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Autore: Avion946    06/06/2021    0 recensioni
Paolo Carlisi, un giovane reporter di guerra, profondamente segnato da una sconvolgente esperienza avuta durante un pericoloso, recente episodio del suo lavoro, decide di cercare di dimenticare il passato e di recuperare la sua serenità interiore effettuando un lungo viaggio turistico lungo il percorso della mitica ‘66’, la Mother Road. Sarà invece un percorso che, attraverso la conoscenza di persone ‘speciali’ e di paesaggi incredibili e misteriosi, lo porterà ad acquistare una diversa visione della realtà che lo circonda e della sua vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                    XVII° Giorno
La mattina successiva si svegliò di buon’ora. La pelle che chiudeva l’entrata  della tenda era aperta, segno che qualcuno era entrato mentre dormiva. A fianco del suo giaciglio trovò la solita colazione, i suoi abiti puliti e piegati ordinatamente ed una specie di amuleto che certamente qualcuno aveva preparato per lui. Un cerchietto di metallo con degli inserti di pelle e delle piume, il tutto rifinito da perline colorate. Tenerlo in mano gli dava un effetto piacevole e capì che era un ‘acchiappasogni’ un amuleto piuttosto comune fra gli indiani d’America. Qualcuno, prima che partisse aveva voluto fargli quel regalo. Si vestì e fece colazione all’interno della tenda senza fretta, come se avesse voluto posticipare il più possibile la partenza da quel luogo. Il vecchio lo aveva avvertito che uno dei rischi della via sciamanica era proprio quello di rifugiarsi nel mondo magico, ritirandosi dal mondo reale. Quello era lo sbaglio più grave che si potesse commettere. Così alla fine, si fece coraggio e uscì dalla tenda dove, naturalmente, lo stava aspettando la sua guida, seduto su una staccionata. “Finalmente – lo apostrofò con il suo solito fare scanzonato – Sei pronto a lasciare questo posto? – Poi, notando che il ragazzo si guardava intorno – Tranquillo, non verrà nessuno. Vi siete salutati ieri. Qui funziona in questo modo”. Paolo, un po’ deluso seguì l’indiano fino al pickup e vi salì, mentre l’altro metteva in moto e partiva. “Non capire male – aggiunse Will – Anche loro sono tristi nel vederti andare via. Sono sicuro che continueranno a parlare dell’ultimo Tuwyhoja che è stato a trovarli e le prove che ha affrontato”. Mentre la macchina riprendeva a macinare chilometri, Paolo, silenzioso, ripercorreva con la mente gli eventi che aveva affrontato nel corso di quella strana pausa. Ora, si chiedeva, cosa avrebbe dovuto fare? Senza una opportuna guida, come affrontare il tragitto che lo attendeva? Aveva conosciuto degli aspetti estremi della realtà, l’inquietudine, i timori e i dubbi. E poi, cosa significava la frase dello sciamano circa il fatto che presto avrebbe dovuto affrontare un’altra ardua prova? “Estrema”, l’aveva definita il vecchio. Più estrema di quella già affrontata? La sua guida, lasciando Medicine Creek, aveva imboccato direttamente la i44 ed ora procedevano spediti verso Oklahoma City, distante circa 70 miglia da dove si trovavano. Paolo approfittò per osservare ancora quel panorama che aveva ammirato così a lungo, dall’alto della montagna, ma senza riconoscere i posti che più l’avevano colpito. L’indiano, da parte sua, guidava in silenzio, apparentemente molto concentrato sulla strada che veloce scorreva sotto di loro. Il ragazzo era convinto che avesse tante domande da rivolgergli ma che non sapesse da dove cominciare. In particolar modo per il fatto che non si era comportato del tutto correttamente nei suoi confronti. L’avrebbe ameno potuto avvisare della sua sparizione. Il punto era che Paolo non aveva idea di cosa fosse successo fra la sua guida ed il resto della tribù, né l’avrebbe saputo mai se Will stesso non gliene avesse parlato e questo, al momento appariva molto improbabile. Giunsero quasi all’improvviso alla periferia di Oklahoma City. Will proseguiva per la 44 che la attraversava completamente, senza avere apparentemente l’intenzione di fermarsi. “Questa cittadina – iniziò a spiegare – che ora conta circa 700.000 abitanti fu fondata in sei ore, quando, per la corsa agli appezzamenti bandita dal presidente Harrison nel 1889, il 22 aprile di quell’anno, arrivarono e vi si stabilirono almeno 10.000 persone. Molti di loro, infatti, non ambivano ai terreni, ma alle attività commerciali legate alla presenza dei cercatori che avevano bisogno di viveri, attrezzi per sostituire quelli rotti, banche e.. perché no? Saloon dove ubriacarsi con cattivi liquori  ed accompagnarsi ad allegre donnine. Nel 1928, nei dintorni, fu scoperto il petrolio e da qui derivò la ricchezza del territorio. Purtroppo la crisi del ‘29 non risparmiò nemmeno questo posto e fu principalmente da questo Stato che partirono tutti quei disperati, diretti versi il decantato paradiso della California”.”Ma poi le cose sono cambiate immagino.”Si, per fortuna quando l’economia ha ‘ripreso a girare’, le cose si sono sistemate quasi per tutti, a parte alcuni che non riuscirono a riprendersi e che rimasero confinati nel quartiere povero della città. Esattamente quello che stiamo superando alla nostra destra. Paolo guardò dove gli era stato indicato ma vide solo grattacieli e costruzioni moderne. “Nel 1998, a seguito di una iniziativa tesa a rilanciare la città, furono eseguiti dei lavori di riqualificazione del quartiere che viene sempre chiamato con il nome di ‘Downtown’ ma che ora ospita edifici nuovi, sedi di industrie e edifici governativi”. Lungo la strada che stavano percorrendo si notavano numerosi bar, ristoranti, motel e negozi. “Lo scopo di tante iniziative fu quello di presentare la città come un’ attrazione turistica – continuò a spiegare la guida – Si cercò di allontanare l’immagine del petrolio sopra a tutto e così furono costruite tutte quelle strutture che si trovano nelle città più moderne. Ora stiamo sorpassando un quartiere chiamato Stockyard City dove scorre una Main street che costeggia un corso d’acqua, lungo il quale si aprono le vetrine di centri commerciali, negozi di tutttti i tipi, musei , teatri , locali notturni e persino uno stadio, tutto con una atmosfera anni 60 che ha molto successo fra la popolazione locale”.”Sembra un bel posto. Felice. Ma vedo che non hai intenzione di fermarti”.”Un bel posto , certo. Ma felice e allegro, molto meno. Stavano attraversando la 235 e Will, come preso da una idea improvvisa, la imboccò, procedendo verso nord. Percorso circa un chilometro, di nuovo prese a sinistra sulla 5th street e si fermò davanti ad un complesso indicato con il nome di National Memorial Museum. Scesero dall’auto e si avviarono verso un largo specchio d’acqua. “Vediamo cosa hai imparato – disse Will al ragazzo. Paolo, che non capiva cosa volesse l’altro, si guardava attorno, cercando di capire perché  lo avesse condotto lì, dove tutto dava un senso di pace e serenità. Poi, all’improvviso percepì un forte dolore, un’ indicibile angoscia, una sensazione  di paura, di freddo. In quel posto era accaduto qualcosa di terribile. L’indiano si accorse subito del cambiamento del ragazzo. “Complimenti. Ora sei anche tu in grado di avvertire l’energia dei luoghi in cui ti trovi. Con il tempo, ti accadrà anche con le persone che ti stanno attorno. Questo è uno dei regali della tua nuova condizione. Sembra un dono ma non lo è. Non ti illudere, a volte sarebbe meglio non possederlo, ti assicuro. –  Poi indicò al ragazzo un punto del giardino e si diresse in quella direzione. Si trovarono in un grande prato nel quale erano state poste numerose sedie, a grandezza naturale. La base era costituita da un cubo di materiale trasparente, all’interno del quale si vedeva una luce accesa. Il resto della sedia era realizzato in bronzo e pietra. “Qui, il 19 aprile del 1995, dei terroristi americani,  organizzarono un attentato devastante. Con l’intento di colpire più agenzie statali possibili, scelsero l’edificio che sorgeva qui, indicato con il nome di ‘ Alfred P. Murrah’, in quanto ospitava tredici uffici governativi. Fu lasciato davanti all’ingresso un furgone con all’interno 3500 chili di esplosivo che, detonando, distrusse quasi completamente il fabbricato, causando 168 vittime e numerosissimi feriti, e danni ingentissimi alle strutture circostanti. Fra le vittime si contarono 19 bambini che si trovavano in un centro diurno, destinato ai figli degli impiegati. Il lago ha le dimensioni e la forma dell’edificio distrutto che ora non esiste più. Ognuna delle sedie è dedicata ad una vittima, il cui nome è scritto nella parte anteriore”. Paolo era molto provato, in quanto mentre l’altro parlava, gli sembrava di vivere i terribili fatti, quasi che fosse stato presente. Aveva percepito l’incredulo dolore dei morti, l’ira e l’angoscia dei feriti, dei sopravvissuti e della intera comunità. Ora però, in quel posto, percepiva una sensazione di relativa pace. Com’era possibile, questa differenza con la sensazione provata poco prima? Al suo dilemma rispose l’indiano. “Questo posto è dedicato alle vittime. Ormai queste sono quasi tutte in pace. Non troverai forti emozioni e sensazioni qui. Ciò che hai percepito prima era la rabbia dei sopravvissuti, dei parenti che non si danno pace, che pensano alla vendetta, alla solitudine, all’ingiustizia delle cose. Imparerai a interpretare sempre meglio ciò che percepirai attorno a te”.”Io non immaginavo tutto questo. Credevo che semplicemente il vecchio ‘Sole Spendente’ mi facesse ritrovare una condizione di equilibrio, di serenità, un modo per ricominciare a vivere una esistenza normale, serena”.”E così era infatti. Ma da quella volta che ti ha incontrato sulla mesa, ad Acoma Pueblo, ha capito che dentro di te c’era qualcosa di speciale e con ciò che è seguito, ti ha proposto una via, un tragitto da seguire, perché, almeno secondo la sua filosofia di vita, sarebbe uno spreco se non lo facessi”.”E non credi che avrebbe dovuto parlarmene, magari chiedere il mio parere. Io non voglio questi doni, o poteri, come li vuoi chiamare, voglio essere solo una persona normale”.”Se pensi di essere diventato diverso, non ti sbagli. Ma per ora questa diversità consiste solo nel permetterti di interpretare le cose che ti accadono intorno, con un atteggiamento tale da uscire quasi indenne da ogni situazione. Di più non ti posso dire, anche perché io non so cosa esattamente ti è accaduto nel villaggio. Ma comunque, se ti aspetti che ci siano altri sviluppi, ti dico subito che ci dovrai riflettere, seriamente e a lungo. – Poi dopo una pausa in cui si coglieva una certa tristezza e rassegnazione  – A me non è più concesso accedere a certi segreti. Non lo merito più. Ho rinnegato la mia natura , me ne sono andato, causando solo dolore a chi mi voleva bene”.”Ma perché è accaduto questo? – chiese il ragazzo, meravigliato che l’altro avesse condiviso con lui quella sofferenza. Ma il momento di confidenza, sembrò essere passato. L’indiano si era rifugiato di nuovo dietro la sua cortina di riservatezza e invitò invece a Paolo a rimettersi in viaggio. Risaliti in macchina, ripresero la 44 che li portò fuori da Oklahoma City e continuarono fino a raggiungere la cittadina di Tulsa a circa 90 miglia. Anche qui era stata raggiunta una certa prosperità, grazie al petrolio, ma le autorità del posto avevano deciso, con successo, di rilanciare l’aspetto turistico dei luoghi. All’accesso, infatti, sulla destra, si poteva osservare un magnifico campo da golf il ‘Page Belcher Golf Course’, un fiore all’occhiello della comunità, dietro al quale si estendeva una grande parco estremamente curato chiamato  Turkey Mountain Park. Superarono il fiume Arkansas e subito l’attenzione di Paolo fu catturata da uno strano monumento che stavano superando sulla destra. I trattava di un enorme paio di mani giunte  in bronzo  che sembravano spuntare dal terreno. Will gli disse che quell’opera  era il simbolo dell’ Oral Roberts Universty, una università protestante ove, insieme ai corsi tradizionali, veniva anche offerta una eccellente formazione teologica. Proseguendo, Paolo notò subito una statua che, pur trovandosi ad una certa distanza, appariva distintamente in tutti i suoi particolari. Will gli spiegò che quella statua, chiamata Golden Driller Statue, era dedicata a tutti i lavoratori del settore del petrolio che avevano concorso con il loro lavoro, la loro energia ed il loro sacrificio, a fare grande lo Stato dell’Oklahoma. Era realizzata in cemento su uno scheletro di acciaio ed era alta 23 metri. Raffigurava un operaio trivellatore, in piedi, a figura intera, con tuta ed elmetto, che poggiava la sua mano destra sulla sommità di una vera torre di trivellazione. Era posta davanti alla sede del ‘Tulsa Expo Center’. Proseguendo, passarono davanti a dei modesti ma decorosi quartieri residenziali, dove, secondo Will, alloggiava gran parte della forza lavoro del posto. Notando che la sua guida procedeva spedita sulla 44, il ragazzo gli chiese se aveva intenzione di fermarsi da qualche parte, prima o poi, o se non ci fosse più nulla che valesse la pena di vedere. “Di cose da vedere ce ne sono tantissime, naturalmente – rispose la guida – ma il punto è cosa vuoi fare tu ora. Apparentemente il tuo scopo l’hai raggiunto. Io ti avevo detto che il viaggio avrebbe richiesto da 15 a 20 giorni ed ora ne sono passati 17. Da qui Chicago dista circa 600 miglia. Ci possiamo essere per domani sera. Quindi ti ripeto, cosa vuoi fare?”.”Quando ho intrapreso questo viaggio, chiaramente non avevo idea di cosa mi aspettasse e se devo essere sincero, sapendo cosa mi sarebbe successo, non so se sarei mai partito. Ora sono contento di averlo fatto. Tu, che indubbiamente conosci il tuo mestiere, mi hai mostrato un lato poco conosciuto dell’America. Mi hai fatto incontrare delle persone particolari, alcune addirittura speciali. Ora, io credo che dovrei continuare a guardarmi intorno, prima di terminare il mio tragitto. Sono sicuro che c’è ancora tanto da vedere ed io voglio approfittare al massimo di questa occasione. In realtà, non ho nessuna fretta di tornare in Italia ma capisco che tu abbia i tuoi impegni. Tu, con questo lavoro ci campi, ed io non posso chiederti di dedicarmi ancora altro tempo”.”E’ vero che con questo lavoro ci campo, ma non vivo solo di questo, stai tranquillo. So bene che quando parto per uno dei miei viaggi, può sempre accadere qualcosa che altera i piani. Sto bene insieme a te. Quindi, dimmi cosa vuoi vedere ancora ed io ti ci porto”.”Mi fido di te. Andiamo avanti e ricordati, comunque che il vecchio sciamano ha detto che devo ancora affrontare qualcosa di importante”.”Onestamente questo mi inquieta un po’, anche perché io non saprei come aiutarti. Ma sono sicuro che quando questo accadrà, saprai come reagire”.  Continuarono nel loro tragitto sul tracciato della 66 superando piccole cittadine con i nomi di Catoosa, Foyil, Vinita. “In tutte queste comunità c’è qualcosa di curioso, d importante, bello ma nessuna, a mio giudizio, è meritevole di una deviazione – iniziò a spiegare l’indiano – Certo, ognuna ha creato un museo relativo alle sue origini, alla storia della 66, a qualche elemento in particolare come locomotive, auto, motociclette. Insomma qualsiasi cosa possa interessare i turisti che le attraversano. L’unica cosa che, secondo me, qui ha certa importanza, è che dalla cittadina di  Vinita in avanti, si possono cominciare a trovare testimonianze e monumenti?? relativi alla guerra civile americana. Superarono ancora un’altra cittadina, Miami, ben diversa dalla sua omonima più famosa, e poi si trovarono nello stato del Missouri. Percorse poche miglia, raggiunsero la cittadina di Joplin. Will lasciò la 44 voltando a sinistra e dopo un paio di chilometri, giunsero in un posto bellissimo, chiamato Grand Falls. Al di là di un’area adibita a parcheggio, si estendeva una zona pietrosa e  sconnessa che permetteva di accedere al  torrente  Shoal Creek. In quel luogo il corso d’acqua era molto largo, ma poco profondo. La caratteristica del posto era costituita da una serie di cascatelle. Sulle rive si vedevano diverse zone al riparo di alberi e cespugli. Will scaricò dal pickup il necessario per accendere la griglia. In seguito, dal piccolo frigo del mezzo, trasse due bei pesci gatto. “Mentre tu eri occupato con i tuoi impegni, io mi sono concesso un po’ di riposo e il Lawtonka Lake è stato piuttosto generoso con me. Questi sono gli ultimi superstiti”.”Spero che tu non li abbi adescati con quella roba puzzolente, perché allora la carne ne sarà rimasta ‘intossicata’”. L’indiano, preso con le operazioni per preparare la graticola, preferì non rispondere. Quando la brace fu pronta, ci mise sotto delle patate che aveva preparato, e sulla griglia mise  i pesci da cuocere. Un appetitoso profumo si sparse nell’aria e Paolo si accorse all’improvviso di avere veramente fame. Il pranzo fu annaffiato dalle solite birre, spuntate come per magia, al momento giusto. Alla fine, mentre Will ripuliva tutto e toglieva il campo, il ragazzo rimase seduto, sulla riva, appoggiato al tronco di un albero, con lo sguardo  perso sulle cascatelle, che avevano in qualche modo catturato la sua attenzione. Gli sembrava di percepire, nel movimento caotico e tortuoso dell’acqua che scorreva sotto i suoi occhi, una sorta di disegno, di schema unico che sembrava volergli fornire degli indizi, da interpretare. “Stai attento che quell’acqua ha il potere di ipnotizzare – gli disse l’indiano che era andato a sedersi accanto a lui – Ora ti renderai conto che sei in grado di percepire molti segnali dal mondo che ti circonda. Un corso d’acqua, un banco di nuvole, i disegni della corteccia di un albero, i raggi del sole che attraversano una cortina di foglie. Cose così, insomma. E’ la tua mente, in realtà che ha imparato a concentrarsi sugli elementi, per ottenere delle risposte a proposito di qualcosa che cerchi”.”Ne ho di strada da fare, vero?”