Videogiochi > Left 4 Dead
Segui la storia  |       
Autore: FreddyOllow    02/06/2021    0 recensioni
Questa è una raccolta di racconti antologica. Seguiremo le storie di alcuni protagonisti sopravvissuti alla Grande Epidemia Verde. Non serve conoscere il gioco.
Storie concluse:
1. Whitaker
2. Virgil
3. Jimmy Gibbs Juniors
4. La sposa Witch
5. L'uomo della chiesa
Genere: Horror, Science-fiction, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La CEDA aveva detto che le cose sarebbero tornate alla normalità, ma quei fottuti bastardi ci hanno abbandonato qui. In una città devastata dalla morte, dall'epidemia verde, da quei fottuti zombie, o infetti del cazzo. Non chiederò scusa per il mio linguaggio perché sono incazzato nero. Sono così incazzato che non riesco nemmeno a dirvi quanto cazzo sono incazzato.

Ok, ora sono calmo. Sono fottutamente calmo. La calma in persona, Cristo!

Tutto ebbe inizio quel giovedì di tre settimane fa o forse quattro. Ormai non conto nemmeno i giorni che passano, tanto sono tutti uguali. Erano le cinque e mezzo del pomeriggio ed ero uscito a fare un po' di spesa. Insomma, cose di ogni giorno. Ero nel reparto vini quando sentii diverse urla provenire dall'ingresso. Sembrava una donna in piena crisi isterica e ignorai quel evento. C'erano così tanti pazzi in città che un evento simile non smosse per niente la mia curiosità. Misi il vino nel carello e mi recai alla cassa. Beh, uno sano di mente avrebbe notato che c'era qualcosa di strano. Voglio dire, non c'era più gente nel supermercato. Ma io ero già ubriaco dalle nove di stamane, perché... Beh, cazzi miei, insomma.
Mi fermai alla cassa e attesi per un momento. Ebbi l'impulso di non pagare e andarmene, quando vidi la commessa che mi dava le spalle. Camminava appena fuori dall'ingresso. Nel chiamarla, quella scattò la testa verso di me. Quello che vidi mi restò marchiato nella mente ancora oggi. Un faccia grigiastra, gli occhi nero pece e del sangue che le sporcava le labbra. Emise un gemito, quasi un grido e si precipitò verso di me. Sulle prime non feci nulla, anche perché ero ubriaco e mi misi a ridere. Ma quando quella fu a qualche passò da me, tentò di tirarmi una manata in faccia. Mi scansai dal colpo e la commessa cercò ancora una volta di colpirmi. La distanziai con il mio carello e quella ci saltò sopra. Un balzo talmente rapido che mi fu addosso in pochi attimi, ma che dico forse nano secondi.
Tentò di sferrarmi schiaffi e pugni, mentre gridava o gemeva, visto che erano quasi la stessa cosa. Mi colpì in pieno volto e vidi tutto sgranato. Un colpo violento, fortissimo da una donna gracile non me lo sarei mai aspettato. Non sapevo da dove avesse preso tutta quella forza. Mi colpì altre tre volte in faccia, quando la vidi catapultata all'indietro. Schizzi di sangue mi macchiarono la giacca verde militare e la faccia. L'eco dello sparo dentro il supermercato mi fece ronzare le orecchie, prima di perdere i sensi.
Quando mi ripresi e mi rialzai, mi vidi puntato in faccia la canna di un fucile a pompa. Uno spaz-12. Una arma letale a corta distanza. L'uomo che mi guardava dietro quella grossa e cazzuta arma mi chiese se fossi infetto.
- Infetto? - Risposi.
- Rispondi alla mia domanda!
- Non capisco dove vuoi arrivare.
L'uomo abbassò il fucile. - Hai visto cosa sta succedendo là fuori?
- Cosa?
Indicò la commessa dal petto squarciato dal fucile a pompa. - Questo per te è normale?
Realizzai solo in quel momento del cadavere della donna. - Oh merda, amico. Senti, io no voglio problemi, ok? - Alzai le mani in aria credendo che fosse una rapina.
- Ma che cosa fai? - Mi chiese l'uomo.
- Prendi i soldi dalla cassa, ok? Io non ho visto niente.
L'uomo scosse la testa. - Sei impazzito? Ti ho appena salvato la vita.
Guardai il corpo della donna, la pozza di sangue sotto di lei e non capivo.
- Ti ha attaccato. - Mi disse. - Non ti ricordi?
Corrugai la fronte e compresi. La vecchiaia mi stava giocando brutti scherzi, o forse era colpa della troppa birra?

Lasciato il supermercato, vidi la devastazione che stava colpendo la città in cui ero cresciuto. La gente che correva terrorizzata, i veicoli che si scontravano, i posti di blocco dell'esercito e CEDA invasi dall'orda di infetti. La stessa CEDA che negli Stati Uniti stavano sviluppando una cura, una modo per arginare l'epidemia verde. Ma quegli stronzi non sapevano proprio nulla. Non avevano un cazzo tra le mani.
Un infetto ci notò, corse verso di noi e l'uomo gli fece saltare le cervella. Attirati dal rumore, un gruppo di infetti si mise alle nostre calcagna. Corremmo rasenti il muro del supermercato, svoltammo l'angolo e continuammo per altri venti metri. Poi girammo a sinistra e attraversammo a tutta velocità il parcheggio. Avevamo ancora gli infetti alle nostre spalle, e quando udimmo degli spari in lontananza, la metà di loro si divise.
Ci rifuggiamo in un deposito, chiudendo la saracinesca. Gli infetti ci sbatterono contro e, gridando, la martellarono di pugni e schiaffi.
- Resta qui. - Mi disse l'uomo. - Vado a dare un occhiata in giro.
- Ehi, aspetta. - Ma quello si era già allontanato. Che giornata di merda, pensai.
L'uomo ritornò dieci minuti dopo. - Il deposito è vuoto. - Disse. - Possiamo uscire dal retro, ma non credo che sia una buona idea.
- E' così ovunque? - Domandai, anche se iniziavo a credere che lo fosse.
- Altre città sono già cadute. I militari non sono riusciti a fermarli, e nemmeno la CEDA. Siamo soli. Completamente soli.
Rimasi in silenzio per un po'. - Ho un rifugio pensato per queste situazione. Si trova sopra la mia armeria.
L'uomo mi squadrò. - Sei Whitaker?
- Sì. Tu come lo sai?
- Tutti conosco quell'armeria, e non per tuo il negozio, ma per il rifugio. - L'uomo sbuffò un sorriso divertito. - Ti definivano pazzo, un eccentrico e vedi ora come siamo messi. Quel tuo rifugio potrebbe salvarci, e tenere lontani gli infetti.
- Potrebbe? - Sottolineai.
- Ti ho salvato la vita. Come minimo dovresti invitarmi nel tuo rifugio, almeno per il momento.
- Sì, ecco, io... - Balbettai. - Lo stavo per fare.
- Non dire stronzate. - Tagliò corto l'uomo. - Riconosco le cazzate.
Rimasi in silenzio.
D'un tratto la saracinesca dapprima si piegò, poi crollò al suolo. Gli infetti sciamarono nel deposito, urlando impazziti.
- Forza, andiamo! - Mi gridò l'uomo.
Salimmo una rampa di scale e corremmo sulla pedana metallica che circondava il deposito. Alcuni infetti si arrampicarono su di essa, e l'uomo gli fece fuori a fucilate. Ci fermammo davanti a una porta di ferro con una piccola finestra e girai la maniglia. Era chiusa.
- Spostati! - Mi urlò l'uomo. Sparò sulla serratura e la porta si spalancò.
Superammo il piccolo ufficio e ci inoltrammo nel corridoio. Gli infetti non accennavo a fermarsi. Sentivo le loro grida quasi dietro alle mie orecchie. Uscimmo dal retro e scendemmo una scala antincendio. Un infetto si lanciò fuori da una finestra aperta, atterrando senza rompersi le caviglie. L'uomo gli sparò in pancia. Sbucammo in un vicolo e continuammo a muoverci. La maggior parte degli infetti erano scomparsi alle nostre spalle, ma otto di loro non avevano intenzione di mollare. L'uomo mi fece fermare, prese la mira e sparò agli infetti in arrivo. Una raffica rapida, precisa di chi è abituato a sparare da una vita.
L'alcool che avevo in circolo si era ormai assopito. Ora cominciavo a realizzare cosa diavolo stava succedendo in città. La mia mente mi riportava l'immagine della commessa, la sua faccia, il suo cadavere. Mi guardai il sangue sulla giacca.
- Credo che raggiungere il tuo rifugio sia ormai impossibile. - Disse l'uomo. - Conosco un posto tranquillo. Ci vive altra gente. Brava gente. Sono tutti armati e le sanno usare. Quindi saremo al sicuro.
Gli lanciai un occhiata distratta. - OK, ma non credo sarà impenetrabile come il mio rifugio.
- Non lo è, ma gli infetti faticheranno molto per entrarci.

