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Autore: Mahlerlucia    03/06/2021    3 recensioni
{Sequel di “Un selfie per la gloria”}
Ci vuole coraggio per innamorarsi, ma ci vuole ancora più coraggio per tornare indietro e riparare quello che si è rotto.
[Suna Rintarō x Miya Osamu || #SunaOsa]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Atsumu Miya, Osamu Miya, Rintarō Suna
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foto-ricordo'
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Manga/Anime: Haikyuu!!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life
Rating: arancione
Avvertimenti: Lemon, Spoiler! Tematiche delicate, What if?
Personaggi: Rintarō Suna, Osamu Miya (Atsumu Miya)
Pairing: #SunaOsa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi


 
 

1. Crisalide
 
 
 
 
Tokyo, luglio 2021
 
 
I barattoli contenenti i condimenti e le varie spezie erano già stati disposti in tre maniere differenti e, ovviamente, nessuna delle tre era risultata soddisfacente agli occhi di un sempre più distratto Miya Osamu. Non lo aveva convinto nemmeno l’ordine di grandezza spesso suggeritogli da Atsumu quando arrivava a rendersi conto di quanto il fratello si stesse pericolosamente avvicinando all’ossessione. 
Il vero problema, in realtà, stava proprio nella sua testa e non aveva nulla a che fare con qualsiasi cosa potesse riguardare la riuscita dello stand vissuta sino a quel momento al pari di un diversivo.

‘Un gemello basta e avanza’
Mi vieni a dire questo dopo tutto quello... dopo che noi... dopo tutti questi anni... Sumu, se ti azzardi a… ma che vado a pensare? Posso arrivare a non fidarmi di mio fratello?

Il commesso che solitamente si occupava del principale punto vendita di Kobe di tanto in tanto buttava un occhio sul proprio capo per capire se ci fosse qualcosa che non andasse, anche al di là del semplice lavoro da svolgere. Pur non avendo il coraggio di domandarglielo direttamente, gli sarebbe dispiaciuto far finta di nulla a fronte di uno sguardo tanto corrucciato accompagnato da innumerevoli sospiri e da qualche sporadico schiaffetto tirato sulla fronte allo scopo di scacciare l’ennesimo assurdo giudizio emesso implicitamente.
Osamu si accorse della sua presenza solamente nel momento in cui si ritrovò il suo braccio teso, pronto a porgergli il suo stesso smartphone intento a suonare all’impazzata. Si limitò ad accertarsi che non si trattasse di Rintarō e buttò giù la chiamata; chiaramente si trattava di Atsumu e di sicuro non aveva  nulla di urgente o d’intelligente da dirgli, specie se era al corrente del suo brevissimo incontro con l’ex centrale dell’Inarizaki.

“Non era una chiamata importante?”

Call center.”

“Ah, capisco.”

“Senti Kousei-kun, occupati tu di sistemare il resto. A fine settimana extra assicurato. Ma tu ricordamelo, visto che ultimamente ho un po’ di pensieri. Io vado a fare due passi. A dopo.”

“Oh, d’accordo. Non si preoccupi Miya-san, penserò a tutto io.”

“Dammi pure del tu, non sono poi tanto più vecchio di te, sai.”

“Ah... certo! Mi scusi... anzi, scusami!”

E se vuoi chiamami pure ‘gelataio’, già che ci sei.
 
 
***
 
 
Inarizaki Kōkō, settembre 2012
           

I discorsi relativi al futuro diventavano sempre più frequenti tra i fratelli Miya, al punto che la divergenza di pensiero aveva cominciato a prendere sempre più spesso il sopravvento, talvolta arrivando sino all’insulto pesante o alle prese di posizione forzate, anche a suon di prevaricazione fisica.
Atsumu non riusciva a vedere il suo futuro se non designato all’interno del rettangolo di gioco, persino a discapito del proseguimento dei suoi studi. Osamu, al contrario, si stava avvicinando al mondo della ristorazione, così come a quello dell’economia e del commercio. Non ne aveva fatto ancora parola con nessuno in maniera esplicita, anche perché era sempre stato estremamente convinto del fatto che entrambi i suoi genitori avrebbero approvato; di contro, non avrebbe di certo potuto dire lo stesso di suo fratello e dei suoi attuali compagni di squadra.

In un’apparentemente tranquilla mattinata d’inizio autunno i due fratelli si erano dati appuntamento in cortile per cercare di venire a capo di una discussione lasciata in sospeso la sera precedente, tra le quattro mura della villetta a schiera in cui abitavano a solamente un paio di chilometri di distanza dall’istituto. Come accadeva oramai da diverse settimane, l’alzatore aveva nuovamente provocato il fratello a proposito dell’indecisione che aveva mostrato nel corso degli allenamenti e in fase di gioco. Lo aveva accusato di non credere fino in fondo nel suo ruolo in campo e di considerare la pallavolo al pari di un passatempo da liceali, un capriccio che una volta diplomato lo avrebbe abbandonato allo stesso modo con cui si era fatto largo all’interno della sua routine quotidiana.
Osamu non era mai arrivato ad affermare tanto di fronte ad Atsumu e mai si sarebbe azzardato a farlo, ma l’insofferenza che mostrava ad ogni appunto dell’alzatore non poteva lasciargli intuire altro.
Pativano l’uno per l’altro e per la tremenda sensazione di mancanza d’appoggio morale reciproco; sensazione che, in realtà, il più delle volte rimaneva tale. A diciassette anni avevano già recepito che, una volta concluso il liceo, non avrebbero più camminato l’uno a fianco all’altro, per quanto questo non stesse a significare nulla di definitivo circa il loro imprescindibile legame. Ed era proprio quest’ultimo che scatenava nell’animo di entrambi una rabbia tale da renderli simili a delle bestie capaci di azzannarsi facendosi del male. Dentro e fuori.

