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Autore: Imperfectworld01    04/06/2021    0 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Dodici.

Alla fine mi ingegnai creando una sorta di assorbente di emergenza con i fazzoletti che mi ero portata dietro, aprendoli e avvolgendoli attorno alle mie mutande. Ne usai tre, per creare più strati, sperando che fossero sufficienti almeno per le prime ore, fino all'intervallo.

E così fu, per fortuna. Quando mi alzai dalla sedia, controllai ancora una volta di non aver sporcato niente, e mi avviai quasi di corsa in bagno per cambiarmi ancora.

Che seccatura, però. Non pensavo che il ciclo mestruale potesse essere così estenuante: dovevo stare attenta a così tante cose, e quella particolare volta al mese mi sarebbe potuto arrivare in qualsiasi momento, quindi avrei sempre dovuto portarmi gli assorbenti dietro, così come i fazzoletti. In più i crampi, la fame da lupi, gli sbalzi d'umore... per circa una settimana al mese, ogni mese, per anni e anni e anni. E al momento non mi sarebbe neanche servito a molto, dal momento che non avevo intenzione di avere figli almeno per i prossimi dieci anni.

Essere donna non era per niente facile. Ma almeno finalmente potevo dire di esserlo. Non ero più una bambina, a tutti gli effetti. Quella consapevolezza mi dava una sensazione di compiacimento e non sapevo nemmeno il perché. Di fatto non era cambiato granché, ma dentro di me sentivo di aver compiuto un grande passo in avanti nella mia vita.

Comunque le lezioni proseguirono piuttosto tranquillamente. I professori erano bravi a spiegare, ma anche tosti e piuttosto severi, tanto che ci avevano già dato dei compiti per il giorno successivo. Al solo pensiero che fino al giorno prima era un semplice giorno d'estate e trascorrevo le giornate nella più completa nullafacenza, ebbi quasi una morsa allo stomaco. Dovevo fissarmi bene in testa fin da subito di dovermi mettere sotto con lo studio.

Durante i due intervalli parlai un po' con le ragazze che avevo conosciuto prima e anche con altri miei compagni di classe. Per il momento, nel complesso non mi avevano fatto una brutta impressione, anche se forse erano un pochino spocchiosi, specialmente le ragazze. Non facevano che parlare di cose come trucchi, ragazzi, vestiti, mi sembrava quasi di ascoltare le conversazioni telefoniche di Benedetta con le sue amiche di Torino.

Comunque, essendo solo il primo giorno e avendo la necessità di inserirmi nei loro discorsi per cercare di fare conoscenza, mi adeguai. Più che altro le lasciai parlare di loro, delle loro esperienze, dei loro gusti, senza scendere nei dettagli per le cose che riguardavano me.

Una volta terminate le lezioni, mi avviai insieme a una ragazza, Irene, verso la fermata del tram. Anche lei lo prendeva, abitava a Lanza, e doveva fare una fermata di tram in più rispetto a me per arrivare a casa.
Durante il tragitto parlammo parecchio, e scoprimmo di avere alcune cose in comune: anche lei aveva una sorella più grande, della stessa età di Benedetta, oltre a un fratello di cinque anni più grande, e anche lei si era trasferita da poco a Milano, all'incirca da due anni, perché prima stava a Como. Inoltre, eravamo nate ad appena due giorni di distanza, lei era nata il 25 e io il 27 maggio del '68.

Quando arrivò per me il momento da scendere dal tram, la salutai con un sorriso e ci mettemmo d'accordo per andare a scuola insieme il giorno seguente. Ci demmo un orario indicativo per prendere il tram, che tanto sarebbe passato a meno di cinque minuti di distanza da me dopo essere passato da lei.

Tornai perciò a casa sfinita da un lato, ma soddisfatta dall'altro. Erano successe così tante cose in metà giornata, che mi sembrava assurdo credere che non fossero nemmeno le due del pomeriggio.

