Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Green Star 90    06/06/2021    4 recensioni
[...] «quando uno dei capitoli più belli ma anche dolorosi della mia esistenza si è concluso, per almeno un anno non mi sono permesso di andare a trovare mia sorella al cimitero. C’era una sorta di rifiuto che non avevo ancora metabolizzato, era come se assieme a lei andassi a trovare anche le persone care che avevo perduto in Nordafrica e non mi sentivo pronto a farlo, non volevo dirgli veramente addio. Un bel giorno ho riaperto il mio zaino e ci ho trovato dentro la sciarpa dell’amico che mi aveva aiutato a vendicarla e… ho pianto come un deficiente!».
Fugo aveva sbruffato nell’immaginare un tipo flemmatico come lui lasciarsi andare a tal guisa.
«Scusami, è che non riesco a farmi un’idea mentale della scena»
«Non è un problema, rimarresti sconcertato se ti venissero a raccontare di com’ero a vent’anni».
***
Dodici racconti sulla vita, la morte e l'oltre vita.
Buona lettura.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Jojo in Heaven'
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1- La piccola fuga

La piccola fuga

 

Debussy, Lent. (Melancolique et Doux)

 Un racconto sulla genitorialità

Il mattino si era presentato al cospetto degli inglesi da poche ore ed era prevedibile che quella sarebbe stata la classica giornata, neanche a farlo apposta, inglese, uggiosa e grigia di inizio novembre, niente per cui valesse la pena struggersi, insomma. Beh, quasi niente, a essere precisi.
La biacca del cielo gettava una luce malaticcia sulla cameretta e sulle lenzuola bianche della culla, che la sua piccola proprietaria aveva provveduto a calciarsi di dosso non appena svegliatasi. Per questo aveva ruotato energicamente il capo da una parte e dall’altra alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarla a liberarsi dalla propria prigione, ma gli adulti sembravano affaccendati in chissà quali cose di vitale importanza che non comprendeva, e questo la indisponeva non poco.
Guardò perciò in alto, verso la sommità delle sbarre di legno che la separavano dal mondo, e in basso, per guardarsi le manine paffute, e pensò che qualunque fosse l’evento al quale stessero partecipando i grandi voleva farne parte come qualsiasi bambina ormai grande che si rispettasse.
Afferrò la cima con tutte e dieci le dita e si fece forza per mettersi in posizione eretta sul materassino: decisamente il mondo era più bello senza quelle odiose righe marroni, ma non era abbastanza. Facendo leva sulle braccia, sollevò una gamba e la accavallò oltre la sponda del lettino cercando di spingersi col proprio piccolo grande corpo verso l’esterno. Piegò anche l’altra gamba, la fece passare oltre il legno come aveva fatto con la prima e… oplà! Con un salto finito a terra e un minuscolo tonfo col sedere ce l’aveva fatta, era libera di andare a esplorare il mondo degli adulti! Certo, il di dietro faceva un po’ male, ma la libertà era troppo bella per mettersi a piangere, quindi prese a gattonare sul pavimento freddo della stanza, sollevando gli occhioni acquamarina verso il suo secondo ostacolo: la porta chiusa.
Proprio nel momento in cui gonfiava le guance per il disappunto questa si aprì e un paio di scarpe lucide sormontate da galosce si frapposero tra lei e il resto della casa. Due occhi castani si abbassarono su di lei e due mani leste si prodigarono a sollevarla da terra.
«Elizabeth!» esclamò l’uomo rivolgendo un’occhiata preoccupata alla culla vuota «Come hai fatto a scendere da lì?».
La bimba gli rivolse un sorriso sdentato e birichino, poi puntò l’indice verso l’esterno protraendosi con tutto il busto per infondere maggiore enfasi sul proprio desiderio di esplorazione.
«Va bene, va bene, ho capito, andiamo da mamma Erina, ti va? Niente capricci però, altrimenti lo dico a Straitso» mormoro l’adulto con la piccola fuggitiva in braccio, ingrossando la voce per mimare un tono scherzosamente minaccioso «se fai la brava signorina ti faccio conoscere un altro bambino».
Elizabeth non aveva afferrato appieno il significato di quelle parole, ma aveva intuito che fossero collegate al grande evento che aveva tenuto occupati gli adulti della casa, per cui dimostrò il proprio entusiasmo aggrappandosi alla giacca dell’uomo e lallando alcuni versi di contentezza mentre percorrevano il corridoio in direzione della risoluzione del mistero.
«Vediamo un po’… è permesso?» tre colpi leggeri di nocca picchiettarono sul legno, ai quali seguì una voce delicata di donna attutita dall’interno.
«Possiamo entrare!» fece rivolto alla bambina «Buongiorno signora Joestar, e buongiorno anche a te piccolo George! Veniamo a rassicurarci della vostra salute, se non vi reca disturbo».