Erano stati spediti nell’ufficio del direttore dopo essere stati ripresi da un insegnante a sua volta avvisato da un paio di senpai del terzo anno. Ma prima ancora erano dovuti passare entrambi per l’infermeria, con l’aggravante di doversi subire nuovamente gli sgradevoli commenti dell’assistente di turno.
Il giorno seguente sarebbero stati sospesi e questo avrebbe influito di almeno un punto sulla valutazione finale relativa alla loro condotta scolastica. Il rischio bocciatura era dunque a un passo e non restava altro che appellarsi agli esami di fine quadrimestre per cercare di sopperire al futile danno oramai commesso.

“Oi, Samu!”

Suna Rintarō cercò di richiamare l’attenzione di Osamu, suo compagno di classe, mentre fissava – senza realmente guardarle – le punte delle sue All Stars, standosene seduto ai bordi di un’aiuola appena fuori dal cancello della scuola. Non aveva alcuna intenzione di percorrere la strada del ritorno assieme ad Atsumu e per questo aveva deciso di fermarsi ad aspettare qualche minuto lasciando che lo precedesse.

“Oi, Rintarō.”

“Solito disastro?”

Miya fece schioccare la lingua come a voler allontanare quella domanda dal sapore volutamente retorico e provocatorio. Se tutta la scuola era a conoscenza di ciò che era avvenuto solo poche ore prima nel cortile, non poteva credere che uno come Suna fosse rimasto a digiuno dei dettagli del succulento spettacolo.

“Strano che non fossi lì a mandarci direttamente in mondovisione mediante i tuoi adorati social.”

Quel commento fu recepito dal nuovo arrivato al pari di un sasso lanciato in piena fronte e arrivato direttamente dal fondo della scarpa dell’altro. Scarpa dentro la quale era stato trattenuto fin troppo tempo.
Cercò di non darlo a vedere, per quanto in cuor suo sapesse che le sue parole trasudavano verità mista a iracondia. Una rabbia che continuava a essere rivolta solo ed esclusivamente ad Atsumu, ma che necessitava di ulteriori valvole di sfogo per potersi liberare dalla gabbia dentro la quale si sarebbe solo espansa a dismisura senza alcuna possibilità di essere ascoltata.

“Un membro del club di fotografia mi aveva chiesto un favore. Insomma, stavo comunque facendo delle foto, non ti preoccupare per questo. Anche per oggi la mia fame di gossip è stata doverosamente saziata.


La punta di sarcasmo che trapelò da quella prolissa giustificazione fece rinsavire Osamu. Il suo sguardo vacuo tornò a ravvivarsi e passò rapidamente dal marciapiede alla figura alta e slanciata del proprio compagno di banco. Non fece però in tempo ad arrivare sino al suo viso che il diretto interessato lo anticipò accovacciandosi a pochi centimetri da lui, cogliendolo totalmente di sorpresa. Di soppiatto gli posò una mano sotto il mento e gli sollevò appena il capo, facendosi rapidamente un’idea di quanto fosse ridotto male il suo viso a causa dell’irascibilità del fratello. Ogni graffio risaltava ai suoi occhi come una dichiarazione d’affetto inespressa, così come ciascun livido richiamava alla sua mente tutti quegli incoraggiamenti tanto attesi e mai dichiarati.

“Ah...”

“Ti fa male?”

“Tu che dici?”

“Perché continui a dargli tutta questa soddisfazione?”

“Soddisfazione?! Quale soddisfazione?! Ma se non fa altro che ripetere che gli sto smontando ogni progetto per il futuro! Sì, il suo futuro!”

E proprio questo il punto.

Rintarō avrebbe voluto dare manforte al suo punto di vista condiviso, ma preferì tacere per mantenere salda la promessa che aveva fatto in primis a sé stesso: non si sarebbe mai intromesso nelle questioni personali dei gemelli Miya, soprattutto quelle più dolorose e pregresse. Oltretutto, Kita glielo avevano chiesto anche per il bene della squadra.

La sua soddisfazione sta nel prenderti a pugni. Non ha altro modo per dirti quello che sente, Samu.

“Tu però non offrirgli il tuo bel visino come se fosse una sacca da kickboxing. Sai fare di meglio!”

“Ci mancavano giusto le tue prese per il culo a rallegrarmi la giornata.”

Si fissarono l’uno dentro gli occhi dell’altro, giusto il tempo necessario affinché Osamu riuscisse a realizzare che, per quanto ostentasse fermezza e goliardia, il centrale aveva accusato l’urto emotivo delle sue parole. Segnale inequivocabile del fatto che aveva oltrepassato il limite in tutti i modi possibili, coinvolgendo anche chi non aveva ancora direttamente avuto a che fare con le sue più recondite insicurezze adolescenziali.
Osamu teneva in maniera particolare a Rintarō e vederlo così affranto a causa sua non stava facendo altro che renderlo ancor più miserabile.