Come prima cosa, dopo aver chiuso la porta di casa alle mie spalle e aver mollato lo zaino a terra, andai in bagno per farmi una doccia rigenerante. Poi mi avvolsi l'accappatoio attorno al corpo e mi chinai in basso per aprire il terzo cassetto del mobile del bagno, dove sapevo ci fossero gli assorbenti che usavano mia madre e mia sorella. Ne presi uno, quello che mi sembrava di dimensioni maggiori, e successivamente andai in camera mia per prendere della biancheria intima pulita e poterlo mettere.

Era certamente meglio dei fazzoletti, ma era comunque scomodo. Avrei dovuto farci l'abitudine.

Un attimo dopo essermi rivestita, sentii la porta di casa aprirsi. Dal modo in cui fu richiusa e dal sospiro che sentii subito dopo, capii immediatamente che si trattasse di Vittorio. Di solito Benedetta la richiudeva con irruenza, mentre Vittorio era più delicato, e in più ogni volta che rientrava a casa, si appoggiava alla porta e sospirava, il più delle volte perché prendeva le scale di corsa piuttosto che l'ascensore per arrivare prima e sfondarsi di cibo. Inoltre, ogni volta che lui o Claudio tornavano a casa, Giuseppe abbandonava qualsiasi attività che stesse facendo, che si trattasse di ronfare pigrosamente, o abbuffarsi, oppure ancora leccarsi le parti intime, per correre verso la porta d'ingresso ad accogliere i suoi padroni. E anche quella volta fu così.

Uscii allora dalla mia camera per andare a salutarlo. Rispetto a quella mattina mi ero un po' tranquillizzata. Con ciò non intendo dire che non fossi intrattabile, perché quello lo ero sempre, ma almeno non avevo istinti suicidi né omicidi nei confronti di chiunque cercasse di aiutarmi o di calmarmi.

Mi appoggiai allo stipite della porta del corridoio che dava sul salotto e mi schiarii la gola per attirare l'attenzione.

Vittorio sollevò lo sguardo e mi rivolse uno sguardo sorpreso. «Wow, sei arrivata persino prima di me. E io che avevo paura di doverti venire a cercare in giro per Milano per paura che ti saresti persa!» Poi prese in braccio Giuseppe, il quale si stava strusciando sulle sue caviglie e i suoi polpacci da cinque minuti buoni.

«Già, e invece, eccomi qui» risposi, avvicinandomi a lui. «Una mia compagna di classe fa la mia stessa strada, quindi mi ha aiutata a orientarmi» spiegai, prima di dare qualche carezza al testone peloso di Giuseppe. Mi stupii da sola di quel mio gesto, infatti dopo poco ritrassi la mano e mi sfregai le mani fra di loro per togliermi i suoi peli di dosso.

«Wow, hai già fatto amicizia?» domandò Vittorio, prima di dare un bacio al gatto sulla fronte e poi rimetterlo giù.

«Be', adesso non esageriamo» risposi, dirigendomi in cucina. Aprii il frigo alla ricerca di qualcosa da mangiare. Non avevo la minima voglia di mettermi a cucinare, perciò sperai di trovare qualcosa di già pronto. C'erano le lasagne avanzate dalla cena della sera prima, un po' d'insalata e degli affettati.

Vittorio mi seguì in cucina. «Ah, non preoccuparti per me, ho mangiato tre pizzette prese al bar della scuola. Comunque come si chiama la tua nuova "amica"?» fece, mimando le virgolette con le dita.

«Sicuro? Tanto io mi sa che mi faccio un panino, se tu vuoi le lasagne» dissi, tirando fuori l'insalata e gli affettati dal frigo e appoggiandoli sul letto. «Irene» risposi poi alla sua domanda. «Irene Stelluti» precisai.

A quel punto Vittorio sgranò i suoi occhi verdi a tal punto che pensai che gli sarebbero usciti dalle orbite e cascati a terra a un certo punto. Poi si rese conto di quella reazione eccessiva, così tentò di ricomporsi. Ma era troppo tardi, l'avevo già sgamato: «Sì? Che cos'ha questa Irene?».

«No, nulla, nulla» portò subito le mani in avanti, letteralmente. «Tu non le hai detto di me, vero?»

«No, le ho raccontato in generale la storia, ma non le ho fatto il tuo nome... Potrei sapere perché?» insistetti.