Le finestre di quest’altra camera da letto filtravano la stessa luce bianchiccia con la quale si era svegliata la piccina. La puerpera sedeva a letto con la schiena adagiata su bei cuscini candidi come la sua vestaglia ricamata e le mani sul grembo ancora gonfio, stanca per le fatiche del parto ma lieta di ricevere quella visita. Accanto a lei vi era un’altra culla, più piccola di quella riservata a Elizabeth, schermata da un baldacchino anch’esso bianco.
«Buongiorno signor Speedwagon, tu non disturbi mai. Mettetevi comodi»
«Grazie, lei è un angelo» il visitatore fece riverenza con un breve inchino e si avvicinò cauto alla culla «in attesa che papà Straitso venga a recuperare questa piccola ribelle vorremmo tenervi un po’ di compagnia. Possiamo presentarci al nuovo Joestar?»
«Permesso accordato, ma solo se dopo Elizabeth viene qui a farsi guardare… Voglio vedere quanto è cresciuta» fu la risposta di Erina, abbozzando un altro sorriso in direzione della bambina.
«Oh, certamente… Guarda, Elizabeth. Questo è George».
Scostando appena il velo con l’ausilio di un dito teso, l’uomo e la bambina si sporsero per ammirare l’ennesimo ma sempre meraviglioso miracolo della natura: un faccino tondo, bello e incorniciato da ricciolini scuri, riposava tranquillo nel proprio nido di seta, coi pugnetti chiusi sul petto e i piccoli occhi in procinto di chiudersi per il primo sonnellino mattutino.
«Gli somiglia così tanto… Così piccolo e già senza un padre» furono le prime parole che gli uscirono di bocca, mentre tentava maldestramente di trattenere l’accoramento che si portava dentro dalla notte precedente.
Erina, che sapeva sempre quando l’amico era preda di attacchi improvvisi di emotività, indicò la poltrona ai piedi del letto.
«Robert, perché non mi dai Elizabeth e ti siedi? Immagino che neanche tu abbia dormito stanotte».
Speedwagon esaudì silenziosamente la richiesta e, una volta sprofondato nel velluto, si tolse il cappello scoprendo la zazzera bionda, si coprì il volto con le mani e iniziò a singhiozzare.
«Mi dispiace, mi dispiace veramente tanto» riuscì a dire tra un singulto e l’altro «sono così felice di sapere che il figlio di Jonathan sta bene, ma allo stesso tempo non riesco a non essere triste per il fatto che non ci sia più! Lui meritava… voi meritavate la felicità, tu meriti la felicità, Erina! Quanto può essere crudele il destino se un bambino che non ha ancora visto il suo primo tramonto è condannato a non conoscere mai il papà… L’uomo più buono di questo mondo?»
«Mio caro Speedwagon, se tutti gli esseri umani avessero un amico come te la cattiveria non esisterebbe più» disse Erina, che nel frattempo aveva stretto Elizabeth al seno e le aveva posato delicatamente le labbra sulla fronte «non possiamo contravvenire alle leggi del destino dal momento in cui siamo soltanto esseri umani, però c’è una cosa sulla quale mi preme contraddirti: George sarà pure nato senza Jonathan, ma non è nato senza un padre pronto a volergli bene».
Speedwagon sollevò il capo e si asciugò il viso alla bell’e meglio con la manica della giacca, sussultando ancora per i singhiozzi. Per un attimo incrociò lo sguardo con quello della donna, ma lo distolse subito verso un punto imprecisato alla sua destra.
«Io non… non credo di meritare le lodi che mi tesse. Però se mi concede l’onore di aiutarla a crescere vostro figlio sarà mio impegno affinché cresca nel miglior modo possibile, gli racconterò di suo padre e di quello che ha fatto per me, perché voglio che il suo ricordo non si spenga»
«Così come per me è un onore averti conosciuto».
Tale affermazione venne accolta con religiosa quiete da parte del fu criminale, che fece una fatica enorme per ritrovare una parvenza di compostezza. Rimasero quindi in silenzio per un minuto, o forse qualcosa in più, chi lo sapeva, a godersi la pace ovattata di quella giornata fredda fuori ma tiepida e ristoratrice nei loro animi, interrotto solo dal giochicchiare di Elizabeth coi lacci della vestaglia di Erina. E infatti fu proprio lei a riprendere la parola.
«Sai che sei veramente bella?» le sussurrò, mentre le ripercorreva il profilo del bel nasino con la punta dell’indice, facendo scaturire una risata argentina nella bambina «Bella e irrequieta, da grande avrai il tuo bel carattere»
«Non so come abbia fatto, ma prima l’ho trovata fuori dalla sua culla, deve averla scavalcata tutta da sola!» rivelò Speedwagon con una nota di apprensione in quella esclamazione «Avrebbe potuto farsi male».
«Sì, avrebbe…» ripeté distrattamente Erina perdendosi per un attimo nell’azzurro mare di quegli occhi così limpidi, come solo quelli di un neonato che si affaccia alla vita potevano essere. Elizabeth non poteva rendersi conto dell’immensa fortuna che aveva a possedere ancora la genuinità selvatica dei bambini piccoli che tutto vogliono scoprire e per i quali è tutto divertimento, e non lo avrebbe mai fatto, da brava e riottosa piccina. Come l’acqua che restava attaccata al bicchiere capovolto durante i momenti di gioco con il suo papà adottivo.
Non li avrebbe ricordati, ma glieli avrebbero raccontati.
Come al piccolo George avrebbero raccontato di suo padre.

