Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    03/06/2021    9 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sentimentalismo e romanticherie, su Rieducational Channel!
Un po’ di patimenti del nostro tenente, alle prese con il fosco principe von Thurn und Taxis. Mi perdonino gli amanti dell’azione, prometto che presto si riprenderanno i combattimenti.
Grazie a tutti coloro che mi stanno seguendo!




Nella solitudine del suo alloggio, Maximilian von Knobelsdorff trasse di tasca per l'ennesima volta il portasigarette d'oro. Se lo rigirò fra le dita: leggero, appena satinato. Sul coperchio era inciso un monogramma in cui le lettere K, L, A e due T si intrecciavano in eleganti volute.
Premette un piccolo pulsante e l'oggetto si schiuse morbido.
Sorrise fra sé e sé. Per racimolare il coraggio di far scattare per la prima volta quel meccanismo ci aveva messo un po' di giorni. All'inizio aveva solo conservato il portasigarette con una sorta di reverente rispetto, celandolo allo sguardo di chiunque e quasi aspettandosi che il principe potesse da un momento all'altro presentarsi a controllarne l'integrità, come in certe favole, in cui abbandonare in modo apparentemente casuale un oggetto e stare a vedere cosa ne faceva una determinata persona era un modo per mettere alla prova la fedeltà della suddetta.
Poi aveva pensato che il Werwolf, più che la sua fedeltà o presunta tale, volesse mettere alla prova il suo spirito di iniziativa.
Nemmeno con quella consapevolezza aveva agito. Non subito, perlomeno.
Aveva speso qualche altro giorno a chiedersi perché l'agente segreto gli avesse lasciato quell'oggetto, cosa si proponesse di ottenere da lui.
Cos'avrebbe trovato al suo interno? Un po' si augurava e un po' temeva istruzioni per una successiva missione, e a volte si era anche figurato cos'avrebbe potuto rispondere a una richiesta del genere.
Il suo contenuto, quando finalmente si era deciso ad aprirlo, l'aveva al tempo stesso deluso e incuriosito.
Niente biglietti vergati in caratteri misteriosi, niente fazzoletti impalpabili con mappe di zone nemiche. Solo due sigarette.
Non sigarette qualunque, in ogni caso: due Sobranie, nere con il filtro dorato. Gli zar, per quanto ne sapeva, fumavano sigarette del genere.
Che cosa significava? Erano due, come loro due. Erano aristocratiche, come senza dubbio lo erano un principe e un barone. Erano nere, mentre ogni altra sigaretta era bianca. Questo voleva dire che loro erano diversi da tutti gli altri? Opposti, forse? A proprio agio nell'ombra, mentre chiunque altro aveva bisogno della luce?
O forse era semplicemente lui che faceva volare la fantasia, impossibilitato a volare materialmente.
Con un sospiro volse lo sguardo fuori dalla finestra: i camerati erano in missione, il silenzio che regnava ovunque faceva supporre che mancasse ancora parecchio al loro rientro.
Richiuse il portasigarette, se lo fece scivolare in tasca. Inutile negarlo, aveva anche preso in considerazione l'idea di chiedere il rinvio all'unità di appartenenza: meglio combattere come ulano che starsene a far nulla come aviatore.
Avrebbe voluto raccontare a quel Kunz di come, esausto e ferito, era decollato, nelle tenebre più complete e mentre gli sparavano contro, a bordo di un aereo nemico, e poi di come era atterrato, praticamente sano e salvo, pur senza motore e con un'ala quasi staccata, proprio davanti alle trincee tedesche.
Chissà se sarebbe stato capace di fare altrettanto, il capitano Walther Kunz?
Rinunciò a darsi una risposta. In fin dei conti non gli importava che il suo comandante sapesse compiere certe prodezze, bastava che si decidesse a farlo volare.

Abbandonò la stanza con l'intento di raggiungere la pista e lì attendere il ritorno dei camerati.
Quando scese nel salone, il cuore gli balzò nel petto: c'era il Werwolf.
Era in piedi davanti alla finestra e stava guardando fuori con aria assorta. Sembrava che in tutti quei giorni non si fosse mai mosso di lì.
Rittmeister,” fu tutto quello che riuscì a dire.