Scusami, Rin. Non è giornata...

“Hai ragione. Forse non è giornata per nessuno. Ci si vede domani.”

“No, domani no. Mi hanno sospeso.”

Nonostante si fosse già voltato e allontanato di qualche passo, Miya non poté non notare quel piccolo attimo d’irrigidimento che portò il più giovane a sussultare e a stringere per un attimo il pugno lungo il fianco. Non aveva la minima idea del fatto che non fosse stato aggiornato circa questo fondamentale particolare.

“Vedo che come al solito il direttore ha capito tutto. Allora ci vediamo mercoledì.”

“Ok.”

Avrebbe voluto chiedergli di passargli i suoi appunti e le eventuali informazioni di circostanza, ma la sua precedente condotta nei suoi riguardi gli stava impedendo di aprire ulteriormente bocca. Ogni più piccola richiesta, arrivati a quel punto, sarebbe parsa semplicemente pretestuosa e inopportuna.
Il senso di colpa che stava cominciando a tormentare i suoi pensieri contribuì a rendere ancora più oscuro quel principio di settimana alquanto movimentato.
 
 
***
 
 
Tokyo, luglio 2021
 
 
“Si può sapere perché Samu non mi risponde al telefono?”

Atsumu si rivolse a Rintarō con tono alquanto seccato, dandogli subito l’impressione di sentirsi nuovamente estraniato da tutto ciò che potesse riguardare il suo unico fratello; come avvenne già in passato, quando scoprì qualcosa che sospettava da sempre. Mostrò senza alcun problema il display del proprio telefono dichiarando di aver tentato per ben tre volte di chiamarlo e che all’ultimo tentativo aveva addirittura trovato spento, anche se non escludeva un’apposita e ben studiata deviazione di chiamata su altro numero.
Il centrale fino ad un attimo prima stava conversando con Aran, il quale non riuscì ad evitare di roteare gli occhi verso l’alto in attesa dell’ennesimo resoconto sulle travagliate vicissitudini di casa Miya.

“Forse perché ha una vita e degli impegni che esulano dal grande campione quale sei?”

“Ma non dire scempiaggini! È qua fuori che sistema il suo stand di onigiri e non trova cinque minuti per salutare suo fratello neanche per telefono? Invece per i vecchi amici il tempo lo trova eccome.”

Le parole usate da Atsumu non piacquero a nessuno degli altri due presenti. Nonostante fosse noto a tutti quanto negli anni avesse imparato ad accettare la scelta compiuta da Osamu, non riusciva ancora a comprendere quanto tutto questo andasse ben oltre quello che poteva superficialmente constatare con i proprio occhi, specie da non amante del settore.

“Non so di cosa parli.”

Suna si pose sulla difensiva, con le braccia conserte e l’aria di chi faticava a mantenere uno sguardo sufficientemente ritto e fiero per tessere la trama di un’eventuale frottola. Con gli anni quella sua speciale abilità era andata scemando, complici le mancate occasioni in cui doveva essere costretto ad esibirla.

Seh, come no. Raccontala a un altro.”

“Cinque minuti... poi mi ha chiamato Iwaizumi-san per il riscaldamento.”

“E già abbiamo una seconda versione, probabilmente più veritiera. Strano che abbia accettato... visto come è andata-”

“Se non sai nulla ma pensi comunque di poter dire sempre la tua in proposito ti poni allo stesso livello di chi commenta post senza nemmeno capirli e scrivendo solo, ehm... come hai detto poco fa?! Ah sì! Scempiaggini.”

Atsumu incrociò a sua volta le braccia e rilasciò un lungo sospiro sommesso. Non aveva mai visto il centrale dell’EJP Raijin tanto contrariato come in quel momento, inconfutabile segno dei cambiamenti esperienziali che avevano segnato persino quella corazza di dileggio che era riuscito a costruirsi ai tempi dell’Inarizaki. Ciò che era successo quando aveva deciso di approfondire la sua amicizia con Osamu lo aveva cambiato profondamente.

“D’accordo. Tanto restano comunque affari vostri. Riproverò più tardi.”

Fai come ti pare.
 
 
***
 
 
Inarizaki Kōkō, settembre 2012
 

Osamu era rientrato a scuola sotto una fucina di sguardi indiscreti che oramai lo avevano additato come pecora nera dell’istituto. Forse ancora più lui che suo fratello, dato che continuava ad essere osannato per le ambizioni sportive dichiarate ogni volta che ne aveva avuto la possibilità.
Entrò in classe con lo stesso entusiasmo dei giorni in cui sapeva di avere un compito in classe alla prima ora e andò direttamente a sedersi al proprio posto, senza salutare nessuno. Nell’attimo in cui decise di dedicarsi al recupero del materiale utile per la lezione d’inglese, avvertì qualcosa di leggero scivolare sul banco. Si trattava di un sottile portalistini dentro il quale vi erano appunti scritti a mano e alcune fotocopie. Il tutto era stato accuratamente etichettato e ben diviso per materia e argomento.

“Questo è quanto hanno tentato d’inculcarci ieri all’interno di questi pochi metri quadri.”

“Grazie mille.”

