva ricevuto dall’altro uomo. Poi gli disse che nello zaino avrebbe trovato tutto  il necessario per la sua gita. Paolo, curioso, aprì la busta e ci trovò un biglietto di prima classe che sapeva essere piuttosto costoso. L’indiano non volle sentire ragioni dicendogli che non si preoccupasse del prezzo perchè era compreso nel tour, che certe esperienze vanno fatte per bene  e che gli amici sono importanti proprio in quelle occasioni. Gli disse inoltre che nello zaino avrebbe trovato il pranzo ma soprattutto gli raccomandò di non perdere il contatto con la realtà, di tenere insomma sott’occhio l’orologio perché dove stava andando a volte alcuni perdevano la cognizione del tempo. L’ultimo treno sarebbe partito alle 17.00 e se lo avesse perduto avrebbe dovuto passare la notte li. Paolo, frastornato da tutte quelle raccomandazioni, salì sul treno dove subito un signore anziano e corpulento, verificato il biglietto, lo condusse in una sala arredata come un salottino dell’ 800 americano, e lo fece accomodare su una comoda poltroncina foderata con un simpatico tessuto a fiori. Poi sparì indubbiamente richiamato dai suoi impegni. Paolo cercò di vedere dal finestrino se il suo compagno era ancora sul marciapiede ma evidentemente se ne era già andato. Comunque, comodamente seduto in quel piacevole ambiente, si guardava attorno curioso ed ascoltava tutte le voci e le chiacchiere e gli scherzi dei suoi compagni di viaggio che mostravano grande entusiasmo per l’avventura che li aspettava, a parte i soliti bambini che protestavano per qualche capriccio o che litigavano con i fratellini. Comunque, dopo circa dieci minuti, con uno strattone da parte della locomotiva, l’avventura ebbe inizio. Fra sbuffi di fumo e vapore, il treno si immerse nel particolare paesaggio dell’Arizona, per raggiungere la meta. Dopo circa quindici minuti, entrò nel salone una squadra di addetti, due ragazzi e due ragazze elegantemente vestiti con  pantaloni neri, camicie e gilè bianchi. Conducevano degli ampi carrelli con  pasticcini, le immancabili ciambelle, contenitori riscaldati con pancetta, salcicce, uova e frutta per consentire ai viaggiatori di consumare diversi tipi di  colazione. Per bere c’erano succhi di frutta, caffè e  bevande alcooliche. Il tutto compreso nel prezzo del biglietto. Paolo, coinvolto da quell’atmosfera particolare, si fece servire di tutto mangiando con molto appetito,k anche se aveva già consumato qualcosa nell’hotel Grand Canyon prima di partire. I quattro addetti, terminato di servire i vari viaggiatori, lasciarono il vagone dicendo ai presenti che se avessero desiderato altro avrebbero potuto rivolgersi agli addetti del vagone bar adiacente, e poi invitarono chi voleva, a raggiungere il vagone panoramico per godere maggiormente il viaggio. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e raggiunse il vagone in questione. Era caratterizzato da ampi finestrini vetrati che consentivano una visione pressochè totale del panorama e da comodi divanetti beige. Il treno correva veloce, per percorre i 100 e più chilometri che lo separavano dalla sua destinazione. A volte si inerpicava sul fianco di qualche collina per tuffarsi poi nell’ombra di valli ombreggiate da alberi secolari, costeggianti corsi d’acqua. Un panorama veramente vario alberi, arbusti, erba ma dai colori spenti, smorti, tipici di un territorio piuttosto arido. Il tempo passò in fretta, anche grazie ad alcuni personaggi che, vestiti con abiti d’epoca, percorrevano i vagoni, intrattenendo i passeggeri con attività di cantastorie o comunque raccontando episodi importanti, relativi alla vita del vecchio West e, presto, Paolo si rese conto che la ferrovia stava costeggiando una parte del Grand Canyon. Appariva la profonda vallata, le rocce caratteristiche  e gli sembrò di vedere, in lontananza, il corso di un fiume. Quando il convoglio giunse in stazione, discese in fretta, in mezzo ad una ragionevole confusione di turisti e vide a breve distanza il  grande  centro turistico Gran Canyon Village. Certamente molto interessante ma la moltitudine di persone che vi si dirigeva gli fece decidere di non andarci. Preferì, invece, recarsi alla stazione della navetta rossa che era già in attesa e che si stava velocemente riempiendo di passeggeri. Il tragitto fu particolare e gli permise di pendere maggiore confidenza con quel paesaggio, quel posto particolare. Il percorso, infatti, era proprio sulla linea della riva sud e in alcuni punti si poteva guardare fino in fondo a quella grande spaccatura, suscitando, in chi guardava, un leggero senso di vertigine. Le stazioni che costituivano il percorso, evocavano situazioni caratteristiche della zona. Nomi come Maricopa Point, Hopi Point, Mohave Point The Abyss, evocavano persone ed eventi di un altro tempo, di un’altra cultura.  