Il principe si voltò verso di lui e accennò un lieve sorriso.
Egli lo raggiunse, trasse di tasca il portasigarette d'oro. “È venuto per questo?” chiese porgendoglielo.
Von Thurn und Taxis scosse appena la testa. “Oh, no. Mi piacerebbe che lo tenesse lei, come piccolo ricordo dei nostri trascorsi.” Fece una pausa e soggiunse: “Non vorrei che si dimenticasse di me.”
Il tenente alzò gli occhi fino a fissarli nei suoi. Sentiva il fiato corto, aveva l'impressione di avere le guance in fiamme. Riunì le mani dietro la schiena per nasconderne il tremito. “Io... non penso che mi dimenticherò di...” Stava per dire di lei, ma si fermò in tempo. “Non penso che mi dimenticherò di quello che è successo,” corresse.
Avrebbe voluto correre da qualche parte, sciacquarsi la faccia con l'acqua fredda, respirare. Fare qualcosa, insomma, che gli restituisse una parvenza di compostezza.
Lo sguardo dell'altro però sembrava inchiodarlo sul posto.
Mi fa piacere,” disse il Rittmeiser, senza distogliere gli occhi dai suoi. “Se non ricordo male, in quell'astuccio devono essere rimaste due sigarette. Vogliamo fumarle insieme?”
Passarono forse dieci secondi, poi von Knobelsdorff sentì che il collo gli si piegava in un cenno di assenso.
Fu l'altro che lo condusse, con l'ormai familiare presa sul braccio, verso due poltrone poste intorno a un tavolino.
Prima di sedersi, il tenente non poté fare a meno di gettare uno sguardo tutt'intorno. Non c'era nessuno, nemmeno le ordinanze che servivano al circolo ufficiali, ma presto i camerati sarebbero stati di ritorno, per non parlare di quello che avrebbe potuto dire il capitano Kunz, sorprendendolo a fumare tranquillamente in compagnia di un estraneo.
Come se gli avesse letto nel pensiero, von Thurn und Taxis gli disse: “Il suo comandante sa che sono qui.”
Davvero? E cosa gli ha detto per convincerlo a farla rimanere?”
Serafico, il Werwolf rispose: “La verità.”
Per qualche strana ragione, a quella parola von Knobelsdorff sentì il cuore mancargli un battito. La verità, che normalmente veniva definita con epiteti che attenevano a nitore e purezza, nel suo caso andava a pescare nel torbido di sentimenti inconfessabili.
Continuavano a tornargli in mente episodi della loro fuga dietro le linee, ma sempre di più si mescolavano a immagini del suo duello nel buio, e di quello che era successo dopo.
La... verità?” ripeté.
Il Werwolf si limitò a rivolgergli un sorrisetto, quindi trasse di tasca un accendino da trincea, fece scattare la fiamma e glielo avvicinò.
Egli recuperò con gesti incerti il portasigarette, lo aprì e prese una delle due Sobranie, poi porse l'altra al suo interlocutore.
Questi se la infilò con disinvoltura fra le labbra e si protese per accenderla sulla fiamma. Von Knobelsdorff compì simultaneamente lo stesso movimento, così che si trovarono vicinissimi.
Il tenente si fece indietro.
Che c’è,” gli chiese ironico il Rittmeister, “ha paura di bruciarsi?”
L'altro lo fissò torvo, poi piccato brontolò: “Che sciocchezza, certo che no.”
Già, dimenticavo che lei rischia ogni giorno di precipitare in fiamme. Questa dovrebbe essere una bazzecola in confronto, o no?”
L’accendino era ancora immobile, così come il Werwolf. La fiamma palpitava lieve e si rifletteva negli occhi dell’agente segreto, accendendoli di riflessi d’acciaio e oro.
Di nuovo von Knobelsdorff provò l’impulso di correre via. Puntò la mano libera sul bracciolo della poltrona come per alzarsi, ma lo sguardo dell’altro, che non voleva abbandonarlo, lo avvinceva più di mille catene.
Egli deglutì. “La smetta,” mormorò.
Il Werwolf non si mosse. In tono morbido gli chiese: “La smetta, cosa? Che cosa sto facendo di così terribile, Maximilian?”