.”Da quello che so, il più l’hai fatto. La prova che hai affrontato, di solito, viene proposta a persone che seguono gli insegnamenti di qualche sciamano almeno da sette, otto mesi e invece tu hai avuto solo tre giorni. – Poi dopo una breve pausa – E’ stato difficile, vero?”.”E’ stato terribile. Ed  ancora mi chiedo se è accaduto veramente. Un incubo. Ma quello che è più strano, è che dopo quella prova, in realtà ho dormito magnificamente. Cioè la paura, lo stress, non mi hanno apparentemente lasciato strascichi”.”La prova stessa ti ha riequilibrato ed ha tolto le ombre che non ti davano tregua. E non dimenticare che ora hai degli alleati che saranno sempre con te. Se vorrai ottenere la loro massima collaborazione, impara a meditare, chiamandoli e parlando con loro. Fai loro delle domande e quasi certamente avrai le risposte di cui hai bisogno”.”Questo non lo sapevo. Ma lo proverò senz’altro”.”Di certo il vecchio avrà pensato che questa cosa avrei potuto suggerirtela io. A lui premeva intervenire sulla questione più urgente. Si era accorto che non avevi più molto tempo per uscire dalla tua situazione”.”A volte penso che abbia agito  troppo di fretta. E se io non avessi reagito come sono riuscito a fare? Che sarebbe successo?”.”Ha rischiato, certamente. Ma ha capito di poterlo fare. Io stesso mi sono reso conto che avevi qualcosa di speciale, dopo quello che è accaduto nella caverna sotto al faro, quando si è manifestato il tuo animale totem. L’unica cosa che ti posso consigliare, comunque, è che quando ti metterai in contatto con i tuoi alleati, disponi intorno a te, per terra o dove ti trovi, tutti gli elementi che porti nel tuo sacchetto. Formeranno un cerchio energetico che ti consentirà di entrare in perfetta sintonia con loro. Ed ora, andiamo, dobbiamo ancora fare un po’ di strada prima di stasera”. Detto questo. L’indiano si alzò e si avviò deciso verso la macchina, segno che per il momento, per lui, il discorso era chiuso e al ragazzo non rimase che seguirlo. “Che posto magnifico! – commentò  quando furono ripartiti – E che senso di pace anche qui”.”In realtà io non mi lascerei incantare dalle apparenze - rispose la sua guida – Il clima di questo stato, a causa delle caratteristiche del territorio, è soggetto a rapidi e intensi cambiamenti, specie in questa stagione. E proprio qui, a Joplin, nel 2011, un terribile tornado devastò la cittadina e tutti i dintorni. Speriamo di non incontrare il maltempo  o saremo nei guai”. Mentre procedevano verso Springfield, distante circa 60 miglia, l’indiano ricordò a Paolo che il territorio del Missouri era in origine di proprietà dei Francesi che lo cedettero contestualmente alla Louisiana nel 1800. Quando furono in vista di Springfield, Will lasciò la strada, prendendo a sud sulla 360 e procedette per una decina di miglia, fino ad arrivare a quello che a prima vista sembrò al ragazzo un parco, con un centro visitatori all’ingresso. Poi, guardando meglio, si accorse che quello era più che altro un piccolo museo, ed esattamente un memoriale per ricordare una battaglia che vi si era svolta. Si trattava della battaglia di Wilson Creek, dal nome del corso d’acqua che attraversava quella zona. “Questo è un posto importante – esordì Will – Qui si sono scontrate le due fazioni, Nord e Sud, durante la Guerra di Secessione. Un Sud ancora forte e pieno di risorse, contro un Nord che andava consolidandosi nell’Unione”. Davanti a loro c’era l’edificio del piccolo museo ma l’indiano indicò a Paolo il vasto spazio davanti a loro. Il campo di battaglia dove si era svolta l’azione, era interamente visibile da dove si trovavano. Dall’altro lato del vasto campo, si vedeva un piccolo edificio in legno, una fattoria, che era l’unica costruzione dell’epoca rimasta ancora in piedi. “Da quella casa – iniziò a raccontare la guida – il proprietario, un agricoltore di nome John Ray, vide letteralmente tutto lo svolgersi degli eventi dalla veranda di casa sua, mentre la sua famiglia si era rifugiata in cantina al sicuro. In effetti, durante lo scontro che si protrasse per circa un giorno e mezzo, vennero impiegate da ambo le parti anche due batterie di cannoni che fecero molti danni e causarono tante vittime. Per anni, si continuarono a trovare reperti di ogni genere, finchè la comunità locale, in segno di rispetto per il luogo, non proibì a tutti di ricercare spoglie della battaglia. Attualmente l’uso dei cercametalli in questo posto e severamente vietato a chiunque”.”Ma come sono capitati a combattere in questo posto? Cos’ha di importante?”.”Nulla. Ma il generale dell’unione Nathaniel Lion,  il 10 agosto del 1861, valutò di avere davanti delle forze sudiste non ancora ben organizzate e così ritenne di poter ottenere una facile vittoria. Purtroppo una valutazione errata delle forze in campo, degli sfortunati eventi e alcuni errori tattici piuttosto seri, resero invece lo scontro durissimo e incerto fino alla fine. Ora seguimi”. E così dicendo, si diresse verso un sentiero che costeggiava il campo. Seguendo il tracciato con attenzione, specie per dei grossi cespugli di edera velenosa, disseminati per tutta l’area, giunsero in uno spiazzo. “Se guardi verso destra – disse Will al ragazzo – puoi vedere ancora una batteria di cannoni che fu usata dai nordisti. I cannoni sudisti sono dalla parte opposta. Il giorno della battaglia la fattoria dei Ray, si trasformò in un ospedale da campo. All’inizio, ad uso dei nordisti ma con il procedere del macello, vi furono portati tutti i feriti che potevano essere salvati. In realtà, per la scarsità di medicinali, per lo scarso personale medico disponibile e la gravità delle ferite, molti morirono”. Poi indicò un cippo che emergeva dal terreno al centro dello spiazzo. “In questo punto preciso, venne ferito il generale Lyon, che, a causa della serietà delle lesioni riportate, il giorno seguente, morì. Là – e indicò un grosso tumulo sul bordo dello spiazzo – c’è la Blood Hill, nella quale hanno trovato sepoltura quaranta soldati caduti. Alla fine i nordisti si ritirarono verso Springfield lasciando il campo agli avversari. I Sudisti dichiararono di aver vinto lo scontro ma in realtà subirono anche loro delle perdite ingentissime”.”Fu una vera carneficina. Americani che combattevano contro Americani. Membri della stessa famiglia schierati su fronti opposti. Quanta violenza inutile, a che cosa è servito?”.”Eppure gli Americani continuano a celebrare questi eventi. Ostentando bandiere, decorazioni, stendardi. Ogni anno, fra il 9 e il 15 agosto, in questo luogo, come in altri, si ricostruiscono le battaglie. Si presentano le persone in costume d’epoca, alcuni addirittura con le armi che furono usate nella realtà, e sotto la regia di un gruppo di esperti,  replicano le fasi della battaglia punto per punto. Per fortuna che le armi, i cannoni,  i moschetti, le pistole, sono caricati a salve, ma durante gli scontri sono rivolte direttamente contro gli avversari”. “Si, lo sapevo, ho visto dei documentari in cui si descrivevano queste iniziative e anche la puntigliosità con cui si curano i particolari. Credo che per molti dei partecipanti, sia solo un gioco, un gioco di ruolo e non si rendono conto di esaltare un momento tragico della storia americana”.”Complimenti – disse Will – credo che fino a una quindicina di giorni fa, il tuo giudizio sarebbe stato molto più severo, tipo cha la gente non impara mai, che la violenza ce l’ha nel sangue. Vedo che cominci a cambiare e forse lo sciamano aveva ragione”. Paolo non rispose ma sentiva che l’indiano aveva centrato il problema. Si sentiva cambiato, capace di guardare le cose con un’ottica diversa, più tollerante. Il tempo era volato ed il sole iniziava a calare. “Vieni – disse l’indiano – Andiamo via. Abbiamo ancora un po’ di strada da fare e poi non è consigliabile trovarsi in questi luoghi col buio. Nella tenebre in questi luoghi si agitano forze tenebrose e anime che non hanno ancora trovato pace”.”Vuoi dire che credi ai fantasmi? Io ho passato molte notti sui campi di battaglia e non ho mai visto nulla del genere, ti assicuro”.”Meglio per te – disse asciutto l’indiano e, risoluto, riprese la via per il parcheggio. Giunsero nell’abitato di Springfield che era orami passato il crepuscolo. Anche in questa cittadina, si vedevano  molte luci appartenenti a locali di intrattenimento, alberghi, motel, ristoranti. Paolo però notò anche moti cartelli e insegne che pubblicizzavano parchi e attrazioni naturali. “La scelta della popolazione locale – spiegò l’indiano – è caduta su attrazioni naturali. Devo dire che è stata una scelta che alla distanza sembra aver ripagato gli abitanti, sia per quanto riguarda la loro qualità della vita, sia per quanto riguarda il turismo. Ci sono dei bellissimi parchi, un fantastico circuito per il golf, un acquario enorme, conosciuto in tutto lo Stato ed altre attrazioni. C’è un bioparco all’avanguardia e altre sorprese che magari ti mostrerò più tardi. Ora però, sistemiamoci per la notte”. Al centro della cittadina, Will girò verso sud per la Gledston street e percorsi circa 500 metri, entrò nel parcheggio di un albergo, il Dogwood Park Inn. Dopo aver affittato una camera e aver sistemato lo scarso bagaglio, l’indiano disse al ragazzo che sarebbero andati a cenare in un locale di fronte, per prima cosa per risparmiare e poi perché avrebbero dovuto tenersi leggeri per la visita che avrebbero fatto successivamente e sulla quale l’indiano mantenne il segreto. Paolo intanto aveva notato che la stanza che avevano occupato aveva un solo letto, segno che l’indiano, come al solito, avrebbe dormito altrove. Forse per risparmiare o magari aveva anche lì chi lo avrebbe ospitato per la notte. Sotto quel punto di vista ormai dalla sua guida si aspettava di tutto. Di fronte all’hotel c’era una filiale della Panda Express. All’interno, un ambiente abbastanza confortevole, adatto per famiglie e, almeno a quell’ora, abbastanza tranquillo. Will insistette per far assaggiare al ragazzo il pollo fritto che diceva essere eccellente. Ed effettivamente tale si rivelò, con stupore di Paolo che aveva pensato ad un prodotto più commerciale. Egualmente gustose si rivelarono le patate cotte in diversi modi e l’abbondante insalata con i più vari ingredienti servite assieme al pollo. Alla fine della cena, Will guidò il ragazzo verso la misteriosa meta che aveva annunciato. Paolo aveva notato che andando via, un addetto aveva consegnato al suo compagno un sacchetto di carta con qualcosa dentro, che l’altro si era messo in tasca e ritenne che l’indiano si fosse fatto dare il necessario per uno spuntino di mezzanotte. Procedendo verso sud, giunsero in uno spazio verde che si estendeva a vista d’occhio, almeno per quanto consentiva di vedere l’illuminazione artificiale. Una grossa insegna indicava che erano arrivati al ‘Springfield Green County Botanical Center’. Entrarono nel parcheggio e, lasciata l’auto, si incamminarono per un largo viale . L’atmosfera era molto particolare perché la sapiente illuminazione metteva in evidenza degli aspetti fantastici della vegetazione. Le luci, di diversi colori facevano risaltare particolari dei cespugli, dei fiori e degli alberi. Già prima di raggiungere la meta, Paolo aveva cominciato a percepire una strana, diversa energia nell’aria e poi si trovò davanti l’ingresso del ‘Mitsumoto Japanese Garden’. L’indiano pagò il prezzo dell’ingresso e condusse il ragazzo in quella che si rivelò un’oasi particolare. Una scenografia sapientemente e minuziosamente studiata aveva consentito di replicare un classico giardino giapponese. Un imponente salice riceveva gli ospiti per i quali erano predisposti diversi passaggi fra le aiole. Nei prati erano collocati artisticamente cespugli fioriti. C’erano piante di azalee ancora non fiorite e ginepro. Molti alberi di diversa natura e misura fiancheggiavano i percorsi. Si vedevano degli aceri rossi, degli olmi, dei cipressi Hinoki, delle piccole querce giapponesi e altre piante di cui Paolo ignorava il nome. Un magnifico esemplare di ginko biloba apriva la strada ad un giardino Zen. Will condusse il ragazzo verso un ampio laghetto attraversato da un pontile e da un ponte lunare classico. Si fermarono sul ponte e l’indiano spiegò che quello su cui si trovavano era un lago Koi. Si trattava di un lago particolare, realizzato allo scopo di ospitare dei pesci speciali, ossia le famose carpe Koi. Paolo non aveva mai viste ma ne aveva sentito parlare da alcuni suoi colleghi. In Giappone erano considerate come il simbolo del guerriero, di colui che non si arrende alle avversità e lotta con tutte le sue forze per raggiungere gli scopi che si è prefisso. Ciò è dovuto al fatto che questo robusto pesce nuota tranquillamente controcorrente e raggiunge comunque le sue mete. Lo specchio d’acqua che le ospita deve essere particolarmente curato, più per tradizione che per necessità, essendo la carpa comunque un pesce resistente.  E’ importante però che l’acqua sia limpida per consentire di osservare i fantastici colori dei pesci. Inoltre sulle sponde vengono poste lanterne realizzate in granito e spesso anche dei bonsai. “Per prima cosa – disse Will – devi guadagnarti il favore degli spiriti del giardino”. Tirò fuori dalla tasca il sacchetto di carta che aveva preso al ristorante e, dopo averlo aperto, lo consegnò al ragazzo che si rese conto che conteneva solo delle briciole di pane. Capì subito a cosa serviva e iniziò a svuotarlo nell’acqua del laghetto che immediatamente si animò di mille spruzzi e colori, mentre i numerosi pesci cercavano di accaparrarsi un po’ di cibo. Paolo notò che alcuni esemplari erano veramente grossi e dovevano avere un grandissimo valore. Una volta ‘ben disposti gli spiriti’, come diceva Will, Paolo fu condotto di nuovo verso il giardino Zen. La luce ed i colori creavano un’atmosfera speciale. Di giorno doveva essere bellissimo ma di notte, nel silenzio, nella tranquillità, si percepiva l’ atmosfera di magia che la natura è in grado di suscitare quando viene assecondata e rispettata. Una magia che derivava dall’energia della terra che in quel luogo fluiva in modo  libero, intenso e che  Paolo ora era in grado di percepire, sempre di più.  L’indiano lo aveva condotto ad un basso sedile di pietra posto davanti al giardino, gli aveva fatto cenno di sedersi e poi si era allontanato. Paolo osservò il terreno,  illuminato, che aveva davanti. Un vasto riquadro di terreno  rettangolare. Al centro, un basso pino bianco giapponese, con attorno una zona di erba e muschio. Tutto il resto dell’area era coperto da uno strato spesso di sabbia, dalla quale spuntavano qua e là, delle rocce, di forma e dimensione diversa,  sapientemente disposte. Sulla sabbia erano stati realizzati dei tracciati a formare un complesso disegno, in grado di catturare l’attenzione di chi lo osservava nel modo giusto, e di guidarlo in una giusta condizione mentale. Il giovane si sentiva veramente bene. Era contento di essere in quel posto e ebbe l’impressione che il tempo si fosse fermato, di essere su un piano di realtà diverso. Quasi senza rendersene conto, trasse dalla tasca la borsa che gli aveva regalato lo sciamano e tastò con delicatezza il contenuto. Poi, dopo averla aperta, cominciò a tirare fuori i vari oggetti e a disporli attorno a lui. L’ultimo oggetto che prese fu l’ “acchiappasogni” che aveva trovato sul suo giaciglio prima gi lasciare il villaggio indiano. Gli parve di sentirlo vibrare e con delicatezza lo depose al centro degli altri oggetti. Poi, dopo aver chiuso gli occhi, iniziò a respirare come aveva imparato a fare e lentamente percepì una trasformazione. Iniziò a sentire suoni leggeri e provenienti da lontano, praticamente, la vita stessa del giardino. Gli giunsero odori e profumi da ogni direzione ma egli riusciva ad isolarli e valutarli singolarmente. Sentì la brezza sulla pelle del viso e poi all’improvviso, si trovò davanti il suo amico delfino. “Ce ne hai messo del tempo a chiamarmi – questi gli disse – Lo sai, vero, che io sono sempre con te”.”Si, lo so – rispose Paolo, tranquillo come se quel colloquio fosse una cosa naturale – ma  ho bisogno di tempo per elaborare ciò che mi è accaduto. E per lo più cerco risposte”.”Forse alcune posso dartele io, se mi fai le domande giuste. Ora però ricordati di ciò che ti ha detto Sole Splendente. Prima che tu lasci questo Paese, tu sarai chiamato a sostenere una prova estrema, che metterà in forse tutto il cammino che hai fatto fino ad ora. Stasera sono venuto solo io, ma ricordati di tutti gli altri amici che sono sempre a tua disposizione. E ricorda cosa rappresentano per te”. Dette queste parole, l’animale lentamente si dissolse. Il ragazzo gradatamente, riprese contatto con la realtà. Lasciò passare ancora qualche minuto e poi raccolse i suoi oggetti e con grande rispetto li ripose nella borsa. Ai piedi della panca su cui era seduto, notò un piccolo sasso nero, un’ossidiana, e, sicuro che non fosse li per caso, la raccolse e la ripose assieme agli altri. L’avrebbe aiutato a tornare con la mente in quel posto ogni volta che avesse voluto. Si guardò attorno e non vide il suo compagno che certamente, per non disturbarlo era andato ad attenderlo altrove. Quasi senza pensarci, il ragazzo si limitò ad estendere le sue sensazioni e percepì una presenza nella zona della casa da tè. Si diresse subito in quella direzione e solo mentre camminava si rese conto di cosa aveva fatto. Rimase interdetto e raggiunse Will che effettivamente lo attendeva dove lui aveva sentito. In silenzio lasciarono quel posto speciale per tornare in albergo. Paolo aveva notato che dopo quelle esperienze, l’indiano rispettava con grande attenzione il suo silenzio, di certo perché capiva a fondo i processi che accadevano nella sua mente ed era giusto non interferire con osservazioni o domande irrilevanti. Rientrato nella sua camera dove la  guida l’aveva lasciato, riconsiderò la sua esperienza nel giardino Zen, poi sentì la necessità di riprendere  la piccola ossidiana. E con quella nella sua mano, mentre ne esplorava le superfici e la forma,  tranquillamente si addormentò.