Scese alla fermata denominata Hermits Rest e si diresse alla grande costruzione in pietra nera che si era trovato davanti. Effettivamente si trattava di una vecchia casa appartenuta ad una famiglia di allevatori, restaurata  in modo da lasciarle pressoché intatta l’antica struttura. Si entrava subito in una grande sala, con in fondo un camino di notevoli dimensioni con tanto di alari e pentole. Alle pareti, tappeti indiani e varie vetrine con oggetti particolari esposti. Dietro un bancone, un uomo in età avanzata, con la pelle molto scura ed un sorriso simpatico, gli fece cenno di avvicinarsi. Paolo si rese conto che l’uomo era di origine indiana e si chiese cosa volesse. L’uomo si presentò, dicendo di chiamarsi Bidzil, che in lingua navajo significava “duro come una roccia”, ma tutti per semplificare lo chiamavano Bill. Paolo si presentò a sua volta e rimase sorpreso quando l’altro gli disse: “So chi sei e cosa cerchi – poi, dopo una pausa per dare all’altro il tempo di recepire le sue parole – In questo posto, troverai una parte delle risposte. Ma sarà meglio che  indossi questa”. E si piegò sotto il bancone per riemergere subito dopo con in mano una collanina ornata di pietre di vario colore. Gli disse che si trattava di ossidiana nera, di diaspro rosso e impreziosita con cristalli di tormalina rosa verde. Bellissima. Sarebbe sembrata un vero gioiello, se non fosse che le pietre erano montate su una semplice striscia di cuoio. Paolo lo ringraziò e gli rispose che apprezzava l’offerta ma che non aveva molti soldi da spendere. Bill a quel punto si fece serio e con tono che non ammetteva repliche gli disse: “Voi bianchi pensate sempre che dietro a una nostra offerta si nasconda una richiesta di danaro. Il danaro in certe circostanze non vale nulla e certe cose non hanno prezzo. Questo oggetto è per te e solo per te. Era qui che ti aspettava e ve ne andrete insieme. Prendilo e vai dove ti è stato detto. Segui attentamente le indicazioni che troverai sul sentiero, mi raccomando, attentamente. – Poi con tono quasi scherzoso aggiunse – e non perdere tempo perché si sta già facendo tardi”. Paolo, un po’ confuso, con la consapevolezza di avere fatto una bella gaffe, prese la collana che l’altro gli porgeva e ringraziando uscì dalla casa dirigendosi verso il sentiero all’inizio del quale un cartello portava la scritta “Hermits View”. Era un normale sentiero in terra battuta, con rocce affioranti, della larghezza di circa tre metri, che si snodava con percorso irregolare fra alberi e arbusti piuttosto fitti e si affrettò per raggiungere gli altri del gruppo che erano partiti qualche minuto prima di lui. Il tipo di tragitto non consentiva di vedere granchè attorno. Ai lati  del sentiero cresceva una vegetazione di alberi e arbusti così fitta da formare letteralmente due pareti quasi compatte Mentre procedeva ripensava alle parole dell’indiano. Come avrebbe fatto a perdersi, visto che doveva comunque seguire il percorso fra la vegetazione? Poi all’improvviso, un suono che gli fece rizzare i capelli sulla testa. Lo aveva immediatamente riconosciuto ed infatti, a pochi passi, davanti a lui, al centro del sentiero, un grosso serpente a sonagli, acciambellato, agitava l’estremità  della sua coda, emettendo quel suono caratteristico che aveva sentito. Restarono così per alcuni secondi. Il serpente fermo nella sua posizione, aveva alzato la testa e sembrava fissarlo, mentre Paolo era impietrito non sapendo cosa fare. Scappare? Cercare di sopraffare l’animale? Poi si ricordò e decise di giocare il tutto per tutto. Prese l’involtino rosso che aveva nel taschino della camicia, lo aprì e mostrò l’amuleto al serpente. Che aveva da perdere? Semmai al suo ritorno, la sua guida avrebbe sentito le sue lamentele! Il serpente rimase fermo ancora qualche secondo e poi si infilò tra la vegetazione ma rimanendo ben in vista. Paolo, che teneva sempre l’amuleto in mano,  approfittò per sorpassarlo e proseguire ma quello, veloce, sparì e ricomparve fulmineamente pochi