Senza rispondere, il tenente abbandonò la poltrona e raggiunse la finestra. Diede qualche tiro nervoso alla sigaretta, rivolgendo ostinatamente lo sguardo all'esterno. Alle sue spalle, il principe von Thurn und Taxis disse: “Lasci perdere le sue osservazioni, tanto partiremo prima che i suoi colleghi facciano ritorno.”
Von Knobelsdorff si girò a fissarlo. “Cosa?”
Man mano che quella strana conversazione proseguiva, aumentava nel tenente la sensazione di addentrarsi in una palude, oppure di essere una belva feroce circondata da reti e battitori. I battitori erano quelle strane frasi incalzanti: nessuna di esse era singolarmente pericolosa, ma tutte insieme gli stavano lentamente tagliando ogni via di fuga.
Prima di rispondere, il principe, che a differenza sua sedeva tranquillo in poltrona, diede un lungo tiro alla sigaretta, assaporò il tabacco pregiato socchiudendo appena gli occhi, quindi esalò lentamente il fumo. “Io e lei torneremo per un po' alle vecchie abitudini,” spiegò.
L'allusione ad abitudini passate suonò come l'ennesimo campanello d'allarme. Von Knobelsdorff lo fissò diffidente, arretrando addirittura di un passo, poi ringhiò: “Non capisco.”
Tranquillissimo, il Werwolf spiegò: “Lei è un ulano, io un ussaro. Questo non le suggerisce niente?”
Il tenente si irrigidì disorientato: cosa significavano quelle frasi? Erano da intendersi letteralmente o si trattava di allusioni ad altre cose? Quali cose, poi? “Mi suggerisce che entrambi proveniamo dalla cavalleria,” rispose asciutto, “ma non vedo a che scopo lei mi ricordi il mio corpo d'appartenenza.”
Vedrà.”

§

Davvero lei ha detto al capitano Kunz che avremmo fatto questo?” chiese von Knobelsdorff.
Erano saliti sul sedile posteriore di una vettura guidata da un autista in uniforme e dopo un tragitto di circa un'ora erano giunti a una scuderia. Appoggiati a uno steccato, stavano contemplando un galoppatoio così ampio che sembrava perdersi all'orizzonte.
Qui è acquartierato il mio reggimento,” disse il Werwolf.
Come sempre, non ha risposto alla mia domanda.”
E come sempre, lei ne fa troppe.”
Un po' piccato, il tenente ribatté: “Mi sembra strano che il capitano Kunz abbia acconsentito a... questo.”
Perché? Che cosa pensa che faremo?”
Von Knobelsdorff aggrottò le sopracciglia e rispose: “Non è difficile immaginarlo: poco fa ha parlato dei nostri corpi di appartenenza, ha parlato di vecchie abitudini. Ora siamo qui. Ritengo che mi proporrà una cavalcata.”
Molto perspicace,” apprezzò l'altro.
E Kunz le ha permesso di prelevarmi dal contesto operativo per una cosa del genere?”
Il principe alzò le spalle. “Dipende sempre da come vengono poste le richieste.”
Sarebbe a dire?”
Dica un po', è spaventato? Ha paura che sia vero quello che dicono tutti?”
Perché, che cosa direbbero tutti?”
Che gli ussari cavalcano molto meglio degli ulani, ovviamente.”
Von Knobelsdorff incupì lo sguardo. “Non è vero!” sbottò, poi si rese conto di aver risposto d'istinto alla provocazione del suo interlocutore. “Questi confronti sono solo stupidaggini,” corresse, “diatribe che non hanno senso.”
Von Thurn und Taxis non rispose. Si staccò dalla staccionata e si diresse verso la scuderia. Strada facendo si voltò verso von Knobelsdorff, che camminava al suo fianco, e disse: “Le ho fatto sellare uno dei miei Trakehner[1], spero che lo troverà di sua soddisfazione.”
Non dubito che lo sarà,” rispose automaticamente von Knobelsdorff, addestrato da anni di conversazioni fra aristocratici. Frattanto continuava a chiedersi che senso avesse tutto quanto, perché il Werwolf l'avesse accompagnato lì – con che scusa, peraltro, visto il rigore di Kunz? – cosa si proponesse di fare. Era una nuova missione? Era il semplice svago di qualcuno che evidentemente poteva permetterselo?