Suna era arrivato insolitamente con qualche minuto di ritardo e portava in viso un’espressione tutt’altro che allegra. Non che solitamente elargisse chissà quali grandi sorrisi, ma la malinconia che traspariva dai suoi occhi chiari – e lievemente lucidi – era quasi tangibile.
Non disse nient’altro e andò a sua volta a sistemare il materiale didattico che sarebbe occorso la prima ora. Passò gran parte della mattinata con lo sguardo perso nel vuoto rivolto perlopiù verso la finestra, intento a cercare delle improbabili risposte tra il verde del giardino e l’azzurro del cielo.
Miya cominciò a sospettare che lo stesse evitando per il comportamento che aveva tenuto nei suoi riguardi l’ultima volta che gli aveva rivolto la parola, andando a peggiorare ancor più la situazione decidendo di ignorare bellamente i numerosi messaggi che nel frattempo gli aveva inviato per aggiornarlo delle vicissitudini scolastiche e sportive. Anche se sapeva bene che il suo intento principale era, chiaramente, quello di tenergli compagnia nel corso di una giornata che si sarebbe rivelata tutt’altro che semplice per entrambi.

Pochi istanti dopo il suono della campanella che annunciava l’inizio della prima pausa del mattino lo vide alzarsi e uscire dalla classe, con ogni probabilità diretto verso il bagno. Il tutto continuando ad ignorarlo come se per lui fosse risultato assente.
Osamu non esitò a seguirlo, allo scopo di potergli parlare in privato. Oramai non riusciva più a togliersi dalla mente la convinzione di essere la causa del suo malumore.
Si accorse che era entrato nel bagno degli insegnanti udendo le numerose notifiche che stavano arrivando sul suo telefono. Rintarō aveva sempre avuto il vezzo di riattivare la suoneria ogniqualvolta non ci fossero professori nei paraggi e poco importava se in quel momento si trovava proprio all’interno della tana del lupo. Aprì appena la porta e lo trovò di fronte allo specchio, con il capo abbassato e seminascosto tra le braccia poggiate ai bordi del lavello. Lì per lì non riuscì a comprendere se stesse piangendo o se fosse semplicemente troppo nervoso per poter rimanere tra quei compagni che non si erano mai impegnati più del dovuto nel fare la sua conoscenza.

“Hey, Rin! Tutto bene?”

Suna sollevò d’impeto il capo senza voltarsi, cercando di comprendere chi gli avesse appena rivolto la parola mediante l’aiuto dello specchio. Ma c’era una sola persona che poteva permettersi di chiamarlo con una tale confidenza...

“Senti Rin, mi dispiace per l’altro giorno, ero davvero fuori di me per via di Tsumu. Ho letto i tuoi messaggi e ti ringrazio per avermi tenuto al corrente di tutto e... per gli appunti. Sai... non avrei mai saputo sistemarli in maniera tanto ordinata... t’invidio.”

Il compagno di banco fece per voltarsi ma urtò involontariamente qualcosa che era stato poggiato sull’armadietto posto accanto al lavandino. Si trattava di un piccolo oggetto scuro e cilindrico che rotolò sino ai piedi di Miya il quale non ci pensò su due volte e lo raccolse. Attratto dal comprendere di cosa si trattasse, non si rese conto dello sguardo di fuoco che il centrale gli stava lanciando per invitarlo implicitamente a lasciar perdere.

“Deve essere una matita per gli occhi o qualcosa del genere... boh, non me ne intendo di questi affari. La rimetto lì, dato che apparterrà sicuramente a qualche insegnante un po’ smemorata.”

“È mia.”

Le parole uscirono dalla bocca del più giovane come una sentenza a cui era stato costretto a rispondere, anche se in realtà non era stato affatto così. Lo stesso Osamu gli aveva fornito una scusante di fronte alla quale avrebbe semplicemente dovuto annuire per poter dissimulare il tutto ma... non ci riuscì. Dentro di sé non gli parve giusto nei riguardi del compagno di classe; e per almeno due motivi.

“Ti fa schifo l’idea?”

Miya spostò più volte gli occhi dall’enigmatico oggetto al viso di Rintarō e non poté fare a meno di notare che la parte inferiore del contorno dei suoi occhi era più scura e delineata del solito. Le sue incredibili iridi lime risaltavano ancor più del consueto grazie a quell’inaspettato contrasto.
Un leggero sorriso fece rapidamente capolino sul volto del gemello, sostituendo la precedente espressione meravigliata che non aveva fatto altro che far dubitare il diretto interessato.

“No, assolutamente. Ti sta bene.”

Suna sgranò gli occhi per poi ritrovarsi a scuotere la testa. Non avrebbe mai voluto dare l’impressione di non credere alle parole dell’amico, anche perché era rimasto lui stesso ammaliato dalla fierezza e la sincerità con cui aveva risposto alla sua istigazione. Si morse il labbro inferiore, cercando con tutte le sue forze di non darsi per vinto al cospetto di quelle lacrime che pungolavano ai lati dei suoi occhi chiedendo di poter uscire.

Samu...

“Senti, mi spiace davvero per l’altro giorno. Non voglio che tu stia male per questo.”

Eh? Ma cosa stai dicendo?!