Venti minuti dopo arrivammo di fronte al rifugio. Era un edificio in cemento di tre piani sulla cui veranda del secondo piano era montata una mitragliatrice. Tutte le finestre erano state chiuse da assi di legno e sul tetto c'erano tre sentinelle armati con fucili di precisione. Delle macchine erano state messe di sbieco a qualche metro dall'ingresso. Sulla strada a senso unico, c'erano decine di corpi crivellati che riempivano quasi ogni centimetro dell'asfalto. Come diavolo avevano fatto a organizzarsi così in poco tempo?
L'uomo alzò una mano. - Ehi! Sono io, Nolan. - Gridò alle sentinelle poste sui tetti.
La doppia porta di quercia si aprì ed entrammo nel soggiorno puntellato da sacchi di sabbia, casse e diversi tavoli usati come muri di protezione.
Una donna con in mano una pistola magnum si avvicinò a noi, seguita da guardie armate di AK-47. - Chi è questo?
- E' Whitaker. - Disse Nolan.
- L'armiere strambo. - Disse la donna con un ghigno.
- L'ho trovato al Save 4 Less.
- Mi ha salvato la vita. - Dissi.
La donna mi ignorò e si rivolse a Nolan. - Ti avevo detto di non andarci. Abbiamo provviste per mesi. Non possiamo andarcene in giro da soli, lo sai. E poi sei tornato a mani vuote. Quindi perché ci sei andato?
- Lo sai perché. Solo che poi le cose sono andate diversamente. Ho visto Whitaker attaccato da una infetta e l'ho salvato.
- Quindi volevi farti ammazzare per niente.
Corrugai le sopracciglia, infastidito.
- Ci sono altre persone là fuori. - Disse Nolan. - Le ho viste. Possiamo aiutarle. Più siamo, più saranno maggiori le possibilità di sopravvivenza.
La donna lo fissò torva. Poi si voltò e si allontanò insieme alle guardie.
L'edificio in cui ero entrato era in realtà un grande magazzino. C'erano decine di persone armate in giro. Delle lenzuola o tende dividevano gli spazi formando delle stanze. In molti di questi vidi letti, giacigli improvvisati e scaffali pieni di armi. Sembrava che tutti si conoscessero.
Nolan mi condusse in una di queste camera.
- Per sta notte dormirai qui. - Mi disse. - Se domani vorrai andartene, sei libero di farlo. Nessuno ti trattiene.
- Non credo che quella donna direbbe qualcosa se me ne andassi.
Nolan sorrise. - Parli di Jadis? E' solo una facciata. Lei non è così. E' una brava persona.
- Come avete fatto a mettere in piedi un posto del genere così velocemente?
- Non l'abbiamo fatto. Eravamo già preparati. Quelli che hai visto sono tutti survivalisti. Sapevamo che l'epidemia verde non era una stronzata. Molti ci ridevano dietro, e vedi come è andata. Tu puoi capirlo. Anche tu sei uno di noi.
- Ma non avrei mai immaginato che una epidemia di zombie avrebbe messo in ginocchio l'intera nazione.
- Beh, non sappiamo se è così ovunque, ma Jadis lo crede fermamente. E grazie a lei che è stata possibile la costruzione di questo posto. E poi non sono zombie, ma infetti.
- Sono la stessa cosa.
- No, ti sbagli. Gli zombie sono morti. Gli infetti no. Il loro corpo è ancora caldo, c'è ancora vita all'interno. Il virus prende il controllo del tuo cervello, del tuo corpo.
- Tu come fai a saperlo?
- Me l'ha detto uno scienziato della CEDA, Thomas. - Indicò una tenda poco più avanti. - Era qui fino a ieri, poi ha deciso di andarsene. Aveva perso i contatti con la sua famiglia, a Miami. Credo che si sia diretto lì. Spero che c'è l'abbia fatta.
- Quelli avevano detto che andava tutto bene. - Mi sedetti sulla branda.
- Parli della CEDA? - Rispose Tom.
- Chi sennò?
- Ti dirò una cosa: non tutti gli operatori della CEDA credevano di poter arginare questa infezione. Thomas, ad esempio, mi aveva detto chiaramente che se lo cose sarebbero precipitate. Pensava che l'infezione dovesse ancora raggiungere il suo apice o qualcosa del genere. Insomma, credeva che l'infezione avrebbe spazzato via la maggior parte del paese. E poi ha accennato ad un evoluzione. Non ho ben capito dove voleva arrivare con quei paroloni da testa d'uovo, ma sembra che è andata tutto come aveva previsto.
Rimasi in silenzio per un lungo momento. Non ero sorpreso da ciò che avevo sentito, ma irritato dalle bugie con cui la CEDA aveva ingannato la gente.
- Jadis ha più informazioni di me sulla CEDA. - Disse Tom. - Si teneva in contatto con Thomas fino al silenzio radio. L'ultima cosa che ci ha detto è di barricarci dentro un luogo difendibile. Non ha avuto il tempo di dirci altro, perché non lo abbiamo sentito più.