                                                                                     XVIII° Giorno
La mattina seguente come al solito, Will bussò di buon’ora alla porta della camera del ragazzo. Questi si svegliò dopo diversi tentativi da parte del suo compagno di viaggio. Mentre si alzava, Paolo si accorse della piccola pietra nera che ancora stringeva nella sua mano destra. Dopo averla riposta assieme alle altre, si rese conto che negli ultimi giorni si svegliava riposato e pieno di curiosità per ciò che sarebbe avvenuto durante la giornata. Bisognava vedere se tutto ciò sarebbe durato anche una volta tornato al suo mondo  di tutti i giorni. Quando raggiunse l’auto  della sua guida, dalle condizioni del terreno capì che doveva aver piovuto molto durante la notte ed effettivamente solo il suo sonno profondo gli aveva impedito di sentire i tremendi tuoni e gli scrosci di pioggia che si erano succeduti per diverse ore. Ripresero il loro tragitto mentre grosse nuvole solcavano il cielo. Da quando erano partiti  da Los Angeles, era la prima volta che avevano incontrato la pioggia. Ma Will l’aveva detto che in quella regione la situazione atmosferica mutava così, all’improvviso, e a volte, il maltempo raggiungeva livelli di intensità estremamente alta. Sorpassarono Libanon, una cittadina  apparentemente simile a tante altre che si erano lasciati dietro durante il loro lungo tragitto. L’unica cosa che Will fece osservare  era l’insegna di un vecchio motel, il Murger Moss Motel, dicendogli che era storica e conosciuta da tutti coloro che percorrevano la 66 in quel tratto. Effettivamente era una grossa insegna  vintage con un fondo rosso ed una grossa freccia gialla al neon che indicava la posizione del motel. Quando raggiunsero, dopo circa una mezz’ora, la cittadina di Winesville, aveva ricominciato a piovere. Will disse che in questa cittadina, a suo giudizio, sarebbe valsa la pena di visitare il Polaski Country Courthouse Museum perché era stato realizzato nella sede del tribunale che consisteva in una costruzione d’epoca in mattoni, perfettamente conservata e perché, oltre a mostrare ai visitatori molti reperti relativi alla Guerra di Secessione, conteneva un ampio spazio, dedicato alla deportazione degli indiani verso ovest, in quella che i medesimi pellerossa avevano definito la ‘via delle lacrime’. Mentre procedevano sotto la pioggia che aumentava sempre di più di intensità, Paolo ebbe modo di notare come il paesaggio attorno a loro stava gradatamente mutando. Restava per lo più pianeggiante, come quello dell’Oklahoma ma si vedevano sempre più estese zone boscose, con alberi alti e fitti. La pioggia intensissima, li obbligò a fermarsi nella cittadina di Cuba. Will disse che non era più sicuro procedere in quelle condizioni e così, lasciata la 66, si diresse verso il centro dell’abitato. “Visto che siamo qui, tant’è che ti porto a visitare la maggiore attrazione del luogo”. Raggiunta la Main St, procedette per qualche centinaio di metri e poi curvò sulla N Smith  st, infilandosi in mezzo  a basse costruzioni, attraverso delle strade piuttosto strette. La prima cosa che colpì il ragazzo era che in quel posto era tutto estremamente pulito ed in ordine. Poi cominciò a vedere sui muri delle case dei murales fantastici. Qualcuno era palesemente d’epoca ma altri, invece, certamente recenti. Alcuni si riferivano ad episodi della guerra civile, altri alla seconda guerra mondiale ma in generale i vari artisti si erano ispirati ai soggetti più strani e diversi. I colori erano bellissimi, molto vivi ed era un piacere starli a guardare. Davanti ad alcuni c’erano montate ancora delle impalcature e l’indiano gli spiegò che il lavoro era in perenne svolgimento e il numero delle opere aumentava di continuo. Certamente in quel momento non c’era nessuno al lavoro per via della pioggia. Alcuni murales erano così sapientemente inseriti nella realtà e realizzati con tale credibilità da sembrare veri scenari  della vita quotidiana con personaggi a passeggio, esercizi commerciali con clienti in attesa sulla porta…. A Paolo ricordarono un po’ i murales che aveva visto a Tucumcari. Pur sapendo che erano trascorsi solo pochi giorni, gli sembrò che la cosa fosse accaduta molto tempo prima. Naturalmente questo per l’eccezionalità e l’intensità delle cose che gli erano accadute nel frattempo. Si rese conto che effettivamente ora era in grado di osservare le cose che lo circondavano con maggiore attenzione, notando delle particolarità che prima gli sarebbero certamente sfuggite. Il tour era stato veramente bello e interessante e Will l’aveva effettuato senza fretta, tanto con quel maltempo non avrebbero potuto certo fare altro. Erano circa le 11.00, quando Will, lasciata la Main St per una traversa, la St Lauren St, si fermò davanti ad un piccolo fabbricato in legno bianco che ospitava i locali del Shelly’s 66 Cafè. Si misero seduti ad uno dei tavoli a parete. L’arredamento non era niente di speciale. Tavoli con piano in formica marrone, sedie in vilpelle grigia, un bancone realizzato su un muretto celeste e poi alle pareti tanti quadri e foto che si rifacevano alla 66. Su un’intera parete a fondo chiaro, era riportato, con una spessa striscia rossa, il tracciato dell’intera strada in scala, con l’indicazione dei punti di maggiore interesse. L’indiano aveva portato li il suo compagno per decidere il da farsi. Ora l’intensità della pioggia era molto diminuita e la tappa prevista, ossia St Louis,  si trovava a non più di 80 miglia. Il piano originale era stato all’inizio, quello di raggiungerla  per il pranzo e poi, organizzato il pernottamento, sarebbero andati un po’ in giro a vedere ciò che il posto offriva. Ora la pioggia, con un bollettino che affermava essere intensa ma passeggera, metteva tutto in dubbio. Essere colti per la strada da un diluvio non era auspicabile, in quanto ci sarebbero stati molti elementi di rischio che Will non voleva assolutamente far correre ad un cliente. Così disse , ‘un cliente’. E Paolo, pur senza dare eccessivo peso alla cosa, ne fu dispiaciuto. Chissà perché, aveva pensato che con l’indiano si fosse instaurato un rapporto diverso, quasi amichevole. Ma rimaneva il fatto che nel contratto che avevano stipulato, Will aveva comunque la responsabilità degli spostamenti e davanti a queste questioni, non poteva fare eccezioni. Intanto si erano fatti portare del caffè  e delle ciambelle ma soprattutto Will si era fatto portare un piatto di dolci alla cannella che erano la ‘specialità della casa’. Erano veramente buoni e alla fine, fra tutti e due, li avevano letteralmente divorati. Ora dovevano decidere se restare lì o azzardare la partenza verso St Louis. Effettivamente c’era la possibilità di fermarsi in altri posti lungo la via, ma l’indiano fece capire che avrebbe preferito evitarlo, senza  però fornire un valido motivo. Quando verso le 13.30, l’intensità della pioggia sembrò diminuire, decisero di partire. Fino a Bourbon, furono infastiditi solo da una pioggerella rada ma continua che copriva di umidità l’interno dell’auto, tanto che Paolo era costretto, ogni tanto, a ripulire i vetri per consentire una certa visibilità della strada al  compagno. I problemi iniziarono all’altezza di Villa Ridge, a circa 15 miglia di distanza. Il traffico iniziò a rallentare, mentre la pioggia cadeva a catinelle , al punto da rendere quasi inutile l’efficacia del tergicristalli e costringendo i guidatori ad aprire i finestrini, per vedere dove andavano, con la conseguenza che l’acqua entrava nell’abitacolo delle macchine a torrenti, infradiciando l’interno dei mezzi e i viaggiatori. Era ineluttabile, che a quel punto, qualcuno causasse un incidente ed era di certo ciò che era accaduto da qualche parte, molto davanti a loro. Il traffico ora era fermo e si intravedevano, da molto lontano, i lampeggianti, di qualche mezzo di soccorso che stava prestando aiuto alle auto coinvolte nell’infortunio. Avanzarono a passo d’uomo, si erano fatte quasi le 16.00 ed il sole aveva cominciato a tramontare. St Louis, a quel punto, sembrava lontano anni luce. Will iniziò a dare chiari segni di inquietudine, quando giunsero all’altezza di due pattuglie della polizia stradale che invitavano le auto, con modi piuttosto bruschi, a lasciare la 66 per immettersi in una strada laterale,  W. Osage St, che, a loro dire, costeggiava più o meno la 66 per riunirsi, poi, all’altezza di  Allinton. L’indiano, suo malgrado, non ebbe altra scelta che obbedire agli agenti, anche se si capiva che accettava quest’ordine solo perché non poteva rifiutare. La strada era a due corsie, abbastanza in buono stato ed il traffico vi scorreva veloce, forse troppo, viste le condizioni del tempo. Probabilmente era la reazione degli automobilisti al fatto di essere rimasti bloccati, perché non vedevano l’ora di raggiungere le loro destinazioni, in particolar modo perché parecchi di loro, erano bagnati fino alle ossa. Paolo, notato il crescente nervosismo del suo compagno, cercò di farsi spiegare il motivo di tale comportamento. L’indiano all’inizio, negò ma dietro l’insistenza del ragazzo alla fine disse: “Questo è un brutto posto. Un posto di energie nere. Qui si muovono anime di defunti inquieti. Ho già sperimentato il loro effetto ed è stato terribile”. Il ragazzo, a quelle affermazioni, rimase muto e sconcertato. La sua guida aveva paura degli spiriti che, a suo dire, infestavano quella zona. Ora, data la sua nuova sensibilità, anche lui avrebbe dovuto percepire qualcosa di sgradevole, di oscuro ma non percepiva nulla e lo disse alla sua guida. “Non percepisci nulla perché intanto le tue capacità si stanno ancora affinando – rispose l’altro – e poi si tratta di esseri subdoli, capaci di celarsi per colpire al momento opportuno con tutta la loro forza. Ma io so che ci sono perché li ho sentiti quando sono passato di qua tanto tempo fa, durante le mie esplorazioni, quando ero appena un ragazzo”. “Va bene, ma che ti possono fare, a parte spaventarti?”.”Tu non sai tutto della mia religione. Non avevo nessun interesse a parlarti dei lati negativi che ci si possono trovare. Non volevo provocare nella tua mente più confusione di quella che già avevi. – l’indiano parlava sempre tenendo d’occhio la strada come se si aspettasse di vedere qualcosa da un momento all’altro – Alcuni uomini medicina, prendono una strada sbagliata e danno vita a tutta una serie di eventi terribili e spesso incontrollabili. Ma fra le cose più terribili che riescono a fare, quando diventano estremamente potenti, sono in grado di rubare l’anima di quelli che incontrano. Al momento della loro morte, la scambiano con la loro e così possono tornare dal mondo dei morti tutte le volte che vogliono”.”Ma tu credi davvero a queste cose? – chiese il ragazzo sconcertato e forse un po’ suggestionato dal nervosismo dell’altro. “Io non ci voglio credere ma ho visto cattivi stregoni ed ho visto accadere cose terribili. Ed è per questo che io…. – si interruppe di colpo, come rendendosi conto che stava per dire qualcosa di troppo. Paolo ora era piuttosto nervoso. I racconti della sua guida, i lampi ed i tremendi tuoni che avevano cominciato a squassare la zona. Il vento che scuoteva i lunghi rami degli alberi, come braccia nel buio. Insomma c’era tutto il necessario per contribuire a creare un’atmosfera di terrore, che si trasformò in panico quando un fulmine colpì un albero al lato della strada, poco più avanti a loro. Magari, in condizioni normali, Will sarebbe riuscito a mantenere il controllo del mezzo, ma ora, per il  nervosismo, l’intensità della pioggia, la scivolosità del manto stradale, perse il controllo del mezzo e dopo una lunga sbandata, finì fuori strada. In quel punto al lato della carreggiata, c’era un tratto in forte pendenza. Il pickup ci finì quasi di traverso e solo la riacquistata abilità di guida di Will evitò che si rovesciassero. Alla fine, fra sobbalzi e  scossoni, al termine del tratto in pendenza, il mezzo si arrestò ed il motore, con un ultimo sussulto si spense. Ci fu un lungo silenzio nell’abitacolo. Un periodo di tempo che servì a tutti e due ad accettare ciò che era successo. Lo spavento, l’uscita di strada, la corsa folle e precaria sul pendio, la speranza di essere tutti interi. Si sentiva il respiro degli occupanti intenti a recuperare uno stato di normalità accettabile, fra la  serie di scricchiolii del motore che si freddava e lo scrosciare della pioggia all’esterno della cabina. Fu l’indiano il primo a riprendersi e subito chiese a Paolo: “Come stai? Ti sei fatto niente?”.”Non credo – rispose il ragazzo, come uscito da una sorta di torpore – E tu?”. “Niente, per fortuna. Ma credo che siamo in un guaio. Aspetta qui”. E sceso dal mezzo, iniziò ad analizzare la situazione. Erano scivolati per la scarpata per almeno 25 metri ed erano finiti fra gli alberi del bosco che costeggiava la strada. Nessuno, dall’alto li avrebbe potuti vedere. Per fortuna non avevano urtato nessun tronco. Il pickup, apparentemente era integro e sarebbe dovuto ripartire. Era andata veramente bene tutto considerato. Era però arrabbiato con se stesso perché convinto che fosse solo colpa della sua paura e della sua superstizione se ora si trovavano in quel guaio. Quello era un posto brutto e pericoloso. Anni prima, passando di lì, mentre esplorava quei boschi, aveva intercettato una situazione di energia oscura, cattiva e pericolosa. Era fuggito in tutta fretta e da allora passando di lì, non aveva mai, per nessun motivo lasciato il tracciato della 66. Ma ora, questo. Doveva andare via al più presto e portare via il ragazzo. Risalì in cabina completamente fradicio di pioggia ma determinato ad andarsene prima possibile. Disse rapidamente  che era tutto a posto e rimise in moto il pickup il cui motore ripartì quasi subito. Quando però provarono a risalire la scarpata, scoprirono l’erba bagnata ed il fango non permettevano una adeguata presa  ai pneumatici che slittando rischiavano di far ribaltare il mezzo. Alla fine,  dopo tanti tentativi, Will fu costretto a spengere il motore, mentre si avvertiva un gran puzzo di frizione bruciata. Durante i vari tentativi, si erano comunque spostati dal luogo dell’incidente ed ora si trovavano in una zona apparentemente diversa, come una piccola radura, dove gli alberi non erano cresciuti. “Dovremo aspettare che smetta di piovere – disse rassegnato l’indiano. “Ma scherziamo? – disse il ragazzo – siamo bagnati fradici, l’abitacolo è pieno d’acqua. Ci prenderemo un accidente. Possibile che non ci sia nessuno qua intorno?”.”Dammi retta, è meglio così”. Alla luce di una serie di lampi che illuminarono per alcuni secondi la zona quasi a giorno, Paolo credette di scorgere, a breve distanza, la sagoma di una costruzione. “Guarda là – disse al suo compagno – una casa, che ti dicevo? - E senza aspettare conferma scese dal mezzo, dirigendosi verso il punto indicato – Dai, se c’è qualcuno ci aiuterà e se non c’è nessuno troveremo magari da accendere un fuoco per asciugarci un po’”. “No! – protestò l’indiano – non andare lì! E’ pericoloso!Torna indietro!”