Un alto nitrito lacerò l'aria.
A quel suono, il principe fece un lieve sorriso e disse: “Eccoli.”
Von Knobelsdorff fissò incuriosito lo sguardo verso la porta della scuderia. Da essa uscì dopo poco, trattenuto a stento da un mozzo di stalla, un morello vigoroso, lucido come uno specchio, che sembrava letteralmente danzare sul selciato in un trotto raccolto ma carico di energia.
Quello è Erlkönig,” lo informò von Thurn und Taxis.
Il tenente osservò il magnifico animale. “È uno stallone,” constatò.
L'altro assentì. “Non mi piacciono i cavalli troppo facili.”
È il suo cavallo?”
Può prenderlo lei, se vuole. Una volta messo alla mano, riserva parecchie soddisfazioni.”
Nel frattempo stava uscendo dalla scuderia un altro stallone. Il manto era di un sontuoso baio ciliegia, con riflessi di bronzo e oro. Anch'esso procedeva fiero e nevrile, scuotendo la criniera corvina e frustando l'aria con la coda.
Un'altra bella bestia,” non poté fare a meno di apprezzare il tenente.
Felix.”
Mi sembra più tranquillo.”
L'altro gli rivolse un sorrisetto. “Infatti avevo pensato di darlo a lei.”
Cosa?”
Beh, si sa... gli ulani...”
La smetta, lei è smargiasso come tutti gli ussari! Io prenderò il morello e le farò vedere come sa stare in sella un vero ulano.”
È una delle cose che mi piacciono di lei, Maximilian: non lascia mai cadere una provocazione.”

A von Knobelsdorff bastò sentire l'odore dei cavalli, percepire lo scricchiolio coriaceo dei finimenti, per dimenticare qualsiasi diatriba. Fece scorrere lo sguardo sul morello, letteralmente divorando con gli occhi la sua scultorea energia, e di colpo ogni preoccupazione e ogni dubbio svanirono come nebbia sotto i raggi del sole.
C'erano solo lui, un buon cavallo e spazi immensi in cui galoppare a briglia sciolta.
Lo prendo io,” ripeté, faticando a trattenere il sorriso di beatitudine che lottava per distendergli le labbra.
Si avvicinò risoluto, montò in sella. Lo stallone mise le orecchie indietro e sollevò gli anteriori in una mezza impennata, cosa che invece di impensierirlo non fece altro che instillargli un gioioso senso di aspettativa.
Prese le redini alla mano, si regolò le staffe con la disinvoltura fluida dell'abitudine, quindi si girò a fissare il principe, a sua volta già in sella, e gli chiese: “Andiamo?”
Questi sorrise, von Knobelsdorff lesse sul suo viso la stessa aspettativa, lo stesso anelito che anche lui stava provando. “Certo che andiamo,” rispose, quindi allentò appena la stretta sulle redini.
Il baio balzò in avanti, le froge dilatate, gli zoccoli che echeggiavano sul selciato. Raggiunse il recinto, si raccolse, lo superò d'un balzo mentre il suo cavaliere cedeva elegantemente in avanti.
Vada anche lei, signore,” gli consigliò a quel punto un sottufficiale, “altrimenti non lo riprende più.”
È da vedere!” esclamò von Knobelsdorff con entusiasmo. Spronò: il morello partì come una saetta e in breve il suo galoppo divenne così veloce da fargli lacrimare gli occhi.
Saltò d'istinto lo steccato, lasciando che fosse l'animale a chiedergli la ceduta, strinse le ginocchia e raddrizzò il busto nel momento in cui esso si ricevette, poi spronò di nuovo, lo sguardo fisso sul Werwolf che galoppava davanti a lui.

Il principe von Thurn und Taxis si guardava bene dal trattenere il proprio destriero, e l'animale, felice di essere a briglia sciolta, divorava lo spazio in poderose falcate.
Il paesaggio che gli scorreva ai lati era un'indistinta macchia verde, in cui ogni tanto spiccava il baluginio di uno specchio d'acqua o la nota di colore delle bandierine bianche e rosse che indicavano gli elementi del percorso di cross country.