Mi diede le spalle e fece per dirigersi fuori dalla cucina, ma con uno scatto fulmineo riuscii a pararmi di fronte alla sua figura e fermarlo. «Vittorio! Dimmelo, dai, sono curiosa adesso!» esclamai.

Vederlo a disagio e in imbarazzo era sempre qualcosa in grado di divertirmi. Probabilmente non se ne rendeva conto, ma faceva quasi tenerezza. Le gote gli si arrossavano leggermente, lo sguardo diventava sfuggente e continuava a torturarsi le labbra, strappandosi i lembi di pelle con le dita; lo stesso con i capelli, che continuava a spostarsi da un lato e dall'altro, fino a sembrare un istrice con gli aculei in fuori.

«Dai, Nina, che palle che sei! Quasi quasi ti preferivo quando eri isterica questa mattina» disse, e a quel punto fui io a cambiare radicalmente espressione.

Iniziai a sentirmi in colpa per come mi ero comportata. Non volevo dare quell'idea di me e fare quelle scenate inutili. Probabilmente sarò sembrata una pazza, e anche maleducata, tanto che ancora non so come sia possibile che Vittorio non mi abbia mandata a quel paese dopo tutto ciò che gli sto facendo passare da quando sono qui, pensai. Sono una persona orribile, problematica, che nessuno vorrebbe al proprio fianco, ed ecco infatti perché sono sola.

Improvvisamente sentii un groppo formarmisi in gola e gli occhi diventare lucidi. Il labbro inferiore cominciò a tremare incessantemente, senza che potessi controllarlo.

«No... no, aspetta, che succede? Ho detto qualcosa di sbagliato? Mi dispiace, era solo una battuta, non pensavo che...»

«Lo so che era una battuta!» lo interruppi, scoppiando in un pianto isterico. «Io te ne faccio pure di peggiori, sempre, e tu non mi dici mai niente, mentre io... mentre io sono così, così... non lo so! Mi dispiace, non riesco davvero a capire cosa mi prenda ultimamente, sono così instabile, e... e...»

Mi bloccai non appena Vittorio, probabilmente non sapendo cos'altro fare, mi cinse in un abbraccio. Provai a divincolarmi, ma non ci riuscii perché Vittorio mi strinse ancora più forte. «Da quando quelle braccine rachitiche sono più forti delle mie?» commentai, prima di tirare su col naso.

«Ti rendi conto che questi continui commenti sul mio fisico sono sessisti?» fece Vittorio, allontanandosi un poco per potermi guardare bene in viso.

Sbuffai e roteai gli occhi. «Lo so, scusa» dissi, a malincuore, prima di alzarmi in punta di piedi e incastrare la testa nell'incavo del suo collo. Trascorremmo così una manciata di secondi, forse massimo un minuto, in silenzio, finché non riuscii a tranquillizzarmi e a smettere di singhiozzare. Poi mi separai bruscamente da lui, una volta che ritornai in me: «Che cosa ti avevo detto sugli abbracci?».

Scrollò le spalle. «Non saprei, non mi ricordo bene» rispose con tono beffardo.

Alzai gli occhi al soffitto ma decisi di lasciar correre per quella volta. Mi passai entrambe le mani sugli occhi e le strofinai, per potermi asciugare le lacrime. «Wow, non pensavo che il ciclo potesse davvero avere il pieno controllo di me e delle emozioni» commentai poi, ripensando alla scena ridicola di cui ero appena stata protagonista.

«Il ciclo?» domandò Vittorio confusò, prima di prendere un bicchiere dalla credenza e iniziare a riempirlo con l'acqua del rubinetto, porgendomelo.

«Grazie» dissi, prima di fare un grande sorso. «Sì, il ciclo. Mi è venuto oggi per la prima volta, per questo ho l'umore ancora più altalenante del solito.»

Vittorio appariva seriamente confuso, come se stessi parlando di una cosa fuori dal mondo.

«Tu... tu sai cosa sono le mestruazioni, giusto?»

Si grattò il capo ed evitò di rispondere subito. «È una malattia?» domandò incerto e io scoppiai a ridere fragorosamente: «Ma quale malattia! Le mestruazioni sono normalissime, ce le hanno tutte le donne, anche quelle della mia età o poco più piccole» spiegai.