Suna si avvicinò a lui di qualche passo, allungando la mano affinché gli restituisse la matita. Sorrise con aria laconica per poi buttargli le braccia intorno al collo e stringersi a lui, quasi fosse la cosa più naturale del mondo.
Osamu esitò per un breve frangente, ancora una volta stupito da quell’improvviso moto d’affetto palesato dall’amico. Ma bastò davvero poco per far sì che si lasciasse andare, preoccupandosi di chiudere la porta prima di stringerlo a sua volta tra le sue braccia. Perlomeno ora poteva tirare un respiro di sollievo e scacciare quel senso di colpa che non lo lasciava tranquillo da almeno un paio di giorni.

“Io sono incazzato con mio padre, non con te.”

Miya sollevò lo sguardo e fissò il riflesso del loro abbraccio nello specchio. Non vi era nulla di sbagliato o artificioso in quel contatto che nessuno dei due aveva cercato sino a pochi minuti prima, ma che in quel momento sembrava essere l’unica soluzione plausibile per contenere la loro rabbia e il reciproco desiderio di sentirsi finalmente compresi da qualcuno.
Che i rapporti tra Rintarō e suo padre non fossero tra i più idilliaci era cosa risaputa per Osamu, ma non gli era mai capitato di trovare l’amico in quello stato emotivo, così come di sentire le sue lacrime scorrere lungo il candido tessuto della sua camicia fino a quel momento intonsa.

“Che frignone che sei diventato, Rin.”

“Non è vero.”

Rispose sollevando il viso e tirando su con il naso, ancora ignaro del trucco che stava colando lungo le guance assieme agli ultimi residui di pianto.
Osamu si lasciò scappare una fugace risata cercando di non farlo ulteriormente innervosire.

“Che hai da dichiarare con quel sorrisetto?”

“Ma niente di che. Sembri solo un panda senza il bambù.”

“Nessuno mi obbliga a essere così, è una mia scelta.”

Miya aggrottò le sopracciglia con fare perplesso. Non era certo di aver compreso sino in fondo quale fosse il vero significato delle parole di Rintarō e non avrebbe mai voluto rischiare di ferirlo ancora di più peccando di superficialità. Oltretutto, il modo in cui lo stava fissando lo metteva alquanto in soggezione, dato che raramente – se non praticamente mai – gli era capitato di vederlo coinvolto in maniera tanto seriosa all’interno di una discussione.

“D’accordo, per me non c’è nessun problema. Puoi stare tranquillo.”

“Ma mio padre...”

Qualcuno provò ad entrare nel bagno, ma trovò la porta serrata dall’interno.
Osamu cercò immediatamente di zittirlo coprendogli la bocca con la mano, avvicinandosi a lui in maniera molto più ‘pericolosa’ di quanto potesse anche solo sospettare. Per liberarlo da quell’inconveniente attese che la persona che si trovava oltre la porta si allontanasse, senza mai togliergli gli occhi di dosso.

“Ascolta, forse è meglio rimandare. Non prenderla come disinteresse da parte mia, ma tu ora non sei nello stato emotivo migliore per pensare proprio a chi ti fa star male. Quando te la sentirai mi dirai tutto. Ora non ci pensare, sciacquati il viso e torniamo in classe. Siamo pur sempre nel bagno dei professori.”

Parlò con un filo di voce, ancora una volta timoroso di poter essere udito da qualcuno. Sperò con tutto sé stesso che le sue parole non venissero fraintese, che Rintarō non interpretasse il suo desiderio di uscire da quel luogo come l’esigenza di allontanarsi da lui e dai suoi problemi, che fino a quel momento non lo avevano direttamente riguardato.
Si voltò per andare a rigirare la chiave nella toppa, ma il centrale lo anticipò trattenendolo per un polso.

Rin... cosa c’è?”

“Grazie. Grazie per non avermi giudicato!”

Per cosa dovrei giudicarti? Per essere così come sei?

La strana gioia che stava avvertendo dentro al suo cuore gl’impedì di recuperare la forza necessaria per trovare le parole più adatte al fine di rispondergli.
Non riuscì a far altro se non avvicinarsi ancora una volta a lui per carezzargli con estrema delicatezza una guancia ancora bagnata. Dovette fare appello a ogni spigolo della sua coscienza per desistere dall’estremo impeto che altrimenti lo avrebbe portato a posare le labbra alle sue senza più rispondere del contesto spazio-temporale in cui purtroppo erano costretti a sopravvivere giorno dopo giorno.
 
 
***
 
 
Tokyo, luglio 2021
 

Osamu stava cominciando ad accusare le prime avvisaglie del consueto senso di colpa che veniva puntualmente a trovarlo ogniqualvolta decideva di dare la precedenza a sé e alle proprie esigenze piuttosto che a quelle che potevano riguardare le persone che lo circondavano. In questo caso però il tutto era stato ben distribuito tra le mancate risposte alle continue e insistenti chiamate del fratello e l’aver lasciato il povero Kousei in balia di sé stesso, seppur si fosse rivelato fin da subito uno dei migliori dipendenti tra tutti coloro che aveva deciso di assumere negli ultimi due anni.
Recuperò lo smartphone dalla tasca dei pantaloni prima di sedersi su di una panchina nel parco adiacente al cancello dell’impianto sportivo. Sbloccò il numero di Atsumu – come d’abitudine – e gl’inviò un messaggio chiedendogli se si trattava di qualcosa di urgente poiché non aveva troppo tempo da dedicargli. Freddo e schietto com’era diventato in quegli ultimi anni, stanco di aspettare chi aveva deciso di prendere la propria tortuosa strada senza mai voltarsi indietro. Dieci minuti dopo il messaggio risultava ancora ‘non letto’, inequivocabile segno degli impegni della squadra sul campo e fuori.