Mise il cavallo in direzione di un ostacolo formato da un tronco seguito da un fosso pieno d’acqua. Si piegò appena sul collo dell'animale, lasciando che esso lo affrontasse come preferiva.
Superata la barriera, si girò sulla sella: von Knobelsdorff stava accorciando la distanza che lo separava da lui. Riusciva già a cogliere la sua espressione concentrata, decisa. Immaginò che fosse la stessa che aveva ai comandi del suo aereo, nel corso di un combattimento.
Strinse le dita sulle redini, raddrizzò appena il busto portando Felix a raccogliere il galoppo. Il tenente lo raggiunse, lo superò e proseguì verso una siepe. L'oltrepassò d'un balzo, quindi a sua volta si girò indietro a fissarlo.
Il Rittmeister non fece altro che allentare di nuovo le dita e il baio scattò in avanti, raggiungendo il morello. Von Knobelsdorff si girò a fissarlo, aggrottò le sopracciglia e spronò ancora.
Entrarono affiancati in un torrente sollevando spruzzi d'acqua, si inerpicarono sulla sponda, balzarono oltre, discesero in un avvallamento coperto d'erba alta, nel quale si inseguirono lasciandosi dietro scie argentee di steli piegati.
Alla fine raggiunsero il limitare di una macchia di querce e faggi. C'erano le rovine di un mulino poco lontano e l'acqua gorgogliava nell'antica gora.

Smontarono da cavallo, lasciarono gli animali liberi di abbeverarsi.
Von Thurn und Taxis si voltò verso von Knobelsdorff: il tenente aveva il volto acceso e le guance appena arrossate per effetto della lunga galoppata. Filtrati dalle foglie, i raggi del sole accendevano il verde dei suoi occhi di screziature d'oro e smeraldo. Ansava leggermente.
Venga con me,” gli suggerì.
L'altro s'irrigidì per un istante. “Dove?”
Il Rittmeister alzò gli occhi al cielo. Il tenente abbassò i propri.
Senza aggiungere altro, von Thurn und Taxis lo precedette vero le vestigia di una vecchia fontana. Da una canna di ferro scurita dagli anni, un getto cristallino si riversava scrosciando in una muscosa vasca di pietra. Come a voler dare l'esempio, l'ussaro si piegò a bere direttamente da esso, poi si raddrizzò e chiese: “Lei non ha sete?”
Von Knobelsdorff si avvicinò adagio.
L'acqua è freschissima,” lo incoraggiò l'altro.
Il tenente pose una mano sotto il getto, facendone scaturire una raggiera di gocce cristalline. Raccolse un po' d'acqua nel palmo e se la portò alla bocca.
Come si vede che non è un ussaro,” ghignò von Thurn und Taxis.
L'altro aggrottò le sopracciglia. “Cosa?”
È un delicatino. Non ha sete? Non sta morendo dalla voglia di ficcare sotto quell'acqua fresca anche la testa? Di farci il bagno, magari?”
Von Knobelsdorff avvampò. “No!”
Non è vero. Lei non ne ha il coraggio, ecco tutto.” Alzò le spalle, poi soggiunse: “Del resto, lei è un ulano. Cosa si può pretendere? Siamo noi i cacciatori, quelli abituati ad agire velocemente, magari dietro le linee nemiche. Ad approfittare di ciò che offre il territorio.”
Una volta, forse,” replicò von Knobelsdorff, “ai tempi di Blücher. Adesso siamo tutti uguali.”
Socialismo della cavalleria?”
Il tenente gli rivolse uno sguardo di fuoco. “Lei si diverte a prendermi in giro,” ringhiò torvo.
Sto solo scherzando,” replicò pacato il Rittmeister, “del resto non l'avrei invitata qui e non le avrei dato uno dei miei cavalli, se il mio intento fosse stato solo quello di prenderla in giro.” Arretrò di qualche passo, come per lasciargli un più agevole accesso alla fontana, poi concluse: “Ora beva quell'acqua fresca, scommetto che sta morendo di sete. E poi ci riposeremo un po' all'ombra, se proprio non le va di fare il bagno.”

Il tenente si sedette su una pietra e appoggiò la schiena al tronco di una quercia. Allungò le gambe davanti a sé e per un po' rimase in silenzio, ascoltando il gorgogliare lieve della fontana e i vaghi cinguettii della foresta.