Passai una settimana recluso insieme ai survivalisti. Là fuori la situazione era precipitata con una rapidità orrenda. Le strade erano un tappeto di sangue, viscere e arti menomati. Gli infetti avevano massacrato i sopravvissuti che non erano riusciti a difendersi o trovare un posto sicuro. Chi moriva, poi, si rialzava. Altri si trasformavano senza mostrare sintomi.
In tutto questo caos, cominciarono a comparire strani esseri. Infetti evoluti sul piano fisico e mentale. Il loro DNA creava una nuova combinazione di letali mostruosità che per un sopravvissuto sprovvisto di armi equivaleva a morte certa. Merda, è parola giusta per descrivere questa situazione del cazzo. Una merda di proporzioni gigantesche il cui tanfo ammorba e infesta ogni fottuto angolo di questa città, e forse dell'intero paese.
In questa settimana avevo stretto amicizia con Tom, ma gli altri mi evitavano. Quando gli domandai perché lo facessero, lui si limitò ad alzare le spalle. Non sapevo perché mi trattassero così, ma cominciavo a credere che fosse dovuto alla mia nomea da folle. Eppure non ero più folle di loro che, nelle settimane prima della grande epidemia verde, avevano allestito un edificio a prova di mostri. Qualunque infetto provasse a entrare, finiva crivellato di pallottole.
I problemi cominciarono con l'arrivo degli infetti speciali. Fu un vero massacro. Le sentinelle che si trovavano sui balconi e sul tetto, vennero ammazzati o svanirono nel nulla. Jadis aveva ordinato di non stare più del necessario sul balcone o sul tetto, ma anche stando meno di dieci secondi, quelli sparivano o veniva trovati fatti a pezzi. Non sapevamo chi o cosa stesse facendo questo al suo gruppo, finché non vedemmo un infetto con la lingua a penzoloni. Nel spostarsi, lasciava in aria un orrendo tanfo di fumo. Era così insopportabile che chiunque si avvicinava, tossiva o soffocava sotto quell'aria putrida. Ne morirono due in questo modo, e Tom dovette ucciderli prima che si trasformassero.
Gli sciami di infetti iniziarono a moltiplicarsi. Ci attaccavano giorno e notte, a volte per ore. Li rispingevamo a fatica, ma senza riportare perdite fra le nostre fila. Quando poi insieme a quell'orda cominciarono a comparire gli infetti speciali, le cose andarono a puttane. Letteralmente.
Cominciammo a dare nomi a quelle cose che non avevano nulla di naturale. Gli Hunter erano quelli che più facevano stragi nel gruppo, e con la comparsa di un imponente essere dalle spalle massicce e le gambe esili, che non sapevo come facevano a reggere quella moltitudine di chili sul suo corpo, l'edificio venne quasi raso al suolo.
Gli scaricammo addosso interi caricatori, ma quello continuava a venirci incontro senza accusarne i colpi. Distruggeva le pareti con pesanti pugni e si arrampicava sulle grondaie con una leggerezza alienante per il suo enorme peso. Aiutati dal caos scatenato dal Tank, come lo chiamai io, gli infetti si riversarono nell'edificio e uccisero chiunque sul loro cammino. Mi salvai solo perché Tom, giorni prima, aveva capito che non c'era più niente da fare, e aveva pianificato di fuggire sotto le fogne. Jadis, ricoperta interamente di sangue dalla testa ai piedi, rimase a lottare fino all'ultimo. L'unica superstite di quella carneficina. La vidi schiacciata sotto il pesante pugno del Tank, prima che io e Tom ci inoltrassimo nelle fogne.

Le fogne. Un luogo insolito dove fuggire, eppure mi sembrava che fosse un luogo sicuro. Chi sano di mente verrebbe quaggiù? E invece c'era gente. Incontrammo persone nei condotti laterali che portavano al centro rifiuti. Alcune famiglie, gruppi di amici, persone poco affidabili, ma nessuno era intenzionato a rivolgerci la parola. Se ne stavano per conto proprio, alla larga se era possibile. Alcuni si erano portati a presso tende, cibo, armi. Una coppia di vecchietti, che non sapevo come avevano fatto a sopravvivere, si era portato appresso le foto di famiglia. Mi ripetevano che i loro figli stavano bene e che presto li avrebbero rivisti. E chi ero io per dire il contrario?
Erano stati gli unici a rivolgerci la parola, e quasi mi dispiacque quando io e Tom li lasciamo da soli in quella galleria nauseabonda. Sapevo che non sarebbero sopravvissuti senza protezione, ma cercai di non farmi prendere dai sensi di colpa.
Attraversammo i condotti con fare lento, cauto e con le orecchie ben tese. Non era raro sentire grida, schiamazzi o spari. Venivano da lontano, ma per me e Tom sembravano molto vicini. Per nostra fortuna non incontrammo infetti e arrivammo sotto il centro commerciale.
- La mia armeria è a solo due isolati. - Dissi. - Una volta lì dentro, saremo al sicuro. Ho cibo, armi, munizioni in abbondanza. E poi abbiamo il centro commerciale come foraggio.
- Sempre se non è stato saccheggiato. - Rispose Tom. - Quei posti sono sempre i primi ad essere assaltati. Comunque, il tuo fortino di cemento può tenere lontani gli infetti, ma non il Tank. Hai visto come ha distrutto le pareti di cemento come fossero cartongesso. Forse sarebbe meglio lasciare la città.
- Per andare dove?
- Non lo so. Se troviamo una barca possiamo sistemarci in mare. Non penso che gli infetti sappiano nuotare.
- Ma dovremo sempre tornare per fare rifornimento.
- Possiamo pescare.
- Non parlavo di cibo, ma dell'acqua, del carburante.
- Prenderemo un barca a vela, e poi c'è la pioggia. Può sempre piovere.
- Non credo sia una buona soluzione. Voglio dire, può esserlo per un breve periodo, ma non credo che...
Uno cacofonia di grida, gemiti e spari echeggiò nella galleria.
Tom mi fece segno di salire sulla scala che portava in superficie, e dopo che fui in strada, mi raggiunse e chiuse il tombino. Un momento dopo sentimmo un chiasso infernale da la sotto. Il mio primo pensiero andò alla coppia di vecchietti. Sicuramente erano stati travolti dall'orda, così come tutti gli altri sopravvissuti nelle gallerie. Questo mi fece capire che nessun posto era sicuro, e che forse Tom aveva ragione sul fortino sopra l'armeria.