Meglio così.

Si accese una sigaretta e continuò a tenersi impegnato con il telefono. Senza nemmeno rifletterci su più del dovuto, andò a rileggere la conversazione intercorsa tra lui e Rintarō su Telegram; le parole con cui lo aveva convinto a incontrarlo – seppur per pochi e fugaci minuti – rimbalzavano ai suoi occhi come quelle pepite d’oro che andava cercando in lungo e largo per l’intero paese del Sol Levante da oltre sette anni. Sette lunghi anni in cui aveva cambiato ogni singolo connotato presente nel suo vastissimo universo social, fino a ricomparire dal nulla nelle vesti di ‘uno degli uomini di punta della temibile squadra dell’EJP Raijin’.
Un’entità lontana anni luce da quello che era stato il loro microcosmo adolescenziale: per alcuni aspetti ‘incantato’ per altri già completamente disilluso.

Arrivò all’ultimo messaggio che conteneva in allegato proprio quella foto che avevano scattato poc’anzi sugli spalti. La sua ‘faccia-portafortuna’ contornata dal viso più ben delineato che i suoi occhi avessero mai avuto la fortuna di poter vedere. E più si soffermava sui dettagli e più non riusciva a smettere di pensare a come fosse possibile che un semplice ragazzo giapponese di venticinque anni potesse avere delle iridi tanto particolari. Appariscenti, indimenticabili.

Già, indimenticabili.

Doveva assolutamente scrivergli, anche se non sapeva ancora bene da che parte girarsi per non risultare eccessivamente melenso o, peggio ancora, distaccato.
Sapeva solo che desiderava rivederlo... e al più presto.
 
 
***
 
 
Ōsaka, ottobre 2012
 

Gli insegnanti della sezione uno del primo e del secondo anno si erano organizzati per far sì che i ragazzi potessero visitare alcuni fra i più importanti musei di Ōsaka allo scopo di trarne informazioni utili per un progetto in cui erano stati coinvolti assieme ad altri istituti scolastici della prefettura di Hyōgo.
L’uscita didattica si sarebbe articolata su due diverse giornate di cui la prima sarebbe stata dedicata al Museo della Storia e all’Osaka International Peace Center. Il secondo giorno, invece, avrebbero visitato il parco Minoo e il museo Nazionale d’Arte.
La distanza da percorrere era minima, ma il consiglio scolastico aveva comunque deciso che i ragazzi trascorressero la notte in un piccolo albergo situato nei pressi del tempio Shitennoji, giusto per ottimizzare i tempi e le disponibilità concesse loro dalle singole strutture.

Nel corso di quella serata da trascorrere fuori casa Osamu e Rintarō decisero di condividere la stanza del vecchio minka che, con  un po’ di stratagemmi e di soldi mal investiti, era stato trasformato in una piccola pensione inizialmente pensata per ospitare gli studenti universitari fuorisede. Nonostante le ristrettezze, all’interno del locale trovarono due morbidi futon e delle vestaglie pulite – che ovviamente non utilizzarono –, oltre ad un piccolo frigobar con bibite e piccoli assaggi della casa a loro costante disposizione.
Intorno alle undici molti dei loro compagni si erano già addormentati, complice la lunga escursione cittadina.
Anche Miya si era già rifugiato sotto le coperte, stranamente più silenzioso del solito.

“Oi, Samu! Non dirmi che vuoi già dormire.”

“No, a mezzanotte devo mandare un messaggio a Tsumu.”

“Ti manca così tanto? Domani sera sarà di nuovo tutto tuo.”

“Domani è il nostro compleanno e questo è il primo anno che lo passo lontano da lui.”

“E da Mosca e tutto, restituisco la linea ai colleghi in studio.”

Miya afferrò il proprio cuscino e fece per tirarlo scherzosamente addosso al compagno mentre quest’ultimo cercava di ripararsi dai colpi limitandosi a incrociare le braccia di fronte al proprio viso.

“Sei proprio un idiota, lo sai?”

“In effetti sono già diverse settimane che non vi azzuffate come due micetti indifesi. Può essere che nel frattempo tu sia diventato molto sentimentale nei suoi riguardi?”

“Come il protagonista di un Harmony. La verità è che questa è davvero la prima volta in diciassette anni che non passo la notte del compleanno assieme a lui. È un’usanza che ci ha unito molto nel corso del tempo, anche se probabilmente lo scorso anno non ha funzionato.”

“Come direbbe la cara Obāsan: ‘si chiama adolescenza, RinRin’. Comunque siete strani forti voi gemelli.”

Suna seguì l’esempio dell’amico e andò a rintanarsi sotto le proprie coperte, avvertendo dentro di sé la sgradevole sensazione di sentirsi la persona sbagliata nel posto altrettanto sbagliato. Si voltò in direzione di Osamu e si soffermò ad osservarlo mentre manteneva lo sguardo perso verso il soffitto e di tanto in tanto disegnava dei piccoli cerchi con l’indice della mano destra.

“Mi spiace non essere lui in questo momento.”

“Eh? Ma che stai dicendo?”

“Niente, lascia perdere.”