***

Musica in Jojo: Il Lent, doux et mélancolique di Debussy è la prima delle tre Images composte nel 1894 e appartenente alla produzione giovanile del compositore. La trilogia che include il brano è una dedica a Yvonne, figlia del pittore Henry Lerolle, che era amico dello stesso Debussy.
Il brano è il più malinconico e meditativo dei tre, e sebbene vi sia un certo scarto temporale fra il periodo in cui è ambientato il racconto e quello della composizione della suite ho voluto comunque immaginare questa headcanon secondo cui la best waifu della saga apprezzerebbe Debussy.

Retroscena: Che dire... se siete giunti/e fino a qui, grazie mille. Quello che avete appena letto è il primo di dodici racconti, che in realtà rappresentano una specie di via di mezzo tra una raccolta e una long, che verranno pubblicati, se tutto andrà bene, a cadenza settimale, e che verranno accompagnati da mini playlist di tre canzoni ciascuna.
Non potevo non iniziare con zio Robert che si strugge per la morte del bro della vita, in qualche modo sono riuscita ad affezionarmici grazie al meme material che gira su internet, ma è stata la lettura del manga ad avermelo consacrato nel mio personale olimpo dei personaggi preferiti, quindi ho ritenuto opportuno aprire le danze con lui. 
Esaurito il momento spiegone, rinnovo i miei ringraziamenti per aver letto fino in fondo, nella speranza di non avervi annoiato.

Baci. 


   
 
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