Il sottopancia allentato, i due cavalli brucavano tranquilli, agitando di tanto in tanto la coda.
Uno scoiattolo balzò con un fruscio da un ramo all'altro.
Si stava avvicinando il mezzogiorno e l'aria era calda e immobile.
Von Knobelsdorff fissò il Werwolf, che sedeva in apparenza abbandonato, una delle sue sigarette nere tra le dita, il polso appoggiato al ginocchio piegato. Dopo un po' gli chiese: “Qual è dunque il suo intento?”
L'altro si girò a guardarlo: “Prego?”
Non vuole prendermi in giro, ha detto.”
Lo confermo.”
E quindi? Mi preleva dalla zona d'operazioni, ancora non ho capito con che scusa, mi porta qui a fare una passeggiata... perché?”
L'altro alzò le spalle. “Mi mancava.”
Il tenente si irrigidì. “Che significa?”
Io non le mancavo?”
Insomma, basta!” sbottò a quel punto il più giovane, balzando addirittura in piedi nell'impeto della protesta. “Basta, non la sopporto più! Può rispondere a una domanda, per una volta? Può dirmi quello che le chiedo senza prendersi gioco di me e senza farmi sentire un idiota?”
Tacque, ansante, con i pugni stretti per la rabbia.
A quella sfuriata seguì un lungo silenzio. Infine, il Werwolf gli chiese: “Che cosa vuole sapere?” Il tono era calmo e serio.
Von Knobelsdorff emise un lungo sospiro, come se avesse appena sostenuto uno sforzo immane, poi tornò alla sua pietra e vi si sedette nuovamente. Infine disse: “Glielo chiedo di nuovo: cosa ci faccio qui?”
Vorrei conoscerla meglio.”
Il tenente lo fissò stupito. “Perché?”
Prima di rispondere, il Werwolf diede un lungo tiro alla sigaretta, rimase per qualche secondo immobile con gli occhi socchiusi e la testa leggermente piegata all'indietro, poi esalò adagio il fumo. Le sue iridi presero una vaga tonalità azzurra. Infine disse: “Non lo so. Immagino sia perché tutti hanno delle debolezze.”
Sarebbe a dire?”
Lasci perdere. Mi dia il tempo di finire la sigaretta, poi faremo ritorno alla scuderia e la riaccompagnerò alla sua unità.”
La fase ebbe il potere di suscitare nel tenente una strana inquietudine. “E poi?”
E poi, niente.”
Von Knobelsdorff non replicò. Dopo alcuni istanti si alzò di nuovo, andò a bere un po' d'acqua, diede qualche pacca sul collo del baio, che pascolando si era avvicinato alla radura. Invece di scemare, l'inquietudine che l'aveva pervaso aumentava di attimo in attimo. Nonostante avesse ottenuto finalmente rispose esplicite, c'era ancora qualcosa che si ostinava a sfuggirgli, qualcosa che da una parte lo obbligava a tenersi sulla difensiva, ma dall'altra lo faceva sentire sul punto di perdere per sempre qualcosa di meraviglioso, che non avrebbe ritrovato mai più. “Possiamo rimanere un altro po',” disse infine. Sollevò la mano e staccò distrattamente un ramoscello di quercia, che poi si fece girare assorto fra le dita.
Gli tornò in mentre lo strano sogno di quando, stremato e sofferente dopo l'interrogatorio dell'agente inglese, era piombato nel sonno – se tale si poteva definire quel nefasto dormiveglia – sul pavimento del vagone.
Aveva sognato querce. Una foresta di abeti e querce, di cui ricordava il silenzio solenne, carico di reverenza, come in attesa di qualcosa.
Poi c’era stato l’ululato del lupo, ed era comparso il Werwolf.
Banale fenomeno onirico? Premonizione? Allucinazione? Non lo sapeva.
Si rigirò di nuovo fra le dita il rametto, che frusciò lieve.
Aveva sognato querce anche in un’altra occasione. Querce antiche, ma con foglie giovani. Morte e vita, l’una in funzione dell’altra, in un ciclo infinito.
E poi un nome.
Ho un’altra domanda,” disse, senza distogliere lo sguardo dalle foglie smeraldine.