“Mah... è comunque una tradizione da cui dobbiamo staccarci, entrambi. Alla fine del liceo ognuno prenderà la sua strada.”

“Lui lo sa?”

“È per questo che non riusciamo ad andare d’accordo come un tempo.”

“Ognuno è libero di fare quello che vuole.”

Miya finalmente si voltò verso il centrale e lo guardò a sua volta negli occhi. Nella semi-oscurità di quella stanza assumevano ancor di più sembianze feline e riflessi umanamente rari. Teneva i capelli sciolti in maniera naturale e ai suoi occhi apparivano ancora più lunghi e morbidi del solito, tanto da non riuscire a dominare l’istinto di volerli accarezzare.
Ma non appena arrivò a sfiorarlo, Rintarō trasalì e andò a nascondersi sotto il futon.

“Oh, scusami! Non so cosa mi sia preso, ma non volevo infastidirti.”

“No, non mi dà fastidio... ed è proprio questo il punto.”

Osamu si sollevò appena sul proprio materassino e si appoggiò su di un gomito, senza distogliere lo sguardo dalla sagoma appallottolata e ancora nascosta del compagno. Realizzò quanto fino a quel momento avesse pensato solamente a sé stesso, nonostante Rintarō fosse rimasto costantemente al suo fianco. Oltretutto, e cosa ancora più grave, non gli aveva più dato modo di raccontargli ciò che era accaduto in famiglia nei giorni in cui era stato sospeso.

Rin, ascolta. Ti va di raccontarmi quello che ti è successo qualche settimana fa?”

Suna sollevò la coperta quanto bastava per poter quantomeno mostrare il volto al proprio interlocutore. Restò in silenzio per qualche secondo, ben conscio del fatto che fingere di non comprendere a cosa si stesse riferendo non avrebbe minimamente funzionato; anzi, sarebbe stato un insulto alla sua arguta intelligenza e – soprattutto – alla sua sensibilità.
Si tirò su a sedere e mantenne lo sguardo – tutt’altro che fiero – fisso sulle proprie dita incerottate.

Non posso credere di avere avuto un unico figlio maschio e che questo sia frocio.”

Miya si tolse le coperte di dosso e si sedette a gambe incrociate sul futon, incredulo nell’aver sentito le parole appena sentenziate dall’altro. Restò in silenzio, terrorizzato all’idea di poter dire qualcosa di stupido e inappropriato.

“Ero in bagno e volevo provare uno dei rossetti di mia madre. Rosso, piuttosto vistoso, un classico. Mi sono dimenticato di chiudere la porta a chiave come faccio di solito in questi casi... e lui è entrato. Mi ha sorpreso con il labbro superiore già impiastricciato e lo stick aperto in mano. Non hai idea della sua espressione schifata, neanche avesse avuto davanti a sé un ragno da schiacciare.”

"Rin...”

Continuò a parlare al pari di un fiume in piena che non si sarebbe arrestato di fronte a nulla.
Strinse le gambe al petto come gli aveva visto più volte fare durante le lezioni teoriche in palestra, soprattutto nel corso dell’anno precedente, quando la sua timidezza gli impediva di avvicinarsi a chiunque di sua iniziativa.
Nascose il viso tra i capelli e le ginocchia; dai movimenti delle sue spalle era evidente che stesse cercando di trattenere singhiozzi e lacrime.

Guai a te se ti fai vedere da tua madre e da tua sorella in questo stato. Vergognati, frocio!

Rin...”

“Lo ripeteva come un mantra: frocio! Maledetto frocio! Mi fai schifo... frocio! Come se non riuscisse a giustificare la sua rabbia usando altri termini se non ‘frocio’. Ma poi urlava così tanto che figurati se la mamma e Minnie non lo hanno sentito...”

“Ok, basta! Ora guardami, Rin!

“Non ce la faccio! È colpa tua che mi hai chiesto di parlare di queste cose...”

“Sì, lo so. È colpa mia e me ne assumo la piena responsabilità. Però guardami, Rin!”

“Non ce la faccio!”

“Sì che ce la fai. Ascoltami!”

“No che non ce la faccio! Io sono un maledetto frocio che si è dannatamente innamorato di te!”

Osamu si lasciò colpire dalla portata di ciò che aveva appena udito senza rendersi immediatamente conto del vero significato di quelle parole. Pensò di non aver ben inteso, di essere stato confuso con qualcun altro; chissà, magari proprio con suo fratello. In diciassette anni di vita non aveva mai creduto che una qualsiasi ragazza potesse mai innamorarsi di lui, figuriamoci un ragazzo; tantomeno se si trattava del suo migliore amico.
Si sedette sui talloni di fronte alla slanciata figura del compagno contorta su sé stessa. Aspettò che sollevasse almeno il capo, ma non lo fece, con ogni probabilità affossato da un ineguagliabile senso di sconforto misto a naturale imbarazzo.
Decise di provare nuovamente ad accarezzargli i capelli, sperando di poterlo riportare alla tranquillità che regnava in lui solo pochi minuti prima; pochi minuti in cui la sua stupida curiosità aveva rovinato la sua serata distruggendolo interiormente.

Samu... mi dispiace! Mi dispiace!”

“Ma di cosa? È quell’uomo che dovrebbe dispiacersi, non tu.”