passi più avanti. Ma che voleva? Non voleva farlo passare? Voleva giocare con lui prima di morderlo? Ora Paolo aveva cominciato ad innervosirsi sul serio. Il serpente gli passò davanti e di nuovo si infilò nella vegetazione ma  prima si fermò a guardarlo. Paolo ripensò alle parole del vecchio indiano. Ma che, davvero, quello era un segnale per lui? Cautamente si avvicinò all’animale e quello sparì procedendo fra le piante. Paolo si infilò con cautela fra due folti cespugli di ginepro e si trovò quasi senza accorgersene su un nuovo sentiero, più stretto dell’altro, ma perfettamente tracciato e quasi invisibile dal sentiero originale. Il serpente era sparito e il ragazzo, seppure con cautela proseguì il cammino e poi, dopo una svolta brusca, eccolo, apparve fra le piante che si erano di colpo diradate. Ebbe l’effetto di un pugno nello stomaco. Ma un bellissimo pugno, se così si può dire. Un effetto da togliere il fiato.  Davanti a lui si apriva l’incredibile panorama del Grand Canyon. Impossibile immaginarlo. Bisognava vederlo di persona per capire cos’ era. E anche trovandosi davanti a quello spettacolo, difficilmente si riusciva a valutarlo appieno, data la sua vastità e la sua imponenza. Una vista apparentemente sconfinata di un paesaggio particolare. Una sequenza di gole, una collegata all’altra, fra alti rilievi di roccia. Colori in tutta la gamma compresa fra il giallo ed il rosso. Macchie di verde andavano qua e là a mitigare la sensazione di deserto che quel paesaggio poteva suggerire in un primo momento. Ne era la prova il luogo stesso nel quale ora Paolo si trovava. Una terrazza naturale, ampia circa una ventina di metri. Protesa sullo strapiombo, consentiva una vista del panorama per una angolazione di almeno 200 gradi. Il tutto incorniciato da alti pini del tipo ‘ponderosa’ e cespugli fitti di ginepro e di ribes nero. Alle sue spalle, incassata nella roccia una rientranza, con una grossa pietra che formava una sorta di panca naturale. Era completamente solo e non si sentiva rumore che non appartenesse   a quel luogo. Come se avesse avuto un palco esclusivo per quello spettacolo della natura. L’indiano, il serpente, il talismano, l’avevano  condotto lì e questo gli bastava quindi decise di non cercare di capire per non sprecare un minuto del tempo che gli era concesso. Davanti a lui, si apriva un vero abisso con in fondo il fiume ma non gli faceva paura. Sentiva che quel posto non gli era ostile e anzi, lui era  lì per un motivo preciso. La grandezza di quel panorama, quasi sconvolgente,  era difficile da immaginare perfino per lui che aveva conosciuto il deserto. Ricordava la sua vastità, il suo incredibile fascino, il suo messaggio, sussurrato a chi sapeva essere attento, il suo mistero. Qui era completamente diverso. In questo scenario che si perdeva a vista d’occhio, si percepivano decisamente dei segnali  relativi a forze immense e spaventose che ad un certo punto si erano manifestate, si erano scontrate, dando luogo ad uno scenario, aspro, selvaggio e bellissimo. La presenza del fiume sul fondo dava l’idea di una tregua, come se la furia degli elementi avesse deciso di fermarsi, di quietarsi, convinta ormai di aver creato qualcosa di grande di importante. Paolo aveva letto su qualche opuscolo che il Grand Canyon, per chi sapeva leggere certi segnali, raccontava la storia degli ultimi due miliardi di anni di quel luogo. Gli venne spontaneo sedersi sulla roccia che aveva notato poco prima. La rientranza lo riparava dal sole, intenso anche in quella stagione, e gli consentiva di osservare in pace lo scenario davanti a lui. Se all’inizio il tutto poteva sembrare statico, invece egli si accorse che con il passare del tempo, i rilievi, le rocce, i piccoli canyon, cominciavano ad assumere forme diverse. Ogni cosa sembrò cominciare ad avere un significato, come facente parte di un complicato disegno, che  poteva essere decodificato con la chiave giusta per essere compreso ed il ragazzo cominciò a sentirsi come se ne facesse parte. Notava un particolare gioco di luci e ombre, in continuo cambiamento, in grado di catturare totalmente l’attenzione di un attento spettatore, comunicandogli una profonda sensazione di pace, di equilibrio con se stesso. Paolo si sentì quasi rapito da quella sensazione, ma contemporaneamente percepiva dentro di se qualcosa che lo fermava, lo bloccava, limitava quella capacità, quel tentativo di lasciarsi andare completamente.  