«Ok, ma di che si tratta?»

Aprii la bocca per rispondere, ma poi la richiusi per poter pensare meglio a come farglielo capire senza scandalizzarlo più di quanto non lo fosse già. «Be'... diciamo che l'arrivo delle mestruazioni causa la fuoriuscita di sangue dalle parti... dalle parti intime delle ragazze per qualche giorno» dissi, e Vittorio inorridì, prima di strapparmi il bicchiere dalle mani e bere l'acqua rimanente. «Sanguinate ininterrottamente? E per quale motivo?»

«Be', questo non lo so! Però succede a tutte e...»

Non ebbi il tempo di finire la frase, poiché fui interrotta da Vittorio: «E come fate a contenere tutto quel sangue?» domandò, prima di cominciare a fissare ossessivamente i miei pantaloni.

«Smettila di guardarmi!» lo rimproverai, prima di portarmi le mani lì davanti per coprirmi.

«Ok, scusa, è stato irrispettoso. È che mi sembra fantascienza! Come fate a vivere normalmente la vostra vita nel mentre che... cioè, in queste situazioni?»

«Non mi sembra qualcosa di così impossibile. Perché, tu non ci riusciresti?» lo punzecchiai.

Scrollò le spalle. «Dipende... che cosa si prova? Un po' come avere qualche linea di febbre?»

«Ah be', dipende da quanto ti demoliscono due linee di febbre...»

«A te non fa nulla la febbre a 37,5°? Perché per me è come stare sul letto di morte!» esclamò e io presi a ridere ininterrottamente, senza riuscire a fermarmi.

In quel momento si aprì la porta di casa, che pochi attimi dopo fu richiusa con non molta delicatezza. Io e Vittorio ci scambiammo uno sguardo ed esclamammo all'unisono: «Benedetta». prima di tornare a ridere.

*

Nel pomeriggio, dopo pranzo, mi misi subito in cucina con i libri e i quaderni per svolgere i compiti per l'indomani. Una volta finito, tornai in camera mia, dove c'era mia sorella seduta a letto e, ancora piuttosto emozionata, le svelai la notizia del giorno: «Mi sono arrivate le mestruazioni» dissi con un sorriso, sedendomi sul suo letto, accanto a lei.

Mi rivolse uno sguardo di indifferenza e scrollò le spalle. «Condoglianze» disse soltanto.

«Però, che entusiasmo, Benni!» feci sarcastica.

«Credimi, già dal prossimo mese anche tu avrai la mia stessa reazione» replicò, e probabilmente aveva ragione, ma per me era comunque un giorno speciale. «Comunque adesso si spiegano molte cose, eh "culona"?» fece e, contrariamente a quella mattina, reagii bene a quella battuta, annuendo e dandole ragione.

«Com'è andata a scuola?» le domandai poi. Non si sbilanciò più di tanto, si limitò a un generico «bene», prima di aggiungere: «Ah, ti ricordi Emanuela? La mia amica d'infanzia, prima che ci trasferissimo a Torino? Oggi l'ho incontrata nei corridoi, però è in una sezione diversa dalla mia».

«Assurdo, com'è piccolo il mondo.»

«Già. Tra l'altro non è cambiata di una virgola, tranne i capelli. Non ha più quel caschetto orrendo da maschio, ma ha i capelli più lunghi e voluminosi.»

«Io ho un "caschetto orrendo da maschio". Sono gusti» puntualizzai, guardandola torva. «O meglio, ce l'avevo fino a qualche mese fa, ora sono cresciuti. Ma potrei decidere di tagliarli ancora.»

«Fa' come ti pare, non mi interessa» rispose con il suo solito tono menefreghista. «Anche se penso che ti stiano meglio come sono ora.»

«Mmh, non lo so, mi sa che mi taglierò la frangia uno di questi giorni. E di te che mi dici? Potresti cambiare ogni tanto, hai quel taglio da secoli e sembri proprio una suora!»

«Fatti gli affari tuoi, e comunque levati dal mio letto, hai il tuo per un motivo» fece scontrosa, prima di spingermi fuori dal suo letto fino a che non caddi a terra come una pera cotta.