Proseguimmo rasenti agli edifici senza avvistare nessun infetto. La strada a senso unico ci condusse nei parcheggi del centro commerciale. Avvistammo un posto di blocco militare all'ingresso, seguito da un accampamento della CEDA. C'era una segnaletica solare con scritto "CEDA EVAC --->". La freccia indicava il centro commerciale. Il parcheggio era cinto da reti metalliche, una fila di arbusti alta due metri e le pareti del Save 4 Less. Due grandi tende ospitavano i letti per i pazienti e fuori, sotto un gazebo, svariati tavoli vuoti. Non c'era traccia della CEDA, se non in forma di cadaveri sull'asfalto accanto ad altri corpi.
La strada per l'armeria era bloccata da un camion trainante una cisterna di propano. Tom cercò di trovare un modo per passare, senza successo. Dovemmo fare il giro dell'isolato per ritrovarci di fronte all'armeria, e anche in quel caso non potevamo continuare. La strada era ostruita da reti metalliche sulla cui parte superiore correva il filo spinato. Su di esso penzolavano tre infetti morti, e ai piedi della rete c'erano pile di cadaveri.
- Non sembrano infetti. - Dissi.
- Non lo sono. - Rispose Tom. - I militari li hanno fucilati.
- Li stessi che dovevano proteggerci.
- L'ho visto con i miei occhi poco prima di trovarti. - Continuò Tom. - Ho cercato di fermarli, ma hanno cercato di uccidere anche me.
- E la CEDA cosa ha fatto?
- Niente. Un bel niente. Si sono limitati a girarsi dall'altra parte.
- Ma perché fare una cosa del genere?
- Dicevano che erano infetti. Thomas mi disse che alcuni di noi sono portatori sani dell'infezione. Non mostrano nessun sintomo, ma sono un rischio per gli altri.
- Che intendi dire?
- Sono dei vettori, come li chiama lui. Possono infettare gli altri.
Guardai i corpi senza vita. - Li hanno fucilati per questo?
Tom sollevò le spalle. - Forse. Non lo so.
Notai diversi cadaveri sotto l'entrata dell'armeria. Nessuno di questi mostrava segno di trasformazione, vene nere lungo la faccia e il collo, occhi rossi, labbra sporche di sangue. Tutti erano stati riempiti di pallottole. La cosa che non capivo, era perché i militari avevano creato una sorta di corridoio con ai lati le reti metalliche che andavano dall'armeria a un ponte pedonale. Non restai a pensarci molto, in quanto Tom cercò di arrampicarsi sulla recinzione. Quando arrivò in cima, cercò di passare sopra il cadavere per non ferirsi, ma non ci riuscì. Si fece un taglietto alla mano e scese, imprecando sotto i denti.
- Dobbiamo per forza passare su quel ponte. - Dissi. - Non so perché l'esercito lo abbia scelto come passaggio verso l'armeria, ma forse...
- Credo che volevano tenere la gente lontana dalle armi. - Mi interruppe Tom.
Ed aveva ragione. Molte armerie della città furono saccheggiate, e la gente sparava per un non nulla. Molti credevano di sparare agli infetti, quando in realtà uccidevano persone sane. Altri sparavano per il gusto di farlo. Sembrava di essere in pieno far west con le pallottole che volevano da una parte all'altra. I militari avevano cercato di arginare questo fenomeno, ma con gli infetti in arrivo, non avevano fatto un granché. Anzi, alcune unità finirono per combattere contemporaneamente sia la gente, che gli infetti.
Tom e io tornammo indietro e svoltammo a destra. Ci inoltrammo in una strada dove sulle due corsie erano imbottigliate una infinità di veicoli. Le valige riempivano i sedili posteriori, il portabagagli o erano stati abbandonati sull'asfalto. Alcune persone, sui sedili, si erano sparati un colpo in testa, altri erano stati uccisi da una gragnola di pallottole. Quasi ogni mezzo aveva grossi fori sulla carrozzeria, con il parabrezza, il lunotto e i finestrini rotti. Lo stesso scempio si ripeteva strada facendo. Solo nei veicoli o nelle strade secondarie questo massacro era presente in quantità minima.
- Sembra che avessi ragione sulle armi. - Disse Tom. - Questa è opera di psicopatici.
- La gente è davvero impazzita. - Risposi disgustato.
- Non tutti riescono a restare sani di mente mentre il mondo va a pezzi. Altri hanno semplicemente dato sfogo al loro impulso omicida. Quest'ultimi sono i primi a morire in queste situazione. Voglio dire, magari sopravvivono per alcuni giorni, ma poi incontrano un altro pazzo e si ammazzano a vicenda.
- Merda, se le cose stanno così. Forse è meglio evitare di incontrare gente.
- Non tutti sono così.
- Meglio non rischiare, non credi?
Superato l'isolato, ci imbattemmo in un gruppo di infetti. Vagavano sul marciapiede, vomitavano bile nero o sbattevano contro le auto o le pareti. Alcuni venivano pervasi da una crisi invisibile, un tic nervoso, scuotendo freneticamente la testa fra le mani. Senza attirare l'attenzione, costeggiamo in silenzio i veicoli abbandonati e imboccammo un stretto vicolo. Qui trovammo un Hunter morto. Gli avevano fatto un grosso buco nella pancia e fatto saltare un braccio. Poco distante, c'erano sette militari dal busto e la faccia dilaniati da artigli.
- Ne ha fatto fuori sette prima che tirasse le cuoia. - Disse Tom, chinandosi sull'infetto. - Immagina cosa può fare un esercito di questi mostri.
- Non voglio pensarci. - Risposi. - Comunque il ponte pedonale dev'essere oltre quel muro. Se non ricordo male, segue parallelo la superstrada sotterranea.
Tom si alzò. - Non proprio. La galleria di cui parli è bloccata. L'esercito l'ha sigillata prima che la città andasse in rovina. Non possiamo passare da lì, ma possiamo passare per gli edifici.
- Vuoi passare dagli appartamenti? - Domandai turbato.
- Perché no?
- Potrebbe essere pieno di infetti.
- Potrebbe. - Sottolineò Tom. - E' l'unico modo per passare velocemente sul ponte. In caso contrario, dovremmo fare il giro per un chilometro prima che ci mettiamo nella giusta direzione. E poi non sappiamo se quelle strade sono state bloccate.
- Vuoi rischiartela così?
- Tanto rischieremo ugualmente la pellaccia.
Accettai il suo piano e ci avvicinammo a un condominio. La porta era chiusa, e Tom ruppe la maniglia con il calcio del fucile a pompa. Una volta nell'entrata, notammo una corpo sulla rampa di scala. Aveva il cervello spappolato con la faccia che si vedeva appena sotto la maschera di sangue. Una mazza da baseball giaceva sul pianerottolo.
- Qualcuno si è divertito a spaccargli il cranio. - Disse Tom, serio. - Prendila. Può essere utile contro gli infetti.
- Ho già una pistola. - Risposi. - E la so usare anche bene.
Mi mostrò il coltellaccio sulla cintura. - Se finisci i proiettili, quella ti servirà. Come a me servirà questa.
Prendendola, scorsi pezzi di cranio e materia grigia sul legno. Il tanfo mi fece quasi rimettere. Pulii la mazza sui jeans del morto e seguii Tom sulle scale.
Al secondo piano non trovammo niente, e così anche per il terzo e il quarto le cui porte erano chiuse. Al quinto ci imbattemmo in quattro infetti. Se ne stavano nel corridoio, gemendo o con la testa contro il muro. Ad occhio, potevano sembrare persone sane, ma invece erano tutt'altro.
- Ci conviene usare le armi da mischia. - Disse Tom. - Se spariamo qui dentro, l'eco degli spari ci assorderà. E poi non sappiamo se ce ne siano degli altri.
- Non credo sia una buona idea. - Risposi. - Quelle cose sono forti. Ti ricordi la commessa esile, no? Hai visto come mi ha steso con una manata?
- L'importante è non farsi colpire. Se usiamo bene coltello e mezza possiamo ucciderli facilmente.
- La fai troppo semplice.
- Sei tu che continui a complicarti la vita. E vuoi complicartela di più sparando in un corridoio.
Non risposi subito. - Ma se lo facciamo, poi possiamo correre all'ultimo piano. Magari rifugiarci sul tetto e studiare un piano.
Tom mi guardò confuso. - Studiare un piano? Per cosa? Se ci isoliamo là sopra siamo spacciati. Gli infetti assalteranno il condominio, altri cercheranno di arrampicarsi sulle pareti o sulle grondaie. Per non parlare degli infetti speciali. - Mi fissò in silenzio per un momento, come se stesse pensando. - No, faremo come ho detto. È l'unico modo per non attirare l'attenzione.
Sguainò il coltellaccio e mi fece il segno di coprirgli le spalle. L'infetto più vicino si accorse della nostra presenza ed emise un gemito irato. Si precipitò contro di noi, allertando gli altri infetti alle sue spalle.
Tom gli conficcò la lama nel cranio, mentre io sferrai un colpo, non molto preciso, a un altro infetto tra la bocca e la mascella. Quello indietreggiò stordito dal colpo, e lo colpii nuovamente spaccandogli la testa.
Gli ultimi due infetti si lanciarono addosso a Tom, che riuscì ad ucciderne uno pugnalandolo al collo. L'altro gli tirò un pugno dietro la schiena e lo fece cadere al suolo. Appena fece per colpirlo di nuovo, gli schiantai la mazza dietro la nuca e morì.
Tom si alzò frastornato, faticando a respirare. - Grazie. - Disse quasi in un sussurro.
Annuii con la testa.

Quando si riprese dal quel colpo micidiale, salimmo all'ultimo piano. Forse non era stata una buona idea, in quanto quello che vedemmo ci paralizzò all'istante.
Una gracile donna dalla pelle cadaverica piangeva in fondo al corridoio. Camminava lentamente coprendosi il viso con le mani. Indossava solo biancheria intima. Non sembrava avere un buon aspetto. Anzi, pensai che le fosse successo qualcosa di orrendo.
- Ehi. - Le disse Tom con tono pacato, dolce. - Stai bene?
La donna non sembrò averlo sentito e continuò a camminare verso di noi.
- Mi chiamo Tom. - Continuò alzando un po' la voce. - Lui è Withaker. Siamo sani.
Il pianto sommesso della donna cominciò a declinare, a cambiare tono. Iniziò a ringhiare irritata, come infastidita dalla nostra presenza. Appena fu più vicina, abbassò le mani dal viso ovale e i suoi occhi rosso fuoco penetrarono fin dentro le nostre ossa.
Indietreggiammo lentamente, e notammo che la donna scoppiò nuovamente in un pianto sommesso, coprendosi il viso con le mani. Scendemmo sul pianerottolo, mentre la donna, che chiamai Witch, si voltò e camminò di nuovo nel corridoio. Aspettammo per un lungo momento, scorgendo la Witch fare avanti e indietro come ossessionata dal quel posto.
- Forse dovremmo trovare un altro percorso. - Dissi. - Non credo che la Witch abbia intenzione di allontanarsi da lì.
- No, non lo faremo. - Rispose Tom. - Aspettiamo. Vediamo come va. Magari si allontanerà. La vedi quella porta laggiù? No, l'ultima. Quella sulla destra. È aperta. Forse quella strega viene da lì, e forse ci ritornerà.
- Lo spero. Non mi sarei mai aspettato di incontrare una cosa del genere. Sembra più pericolosa degli altri infetti. Guarda le sue dita. Sembrano artigli. Se non fosse per quelle cose, sembrerebbe una persona sana.
- Comincio a credere che Thomas avesse ragione su ogni cosa. Più passa il tempo, e più gli infetti sembrano evolversi.
Aspettammo per mezz'ora nel pianerottolo, senza distogliere lo sguardo dalla Witch. Quando si avvicinava, scendevamo i gradini per non farci vedere e poi ritornavamo sul pianerottolo appena si allontanava. Non parlammo per tutto quel tempo, e mi parve di sentire dei rumori ai piani inferiori. Non dissi nulla a Tom, in quanto credevo che li sentiva anche lui.
Mi sbagliavo.
Mentre attendevamo, una grossa sagoma sbucò in fondo ai gradini del pianerottolo sottostante. Aveva il corpo massiccio, la testa piccola, incassata nelle spalle. Un braccio piccolo ed esile gli penzolava dal corpo, mentre l'altro, era sproporzionatamente enorme, massiccio e muscoloso.
Tom e io fummo stravolti da quell'essere che, con un grugnito irritato, ci caricò con una spallata dalla parte del braccio possente. Riuscimmo a scansarci dalla sua traiettoria, e si schiantò contro la Witch, che non accusò il colpo. Non si mosse di un millimetro pur essendo assai esile e minuta rispetto all'altro. Come poteva essere?
La Witch di colpo smise di piangere, lanciò un urlo raccapricciante e gli tirò una manata carica di rabbia. Gli artigli trapassarono la carne corrotta dell'essere come fosse gelatina. Il sangue schizzò sulla pareti, sul pavimento e addosso la Witch che, correndo e gridando disperata, svanì dietro la porta aperta del corridoio tenendosi la testa fra le mani.