Il suo sguardo venne attirato da stormi di corvi che sorvolavano le rocce più alte, in complicate evoluzioni aeree per poi disperdersi all’improvviso per il sopraggiungere di un piccolo aereo che, sorvolato il ciglio delle rocce, si era quasi tuffato fra le alte pareti di roccia del canyon. Riconobbe un Beachcraft Baron 58, un piccolo ma solido bimotore, usato dalle piccole compagnie per voli minori. Ci aveva volato anche lui e sapeva che poteva portare comodamente da 4 a 6 passeggeri. Certo, un altro modo di visitare quel luogo, ma di certo, in fretta, guardando più che altro alla quantità di spazio visitata piuttosto che a capire cosa poteva donare quel posto a chi lo affrontasse con il dovuto rispetto. Forse, proprio qui, risiedeva il contrasto fra i vari modi di pensare. L’America, un paese strano, contraddittorio. Chiasso. Eccessi, luci, confusione ma anche grandi spazi, maestosità della natura, silenzi. Si rese conto di avere sete e guardò nello zaino e trovò due bottiglie d’acqua, un termos di caffè e due sandwiches che Will aveva preparato per lui. Si limitò a bere per togliersi l’arsura dovuta anche alla polvere del sentiero e si rimise ad osservare il panorama. Poi si ricordò del regalo che aveva ricevuto e tirò fuori di tasca la collanina. Le sue pietre, ora sembravano emanare incredibili riflessi, in particolare la tormalina. Senza pensarci su, se la allacciò attorno al collo, aspettandosi chissà che. Ma non successe nulla, almeno all’inizio. Poi ebbe l’impressione di essere diventato parte della roccia su cui era seduto ma la cosa gli sembrò naturale e quindi rimase sereno quando ebbe la sensazione di espandersi sempre di più. La terrazza su cui si trovava, la parete di roccia e poi sempre più coinvolto con quel luogo. Sentì di essere ogni roccia, ogni spazio di quel posto, percependo, ricevendo la calma la forza di quel paesaggio. Una sensazione stranissima, era lui ma contemporaneamente lo spazio attorno a lui. E così, passò il tempo, di cui perse completamente la cognizione. Fu richiamato alla realtà dalla sveglia del suo orologio, che non si ricordava assolutamente di aver attivato. Doveva essere stata la sua guida e per fortuna che l’aveva fatto, perché aveva compreso di non aver percepito il trascorrere del tempo. Si rese conto di avere molta sete e bevve avidamente l’acqua che gli restava. A passo svelto tornò verso la Hermits Rest, dove trovò già la navetta che alla fermata, stava facendo salire gli ultimi passeggeri. Montò di corsa a sua volta e, solo quando furono partiti gli venne in mente che gli sarebbe piaciuto parlare con l’anziano che gli aveva dato quella strana collana. Sul treno, il ritorno si svolse in modo molto diverso dall’andata. Era turbato per quello che gli era successo. Doveva ancora capire cosa veramente era stata quell’esperienza per lui. Inoltre si rese conto che anche il comportamento degli altri passeggeri era diverso da quello del mattino. Forse erano semplicemente stanchi ma si capiva invece che almeno per la maggior parte di loro era successo qualcosa, qualcosa che aveva dati loro da pensare, da riflettere. Durante il tragitto fu di nuovo offerto un piccolo servizio di buffet che gli consentì di cenare.  Alla stazione l’aspettava Will che gli chiese semplicemente come stava. Poi lo invitò a salire sull’auto e, senza una parola, lo riaccompagnò in albergo e, prendendo commiato, gli disse di riposare tranquillo che il giorno seguente avrebbero dovuto visitare diversi posti. Paolo, rendendosi conto di essere molto stanco, riuscì a malapena a farsi una doccia calda per rimuovere la polvere che aveva addosso  e disteso sul letto, prese immediatamente sonno. Dormì ininterrottamente fino al mattino, ma nel suo sonno si trovava in un paesaggio strano, nebbioso, in una profonda condizione di pace, di distacco dove comparivano apparentemente dal nulla degli indiani che gli sussurravano parole incomprensibili in quel loro linguaggio incredibilmente musicale e con la loro particolare cadenza. Sembravano parole di incoraggiamento di stimolo a far qualcosa. Allo stesso tempo dalla nebbia comparivano grossi serpenti che però erano lì solo per indicargli la via, un tragitto che a causa della nebbia non si poteva vedere dove portasse.                                                                       
 
  
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