Tirò su la testa cercando di scacciare via le lacrime con le dita, al ché Miya gli passò un fazzoletto di carta che teneva ai bordi del futon. Si sistemò i capelli dietro le orecchie, ma non riuscì a sollevare lo sguardo su di lui sino al momento a cui non trovò un espediente utile per tentare di deviare l’argomento.
Guardò l’ora sul display del suo telefono e la mostrò all’amico.

“Mancano solo dieci minuti a mezzanotte, ricordati di scrivere ad Atsumu.”

“Ma chi sene frega di quel troglodita ora. È con te che voglio parlare.”

“Se non vuoi più saperne di me lo accet-”

Osamu gli sollevò appena il capo con entrambe le mani, sino a quando non riuscì a guardarlo nuovamente bene in quelle sue meravigliosi iridi lime. Le forti emozioni avevano estremamente ammorbidito la sua pelle e lo avevano reso ai suoi occhi ancora più innocente di un bambino che chiedeva aiuto dopo essersi sbucciato il ginocchio. Il profumo della sua pelle aveva da sempre inebriato i suoi sensi come poche altre cose al mondo.
Rintarō lo guardava in attesa del suo verdetto: lasciar perdere definitivamente o raddoppiare, come in un quiz. Aveva pochi dubbi su quale potesse essere l’opzione che Miya avrebbe scelto per quel che restava della loro amicizia. Peccato che la sua convinzione non coincidesse minimamente con quella dell’unica persona presente in quella stanza oltre a lui.

“Oi, non dirlo nemmeno per scherzo, intesi?”

“Sei davvero il ragazzo più figo che abbia mai conosciuto, Samu.”

“Modestamente, mi difendo.”

“Oi, non cominciare a tirartela!”

“Eccolo qui il mio Rin!”

Eh?

Suna non ebbe il tempo di realizzare ciò che aveva appena sentito: le labbra calde e carnose di Osamu si posarono sulle sue, in un primo momento incapaci di reagire. Ma lo stordimento durò ben poco, dato che il suo istinto non poteva permettersi di non dare risposta a quella lingua che chiedeva di poter andare oltre, di poter incontrare la sua per condividere quel primo momento d’intimità che tanto era stato bramato da entrambe le parti, seppur in modalità e livelli di consapevolezza differenti.
Le sue braccia avvolsero il compagno e lo costrinsero a chinarsi su quel piccolo e scomodo materasso su cui giaceva, rivestito solamente della stoffa leggera del pigiama estivo. La mano di Osamu scivolò inesorabilmente sotto la t-shirt, fino ad arrivare oltre l’elastico dei pantaloni, assaporando per la prima volta in maniera diretta il piacere di quel corpo tanto perfetto da essere diventato la fonte primaria di turbamento delle sue più recenti fantasie oniriche.

Il suono della notifica di un nuovo sms risuonò alle loro orecchie, ma fu prontamente ignorato.
Per l’intero universo loro stavano semplicemente dormendo, seppur insieme.


‘Samu! Sei già a letto con le galline? Happy Birthday to me and... to you, too!’










 

Angolo dell'Autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere questa mia easy-long! :)

Prima di tutto volevo ringraziare chi è passato a leggere e a recensire la flash “Un selfie per la gloria”, prologo di questa brevissima long (saranno solamente due capitoli) con cui ho deciso di continuare a dedicarmi ai personaggi mi Osamu Miya e Rintarō Suna. Ringrazio soprattutto chi ha apprezzato il modo in cui ho deciso di raccontarvi di loro (inizialmente non mi sentivo sicura di nulla, dato che non avevo mai approfondito i loro personaggi e di conseguenza non sapevo bene da che parte girarmi).
Qualcuno mi ha chiesto di scrivere ancora di loro e dunque... eccomi qui. Bisogna cogliere i suggerimenti e l’hype del momento, altrimenti c’è il rischio di lasciarseli sfuggire per sempre! Ancora grazie mille a tutti voi! **

Capitolo 1: Crisalide.
Il titolo e i due sottotitoli sono stati i problemi più grossi. Ma alla fine ho pensato al concetto di Crisalide e della relativa Farfalla e non ne sono più uscita, dato che vi è anche un continuo passaggio temporale dal 2012 al 2021 (capirete nel prossimo capitolo perché faccio un riferimento continuo ai “7 anni” quando qui ce ne sarebbero almeno 9).
Osamu e Rintarō sono esattamente collocati lì dove ce li ha presentati Furudate, ma con qualche dettaglio annesso che ovviamente doveva creare trama, o almeno questo era il mio intento. I continui battibecchi tra i fratelli Miya, l’amicizia tra i due compagni di classe e di squadra che si fa ogni giorno sempre più intensa, fino a rivelarsi qualcosa di più, qualcosa che aveva già scavato loro nel profondo senza che lo avessero ancora realizzato appieno. Alla scoperta delle proprie identità e delle relative vocazioni, nascerà un sentimento viscerale e reciproco che li porterà a guardare tutto ciò che li circonda con occhi diversi.
Non dico altro prima della pubblicazione del prossimo capitolo. Stay tuned! ;)

Il testo è scritto in terza persona, al tempo passato e il point of view è alternato sia nel 2012 che nel 2021.
La scelta di usare sempre il passato è voluta.

Grazie ancora a chiunque passerà di qua. **

Al prossimo capitolo,

Mahlerlucia
 



 
   
 
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