La replica del Werwolf suonò pacata, quasi velata da una vaga nota di delusione, come se l’uomo avesse fatto gran conto su di lui, ma si fosse appena accorto che aveva completamente sbagliato la sua valutazione. “Sentiamo.”
Chi è Reiner?”
Alla domanda fece seguito un silenzio lapideo. Pareva che addirittura le foglie avessero smesso di stormire e gli uccelli di cantare. Solo l’acqua della fontana continuava a gorgogliare, ma con un suono metallico, freddo, che ricordava lo scuotere inane di una catena.
Gli occhi del Werwolf divennero due lame di ghiaccio. “Come sa di Reiner?” La voce sembrava il taglio di un rasoio.
Von Knobelsdorff deglutì. “Io… non ne so nulla, veramente. È il nome che lei ha pronunciato nell’ambulanza inglese, quando era incosciente.” Deglutì di nuovo sotto lo sguardo terribile del Werwolf e per un istante temette seriamente che l’uomo gli avrebbe fatto del male.
La voce dell’altro, gelida, rabbiosa, ma anche venata di una strana tristezza, lo fece quasi sussultare: “Perché vuole sapere di lui?”
Perché...” Sollevò lo sguardo sul suo interlocutore, lo riabbassò sulle proprie mani, che stavano tormentando nervosamente il rametto di quercia. “Perché io l’ho visto in sogno,” si decise a dire. “Mi si è avvicinato mentre giacevo al limitare di un campo di battaglia. Gli ho chiesto chi era, e lui mi ha risposto che si chiamava Reiner, e con la certezza dei sogni io sapevo che era quel Reiner, quello che lei aveva menzionato. Dapprima non lo vedevo in faccia, perché aveva la luce del sole dietro le spalle, poi si è chinato accanto a me e aveva i miei stessi lineamenti. Mi ha detto: si muore per rinascere, diglielo. E poi se n’è andato via in sella a un morello.”
Si muore per rinascere,” ripeté il Werwolf dopo un lungo silenzio, come parlando a se stesso. Allungò la mano a raccogliere un sassolino e lo lanciò nella vasca della fontana. Esso raggiunse fluttuando il fondo e si posò sul limo che vi era sedimentato, sollevandone tenui volute.
Nell’aria perdurava un silenzio teso, carico di aspettativa.
D’impulso, von Knobelsdorff gli si avvicinò. Per un po’ esitò imbarazzato, incerto su cosa dire, poi chiese: “È una persona… importante per lei?”
Sì, lo era.” Von Thurn und Taxis abbandonò l’improvvisato sedile su cui era adagiato e fece un passo come per allontanarsi. I suoi occhi erano acciaio, la sua espressione era una parete di pietra dietro cui ribolliva il magma.
Il tenente rimase a guardarlo immobile. “Lo... era?” chiese poi.
Non parliamone più, d’accordo?” ringhiò torvo il Werwolf .
Mi scusi.”
Non è colpa sua.”
Sì, invece. Sono stato poco sensibile nei suoi confronti.”
L’altro scosse appena la testa. “Non si smentisce proprio mai, vero?”
Che intende dire?”
Sempre l’ultima parola, non ce la fa a stare zitto e basta, nemmeno quando si accorge di star parlando a sproposito.”
Mi scusi,” ripeté von Knobelsdorff, “è che io...” Poi scosse la testa, si pose una mano sulla bocca come in un gesto di auto-censura e andò a sedersi su bordo della fontana, dando le spalle al principe.
Fissò lo sguardo su una foglia che galleggiava lungo il bordo del bacile. Sul fondo della vasca c'era la pietra che l'altro vi aveva gettato, immobile, destinata a coprirsi di muschio e a scomparire lentamente nel limo.

Passò un tempo imprecisato. L'acqua continuava a gorgogliare monotona. Soffiò un alito di vento lieve come un sospiro, che fece stormire le foglie e ne spedì un altro paio a galleggiare nel bacile.
Alle spalle di von Knobelsdorff si fece udire pacata, fredda la voce del principe: “Sa che cos'è il sodalizio virile?”
Il più giovane si girò a fissarlo. Pur fatto oggetto di una domanda diretta non ebbe il coraggio di aprire bocca e si limitò a scuotere la testa.