Cosa cazzo era successo? Come diavolo aveva fatto un essere così gracile a dilaniare un infetto che era il quintuplo di lei?
Sentimmo le grida disperate allontanarsi sempre più, finché non sparirono del tutto. Una volta vicini alla porta da cui era entrata, notammo un grosso buco nel muro del soggiorno. C'erano nove infetti morti al suolo, e un militare seduto contro il muro. Aveva le sue viscere riverse sul grembo.
- Dev'essere stato il Tank a buttare giù mezzo parete - Disse Tom avvicinandosi e guardando il vicolo di sotto. - La scala antincendio è crollata. Guarda quanti cadaveri... È un massacro...
- Il Tank ha fatto tutto questo? - Chiesi.
- Non credo. Non sembrano essere stati schiacciati. Devono essere stati uccisi dagli infetti. Da quassù non posso esserne certo, però.
- Da qui si vede il ponte pedonale.
Tom osservò l'edificio di fronte. Aveva un buco nel muro cui fuoriusciva una colonna di fumo nero. - Guarda lì. - Indicò una finestra del quarto piano. Un ponte di assi di legno collegava quella con la finestra di fronte. - Possiamo passare da là e poi scendere per gli appartamenti. Dovremmo infine ritrovarci a un isolato dal ponte pedonale.
- Sei sicuro che reggerà il nostro peso?
Tom sollevò le spalle.

Scendemmo al quarto piano e aprimmo la porta dell'appartamento, scardinando la serrata con ripetuti colpi del calcio del fucile. L'interno era vuoto. Non ci abitava nessuno.
- Aspetta un attimo. - Dissi. - Chi ha costruito quel ponte di fortuna voleva venire da questa parte.
- E con questo? - Mi rispose con una nota velata di curiosità.
- La porta era chiusa. Chiunque sia fuggito da questa parte è ancora qui dentro.
Tom si guardò intorno nel piccolo soggiorno vuoto, soffermandosi sui tre ingressi.
- Controlliamo le altre stanze.
- Forse non è mai venuto da questa parte. Non perdiamo tempo, e passiamo il ponte.
- Possono essercene più di uno.
Tom non mi ascoltò e lo seguii nella cucina. La finestra era aperta, e Tom posò le mani sulle assi che fungevano da ponte. Ci premette con forza, ma il legno sembrava resistente.
Poi scavalcò la finestra e mise un piede sul ponte, tastandolo con esso. Quando fece per attraversarlo, qualcosa di viscido lo avvolse completamente. Una lunga lingua violacea lo tirò giù dal ponte di assi.
- TOM! - Gridai, affacciandomi alla finestra.
Mentre Tom urlava dimenandosi in quella stretta mortale, puntai la pistola contro la lingua e sparai. Lo centrai più di una volta, ma quella cosa organica sembrava molto resistente.
- Cazzo! - Imprecò Tom disperato. - Mi sta stritolando! Mi sta stritolando!
Seguii velocemente con lo sguardo la lunghezza della lingua e vidi lo Smoker sul tetto. Gli sparai contro e, con uno sbuffo di fumo verdastro che fuoriuscì dal suo corpo ed aleggiò nell'aria, l'infetto speciale cadde giù dal condominio schiantandosi sul cemento. Tom precipitò sulla pila di corpi sottostante.
Quando posai lo sguardo su di lui, mi accorsi che era morto. Gli occhi arrossati fuori dalle orbite, la faccia bluastra, la lingua di fuori.
Fui colpito da una fitta allo stomaco, e sentii le gambe molli. Non riuscivo a pensare a niente. I suoni attorno me si affievolirono. Anche se evitavo di guardarlo, i miei occhi cercavano ossessivamente il suo sguardo. Non riuscivo a crederci che Tom fosse morto. Disperato, mi passai una mano fra i capelli. Girai compulsivamente nella stanza, avanti e indietro.
- È colpa mia... - Borbottai stravolto. - È colpa mia... É colpa mia...

Restai lì per più di mezz'ora, seduto contro la parete della cucina e la testa fra le mani.
- Perché sono così sconvolto? - Mi domandai. - Dopotutto lo conoscevo da poco.
- Ti ha salvato la vita, vigliacco! - Echeggiò una voce gutturale, metallica nella mia mente.
Sobbalzai sorpreso. - Chi... Chi sei? - Mi guardai intorno, ma non vidi nessuno. Non avevo ancora compreso che la voce era nella mia testa.
- Io sono te. - Rispose ghignante. - Tom ti ha salvato due volte. La prima volta al Save 4 Less, la seconda volta quando gli infetti hanno massacrato i survivalisti.
Scattai in piedi. - Sto impazzendo! - Urlai contro le pareti. - Tu non esisti! Sei solo nella mia testa!
- Tu sei pazzo già da un pezzo. - Rise malignamente la voce. - Lo sei sempre stato. Basti pensare al Save 4 Less. Il mondo va a puttane, e tu vai a fare la spesa come se non fosse successo niente. Noti il supermercato vuoto, e non ti soffermi nemmeno a chiederti perché. Voglio dire, te lo domandi in modo superficiale, ma non cerchi di capire il motivo. Se non era per Tom, a quest'ora saresti uno di loro. Un fottutissimo infetto!
- No, No, tu non sei reale. - Dissi quasi in un sussurro, mentre giravo a vuoto nella stanza. - Vattene! Lasciami stare!
La risata malefica della voce echeggiò nella mia mente. - Non ti lascerò mai andare! MAI! Tu ed io ci apparteniamo. Siamo uguali. Non potrai mai...
La voce non riuscì a finire la frase che, preso da una forte sensazione di impotenza e malessere, corsi alla finestra aperta e attraversai il ponte. Ma arrivato a metà, le assi di legno cedettero sotto il mio peso e precipitai di sotto, mentre la voce mi dava del codardo.