. Ma il ragazzo non aveva sentito le proteste dell’altro a causa dello scroscio della pioggia ed anzi, convinto che l’indiano lo stesse seguendo, si mosse velocemente verso la costruzione. Si trovò davanti una recinzione di rete metallica ma, talmente malridotta, che era piena di falle e lui la attraversò facilmente. Mentre si avvicinava, vide che la casa, apparentemente in legno e piuttosto vecchia, era completamente al buio ed aveva, a prima vista un aspetto piuttosto sinistro. Voltandosi si accorse di essere solo e si convinse che l’indiano si era attardato per prendere qualcosa di utile dall’auto. Giunse con un salto sotto un porticato piuttosto sconnesso ma in grado di offrire ancora un minimo riparo. A quel punto si mise a cercare la porta, trovò e bussò molto energicamente, poi, preso atto che non c’era proprio nessuno, provò ad aprirla e, con una certa sorpresa si rese conto che la porta non era chiusa a chiave. C’era però qualcosa che la tratteneva dall’interno, per cui dischiusa di un paio di centimetri si era bloccata. Il ragazzo iniziò ad appoggiarsi con tutta la sua forza e poi dopo che la porta ebbe ceduto un altro po’ si mise a dare delle spallate sull’anta per farla cedere definitivamente. A nulla servirono le parole dell’indiano che gli urlava disperato  di allontanarsi da quella casa, di non entrare per nessun motivo. Ciò perché, nel momento stesso in cui il ragazzo sentì le parole di Will, la porta cedette di colpo e, spinto dal suo stesso impeto, Paolo percorse molti passi prima di potersi fermare. Si ritrovò al centro di una grande stanza buia, illuminata sporadicamente da intensi lampi, alla luce dei quali si vedevano dei mobili malridotti, degli stracci che pendevano dalle pareti, sudiciume e rifiuti sparsi un po’ dappertutto. Una casa abbandonata da tanto tempo. Ci vollero solo pochi istanti perché il ragazzo si rendesse conto che avrebbe dovuto dare ascolto all’indiano che intanto, quasi paralizzato dalla paura era rimasto fuori, sotto la pioggia. La temperatura all’interno della stanza crollò di molti gradi e Paolo avvertì un gelo intenso, improvviso che gli penetrò nelle ossa, paralizzandolo e rendendogli difficile perfino respirare. L’aria attorno a lui si fece più densa e tutti i contorni degli oggetti sembrarono  deformarsi. Risuonò un urlo acuto e fortissimo gli irruppe  nelle orecchie portandolo al limite della sopportazione. A quel punto, con un tonfo secco, la porta della casa si chiuse alle sue spalle, lasciando all’esterno l’indiano terrorizzato. Will, comunque, sapendo il pericolo che stava correndo il suo compagno, si riscosse e tentò di aprire la porta urlando al ragazzo di cercare di fuggire. La porta resisteva come se fosse blindata e a quel punto l’indiano decise di cambiare strategia e dopo aver gridato a Paolo di resistere, si allontanò, brancolando nel buio, per seguire la sua idea. All’interno della casa, Paolo non aveva sentito le parole di Will. Aveva solo sentito il frastuono della porta che si chiudeva alle sue spalle. Paralizzato dal freddo, con lo scenario circostante che mutava in continuazione attorno a lui e quel terribile suono che gli squassava le orecchie, Paolo si rese conto che se non avesse fatto qualcosa sarebbe stato sopraffatto in breve tempo  da quella situazione angosciosa. Di certo, quello che gli aveva detto la sua guida poco prima, non lo aiutava a mantenere un minimo di equilibrio per poter reagire. Ma se la minaccia veniva da ciò che Will gli aveva raccontato allora, forse, anche  la soluzione poteva venire da lì. Decise di chiedere aiuto ai suoi amici. Visualizzò con un certo sforzo la piccola ossidiana nera che aveva raccolto nel giardino Zen e ciò lo aiutò a respirare meglio. A quel punto, pur senza conoscerne il motivo, visualizzò anche il pezzo di legno fossile raccolto nella foresta pietrificata e si rese conto che il suono diminuiva di intensità consentendogli di ragionare con più chiarezza. Da quei primi risultati, capì che si stava muovendo nella giusta direzione e quindi decise di spingersi oltre. Chiamò i suoi amici, l’orso ed il leone, che avrebbero attaccato il nemico invisibile e poi il delfino che gli avrebbe ridato energia. Le figure si materializzarono accanto a lui, creando una sorta di barriera che mitigò molto il freddo ed il rumore. All’interno della barriera anche lo scenario si stabilizzò ed il delfino, entrando in contatto con lui, gli fornì l’energia sufficiente a riprendere il controllo. “Grazie - disse loro Paolo, veramente grato e tuttora sorpreso per l’efficacia del loro aiuto. Capì, però, che non era finita perché al di fuori della barriera, i fenomeni continuavano. Poi, una leggera luminescenza si diffuse per tutta la stanza, come un fuoco di Sant’Elmo conferendo a tutto l’ambiente un livido colore verdastro. L’energia che il ragazzo poteva gestire, iniziò ad espandersi sempre di più, respingendo sempre di più quella dell’ambiente che cominciava a tremolare. Dopo circa un minuto, la luminescenza sembrò raccogliersi e concentrarsi in un punto posto davanti al ragazzo, ad una distanza di circa tre metri. La luminescenza sembrò prendere la forma di una figura simile ad un corpo umano che chiese con voce bassa e cavernosa: “Chi sei tu? – E al silenzio del ragazzo che cercava di capire cosa aveva di fronte, di nuovo, ma stavolta con tono più imperioso e, se possibile, più minaccioso – Chi sei tu?”. Ora le due energie si bilanciavano perfettamente. Il ragazzo taceva, concentrato nell’azione di ostacolare quell’attacco che  continuava senza cedere minimamente. L’ essere, all’interno della casa, non faceva alcun progresso e tutto era in situazione di stallo. Paolo però, con il passare del tempo riacquistava sempre di più il controllo e la sua energia e alla fine decise di prendere l’iniziativa. Chiamò l’alce che si presentò immediatamente e, puntate, le robuste zampe al suolo, prese ad avanzare contro quella figura indistinta che parve risentire del cambiamento della situazione. L’alce avanzava lentamente ma inesorabilmente, come se l’altro, dopo il  potente e terrificante assalto iniziale, stesse perdendo forza. “Ma chi sei tu? – ripetè l’entità al ragazzo ma questa volta il suo tono di voce non era più minaccioso. Sembrava piuttosto angosciato – Non ho mai incontrato nessuno come te. Basta, basta! Fermiamoci qui, basta!.”. Il ragazzo con somma sorpresa, si ritrovò immediatamente libero. La temperatura all’interno della stanza era tornata quella che doveva essere, lo scenario era tornato solido e stabile e l’unico rumore che si avvertiva, era quello della pioggia, del vento e dei tuoni. Ora era solo, all’interno della casa, o almeno questa era l’impressione. L’altro, o qualsiasi cosa fosse,  non dava più alcun segno della sua presenza. Decise di mantenere però attiva la compagnia dei suoi amici che continuavano a proteggerlo. Il ragazzo, ritenendo di non essere più in condizioni di immediato pericolo, cominciò a esaminare l’ambiente circostante, in cerca di qualcosa che gli consentisse di fare, comunque, un po’ di luce. Trovò due vecchi lumi a petrolio. Uno attaccato a una trave della cucina e l’altro su una vecchia credenza. All’interno dei serbatoi, si sentiva la presenza di liquido e Paolo si augurò che fossero ancora in grado di funzionare. Ora doveva ricercare dei fiammiferi. Alla fine li trovò, più a tatto che altro, all’interno di in cassetto dove, assieme ai fiammiferi, aveva toccato qualcosa che si era mosso in fretta per scappare e che preferiva non sapere cosa fosse. Naturalmente, prima di riuscire ad accenderne uno ci mise un po’, vista l’umidità che impregnava tutta la casa ma ci riuscì e con quello diede fuoco allo stoppino del lume a petrolio. Quando la luce fiocamente illuminò il locale vide una casa abbandonata da molti anni, mobili marci e muffi, oggetti polverosi e arrugginiti, stracci sporchi, un vero disastro. Ma almeno non ci pioveva, ed era meglio di niente, fantasma a parte. A proposito del fantasma, che fine aveva fatto, e, comunque, che o chi diavolo era? Poi si ricordò di essere bagnato fradicio e quella sensazione di gelo che aveva provato fino a poco prima non gli avevano certo giovato. Fece a pezzi due sedie malandate che si sfasciarono con una discreta facilità. Poi ammucchiò la legna nel camino, augurandosi che non fosse tappato e poi con alcuni stracci riuscì ad accendere un fuoco. Si tolse il giaccone e lo mise ad asciugare su un gancio poi si avvicinò quanto possibile al fuoco per riscaldarsi e asciugare in qualche modo gli abiti che aveva addosso. Poi, si ricordò della ‘compagnia’ che aveva avuto poco prima e decise di sfidare la sorte perché tanto, ignorare il problema, non sarebbe servito a nulla, almeno fino a quando fosse rimasto all’interno di quella casa e, visto il tempo che stava facendo fuori, non riteneva fosse saggio andarsene tanto in fretta. A proposito di pioggia e maltempo, chissà Will che fine aveva fatto. “Ehi! – cominciò a gridare il ragazzo rivolto in generale ai muri della casa  e dando mostra di un coraggio che in realtà non provava - ehi! Che fine hai fatto? Dove sei, chi sei e, soprattutto che volevi dimostrare?”. Dovette ripetere il messaggio due volte, prima di ottenere una risposta. “Sono qui – rispose alla fine una voce. In un angolo buio, sotto la scala che saliva ad un piano superiore, si mostrava una sorta di luminescenza – Stai tranquillo, non ho cattive intenzioni”.”Fino a pochi minuti fa non si sarebbe detto proprio – mentre parlava, il ragazzo si rese conto che stava avendo uno scambio con un essere incorporeo, uno spirito, forse un ‘rappresentante dell’ aldilà’, ma stranamente la cosa non lo turbava più di tanto. Ma che gli aveva fatto il vecchio sciamano? -  Che volevi fare allora?”.”Volevo solo metterti paura, per cacciarti via”. “Ma scherzi’ Se fossi stato debole di cuore, con quella sceneggiata che hai messo su, avrei potuto restarci secco”.”No, stai tranquillo, non ho mai ammazzato nessuno, almeno da quando sono qui. Mi devo difendere. Non ho altra scelta”.”Ma chi sei, insomma e da cosa ti devi difendere?”. “Io.. – iniziò a dire l’ombra. La porta della casa si dischiuse quel tanto da consentire a Will di infilare dentro la testa ed un braccio nel quale stringeva un ciuffo di erba fradicia. “Eccomi! Sono tornato! Come stai? Stai tranquillo, queste erbe terranno a bada gli spiriti!”. Paolo si riprese dalla sorpresa per l’improvvisa irruzione dell’indiano, al quale, veramente, non aveva più pensato e, contemporaneamente, si accorse che l’ombra era scomparsa, spaventata dall’arrivo di Will, o veramente cacciata dall’effetto dalle erbe cosiddette magiche. “Grazie di essere tornato – disse il ragazzo – ma non penso di essere mai stato in vero pericolo grazie agli insegnamenti di Sole Splendente”. Non ti fidare, queste presenze sono subdole e maligne, io lo so”.”Allora dimmi in coscienza una cosa. Percepisci per caso qualche energia oscura o maligna, al momento, perché io invece non sento nulla”. L’indiano, che intanto era entrato dentro la casa, rimase per un po’ in silenzio osservando con attenzione tutto l’ambiente circostante e concentrandosi per cercare di capire se stava percependo qualcosa di particolare da ciò che lo circondava. “Sembra che tu abbia ragione. Non percepisco nulla. Ma potrebbe anche dipendere dal fatto che le erbe che ho portato assieme alla formula che ho recitato, ci stanno proteggendo”. “Forse – rispose il ragazzo, piuttosto dubbioso in merito – ma io stavo per capire cosa succede qui – poi decidendo di riprovare a contattare l’ombra, la chiamò di nuovo. Dovette insistere per parecchie volte e, malgrado l’indiano cercasse in tutti i modi di dissuaderlo. Ma alla fine, nello stesso punto di prima, l’ombra si materializzò. E di nuovo appariva come una forma indistinta che richiamava solo vagamente un corpo umano. “Sono qui, ma dì al tuo amico di stare indietro con i suoi amuleti, perché mi rendono difficile stare qui e mantenere questa forma”. L’indiano, che alla vista di quell’ombra appariva veramente spaventato, manteneva invece il suo mazzo di erbe con il braccio teso davanti a lui e Paolo fu costretto a chiedergli di smetterla. Anzi, guardandolo bene, si accorse che in realtà il suo compagno si era imbottito di erbe il giaccone, e si era fatto anche un collare di erbe intrecciate. Faceva pensare quasi ad uno spaventapasseri. Capì che, o stava esagerando, o lui si stava comportando con troppa leggerezza. Sperò che fosse valida la prima opzione. “Allora sei disposto a raccontarci cosa succede qui? – chiese Paolo rivolto verso l’ombra. “In questa casa, sono accadute cose atroci ed ha ragione il tuo amico che racconta di energie oscure che agivano su questo luogo. Ma non ero certo io, anche perché fino a qualche anno fa, non c’ero nemmeno. E’ stato quel farabutto a portarmi qui!”. Paolo e l’indiano si guardarono in viso. Che significava che il fantasma era stato ‘portato’ lì? E infatti l’indiano fattosi coraggio chiese a sua volta “Sei stato portato qui, in che modo?”. “Va bene vi racconto la storia ma tu stammi lontano con i tuoi amuleti perché non ho energia da sprecare. Ne ho usata troppa prima ed ora sono esausto e potrei scomparire da un momento all’altro”. E iniziò a raccontare. “Questo posto si chiama Jensens Point Overlock. E’ una sorta di parco costruito nel 1938  dai membri del Civilian Conservation Core, allo scopo di abbellire la 66 in questa zona. Usarono piante, fiori, alberi e costruirono sentieri e terrazze per un belvedere ed un gazebo in pietra, nel punto più elevato. Un bel lavoro, insomma. Poi, con la fine della guerra ed il declino della  66 in generale, il posto fu sempre più trascurato, dimenticato quasi. Alla fine degli anni 70, arrivò qui un uomo in cerca di un rifugio, di un covo, visto di chi si trattava e quali erano le sue intenzioni. Si chiamava Jack McDoogan, un’anima oscura e tormentata in fuga dall’Europa, dove sembra che avesse commesso qualcosa di tremendo, di efferato. Era una sorta di stregone, un negromante, coinvolto nelle pratiche della magia nera. Decise di trasferirsi in questo luogo e costruì qui la sua casa, indisturbato, e ricominciò con le sue pratiche maledette ed i suoi esperimenti spaventosi. Nel 1991, il parco venne acquistato da Wayne Winchester, all’epoca proprietario della Wintec Pharmaceuticals. Questi si era innamorato del luogo ed aveva lo scopo di mantenerlo più pulito e in ordine possibile. Negli anni, inoltre, sparsasi la voce delle piante e dei fiori che si potevano trovare in quel posto, molti erano venuti nel tentativo di trafugarli. Ci pensò Jack a cacciare via tutti e a far passare loro la voglia di riprovarci. Così, quando Wayne Winchester seppe cosa aveva fatto quell’uomo, non solo non lo cacciò,  ma gli conferì l’incarico, senza retribuzione, di  sorvegliante  della proprietà, patto che l’altro accettò immediatamente, e  poi fece cintare l’intera proprietà, limitandosi a venirla a visitare solo di quando in quando. Fu in quel periodo che quel negromante riuscì a mettere a punto un sortilegio che teneva tutti alla larga”.”Deve essere quello in cui mi sono imbattuto io – esclamò Will. “Poi – riprese l’ombra – finalmente, nel 2010, consumato dalla sua stessa energia oscura e malvagia, Jack morì, davanti alla casa, nel piazzale, mentre tentava qualcosa chiaramente al di fuori della sua portata. Nessuno ne seppe nulla e rimase là. Gli animali ne fecero scempio e di lui non rimase nulla. Nel 2014, la città di Pacific, fece un’offerta di acquisto che venne accettata e il parco fu riaperto al pubblico. Ma questa zona, un po’ perché rimane fuori dai tragitti più battuti, un po’ per la triste nomea che si era fatta, rimase abbandonata, finchè, ora non siete arrivati voi”.”E dì un po’ – chiese il ragazzo – non sarà anche che la gente se ne stava lontana perché magari il ‘numero’ che hai fatto con me, l’avevi già messo in scena con qualcun altro?”.”Si, insomma, ma non tante volte – ammise l’ombra – ma dovevo tenere la gente lontana da qui, finchè non fosse arrivato il momento giusto”.”Che vuol dire ‘il momento giusto’? - chiese Paolo, incuriosito. “Volevo dire le ‘persone giuste’. Ma credo che forse, la mia attesa potrebbe essere finita”.”Ora vedrai che ci farà una proposta – disse l’indiano rivolto al ragazzo – con un’aria estremamente di sufficienza – Una proposta che non potremo rifiutare, magari con in palio un tesoro favoloso, purchè lo aiutiamo a fare qualcosa. E se saremo così stupidi da accettare saremo perduti”.”E’ vero? – chiese il ragazzo rivolto verso l’ombra – E’ vero quello che dice il mio amico?”.”Si – ammise l’altro – la proposta ve la voglio fare perché per me, se accettaste, sarebbe la salvezza, la pace, il riposo, dopo tutti questi anni, ma non c’è nessun tesoro”.”Hai visto? – riprese l’indiano con un certo astio nella voce – La sua pace, come no? A prezzo delle nostre anime. Andiamo via finchè siamo in tempo!”.”No, aspetta – disse il ragazzo – sentiamo almeno che ha da dire. Non so perché ma non riesco ad avere più paura di lui”.”Per il semplice motivo che non sono pericoloso. A parte qualche ‘effetto speciale’ non sono capace di fare altro. Inoltre non so nemmeno io cosa sono, altro che rubare l’anima agli altri e poi…. – rivolgendosi a Will – tu coraggioso indiano mi tieni a bada con i tuoi amuleti. Cos’ hai da temere”.”Basta – disse Paolo – dicci cosa vuoi, insomma”. “Ora no, ora sono esausto. Farmi vedere, parlare con voi. Ha consumato la poca energia che ancora possedevo. Parlate fra voi, decidete se mi volete aiutare o meno e poi, domani sera, se sarete ancora qui, potremo parlare e saprete tutta la storia”. Detto questo, l’ombra scomparve.”Ecco – disse l’indiano – che ti avevo detto? Si va a ricaricare così, se domani sera saremo tanto ingenui da essere ancora qui,  ruberà l’anima a tutti e due e ritroverà la sua tranquillità tornando dal mondo dei morti. Niente da fare, ora siamo bloccati qui ma domani, con la luce risolviamo il problema del pickup e poi via, come il vento a S. Luois e infine a Chicago, fine del tuo viaggio”. Il ragazzo si limitò ad assentire ma non rispose. La proposta di quell’essere lo faceva pensare alle parole dello sciamano. Era forse quella la prova che l’aspettava prima della fine del viaggio? Con il suo amico, decisero di fare dei turni per non lasciare spengere il fuoco e con dei sacchi a pelo che Will aveva recuperato dall’auto, si ripararono dal freddo. Recuperati degli abiti asciutti dal pickup si erano cambiati ed avevano lasciato i loro vestiti bagnati accanto al fuoco ad asciugare. Il giovane  aveva raccontato al suo compagno ciò che era accaduto e aveva chiesto chiarimenti circa l’energia che era riuscito a evocare e gestire. Will gli spiegò che la sua esperienza aveva in qualche modo sbloccato la  capacità di produrre energia, prelevandola dall’ambiente circostante. Questo, una volta che avesse imparato a gestire il procedimento, l’avrebbe reso molto potente. Paolo però si lamentò per il fatto che quello che avrebbe dovuto essere il suo maestro, l’aveva in realtà mandato via, dicendogli che avrebbe dovuto imparare a gestire da solo le nuove capacità acquisite. L’indiano gli rispose che lo sciamano avrà avuto i suoi buoni motivi. Infatti non gli risultava che avesse mai sbagliato nei suoi giudizi. Molto probabilmente lo attendeva una prova molto difficile e, perciò, era molto meglio che i suoi poteri fossero sviluppati al massimo. Il ragazzo pensò che, magari sotto un’altra forma, era proprio ciò che gli aveva detto a suo tempo Sole Splendente.
                                                                                        Capitolo IV°
                                                                                        XIX° Giorno
Quando Paolo si svegliò, era appena l’alba. Aveva dormito solo a tratti, per il freddo, l’umidità degli abiti che non si erano perfettamente asciugati e  la incredibile vicenda che aveva vissuto la sera prima. Aveva parlato con un fantasma!  Così tanto era cambiato?   Perchè? Era tutto vero quello che credeva di ricordare? Avrebbe dovuto chiedere conferma al suo compagno, perché, magari, aveva battuto la testa durante l’incidente e la perdita dei sensi gli aveva procurato l’incubo . Com’era caratteristico del clima locale, il tempo  era totalmente cambiato ed ora splendeva un bel sole in un cielo azzurro , quasi privo di nuvole. Quando vide il suo compagno si rese conto che purtroppo era stato tutto vero. Will si era fatto una collana di erba intrecciata e la sfoggiava sopra il giaccone. Come al solito aveva preparato la colazione ma l’aveva fatto  all’esterno, dopo aver sistemato una zona di terreno asciutto, dove aveva allestito una sorta di campo provvisorio. Appena lo vide, l’indiano lo invitò a fare colazione in fretta. Aveva scoperto che dall’altra parte della casa c’era un sentiero, praticabile con il pickup, che li avrebbe ricondotti sulla strada. Quindi sarebbero potuti ripartire subito da quel posto maledetto, lasciandosi tutto alle spalle e dimenticandosi di quanto era successo. “No, - disse calmo Paolo. “Che significa, no? – rispose incredulo l’indiano. “Significa no. Io voglio sapere cosa ha intenzione di dirci quell’essere, voglio sapere chi è e, soprattutto, sento che per me ha una grande importanza”.”Non scherziamo. Siamo salvi per miracolo. Abbiamo ancora il nostro spirito. Non sfidiamo la fortuna!”.”La fortuna non c’entra. Quando sono stato attaccato ieri sera, ero solo e all’inizio ho avuto veramente paura. L’aggressione è stata violenta, con l’intento di far male, di terrorizzare e solo per gli insegnamenti che ho ricevuto dalla tua gente e per un particolare istinto, sono riuscito a non soccombere. Quindi sono convinto che posso essere più potente di lui. E noi siamo in due”.”Parla per te – rispose l’altro in tono amaro – Io non sono alla tua altezza. Ho lasciato la mia gente prima che fossi messo ad un livello superiore di conoscenza. Ho seguito gli sciamani fin da bambino. Ho imparato le invocazioni, le tecniche di guarigioni semplici di base. Non altro!”.”Vuoi dire che non hai combattuto con i tuoi incubi e le tue paure?”.”Io non ho paure da combattere. I miei incubi sono sotto controllo. Non avevo bisogno di quel passaggio e quindi me ne sono andato. Tutto qui”. Con l’intenzione di interrompere, a quel punto, quel discorso che evidentemente non gli piaceva, l’indiano andò con fare deciso verso la sua macchina, con lo scopo apparente di sistemare meglio il bagaglio. Paolo invece pensava che il suo compagno nascondesse qualcosa, qualcosa di personale, di oscuro, che non aveva mai confessato a nessuno e che l’aveva portato, o addirittura costretto, ad abbandonare la sua tribù, diventando ‘Nitingooiiya’, Strada Perduta.  Finì di fare colazione tranquillamente. Approfittando della luce mattutina, rientrò nella casa e osservò con attenzione tutto ciò che conteneva, senza trovare nulla che potesse chiarire la storia di quel posto. Tutto ciò che era sopravvissuto al tempo e alla muffa, appariva normale, ordinario e di poco prezzo. Se veramente i proprietario si era dedicato a pratiche di magia oscura, lì non ne era rimasta alcuna traccia visibile. Quando però passò ad un esame degli ambienti, valutando l’energia connessa con essi, rilevò la presenza di strane energie. Cattive, fastidiose. Solo tracce, ma presenti. In particolar modo, nei pressi di una pesante credenza che conservava ancora dei piatti e dei bicchieri impolverati. L’indagine nei cassetti non rivelò niente di importante. Trovò invece una latta piena a metà di petrolio che sarebbe stata di certo utile  quella notte e trovò anche altri due lumi uno dei quali però, con il tubo in vetro rotto. C’erano in un cassetto molte candele di tutti i colori e molte erano di colore nero. La cosa sembrava avvalorare ciò che l’ombra aveva asserito. Decise che là dentro non c’era più nulla da vedere e pensò che se quello in cui si trovavano era un parco nazionale, probabilmente era il caso di approfittare per visitarlo. All’esterno, seduto sotto un albero, vide Will che stava intrecciando una collana di erbe come quella che aveva lui. Per ora decise di rimandare le spiegazioni perché anche lui era molto combattuto circa il da farsi. Tutto era accaduto troppo in fretta. Nel giro di pochi giorni aveva fatto delle scoperte e aveva compiuto delle azioni che non credeva possibili. Una cultura diversa, con costumi e usi totalmente differenti, che ora si erano rivelati, almeno a livello ancestrale, reali. E per di più il suo ‘maestro’, se così si poteva definire, che lo aveva mandato ad imparare da solo ciò che avrebbe invece potuto spiegargli, a rischio che nell’impresa si facesse molto, troppo male. Gli tornò in mente la frase che il maestro Jedi,  Obi Wan Kenobi, rivolge al giovane Skywalker , durante l’attacco alla Morte Nera. “Fidati del tuo istinto, giovane Skywalker!”. Che poi era in pratica ciò che gli aveva detto lo sciamano, al momento del congedo. Ma qui si trattava di parlare con un ombra, una cosa da incutere paura perfino alla sua guida, che doveva essere ben più ‘navigato’ di lui in quel campo. Ebbe paura di essersi semplicemente montato la testa. Il punto era che la lotta e la vittoria contro quel mostro, nella dimensione della mente, la presenza dei suoi alleati, gli avevano trasmesso una fiducia in se stesso che non aveva mai posseduto prima. Intanto, passato sul lato posteriore della casa, aveva trovato il sentiero a cui aveva alluso il suo compagno e iniziò a seguirlo, allontanandosi dalla costruzione. Mentre camminava fra gli alberi, su un terreno sempre più scosceso, il sole diventava sempre più caldo e, quando sbucò all’aperto, al centro di una radura, il sole era ormai già alto e il suo calore aveva quasi asciugato il terreno. Il punto in cui si trovava, era a mezza costa di una altura piuttosto elevata. Dalla posizione in cui era, aveva comunque una buona visuale del parco. Si intravedevano, fra le piante, parecchi sentieri, con alberi e  macchie di fiori colorati. C’era anche un piccolo corso d’acqua che scorreva in mezzo all’erba in una valletta. In alto, su un versante molto scosceso dell’altura, si vedeva in lontananza una specie di gazebo in muratura, dal quale era possibile di certo godere di una ottima vista del parco. Decise di raggiungerlo. Mentre saliva lungo un sentiero, pensò che gli sarebbe piaciuto che assieme a lui ci fosse  Will. Ma il suo compagno era apparentemente cambiato nei suoi confronti e lui non ne capiva il motivo. Certo, in questa occasione lo stava praticamente forzando ad affrontare un impresa che avrebbe spaventato chiunque, ma l’impressione del cambiamento era iniziata a suo giudizio, fin da quando l’indiano era andato a riprenderlo al villaggio dello sciamano. Non poteva pensare che l’altro fosse geloso dei suoi progressi. Era stato lui stesso, che aveva dato inizio a tutta quella storia. E aveva anche insistito. Ed era stato sempre lui, che gli aveva fatto compiere tutti i passi che l’avevano condotto ai risultati attuali. Forse non era invidia ma restava il fatto che i loro rapporti erano in qualche modo cambiati e non c’era più quell’aria di scanzonata vacanza con cui il viaggio era iniziato. Intanto aveva raggiunto il gazebo. Non si era sbagliato. Era una costruzione in pietra grigia che si affacciava sulla valle sottostante. Si distinguevano perfettamente i profili delle colline in lontananza. Al di sotto, piuttosto vicino, si vedeva il letto del Maramec River, in quel momento piuttosto turbolento, forse a causa della violenta precipitazione della precedente notte. Accanto alla riva del fiume, una serie di binari che servivano le linee merci del luogo. All’interno del gazebo, una targa metallica in colore rosso, ricordava quelli che avevano realizzato il parco, tanti anni prima. Si sentiva solo il vento che soffiava leggero fra i rami degli alberi e le colonne del gazebo, portando i profumi della natura. Non si poteva negare che il suo  senso dell’olfatto fosse diventato molto più sensibile. L’indiano lo aspettava seduto su una pietra , appoggiato al tronco di un grosso albero. Stava intagliando un pezzo di legno apparentemente per ricavarne un animale ma non ancora definito nei particolari. “Allora? – lo apostrofò subito Will, appena lo scorse – Hai deciso? Partiamo o vuoi fare questa pazzia, di dare ascolto a ‘quella cosa’?”. Il tono era piuttosto scortese e la cosa lo indispose. “Ho deciso. Resto. Ma non ti posso obbligare a correre alcun rischio. Basterà che  torni domani mattina a riprendermi”.”Certo, così, se sopravviverai, potrai mettere in giro la voce che abbandono i miei clienti nel pericolo”.”No, se il pericolo sono i clienti stessi a cercarselo, pur dopo essere stati più volte avvertiti – rispose il ragazzo che non capiva se il tono della sua guida era serio o scherzoso – Dico sul serio. Non ho paura”.”E proprio questo è il guaio. Ti avvii per un sentiero che non conosci. Se vorrai tentare questa prova, io sono tenuto a starti accanto, per cercare di ovviare ogni rischio che potresti correre”.”Ed io te ne sarò grato. Ho i miei alleati ma credo che tu  valga più di loro – gli rispose il ragazzo, per fargli capire che apprezzava il suo aiuto. “Bene – disse a questo punto Will, che pareva aver improvvisamente recuperato il suo tono scherzoso – Ma se dobbiamo andare all’inferno, tant’è che ci andiamo a stomaco pieno”. E, acceso il fuoco all’esterno della casa, si dette da fare per mettere assieme un pasto decente a base di bistecche e mais. Dopo il pranzo Paolo, avvolto in una coperta si distese sotto un grosso albero e cadde in un sonno profondo. Quando si svegliò, il sole aveva iniziato a calare ed il suo compagno era accanto al fuoco, inginocchiato, e sembrava che stesse recitando qualcosa che somigliava ad una preghiera. Evidentemente non aveva perso tempo per iniziare i rituali di protezione. Ma protezione da cosa? Tutto questo non faceva che suscitare in lui un’ansia crescente. Forse era stato troppo temerario. Ripensò ai racconti sentiti da giovanissimo, alle case infestate dove accadevano cose orribili ma poi, all’improvviso gli vennero in mente le parole dello sciamano: “E’ la tua paura che dà la forza al tuo avversario. Sconfiggi la tua paura e non sarai più in pericolo perché avrai il controllo”. Certo, ma il controllo di che cosa? Era vero che la paura minava le energie e lui lo sapeva bene, per le esperienze che aveva vissuto. E poi, l’indiano era con lui, e questo lo faceva sentire meglio. Aveva una gran fiducia nella sua guida. Non la volle disturbare finchè quella rimase impegnata nelle sue invocazioni. Alla fine, Will si alzò in piedi e si avvicinò al ragazzo. “Per quello che può valere per te, ho attivato delle misure di sicurezza che agiranno tutto intorno alla casa. Ti ho preparato  un amuleto con le erbe che ho raccolto stamattina e inoltre, ti ho fatto questo – E gli porse la testa di un lupo, intagliato nel legno con grande abilità. “Ma questo era il lavoro che stavi facendo stamattina. E’ bellissimo”.”Questo amuleto è stato caricato con una energia di difesa. Di più non potevo fare. Ti avverto – aggiunse cambiando tono – Se vedo che le cose si mettono male, ti prendo di peso e, per quello che posso, ti trascino lontano da questa casa maledetta”. Il ragazzo si limitò ad assentire perché sapeva bene che l’altro non stava scherzando. Tenne stretta nelle mani la statuetta che aveva ricevuto per riuscire a sentirla veramente ‘sua’ e poi con molta cautela, la ripose assieme agli altri oggetti nel suo sacchetto. Poco prima di entrare in casa, il ragazzo venne quasi costretto dal suo compagno, a bere una tisana che aveva preparato. Aveva un sapore terribile, ma lo consolò il fatto che anche l’indiano ne avesse bevuta  una generosa porzione. Augurandosi che non ci fossero altre sorprese perchè si era fatto buio, Paolo entrò nella casa ed accese i lumi a petrolio. Accese anche le candele, ma non quelle nere, perché lo inquietavano. L’indiano si era seduto sulla soglia, mettendo in chiaro che, a meno di non esservi costretto, non avrebbe messo piede nella casa. Il ragazzo rifiutò di indossare la collana di erbe dicendo che si sarebbe limitato a tenerla a fianco. Will fece notare che l’essere, aveva avuto tutto il tempo per ricaricarsi di energia e che forse avrebbe attaccato con maggior forza, magari usando una tecnica più efficace. “Quanto tempo pensi che dovremo aspettare? – chiese Paolo al suo compagno. “Non ne ho idea – rispose l’altro –  l’esperto sei tu”.”Ma ieri sera, che ore erano quando siamo capitati qui, perché non credo che fosse mezzanotte o comunque così tardi”.”Non ha importanza l’ora – disse una voce proveniente dal solito angolo buio – Basta che il sole scenda perché interferisce con la mia energia”. Così, senza preavviso, senza il minimo segnale, l’ombra era tornata ed ora era lì, distante non più di tre metri da lui. Una brivido gelido sembrò attraversargli la schiena ma, stavolta, l’ombra non c’entrava. Era stata una improvvisa manifestazione di fifa. Il ragazzo riprese il controllo stringendo nella mano destra il sacchetto con tutti i suoi amuleti e quando rispose, la sua voce era ferma e decisa. “Allora, eccoci qui. Ora spiegaci cosa ci volevi dire di così importante”.”Sei stato coraggioso ad accettare di rimanere e sono grato anche al tuo amico, là in fondo, per essere qui, perché vi devo rivolgere una richiesta”. Paolo si girò verso il suo compagno per vedere cosa ne pensava ma quello rimase impassibile come a fargli capire che prima voleva sentire cosa sarebbe seguito. “Bene – riprese il ragazzo – allora cominciamo. Anzitutto, che sei e cosa ci fai qui?”.”Per prima cosa, dì al tuo amico di non avvicinarsi con i suoi amuleti, perché per me, è molto faticoso  mostrarmi e parlare con voi in loro presenza. Ti chiederei anche di allontanare un poco quella collana che hai accanto a te”. Paolo, pur sentendo dietro di lui un certo brontolio, proveniente dal suo compagno, spostò il suo amuleto allontanandolo ma tenendo sempre stretto in mano il suo sacchetto”.”Bene, grazie. Chi sono io….. Non è facile a dirsi. Onestamente non saprei che dirvi. Un fantasma, uno spettro, uno spirito? E   visto che avete così tanta paura di me, magari ne sapete più voi che io. Boh?”. “Come, boh? – chiese sorpreso il ragazzo – Ma, sei italiano?”. Dietro, l’indiano se ne uscì mormorando nella sua lingua qualcosa che il ragazzo preferì ignorare, almeno per il momento”.”Sissignore. ‘Ero’, italiano. Il mio nome era Aniello Somma. Sono nato nel 1839 nel paese di San Sebastiano al Vesuvio. Famiglia contadina, fame, miseria, una vita terribile. Così, compiuti i 16 anni, sono scappato di casa, e mi sono arruolato nell’esercito. Era il 1855. L’esercito era una bella soluzione. Belle uniformi, trattamento passabile e, soprattutto, mangiare garantito 2 volte al giorno. Era un periodo tranquillo e si stava bene. Qualche soldo in tasca, ragazze, tanto, che alla fine, quasi tutti avevamo firmato per 5 anni più cinque, con la prospettiva di fare pure carriera. Ma poi le cose sono cambiate.  Nel maggio del 1859 morì il re, Ferdiando II. Il ‘Re Bomba’ lo avevano chiamato, perché, all’occasione, durante i moti del ‘48, non si era fatto scrupolo di bombardare la città di Messina, distruggendo interi quartieri. Lo sostituì il figlio, con nome di Francesco I°. Magari il re, non lo voleva nemmeno fare, e questa sarebbe un’attenuante per quello che è accaduto dopo. Scontento nel Regno, disordini, e poi l’11 maggio del ‘60, sbarcarono i Garibaldini a Marsala. Avremmo potuto facilmente fermarli subito, ma, ufficiali incompetenti, tattiche sbagliate, valutazioni errate delle forze piemontesi, trasformarono delle vittorie quasi sicure in disfatte, come per la battaglia del Volturno dei primi di ottobre”.”Non mi sembra vero – non potè trattenersi dal commentare Paolo – studiavo queste cose a scuola ed ora, nientemeno che uno dei protagonisti, mi sta raccontando i fatti”.”Beh, protagonista, proprio, no. Ci sono altri che hanno fatto ben più di me. Noi, del 6° Cacciatori, più che altro presidiavamo la piazza di Napoli.Ma poi il 2 ottobre, il re, che intanto era stato soprannominato ‘Franceschiello’, tanto per far capire la scarsa considerazione che si aveva di lui, si rifugiò nella fortezza di Gaeta. Noi, a quel punto, entrammo a far parte delle truppe schierate lungo il fiume Garigliano, per contrastare l’avanzata dei nemici, sotto il comando del generale Salzano. Uno dei nostri principali punti di  forza, consisteva nel fatto che i francesi, con la loro flotta, tenevano sotto stretto controllo la costa da Gaeta al Garigliano, impedendo alla flotta sabauda di bombardare i nostri schieramenti ed eventualmente anche sbarcare le truppe  che avrebbero dovuto correre in aiuto dei Garibaldini in difficoltà. Per una volta, sembrò che le cose girassero a nostro favore. Ci comandava il Maresciallo Filippo Colonna in persona. La battaglia procedeva come previsto dai nostri ufficiali che, per l’occasione ci avevano fatto avere dei fucili a canna rigata, che rendevano i nostri tiri molto più precisi e micidiali; una novità per quell’epoca. Avevamo  preso persino una quarantina di prigionieri, tutti bersaglieri. Poi, il secondo giorno, per pressioni politiche, i Francesi ritirarono il loro appoggio e la flotta sabauda ebbe via libera. Le cannonate e i rinforzi cambiarono le sorti della battaglia. Alla fine i Granatieri di Sardegna, con un ponte di barche, riuscirono a passare il fiume Garigliano e ci presero al fianco. Nel tentativo di salvare il resto delle truppe, venimmo lasciati indietro, due compagnie del 6° Cacciatori, con l’ordine di non arrendersi, al comando del capitano Domenico Bozzelli. E non ci arrendemmo. Morirono quasi tutti  i miei compagni e, alla fine, furono gli stessi nemici che, quando terminammo le munizioni, ci disarmarono e ci fecero prigionieri. Noi avevamo visto cadere il nostro capitano e la verità era che, più che altro, eravamo fedeli a lui”.”Perbacco che storia! – commentò il ragazzo, quasi dimenticando con chi stava parlando – Mi sembrava di esserci. – Poi giratosi verso il suo compagno, ancora seduto sulla soglia gli disse – Pensa, questa è la storia del mio Paese!”.”Va bene – rispose l’altro che apparentemente non condivideva lo stesso entusiasmo – Ma fatti piuttosto dire che cosa ci fa lui qui, e soprattutto cosa si aspetterebbe da noi”.”Si, va bene, certo – rispose il ragazzo un po’ deluso dalla reazione dell’indiano, ma consapevole del fatto che aveva ragione – Allora, questo va bene, ma poi cosa è successo? Come sei arrivato qui?”.”I soldati dell’esercito borbonico prigionieri, catturati nelle varie battaglie, erano per lo più tenuti in prigionia, durante la quale, in condizioni appena accettabili, venivano, per così dire ‘riconvertiti’, ossia portati ad abbracciare la causa sabauda e ad entrare come soldati, già addestrati, nell’esercito piemontese. Ma noi, ‘quelli del 6° Cacciatori del Garigliano’, quelli che non si erano arresi, avremmo avuto un’altra sorte. Per il nostro atteggiamento, per la nostra caparbietà, per la nostra determinazione, avremmo fatto comodo nel nuovo esercito. Ma qualcuno pensò che avremmo avuto bisogno di una azione di convincimento un po’ più decisa rispetto a quella dei nostri compagni. Imbecilli! Non avevano che da chiedercelo. Al Garigliano avevamo solo  mostrato lealtà al nostro capitano, solo a lui. Vabbè!”.”E quindi? Questo cosa significava? – chiese impaziente il ragazzo che era sempre più curioso di arrivare alla conclusione di quella storia, mentre invece, l’ombra, una volta ottenuto il suo pubblico sembrava non avere alcuna fretta. “Questo significava che per noi era previsto un lungo periodo di detenzione nella fortezza di Fenestrelle, nel nord del Piemonte. Un luogo terribile del quale avevamo sentito parlare in termini spaventosi, dai disgraziati che avevano avuto la sventura di finirci dentro. Di lì a poco, venimmo a sapere che alcuni emissari dell’esercito confederato degli Stati Uniti erano giunti in Italia per cercare volontari da arruolare. Una nuova vita, un nuovo Paese, via da quel mondo che ormai, in ogni caso non ci apparteneva più. Così, con un mio compagno, una notte riuscimmo a fuggire e, nella confusione generale, riuscimmo a raggiungere il gruppo di ex soldati borbonici che sarebbe dovuto partire di lì a poco per l’America, ed a unirci a loro, senza che nessuno se ne accorgesse. A metà di marzo del 1861, trasportati dalla nave Olyphant, sbarcammo in Louisiana e venimmo presto incamerati nel 10th Lousiana Infantry Regiment. Venivamo un po’ da tutta Europa al punto che, solo nella compagnia in cui ero io, si parlavano 11 lingue diverse. Alla fine venimmo definiti ‘La Legione Straniera di Lee’. Eravamo quasi tutti soldati esperti e alla fine riuscimmo a capirci molto bene in breve tempo. La nostra bandiera portava il motto ‘Vincere o morire”. Ne eravamo orgogliosi e ci sentivamo molto forti e desiderosi di far vedere cosa avremmo saputo fare. Evidentemente, il fatto di essere quasi tutti soldati in fuga da eserciti vinti, ci faceva sentire in cerca di un riscatto che che avrebbe solo messo le nostre vite a rischio. Che stupidi, vero?”.”E’ nella natura del guerriero cercare il riscatto, specialmente se la sconfitta è apparsa ingiusta – commentò l’indiano, sorprendendo non poco il ragazzo che non si era accorto che l’altro aveva cominciato a seguire con interesse il racconto dell’ombra. “Certo, il guerriero… – riprese a raccontare l’ombra – Finchè sei vivo ti sembra di certo un bel discorso, ma poi… Comunque, all’inizio sembrava andare bene. Vincevamo. Il 2 luglio ottenemmo a Bull Run, in Virginia, una vittoria schiacciante sull’esercito del Nord e solo per alcune diversità di vedute dei nostri generali, non riuscimmo ad assestare un colpo mortale al Nord. Seguirono altre battaglie e altre vittorie. Cross Keys, North Anna, Bristoe Station, Po River, ……… Tante, e tanti compagni persi e in cambio di cosa, poi? Non era la nostra guerra. Ormai l’avevamo capito e molti avevano l’impressione di essere caduti dalla padella nella brace. Noi avevamo sempre fatto il nostro dovere, anche di più, spesso ma non si vedeva la fine. E poi le cose cominciarono ad andare male per una serie di cause legate più che altro ai rifornimenti, le sorti della guerra cominciarono a favorire il Nord. Verso la fine di maggio del 1863, ci trovammo assediati nella piazzaforte di Vicksburg, nello stato del Mississippi. La città fortificata era l’ultimo baluardo dei Sudisti sul fiume  Mississippi. Quando l’attacco frontale del Nord non riuscì a conquistare la città, il generale Grant in persona, al comando dell’armata del Tennesee,  la cinse d’assedio. Questo andò avanti per più di 40 giorni, prima che i sudisti capitolassero. Però, pochi giorni prima, la mia squadra venne convocata da un colonnello in una casa, vicina alle mura esterne. Da lì, partiva un passaggio segreto che avrebbe consentito ad alcuni di passare le linee nemiche. Alla mia squadra, un ufficiale, un sottufficiale e venti soldati, fra cui il sottoscritto, venne dato l’incarico di mettere in salvo le mogli di alcuni alti ufficiali. A noi si era anche unito un tizio in abiti civili, ma che io avevo già visto circolare per la città, in uniforme e con i gradi di maggiore. La cosa non era chiara ma non erano affari miei e quindi, tenni la cosa per me.  La piazzaforte stava per cedere ma non sarebbe stata consegnata al nemico senza combattere e, nella battaglia finale, avrebbe potuto accadere di tutto.  La meta del nostro viaggio, sarebbe stata la cittadina di Memphis, al confine fra il Tennessee ed il Kansas, a circa 200 miglia a nord. Un viaggio infernale, in un territorio pericoloso e, una volta che la città fosse caduta, di certo molto più controllata dai Nordisti. Dovevamo scortare le donne, cinque, per la precisione, e due carri, sui quali erano i loro bagagli. Partimmo di notte e, almeno all’inizio, tutto andò bene. Poi, giunti a metà strada, all’altezza di un paese chiamato Water Valley, degli abitanti del posto, che ci avevano visto, pensando che trasportassimo qualcosa di valore, ci attaccarono nel corso della notte. Subimmo perdite minime e riuscimmo a ripartire ma, ormai, il nostro passaggio, non era più un segreto e così, i Nordisti, pensando anche loro che la nostra fosse una missione importante, cominciarono a cercarci.  Ci eravamo accampati in un bosco, sulle rive di un laghetto vicino a Water Valley, l’Enid Lake per medicare i feriti e far riposare i cavalli. Una delle sentinelle venne a dirci che a breve distanza da noi c’era movimento. Era  un gruppo piuttosto numeroso di uomini a cavallo, che seguiva le nostre tracce e che ci sarebbe stato addosso nel giro di un quarto d’ora se non ci fossimo sbrigati ad andarcene. Però,  appena avessimo lasciato il riparo del bosco, ci avrebbero visto  e, con i carri al seguito, non ci saremmo potuti difendere a lungo. A quel punto, il civile, riprendendo il suo grado di maggiore, disse che era essenziale che lui arrivasse a Memphis con il carico di uno dei carri. Velocemente dal carro più robusto, fu tirata giù una cassa molto pesante, che gli uomini non avevano mai visto prima. Quando il maggiore la aprì, vedemmo tutti chiaramente che conteneva dei lingotti d’oro. Altro che mogli degli ufficiali! I lingotti vennero caricati di corsa sul carro più leggero e quindi più veloce. Vi presero posto anche le donne. Dieci di noi, assieme al nostro sergente, ricevettero l’ordine di trattenere gli inseguitori più a lungo possibile.  Il maggiore e gli altri, avrebbero cercato di fuggire e seminare gli inseguitori mentre noi restavamo lì, a farci ammazzare. Così fecero. Per cercare di difenderci meglio, rovesciammo su un fianco il carro che era rimasto e ci disponemmo alla difesa. All’inizio andò bene perché gli inseguitori non avevano valutato l’eventualità che fossero rimasti indietro dei difensori. Ma dopo i primi caduti, gli assalitori si fecero più prudenti. Alla fine, dopo mezza giornata di scontri, la scaramuccia era terminata. Eravamo riusciti a farci ammazzare tutti. Quando gli assalitori trovarono la cassa vuota, capirono di essere stati gabbati e di aver perduto ‘inutilmente’ mezza giornata. Per fortuna, avevano comunque conservato un minimo di umanità e ci seppellirono tutti assieme nel boschetto, sotto una grossa quercia, non senza averci tolto tutto ciò che avevamo addosso, naturalmente. Uno di loro improvvisò perfino una sorta di preghiera. E poi ripartirono e qui, per me, la storia finisce, anzi, sarebbe dovuta finire”.”Eh già – interruppe il ragazzo – se sei morto e sepolto a Water Valley, che ci fai qui?”.”Questa è una bella domanda perché onestamente non ci dovrei essere”.”Andiamo bene – esclamò a quel punto l’indiano – ci hai raccontato storie per un’ora e adesso non sai nemmeno spiegare quello che ci fai qui!”.”Non ho detto di non sapere come ci sono arrivato. Quello purtroppo lo so. E’ il motivo che non mi va giù. Ma…. Prima di andare avanti con il racconto, sarà opportuno che ci conosciamo ‘di persona”.”Che vuol dire ‘di persona’ – chiese sospettoso l’indiano che, di certo forte dei suoi amuleti, si era fatto avanti. “Vuol dire che se il mio spirito è qui, significa che c’è anche qualcos’altro, naturalmente”.”Sei sepolto qui, allora? – disse il ragazzo”.”Non esattamente. Ma vi prego, non abbiate paura e avvicinatevi a quella credenza – e l’ombra sembrò mostrare ai due uomini la credenza che precedentemente aveva colpito Paolo per le cattive energie che aveva recepito. “E poi? – chiese sempre più sospettoso l’indiano.”E poi la devi smettere di sospettare di me. Io non sono quello che credi. Il tuo amico se ne è accorto da un pezzo. Io ho bisogno di aiuto da voi. Non sarebbe nel mio interesse farvi del male. – e dopo una pausa, aggiunse – Ora, tutti e due, scostate quel mobile dalla parete, e guardate cosa c’è dietro”. I due, seppure non molto entusiasti, spostarono il pesante mobile e  notarono che su alcuni dei pali della parete, c’era una strana incisione che rivelava ad un attento esame, la presenza di una porta. “Vuoi che entriamo là dentro – disse Will. “Se non hai paura ed hai fiducia nei tuoi amuleti, non dovresti avere problemi”. Il ragazzo e l’indiano si guardarono in faccia e poi Paolo disse all’altro :”Apriamo!”. La porta dapprima resistette, ma poi, alla terza spallata che i due diedero insieme, si aprì su un ambiente buio dal quale proveniva un odore terribile di morte, putrefazione, muffa. Il fetore tolse loro il respiro e si allontanarono di corsa , tossendo violentemente. Quando ebbero ricominciato a respirare regolarmente Will disse al suo compagno: “Allora, sei convinto che ci voleva ammazzare? Bel sesto senso che hai dimostrato. Bene che va, ci avrebbe semplicemente ucciso, soffocandoci, magari per non stare da solo in questo posto. Mi dispiace, ma questo mi dà ragione e taglia la testa al toro. Io ho chiuso. Adesso raccogli la tua roba e ce ne andiamo di qui”. Il ragazzo era ancora scosso. Come aveva fatto a non fiutare il pericolo? Possibile che il fantasma fosse così bravo a dissimulare? No, qualcosa non tornava. Avrebbe capito, una botola, un’esplosione, un veleno. Ci sarebbero state altre occasioni e lo disse al suo compagno che però rimase fisso della sua conclusione, affermando che quel dannato magari aveva dovuto improvvisare e poi, chissà cosa li aspettava nell’ombra, magari un demone. Paolo su questo dovette convenire e perciò, prima di avvicinarsi alla porta, prese un lume a petrolio che introdusse nella fenditura che si era aperta. L’aria era tornata respirabile e solo un leggero tanfo ora aleggiava nella stanza. Si vedeva una scaletta di legno, malmessa, che scendeva in uno scantinato buio, attraverso un passaggio scavato nella terra, ma nient’altro. Mentre sentiva dietro di sé la presenza dell’indiano, che intanto diceva qualcosa a bassa voce, imprecazioni o invocazioni, non si capiva, iniziò a scendere con grande cautela sempre tenendo il lume avanti a sé.  Poi, il gradino su cui aveva messo il piede il ragazzo, cedette di colpo ed egli si trovò scaraventato in avanti, fra le braccia di una alta e imponente figura nera che lo avviluppò in un abbraccio mortale. Il lume che aveva in mano si spense e rotolarono a terra, mentre il ragazzo cercava in tutti i modi di liberarsi da quella stretta che lo soffocava. Immediatamente Will posò, rapido, a terra il lume e si gettò nella mischia e, senza pensare ad altro, cercò di aiutare il suo compagno in quella tremenda lotta che si svolgeva nelle tenebre. Fu la solita voce che li sorprese non poco: “Quando avete finito di giocare ai fantasmi, io sono qui che aspetto. Poi non dite che sono io che vi voglio imbrogliare. Siete voi che per la vostra paura non capite più nulla. Se non fosse che si tratta di una cosa seria, ci sarebbe di che divertirsi”. I due uomini a terra, cessarono di combattere contro il loro nemico, accorgendosi che avevano  ‘subìto’ l’attacco di un pesante mantello nero,  nelle pieghe del quale era finito il ragazzo cadendo per le scale. “Per la miseria – esclamò Paolo – Che spavento! E grazie, - disse rivolto al suo compagno – Ti sei gettato nel pericolo per me, malgrado quello che mi avevi detto!”.”Vediamo di capire piuttosto dove siamo e dove ci ha condotto il tuo amico fantasma – rispose l’indiano che ora aveva recuperato il controllo ma che si era preso un bello spavento anche lui.  Quando aveva visto l’altro in pericolo, non ci aveva badato due volte e si era gettato allo sbaraglio. Magari, pensò, era più coraggioso di quanto pensasse o forse, semplicemente, più incosciente. Il mantello era di un pesante tessuto nero, aveva un cappuccio e sopra di esso erano stati attaccati dei simboli esoterici in oro e argento. Un vero mantello da stregone. Will, dopo averlo osservato, lo gettò in un canto, lontano da loro. Ora, con due lumi a petrolio accesi, potevano vedere meglio il locale nel quale erano scesi, una stanza sotterranea dal soffitto piuttosto basso. Alle pareti, erano attaccati dei cartelli, alcuni di cartone, altri ottenuti con pelli di animali. Sopra apparivano dei disegni e dei simboli misteriosi. Su alcuni apparivano delle facce stravolte e bestiali che incutevano paura solo a guardarle. Dei tavoli vicini alle pareti erano pieni di bottigliette e ampolle contenenti liquidi ormai seccati, probabilmente prodotti chimici e essenze di chissà cosa. Al centro, un grosso tavolo rotondo sul piano del quale era stato inciso un pentacolo, con delle candele, disposte sul disegno. Si vedevano anche piccole coppe in metallo che contenevano resti disseccati di elementi irriconoscibili e dalle quali sembrava provenire il tanfo terribile che li aveva avvolti all’  ingresso. Completavano la lista degli oggetti sul tavolo, un braciere contenente ancora della cenere ed un teschio umano le cui orbite vuote, sembravano fissare i due uomini, ancora profondamente a disagio in quell’ambiente così inspiegabile. Sul cranio erano disegnati in rosso e nero dei simboli misteriosi che certamente facevano parte di qualche rituale oscuro. “Che succedeva qui? – chiese il ragazzo. “Beh, qui il tizio che ci abitava, se veramente era uno stregone, portava avanti il suo lavoro – rispose l’indiano – e chissà a cosa stava lavorando. Ma, da quello che vedo, direi niente di buono”. “E dici bene – intervenne l’ombra che ora appariva accanto al tavolo, senza più celarsi nel buio. – Qui, quel mostro, preparava le sue formule maledette. Ho visto delle cose che non potete nemmeno immaginare. Era indubbiamente potentissimo e aveva ambizioni smisurate. Credo che stesse lavorando su qualcosa che gli desse una sorta di vita eterna”.”Il solito matto – osservò il ragazzo. “No! Negli ultimi periodi della sua vita era riuscito ad aprire dei portali energetici verso dimensioni spaventose e tremende. Fu solo perché capì che, se fosse andato avanti in quella direzione, sarebbe stato divorato e stritolato da ciò che aveva evocato, che si fermò per cercare delle nuove vie”.”Per fortuna, direi – rispose l’indiano. Poi guardando il cranio sul tavolo, chiese – Per caso questo oggetto sul tavolo, ti appartiene?”. Paolo rimase sorpreso per non averci pensato lui. “Si, questa è una parte di ciò che rimane di me. Quel farabutto ha rubato parte dei miei resti dal luogo dove ero sepolto e li ha portati qui. Non so come sia capitato, dove ero sepolto con i miei compagni. Era continuamente in cerca di erbe, sostanze, notizie, viaggiava moltissimo. Capitò  sulle rive dell’ Enid Lake, dopo aver sentito da qualcuno del posto, la nostra storia. Infatti, per i suoi esperimenti aveva bisogno dei resti di un defunto, morto in seguito ad un evento traumatico e doloroso. Cosa meglio di un morto in combattimento? Così, una notte di circa venti anni fa, arrivò nel luogo dove ero sepolto con i miei compagni, e iniziò a scavare senza riguardo dissotterrando tutto ciò che trovava. Da quello che ho saputo in seguito, perché lui parlava con me, sapendo che io lo potevo sentire, aveva bisogno di resti integri della stessa persona. Io, essendo stato colpito da più pallottole, ma al torace, avevo intatti il cranio, i femori e gli omeri. Li ha presi senza riguardo. A quel punto ha riaggiustato alla meglio le sepolture, lasciando i corpi a pezzi e con le parti mischiate fra di loro. Una cosa terribile…. – e qui si fermò come a controllare una vera e propria furia. La temperatura dell’ambiente si abbassò repentinamente e i due uomini ebbero l’impressione che l’altro stesse per riattaccare, in preda a una rabbia incontrollabile. Evidentemente, data la natura dell’evento, i due ascoltatori non potevano capire l’entità della malvagia azione che era stata compiuta, ma la compresero dal tono del loro ospite. Per ogni evenienza misero in atto le loro tattiche di difesa. L’ombra, come se si fosse resa conto di essersi lasciata prendere dall’emozione,  mitigò immediatamente la sua rabbia e continuò. “Voi non avete idea di cosa si senta a vedere qualcuno che usa i tuoi resti per i suoi fini sciagurati. Si pensa che i morti non sentano nulla ma non è così. Specie per quelli nella mia condizione”.”Ossia? – chiese curioso il ragazzo. “Allora – iniziò a spiegare l’ombra – Ora mi dovete ascoltare, e vi prego di non chiedermi di più di ciò che  vi dirò,  perché non ve lo posso dire, e perché alcune cose non le so nemmeno io. Quando con i miei commilitoni fui ucciso, caddi nel buio più profondo. Un momento prima, soffrivo in modo terribile per le ferite. Sapevo che stavo per morire ma per il dolore, per il fatto che stavo soffocando nel mio sangue, non vedevo l’ora che avvenisse. E poi, alla fine avvenne. Ad un certo punto, non sentii più nulla e iniziai a scivolare in una sorta di oblio , sempre più profondamente, fino a scomparire del tutto. Ero morto. Poi, dopo un tempo che non so quantificare, mi ritrovai nel boschetto con i miei compagni. In realtà non ci vedevamo direttamente, perchè avevamo la stessa forma che ho io ora ma sapevamo di essere noi. Qualcuno era arrabbiato, altri disperati, altri stravolti. Eravamo morti! Ma che ci facevamo in quel posto? Ci ritrovammo lì per molte sere e notti , prigionieri della nostra rabbia e del nostro dolore, prima di capire qualcosa. Sapevamo di dover andare, ma per passare la barriera per la nostra destinazione, ci serviva una condizione d’animo che nessuno di noi, per come era morto, aveva in quel momento. Sentivamo che avremmo dovuto trovare un equilibrio che ci avesse consentito di trovare la giusta rassegnazione. Avremmo dovuto abbandonare tutto ciò che potesse essere legato ad una emozione umana. Questo almeno ci sembrò di capire. Ed era difficile. La nostra rabbia, la nostra amarezza erano fortemente radicate nel nostro profondo. Poi, alla fine, iniziammo a parlare fra di noi. La tensione sembrò alleggerirsi. Parlavamo delle nostre famiglie, delle nostre case, delle nostre storie. Stavamo meglio. E poi…. Poi arrivò Jack McDoogan. Commise quello scempio di cui vi ho parlato e si portò via le mie ossa. Aveva capito che ero una di quelle entità che ancora cercano la loro strada. E, come ho saputo in seguito, era proprio questa la condizione che lui cercava. Aveva la convinzione che questo mio stato di transitorietà, gli avrebbe facilitato l’apertura di alcuni portali, con chissà quale infernale dimensione. Quindi mi coprì di simboli magici e mi coinvolse nei suoi sortilegi maledetti. La cosa più terribile era, che durante queste pratiche, provavo dei dolori lancinanti, quasi che fossi ancora vivo. Qualcosa si accaniva contro di me, come se venissi considerato un complice di quel profanatore, piuttosto che una vittima. Era atroce…” . Era vero, Paolo avrebbe avuto molte domande da porre, ma vista la raccomandazione ricevuta poco prima, si astenne. Will taceva, come se stesse pensando a qualcosa di lontano nel tempo. Fu il ragazzo quindi a riprendere la parola per primo. “E per cosa ti servirebbe il nostro aiuto? – anche se in realtà, forse un’idea se l’era già fatta. “Riaccompagnatemi dai miei commilitoni. Ora sento che saremmo in grado di andarcene ma dovremmo essere tutti insieme”. L’indiano, che fino a quel momento sembrava essere con la mente altrove, sembrò risvegliarsi di colpo ed esclamò: “Cosa? Assolutamente no! Levatevelo dalla testa. Trasportare ossa umane sul mio pickup. Non se ne parla. No! No!”. Ed accompagnò le sue parole con eloquenti gesti delle mani come a sigillare la decisione presa. “Beh, - intervenne il ragazzo – devo ammettere che questa richiesta mi arriva proprio inaspettata. Avevo immaginato un viaggio un po’ sopra le righe ma ciò che mi hai chiesto…. Non so che dire”. E, sentendosi fortemente a disagio, uscì da quell’ambiente opprimente, seguito dall’indiano che ancora parlottava fra  sé. Andò all’aperto per cercare di raccogliere le idee e capire cosa stesse realmente succedendo perché, nelle ultime ore, di reale c’era stato ben poco. Non voleva essere coinvolto in quella cosa. Non era previsto ma purtroppo sentiva dentro di sé qualcosa che gli diceva di considerare la situazione e quindi di non rifiutarla a priori. Perché accadeva questo? Di chi era la voce che gli parlava? Dietro di lui, Will stava riattizzando il fuoco . All’improvviso il ragazzo si rese conto di sentire molto freddo ma l’ombra non c’entrava nulla. Il tempo nella casa era trascorso senza che ne avessero la consapevolezza. Si erano fatte quasi le tre di notte e fra la stanchezza, l’impegno che si era trovato ad affrontare e i suoi dubbi, sentiva di non avere la mente lucida. Si andò a sedere accanto al fuoco, mentre l’indiano armeggiava con la caffettiera ed attese in silenzio finchè il caffè non fu pronto, utilizzando la pausa per riscaldarsi e per riflettere. Durante questa pausa, approfittò per dare un’occhiata al suo compagno che, apparentemente, faceva la stessa cosa, come se si stessero studiando a vicenda per capire cosa pensasse l’altro. Quando Will gli passò la tazza del caffè, il ragazzo disse semplicemente : “Va bene. Parliamone”. “La mia risposta è no. Assolutamente no. E ti dico anche perché. Per prima cosa la richiesta del ‘tuo amico’ – il ragazzo si chiese perché l’ombra dovesse essere considerata proprio amico suo – ci porta fuori strada di almeno 200 miglia per andare ed altrettante per tornare, il che, tradotto in tempo ci fa allungare il viaggio di tre, quattro giorni. E poi, ti immagini cosa ci farebbero se, lungo la strada, nel corso di un controllo qualsiasi, ci dovessero pescare con dei resti umani a bordo dell’auto? Qui la legge è molto severa per queste cose. E ammesso che si bevessero la storia che c’è dietro, io perderei immediatamente la mia licenza. Quindi, no, no, e ribadisco no!”