È difficile spiegarlo a chi non l'ha mai vissuto,” considerò allora l'altro.
Il tenente si limitò ad abbassare lo sguardo. Aveva l'impressione che l'uomo stesse cercando in lui qualcosa che con grande disappunto non riusciva a trovare da nessuna parte. Gli si avvicinò di un passo. Il Werwolf, che nel frattempo si era seduto, si alzò nuovamente in piedi.
Rimasero immobili a fissarsi per lunghi secondi. Infine, von Knobelsdorff mormorò: “Perché... non mi parla di Reiner?”
Per quale motivo dovrei farlo?”
Perché l'ho visto in sogno, ed ero io.”
Lasci certe stupidaggini a quel neurologo viennese che con le sue cosiddette interpretazioni dei sogni spilla soldi alle signore inquiete.”
Il tenente non si mosse e non replicò. “Nemmeno lei si smentisce mai,” mormorò infine.
L'altro lo fissò torvo. “Sarebbe a dire?”
Aggredisce senza motivo, tiene lontano le persone anche quando vorrebbero avvicinarsi.”
L'uomo non rispose. Dopo qualche secondo, von Knobelsdorff fece un altro passo avanti, cauto come se stesse procedendo lungo una trave sottile, sotto cui si spalancava un abisso.
La distanza fra loro divenne meno di un metro.
Che cos'è il sodalizio virile?” sussurrò. Gli balenarono in mente immagini della loro fuga, la presa sul braccio, ordini secchi che mascheravano sollecitudine. Una strana, indefinibile sensazione di calore che solo quel misterioso principe era in grado di suscitargli. “Che cos'è? Me lo spieghi.” Si avvicinò ancora. Sollevò gli occhi a incontrare i suoi e quasi si perse nel suo sguardo, in quel momento profondo e trasparente come non l'aveva mai visto.
D'impulso attraversò lo spazio che ancora li separava, gli cinse il torso con le braccia e posò le proprie labbra sulle sue.
Da lì in poi, le sue sensazioni divennero confuse, urgenti: il bacio si fece più profondo, sempre più profondo e intimo, al punto che gli parve di precipitare in quell'abisso buio che aveva così faticosamente attraversato, e al tempo stesso si sentì trasportare in alto, verso una luce così intensa che lo costringeva a stringere gli occhi. Sentiva il cuore pulsargli nelle tempie, un contraccolpo gli fece capire che l'altro l'aveva spinto con la schiena contro un albero.
Si fissarono per un istante e poi piombarono nuovamente l'uno addosso all'altro, ansanti, avidi, attraversati da una passione che di attimo in attimo pareva ruggire con più violenza.
Dietro le palpebre serrate del tenente baluginarono immagini di un salone buio, di due sciabole incrociate, le lame letali in bilico, pronte a uccidere.
Al ricordo del clangore che esse avevano prodotto cadendo a terra, non poté impedirsi di sussultare. Pur nella vertigine del momento, ebbe chiara l'immagine di una fiammella semi-soffocata, che improvvisamente riceveva ossigeno e si trasformava in una vampa che divorava ogni cosa.
Un pensiero lo attraversò come un lampo: quella vampa avrebbe distrutto tutto. L'avrebbe travolto, annichilito.
Si svincolò dall'abbraccio finché si sentiva in grado di farlo.
Mi scusi,” balbettò. Arretrò con passi incerti. “Mi scusi, la prego di perdonarmi, non so cosa mi sia preso.”
Il Werwolf si limitava a fissarlo in silenzio, immobile.
Egli si passò una mano tremante fra i capelli, poi ripeté : “Mi scusi, sono uno stupido... sono solo uno stupido.” Raggiunse il suo cavallo, gli sembrava di essere ubriaco, stordito. Si sentiva il cuore in gola come prima di un assalto. “Mi scusi,” disse per l'ennesima volta, poi montò in sella.
Sempre in silenzio, von Thurn und Taxis montò a sua volta.
Von Knobelsdorff evitò persino di guardarlo in faccia. Spronò e partì al galoppo.










[1] Razza di cavalli da guerra originaria della Prussia.


   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned