Come  dichiarava Shakespeare, nessuno giudichi,  siamo tutti peccatori, la esemplare citazione attraversò la mente della principessa Raulov,  mentre percorreva gli spazi.

Figlia di una dama di compagnia della zarina vedova, Marie, sorella e moglie di amici di gioventù dello zar regnante, Nicola II, sapeva di godere di privilegi immensi,  pubblici e privati, Nicola era il padrino di battesimo della sua bambina,  Catherine.

Scacciò  pensieri,  turbamenti, quella sera doveva essere solo ieratica, perfetta, levigata, un  sorriso vuoto mentre percorreva i suoi labirinti e le sue solitudini.
Ma gli altri la giudicavano, ritenendola regale e perfetta.
Un perfetto ossimoro, scintillante come i rubini che la adornavano.

Ricorrevano i 200 anni della fondazione di San Pietroburgo, era il 1703, al Palazzo d’Inverno  celebravano banchetti e balli per l’evento, quello,in particolare, era a tema storico, rivestiva un sarafan di broccato indaco, le maniche di zibellino, una tiara in testa e  orecchini ai lobi,  era bella e perduta come una miniatura.

Lo zar indossava un costume rifatto sullo stile di Alessio Mihalovic, il suo predecessore preferito, appellato il Pacifico, si diceva che avrebbe chiamato Alessio il suo successore, peccato che al momento avesse solo quattro femmine, partorite dalla sua zarina, una tedesca.
 
 (… lei sì che è una vera Imperatrice, nell’aspetto, nei modi, Maestà, come al solito e  sempre, mai una volta che si sia saputo che la pelle della principessa si copra di chiazze rosse come quella di Alessandra,  la zarina, per non tacere del resto, confidarono a Marie, sovrana vedova, che in segreto, tra sé e sé, si rammaricava che Ella da giovane avesse avuto tante buone qualità tranne rango sufficiente per aspirare alla mano dell’erede al trono,  Nicholas si era accontentato di Alessandra, quello era il  parere).
 
Il gioielliere Fabergè  fece un uovo celebrativo per tale evento,  di oro e platino e diamanti e miniature su avorio,   stile rococò, la parte superiore aveva una corona smaltata che circondava il monogramma dello zar, la parte inferiore decorata dall'aquila imperiale a due teste, in smalto nero e coronata con due diamanti, il guscio dipinto con quattro stupende miniature ad acquarello.
Una delizia, per non tacere della sorpresa, un meccanismo all'interno sollevava un modello in miniatura in bronzo del monumento a Pietro il Grande sulla Neva,  su una base di zaffiro, circondato da una ringhiera d'oro cesellato, a sua volta circondata da catene appese a supporti piantati su un pavimento cesellato.

La sorpresa era un riferimento ad una leggenda del XIX secolo, per la quale nessun nemico avrebbe conquistato San Pietroburgo fino a  quando il cavaliere di bronzo fosse rimasto in mezzo alla città.

Lo zar mostrò a Ella quella meraviglia,  sullo sfondo di un violino solitario, la fece danzare tra le sue braccia, erano soli, una rara congiuntura, the last dance.
“.. in gioventù, e dopo e poi, ho amato la principessa Ella, ricambiato. Lei era la mia sentinella, il cavaliere di bronzo della storia secolare”

Leggo e scrivo nella distanza.
Sei solo un vuoto profilo di grigie cicatrici contro
vetri troppo sporchi.