A quel punto ebbe inizio un acceso dibattito, colmo di frecciatine, colpi bassi, e qualche sberla ogni tanto, che si concluse solo nel momento in cui sentimmo la voce di nostra madre provenire dall'altra stanza. Ci stoppammo nell'immediato, consce del fatto che se ci avesse trovato a battibeccare come quando eravamo bambine, non sarebbe finita bene. Allora mi alzai dal mio letto, sul quale per la precisione ero sdraiata a testa in giù con il capo che sporgeva di lato e toccava il pavimento, e andai da mia madre per salutarla.

«Che cos'era tutto quel casino?» chiese con fare sospetto.

«Non so di che parli» risposi evasiva, prima di sorridere e dare anche a lei la mia grande notizia: «Mi è arrivato il ciclo!» esclamai, e mia madre si portò le mani alla bocca dallo stupore. Poi mi gettò le braccia al collo e mi abbracciò. «Oh mio Dio, non ci posso credere! Finalmente! Sei contenta? Hai già avvisato i tuoi nonni e i tuoi zii? Aspetta che li chiamo subito! Che emozione!» urlò. Praticamente aveva fatto tutto lei. Sciolse l'abbraccio e si diresse subito verso il telefono per iniziare il suo giro di telefonate.

Chiamò davvero tutti i miei parenti. Tutti. Quelli materni, ovvio, perché con quelli paterni non avevamo più contatti da ormai molti anni. E ognuno di loro poi aveva voluto parlare al telefono con me, aspettandosi che gli dicessi chissà che cosa oltre alla cosa in sé. Praticamente fui impegnata fino a ora di cena a parlare solo del mio ciclo mestruale. Però mi fece anche piacere, ricevetti da mia nonna e dalle mie zie anche parecchi consigli, per gestire il dolore, per capire come contare in modo corretto l'arrivo delle prossime mestruazioni e ogni quanto cambiare l'assorbente in linea di massima, oltre che di evitare per il momento quelli interni, e mi dissero di non preoccuparmi per qualche eventuale ritardo, poiché all'inizio era del tutto normale.

Nel frattempo Vittorio, che a quanto pare aveva fatto la scoperta del secolo, ascoltò il tutto con estrema attenzione, nonostante continuassi a intimargli di levarsi dai piedi. A un certo punto gli lanciai dapprima la ciabatta sinistra e in seguito quella destra, ma non riuscii comunque nel mio intento di allontanarlo.

«Sì, d'accordo, ciao zia. Ci sentiamo. Un bacio e un abbraccio forte» dissi infine, chiudendo l'ultima telefonata. Un'altra volta dopo aver appoggiato la cornetta alla base del telefono, scattai in piedi e mi diressi di corsa verso Vittorio, che se ne stava dietro alla porta della sua camera appena socchiusa a origliare e sghignazzare. Spalancai la porta, tirandogliela sulle ginocchia. «Ahia, cazzo!» si lamentò, portandosi una mano sulle ginocchia e emettendo una smorfia di dolore.

«Oh, quello non è niente, adesso ti do il resto» lo avvisai, pronta a scagliarmi su di lui.

«No, Nina, ti prego, scusa, scusa, scusa!» fece, portandosi le mani avanti e chiudendosi a riccio per proteggersi da qualsiasi mio attacco.

Che rammollito.

Gli presi le mani per spostargli le braccia posizionate a forma di X sul petto. «Quando imparerai a farti gli affaracci tuoi?» chiesi, sedendomi a cavalcioni su di lui per tenerlo fermo.

Vittorio a quel punto si immobilizzò e smise di fare opposizione. Avvertii una sensazione strana al basso ventre, ma i crampi di quegli ultimi giorni in quel caso avevano ben poco a che vedere. Ci guardammo per qualche attimo, finché non fu chiaro a entrambi che la situazione si era fatta piuttosto imbarazzante. Mi alzai in fretta in piedi e lo stesso fece lui poco dopo. Evitammo di guardarci o di dire qualsiasi altra cosa.

«A tavola!» ci chiamò Claudio poco dopo, e ne approfittai per mettere il turbo e allontanarmi il più in fretta possibile dalla stanza di Vittorio.

 

   
 
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