Quando mi svegliai, notai la volta celeste puntellata di stelle. La luce della luna piena illuminava un tratto del vicolo. Ero caduto su un ammasso di cadaveri, e il tanfo di putrefazione cominciava a pervadermi i polmoni.
Non sapevo per quanto tempo fossi svenuto, e nemmeno m'importava. La voce era sparita, lasciandomi un flebile mal di testa. Mi alzai e mi guardai intorno, coprendomi il naso con la manica della larga giacca marrone. Proseguii lungo il vicolo, superando corpi lacerati, squartati, eviscerati. Schizzi di sangue coagulato macchiavano le mura e il pavimento di cemento. Quando uscii dal vicolo, una doppia colonna disordinata di veicoli imbottigliati affollava la strada. In lontananza, un posto di blocco militare aveva impedito alla gente di lasciare la città. Rete metalliche divelte o abbattute, sacchi di sabbia con un mitragliatore montato avevano fatto poco o niente contro l'orda venuta da fuori. Si erano riversati come un ciclone, lasciando al suo passaggio cadaveri, arti mozzati, sangue e viscere.
Mi allontanai e ripresi a camminare. Solo dopo aver proseguito per venti minuti, mi accorsi di aver dimenticato la mazza da baseball e la pistola nel vicolo. Mi fermai, guardandomi indietro. Ero indeciso. Volevo andare a recuperarle, ma una parte di me mi suggeriva di proseguire all'armeria. Mi sarei armato con le armi e rifugiato nel mio fortino di cemento. Per quanto? Cazzo ne so.
Mentre ero in combutta con i miei pensieri, udii un gorgoglio poco distante. Mi voltai, ma non vidi nessuno. La strada era deserta, eppure quel gorgoglio non cessava. Anzi, si avvicinava, diventava più forte, profondo.
Decisi di distanziarmi dal quel suono quasi nauseabondo, e svoltai a sinistra. Camminai per una manciata di minuti, ma il gorgoglio non cessava di seguirmi. Lanciando diverse occhiate alle mie spalle, cominciai a correre per un lungo momento e finalmente il gorgoglio svanì. Mi fermai a riprendere fiato.
Quando ricominciai a camminare, scorsi qualcosa nella penombra fra i veicoli. Una sagoma grossa, rotonda. Il fascio della luce del lampione non riusciva a illuminarlo. Rimasi immobile, osservando quella cosa che iniziò a gorgogliare. Poi indietreggiò, e il gorgoglio svanì.
Era un infetto? Fu l'unica cosa che mi chiesi. Doveva esserlo per forza. Nessun essere umano era capace di emettere un suono simile. E mentre ci pensavo, compresi cos'era quel rumore, o almeno a cosa assomigliava. Era il gorgoglio di un stomaco pieno di bile. Ma se era questo, allora doveva essere una persona affamata. Una persona sana.
Appena feci per muovermi, un essere rivoltante sbucò sotto il fascio della luce del lampione. Non era nulla di umano. Un essere dal ventre assai prominente, grasso, marcio, su cui c'erano grossi bubboni pieni di pus. Un altro grosso bubbone sulla tempia gli penzolava dalla faccia grigiastra.
Corse ondeggiando verso di me, con le grasse braccia spalancate, il gorgoglio rivoltante e il grasso sulla pancia che traballava in ogni direzione.
Indietreggiando velocemente, urtai contro la portiera di un auto. Ero nel panico. L'infetto grasso vomitò un gettito di bile verso di me. Si trovava a più di dieci metri dalla mia posizione, eppure la bile quasi non mi finì addosso. Come cazzo aveva fatto?
L'infetto grasso si accorse di non avermi preso e si preparò a vomitare di nuovo, quando cominciai a scappare. Sentii il gettito del vomito dietro mie spalle, e il rumore della bile cadere sull'asfalto. Svoltai l'angolo della strada senza voltarmi e continuai a fuggire senza sapere dove andavo. In quel momento non m'importava. Volevo solo allontanarmi da quella cosa.
Non so per quanto tempo corsi, ma alla fine mi fermai. I polmoni mi bruciavano, le gambe mi tremavano per lo sforzo e nella gola sentivo il sapore metallico del sangue. Senza rendermene conto, mi sedetti sul bordo del marciapiede e ripresi fiato. Nel farlo, tossì più volte per via dell'aria putrida che aleggiava nell'aria. Chinai persino la testa che sentivo pesante come un macigno. Il mal di testa era aumentato, e aveva portato con sé fitte dolorose dietro la testa.
Quando mi alzai, lanciai un occhiata intorno. Erano passati venti minuti, e mi trovavo forse a tre isolati dalla mia armeria. L'infetto grasso, che chiamai boomer, non mi aveva seguito. Non sapevo se sotto quel putrido grasso riusciva ad essere veloce, eppure mi era sembrato così. Mi chiesi se avesse volutamente abbandonato il mio inseguimento, oppure trovato un altro sopravvissuto?

Durante il tragitto verso l'armeria, non avevo incontrato nessuno. Sentivo degli spari in lontananza, seguiti da urla agghiaccianti. Chiunque fosse a sparare, ormai era morto o fuggito nei migliori dei casi. Mi turbai nel vedere le strade vuote, in quanto sapevo che la città era caduta. Certo, ero felice di poter camminare senza aspettare che qualche infetto mi facesse a pezzi, eppure mi spaventava il fatto non di scorgerne nemmeno uno. Pensavo che si fossero tutti nascosti, in attesa di saltarmi addosso tutti insieme quando avrei abbassato le difese. Forse divagavo troppo, forse la mia immaginazione mi stava giocando brutti scherzi.
Superato l'isolato, camminai rasente agli edifici senza mai fermarmi. Giravo alla larga dai vicoli avvolti dall'oscurità, da cui proveniva, sospinta dal vento, un acro odore di putrefazione. Più mi avvicinavo all'armeria, più i posti di blocco militari abbandonati si facevano numerosi. Tra questi c'erano anche alcune tende della CEDA. Numerosi cadaveri tappezzavano quei posti, e tra questi erano pochissimi i militari morti. Cominciai a credere che avessero abbandonato i sopravvissuti a sé stessi, per fuggire chissà dove. Anche quelli della CEDA sembravano essere spariti. Avevano lasciato solo i cadaveri dentro a sacchi neri fuori dalla tenda, e alcuni tavoli e letti vuoti. Sotto la rete metallica, decine di corpi crivellati di pallottole. Tutto questo si ripeteva ad ogni posto di blocco.
Dopo aver camminato per mezz'ora, arrivai di fronte a un parapetto che limitava la superstrada sottostante. Ci poggiai le mani e vidi l'armeria dall'altra parte del ponte pedonale. Un sorriso da idiota si dipinse sulla mia faccia sporca e imbrattata di sangue. Quando feci per salire i gradini, notai un infetto dall'altra parte del ponte pedonale. Sembrava una donna con un corpo molle, strano e la pancia poco gonfia. Una specie di bava acida verde chiaro le rivolava giù dalla bocca storta. Si muoveva tutta scomposta, storta, come se poggiasse su tacchi immaginari su cui non sapeva camminare.
Mi corse incontro con la sua andatura goffa, quasi zoppicante, lasciandosi alle spalle una scia di liquido acido che le colava in continuazione dalla bocca.
Non sapendo cosa fare, scesi i gradini e mi nascosi dietro un furgone. Non potevo affrontarla a mani nude, e nemmeno ero intenzionato a farlo.
L'infetta si fermò sulla scala e si guardò intorno. Sentivo l'acido ribollirle nella bocca.
La vidi scendere i gradini, fermarsi suo marciapiede per un momento e allontanarsi con il suo passo scomposto. Mentre stavo per uscire da dietro il furgone, sentii una specie di sputo. Mi scansai in tempo per non essere colpito dall'acido che corrose in un lampo il tetto del furgone.
L'infetta, che chiamai spitter, sbucò da dietro un macchina. Era a trenta metri da me, e si stava preparando a sputarmi addosso dell'acido. Corsi verso la scala, salii i gradini e qualcosa cadde dietro di me. L'acido ribollì sul cemento, mentre l'infetta mi correva incontro tutta storta.
Attraversai il ponte pedonale e scesi così velocemente la tromba delle scale, che quasi non razzolai giù. Poi udii una serie di spari. Dovevano essere dei fucili di precisione. Rimasi immobile nella tromba delle scale, e quando mi voltai, vidi mezza testa della Spitter saltare dal suo collo. Una strana sostanza marrone scuro, che un tempo doveva essere il suo cervello, schizzò ovunque. Gli spari continuarono, e le pallottole fecero a brandelli suo corpo inerme. Sentii echeggiare delle urla di eccitazione, grasse risate interrotte da insulti amichevoli. Non riuscivo a capire da dove provenissero, come non capivo se mi avessero salvato, oppure mi avrebbero usato come tiro al bersaglio.
Scesi gli ultimi gradini, spiai da dietro il muro e scorsi l'armeria a quaranta metri da me. Finalmente l'avevo raggiunta. Sorrisi come un idiota, ma le risate che udivano nell'aria me lo cancellarono in un lampo. Come cazzo avrei fatto a raggiungere l'armeria? Se quei pazzi si divertivano ad ammazzare gli infetti, non vedevo perché non lo avrebbero fatto con me? Con le persone sane.
Cazzo! Fu l'unica parola che ripetevo come un mantra mentre riflettevo sul da farsi, seguita da "ora che cazzo faccio?". Alla fine non mi venne in mente niente, se non correre disperato verso la porta e chiudermi dentro. Ma più ci pensavo, e più vedevo me stesso steso sull'asfalto con il corpo straziato dai proiettili. Non sarei nemmeno riuscito a fare dieci metri, cazzo!
Ma cosa potevo fare? L'unica soluzione era correre su quella fottuta strada. Così, facendomi coraggio, spiai da dietro il muro e guardai la strada che mi separava dall'armeria. Lanciai un occhiata agli alti edifici circostanti, e scorsi soltanto il riflesso della luna sulle finestre.
Feci un ultimo respiro e scattai verso l'armeria. Sentivo il cuore in gola, lo stomaco in subbuglio, un aria gelida che mi penetrava fin dentro le ossa pur essendoci un caldo estivo. Da un momento all'altro mi aspettavo l'eco degli spari, i colpi che mi avrebbero trapassato la carne, mandato a terra. Ma invece arrivai davanti all'ingresso, inserii la chiave nella toppa, la girai, aprii la porta e mi chiusi dentro a chiave.
Avevo il fiatone. Mi piegai sulle ginocchia raspando per riprendere fiato. Perché non mi avevano sparato? Forse mi ero sbagliato. Forse non uccidevano le persone sane. Forse...
Crollai al suolo, la schiena contro la parete. Vidi del sangue sulle mie mani. Incredulo, abbassai lo sguardo e vidi la maglietta alla base del basso addome pregna di sangue. Sbarrai gli occhi. Ero nel panico. Non sentivo nessun dolore. Niente di niente. Forse avevo troppa adrenalina in circolazione.
Sollevai la maglietta e notai il foro di entrata sul fianco sinistro. Premendo sulla ferita, ne uscii un fiotto di sangue. Non sapevo se la pallottola era uscita, oppure era ancora dentro. Con una mano, tastai dietro il mio fianco e sobbalzai dal dolore nel sfiorare il foro d'uscita. Sospirai per il sollievo, anche se potevo ancora morire dissanguato. Ma almeno potevo prendermi cura della ferita.
Mi alzai a fatica e, tenendo una mano contro la parete, strascicai fino all'armadietto dei medicinali. Avevo diversi kit medici che non avevo mai usato, e altre tanti ne tenevo nel mio fortino. E per mia fortuna conoscevo le basi per trattare una ferita da arma da fuoco.

Ora, mentre scrivo queste pagine, sono passati dodici giorni dai fatti da me raccontati. Mi sono chiuso nel mio fortino e attendo la morte. Ebbene sì, è l'unica cosa reale che mi sia rimasta in questo mondo. Sperare nell'arrivo della guardia nazionale è un stronzata! Sperare nella CEDA è un altra fottuta grossa stronzata!
Morirò qui, chiuso tra queste quattro mura. E nel frattempo, mi ingozzo di cola. Ho già fatto fuori tre cartoni interi. Credo di esserne diventato dipendente. Presto dovrò scendere al Save 4 Less e sperare che ce ne sia rimasta un po'.

Dopo aver posato la penna, mi alzai dalla sedia e andai alla finestra chiusa da sbarre di ferro. Avevo messo delle tende veneziane per impedire che la luce si vedesse dall'esterno. Oltre agli infetti, avrebbe attirato anche i sopravvissuti. Ed io volevo starne alla larga, e credo sappiate il motivo.
Guardai in strada, verso il piccolo parcheggio davanti al Save 4 Less. Non vidi nessuno, e questo mi rallegrava. Da quando mi ero chiuso nel fortino, gli infetti non si erano mai fatti vedere. Ma in compenso si erano fatti vivi i sopravvissuti che mi avevano sparato. Non essendo riusciti ad abbattere la porta massiccia di metallo all'ingresso dell'armeria, o almeno credo, avevano fatto tutto il giro per entrare dal retro. Come potete immaginare anche quella porta era impossibile da abbattere per dei fucili di precisione. Così avevano tentato di entrare nel fortino, e io li avevo accolti a colpi di fucile a pompa. Non sparai per uccidere, ma colpii incidentalmente uno di loro alle gambe. Fu trascinato via dagli altri, mentre sparavo all'impazzata sopra alle loro teste.
Dopo che si ebbero allontanati, pensavo che uno sciame di infetti avrebbero invaso da lì a poco il parcheggio del Save 4 Less, ma invece non si fece vedere nessuno. Sentii alcune grida in lontananza, seguiti da molti spari. Poi torno la quiete.
Passai l'indomani con la paranoia che sarebbero ritornati con l'intenzione di uccidermi e soffiarmi il rifugio, ma invece non si fecero vedere. Tuttavia, verso il tardo pomeriggio qualcuno si fece vedere, ma non erano loro.
Erano quattro persone. Un nero, un uomo in abito elegante, un giovane meccanico e una ragazza nera. Erano armati di fucili d'assalto e fucili automatici. Li avevo visti attraversare il ponte pedonale e dirigersi verso la mia armeria. Non so come diavolo avevano fatto ad abbattere la porta metallica, ma non potevano salire al piano superiore. La porta di acciaio poteva essere aperta con una chiave o tramite il pulsante che si trovava nel mio rifugio. L'unico modo alternativo di entrare era usare granate, lancia razzi o bombe adesive, e nella mia armeria non si trovavano.
Attesi vicino al citofono, ma non riuscivo a stare fermo perché la dipendenza della cola stava cominciando a tormentarmi. Forse se li avessi aiutati a passare, avrebbero ricambiato il favore recuperando della cola al Save 4 Less di fronte?
Avrei fatto così, e mi chiedevo perché non citofonassero. Forse avevano abbattuto la porta? Impossibile. Non poteva essere.
Mentre riflettevo, il citofono suonò.
- Ehi! C'è qualcuno in ascolto? - Disse una voce da donna. - Potete aprire la porta? Siamo diretti al centro commerciale. Ehi! C'è qualcuno? Mi sentite?

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Left 4 Dead / Vai alla pagina dell'autore: FreddyOllow