.”Non posso darti tutti i torti e l’idea di viaggiare con certi compagni mi lascia molto sconcertato. Ma per quanto riguarda i controlli, potremmo prendere strade secondarie e così tenere un profilo basso”.”Non andare avanti su questo discorso. In queste zone, le strade secondarie sono sorvegliate come e più delle altre. Perché, infatti, qualcuno che potrebbe spostarsi su una comoda autostrada, dovrebbe invece perdere tempo su strade tortuose e polverose, se non per nascondere qualcosa? E poi, no. Quel coso, sul mio pickup, mi attaccherebbe il malocchio, il marchio della morte e sarebbe per sempre una macchina maledetta”.”Non potresti proteggerla con qualche procedura delle tue?”.”Per prima cosa – rispose un po’ irritato l’indiano – non sono procedure ma sono rituali religiosi. No, non ho rituali contro la morte”.”Ma ce l’hai contro gli spiriti malvagi, e non è morte anche quella roba lì?”. “Non è la stessa cosa. Gli spiriti malvagi cono entità maligne. Qui abbiamo a che fare con qualcosa vincolato con il mondo dei morti, di uno spirito inquieto”.”Io ho ascoltato la sua storia e gli credo e sono convinto che possiamo aiutarlo”.”Ma  ti rendi conto che  stiamo parlando di un fantasma, di un morto, di uno stregone che apre i portali con l’aldilà! Questa non è roba da gente normale. Questa è roba da matti, da scellerati, da alienati maniaci”.”E perché, invece quello che è successo al Palo Duro Canyon, nella caverna sotto il faro, ti sembra una cosa normale?”.”No, certo, ma lì noi avevamo il controllo di ciò che accadeva”.”Ma ne sei sicuro? Perché a me non è sembrato proprio. Tu stesso ti sei meravigliato per come erano andate le cose”.”E’ diverso, ti dico”.”E io ti dico di no. Tutto questo viaggio non è normale. Come è cominciato, come si è svolto fin qui. Le persone che abbiamo incontrato, tutto, ci ha condotto a questo punto, secondo me. E’ qualcosa che dobbiamo fare, che deve essere rimesso a posto. Come se la 66 fosse alla ricerca di un suo equilibrio, una riparazione per le malvagità che vi sono accadute. Sento che è così!”.”Ok, ammettiamolo pure, ma io che cosa c’entro?”. “C’entri eccome. Per prima cosa, siamo stati messi in contatto da qualcuno. Poi, dopo la partenza, tutto ciò che abbiamo vissuto e che ci ha messo alla prova in vari modi. Io, con un problema pesante da risolvere e tu con una questione personale del passato che ti ha profondante segnato, da quello che ho capito”.”Non ho voglia di parlarne. Io so dominare i miei incubi, te l’ho già detto una volta e non ci voglio più tornare sopra”.”Sole Splendente non la pensava così. Lui tiene molto a te  e, prima di farci ripartire, mi ha anche detto di qualcosa di estremo che avremmo trovato sulla nostra strada. E io credo che più estremo delle condizioni che ci hanno portato qui, non si possa trovare. E’ come se qualcuno avesse guidato il nostro viaggio per portarci in questo posto, proprio qui! Come se questa cosa, dovesse essere risolta per un volere superiore, come ti ho detto prima”. Paolo si accorse che qualcosa che aveva detto nel suo appassionato discorso, doveva aver colpito nel segno. Will ora non appariva più così sicuro, ne’ determinato, nel rifiutare l’eventualità di aiutare lo spettro. “Vediamo prima di tutto, di cosa stiamo parlando? – chiese il ragazzo per cercare di forzare un po’ la situazione. E rientrò nella casa. Dopo un po’ l’indiano lo seguì. Paolo era nella stanza sotterranea e stava parlando con l’ombra che in apparenza aveva atteso il loro ritorno senza spostarsi da lì. “Cosa dovremmo trasportare se decidessimo di aiutarti? – stava chiedendo il ragazzo. “Scusate ma non è facile per me. Non so come potrei definire la mia sensazione di disagio, quasi sofferenza, ma vi assicuro che parlare, vedere, far toccare a qualcuno ciò che resta di me, mi è particolarmente doloroso. Comunque…… Quella cassetta lì nell’angolo – e indicò con una evanescente estremità una piccola cassa di metallo posta in un angolo dell’ambiente, sotto un ripiano ricolmo ti libri, vecchi quaderni ed opuscoli. Paolo si avvicinò all’oggetto indicato e, con la massima attenzione e delicatezza, lo sollevò e muovendosi lentamente, lo poggiò sul tavolo. “Ecco – riprese lo spirito apparentemente con grande sforzo – sono là dentro. Almeno quello che è stato preso”. La cassetta che aveva il coperchio incernierato, era piuttosto pulita e leggera. IInoltre, da quello che c’era scritto sopra, in origine era servita per contenere degli attrezzi da giardinaggio. Le sue dimensioni erano di 80 cm per 20 cm per 20 cm e, sotto le scritte in vernice nera, era di un verde opaco, ricordando i colori utilizzati  dall’esercito. Il ragazzo con molta calma, ne dischiuse il coperchio, giusto per dare una occhiata veloce al contenuto e lo richiuse immediatamente. Poi, rivolto al suo compagno, che era rimasto ad una certa distanza, chiese : “Ce l’hai un posto sul pickup, per metterci questo oggetto?”. L’altro esitava e apparentemente sembrava voler prendere tempo. Era chiaro che la cosa non gli piaceva  ma allo stesso tempo probabilmente nutriva qualche dubbio a proposito di quello che gli aveva detto Paolo in precedenza. “Allora? – insistette il ragazzo. “Non lo so! E’ chiaro che se accetto di trasportarlo, lo debbo nascondere, e bene. Potrebbe sembrare che abbiamo addirittura rubato delle ossa come souvenir della guerra civile, e  hai idea di ciò che accadrebbe? E’ già successo in passato, ed ora, le autorità hanno una mano pesantissima con chi viene pescato a farlo. A parte questo, caricando il materiale in un certo modo, sarebbe difficile notarlo”.”Bene, allora. E’ deciso. Domani mattina partiamo. Tu ora decidi  il tragitto migliore. Io ho da fare qualcosa ma non voglio che tu c’ entri. E’ una cosa mia e tu, meno ti immischi e meglio è! – Quindi meravigliandosi per la sua stessa determinazione, uscì dalla stanza, per andare a prendere qualcosa che gli sarebbe servita da lì a poco. Anche l’indiano era rimasto sorpreso dai modi sicuri del suo compagno. Quello non era più il ragazzo che aveva incontrato all’inizio del viaggio ed ora sembrava proprio la persona giusta per portare a buon fine quell’incarico. E mentre si chiedeva perchè avesse permesso al suo compagno di prendere  il comando ‘delle operazioni’, lasciò anche lui quella stanza sotterranea, per andare a consultare la carta stradale e valutare il miglior tragitto da percorrere. Il ragazzo andò a prendere una bottiglia che aveva trovato al mattino, quando frugava nella casa in cerca di qualcosa che potesse chiarire la situazione in cui si trovavano. La portò nella stanza sotterranea e poi disse all’ombra :”Ok, quasi certamente ti ho trovato un passaggio. Naturalmente sai che il mio amico ha accettato questa cosa con molte riserve, quindi non fare cose strane. Anzi, sparisci finchè non te lo dico io. Ed ora vai via perché quello che sto per fare non ti piacerà. E anche io mi sentirò meglio sapendo che non sei presente”.”Va bene – disse l’ombra – Capisco e sono d’accordo”. E scomparve. Paolo aprì la bottiglia che aveva portato e che conteneva un solvente per vernice. Poi prese il cranio che era sul tavolo e facendo  uso di uno straccio imbevuto, iniziò a pulire per quanto possibile quel teschio dalle scritte che vi erano state fatte. Alla fine, giudicando il risultato soddisfacente, prese il cranio e lo pose all’interno della scatola di metallo dove, avvolte in uno straccio erano conservate le altre parti del corpo. Poi lasciò la stanza e si richiuse la porta alle spalle. Per ora non voleva più nemmeno pensare a quel brutto posto da incubo. All’esterno, accanto al fuoco, Will lo aspettava per parlargli. Non gli chiese assolutamente cosa fosse rimasto a fare all’interno della casa ma indicando la carta, gli disse cosa aveva deciso. Prima, però, gli mise in mano un sandwich al prosciutto ed un arancio, usciti da chiassà dove. Sarebbero partiti la mattina di buon’ora, proseguendo sulla 44 fino ad una cittadina di nome Valley Park. Da lì avrebbero percorso una specie di raccordo attorno a S. Louis che avrebbe permesso loro di evitare di entrare in città. Giunti a Mehlville, si sarebbero potuti immettere direttamente sulla 55 che, fiancheggiando  il corso del Mississippi, li avrebbe portati, dopo 240 miglia, a Memphis. Da lì, sempre proseguendo sulla 55 per altre 70 miglia, sarebbero arrivati all’ Enid Lake, la loro meta. Sembrava un buon piano e il ragazzo lo disse al suo compagno il quale annuì senza il minimo entusiasmo, lasciando capire, con il suo atteggiamento, di essere contrario a tutta quella storia. “Naturalmente – ci tenne a chiarire Paolo – i nostri accordi, a questo punto, cambiano e quindi, visto che l’iniziativa, in fondo, e’ stata mia, fammi sapere quanto denaro in più ti devo dare. Non è un problema e mi sembra naturale”. “Se io non volessi fare ‘questa cosa’, non ci sarebbero stati soldi a sufficienza, per convincermi. Si fa e basta, sperando che non me ne debba pentire per il resto della mia vita. Figurati se  mi aspetto di guadagnare da una cosa del genere. Non ne parliamo più. – Poi, però, aggiunse – Beh, però la benzina va pagata, naturalmente. Era nei patti, no?”.”Ma certo, quello che è giusto è giusto e…. grazie – concluse il ragazzo sorridendo e pensando che Will aveva cercato di fare il magnanimo fino alla fine ma che non ce l’aveva proprio fatta. E non sarebbe stato nemmeno giusto.
 
 
                                                                                        XX° Giorno
Il ragazzo era in piedi, non era ancora giunta l’alba. Guardava verso l’esterno, verso gli alberi che circondavano la costruzione. Fra i tronchi si vedeva un forte chiarore concentrato in una piccola sfera che sembrava danzare fra le piante, senza avvicinarsi. Il ragazzo si rese conto di non aver paura, anzi di essere molto curioso. Iniziò a seguire la sfera fra gli alberi, senza curarsi di dove stesse andando. Arrivata in una piccola radura, la sfera si fermò a mezz’aria e iniziò ad ingrandirsi. Nella sfera, apparve una figura che diventando sempre più nitida, si rivelò  essere  Sole Splendente. Questi, rivolto verso di lui, muoveva le labbra come se stesse parlando ma non ne usciva alcun suono. Allora il ragazzo si avvicinò alla luce, cercando di recepire qualcosa. L’altro appariva con una espressione tesa, preoccupata. Quando il ragazzo fu vicinissimo, credette di udire le parole : “Stai attento, pericolo, stai attento, siete in pericolo…”. Poi, senza rendersene contro, entrò in contatto con la luce e a quel punto ricevette una tremenda scossa che lo lanciò lontano. Si svegliò all’improvviso. Il cuore gli batteva in petto come un martello. Era stato solo un sogno! Ma che significava? Era un sogno premonitore o semplicemente un messaggio dal suo subconscio per dirgli che aveva fatto il passo più lungo della gamba? Percepì il solito odore di caffè, segno che il suo compagno doveva essere in giro da un bel po’. Quando si alzò, vide che l’indiano aveva già caricato il pickup e mancavano solo le sue cose. Paolo si accorse che l’altro aveva sostituito la collana di erba con un cordino più sottile con erbe intrecciate ai cui aveva appeso degli amuleti in legno, che di certo aveva scolpito a scopo difensivo. Bevuto in fretta il caffè e sgranocchiati alcuni biscotti, salì sull’auto e partirono, lasciando quel posto maledetto. Proseguirono in silenzio per un lungo tratto. Paolo non voleva fare domande e Will non aveva voglia di parlare. Il paesaggio che scorreva ai lati dell’auto non presentava più grandi sorprese e proseguiva uniforme in una giornata  soleggiata. Era il ventesimo giorno di viaggio e, secondo i piani, si sarebbe dovuto concludere con l’arrivo all’aeroporto di Chicago. Ora invece, chissà come e quando si sarebbe conclusa quella storia. Nessuno dei due si rendeva conto di cosa sarebbe accaduto una volta arrivati alla loro meta. Il giovane era concentrato sul suo sogno ma non voleva farne parola con il  compagno di viaggio. Chissà le conclusioni che ne avrebbe tratto. Poi il ragazzo, che aveva valutato quell’idea fin dalla loro partenza, chiese: “Non sarebbe stata una buona idea dare fuoco a quella casa?”.”Ci avevo pensato – rispose laconico il suo compagno – ma avremmo rischiato di dar fuoco a tutto il parco”. E tornò nel suo mutismo. Arrivati all’altezza di Valley Park, presero per il raccordo, diretti ad Arnold e quindi sulla 55. Mentre procedevano per  Festus, tanto per scambiare quattro chiacchiere, il ragazzo chiese alla sua guida: “Cosa mi avresti fatto vedere a S.Louis?”.”S.Louis è una città abbastanza grande, con circa 2 milioni di abitanti. Pertanto la sua vita non è prettamente legata alla 66. Ci sono molte attività e solo una parte è legata al turismo. C’è un bel movimento per motivi di affari e commercio ma rimane il fatto che qualcosa da vedere in una città lo trovi sempre, se sai dove andare. In questo caso c’erano da visitare dei bei parchi, alcuni musei e io ti avrei portato a visitare quello che è considerato il monumento simbolo della città. Si tratta di un enorme arco in acciaio, chiamato Gateway Arch. E’ alto 192 metri ed è visitabile fino alla cima. Da lì, ti assicuro, che nei giorni di bel tempo si code di una vista incredibile. E’ stato costruito alla fine degli anni 60 e la cosa buffa è che si racconta che l’idea sia venuta all’architetto dopo aver visto un progetto, mai realizzato, secondo il quale, proprio in Italia, ed esattamente a Roma per il quartiere dell’EUR, si sarebbe costruito un monumento simile. Poi la guerra aveva fatto accantonare tutto e non se ne era più parlato”. Il ragazzo aveva già sentito questa storia ma non sapeva che qualcuno poi il monumento l’aveva costruito davvero. Intanto la sua attenzione era stata catturata dal corso del Mississippi che era comparso alla sinistra della macchina. In quel punto il fiume appariva enorme, con acque estremamente turbinose e metteva effettivamente timore. Ricordava di aver letto molte storie su quel corso d’acqua, quando leggeva i libri di Mark Twain che raccontava le sue avventure vissute in qualità di pilota di battello fluviale. E poi i romanzi con Tom Sawyer e Huckberry Finn che si muovevano proprio in quel mondo e in quell’ambiente, certo, molti anni prima, ma le case ed il paesaggio, dove comunque il fiume faceva sempre da protagonista, davano l’idea che il tempo si fosse fermato. Passavano paesi con nomi particolari come Pocaontas, Fruitland, Cape Girardau. Fu molto contento di averlo potuto vedere e pensò che , se non fosse stato per quel ‘fuori programma’, se lo sarebbe perso. Di certo ognuno di quei posti aveva una storia, degli abitanti, dei monumenti importanti, ma per ora la loro nuova missione li distoglieva da meri interessi turistici. Erano piuttosto tesi, tutti e due. Quello che stavano facendo era strano e pericoloso. Ognuno dei due aveva una particolare punto di vista a questo proposito. Il ragazzo era preoccupato per quello che sarebbe potuto accadere se fossero stati scoperti e cosa sarebbe accaduto a Will. L’indiano aveva timori completamente diversi. Lui era convinto che si erano messi in qualcosa che li avrebbe alla fine travolti. Fin da bambino gli sciamani gli parlavano del regno dei morti, degli spiriti maligni, delle ombre vaganti in cerca di anime. Ed ora aveva accettato di trasportarne una sul suo  pickup, per un motivo che ancora non lo convinceva. Cominciava a pensare che qualcuno gli avesse fatto qualche maleficio. Era ora di pranzo quando arrivarono a New Madrid, a mezza strada fra St Louis e Memphis. La città, che era stata fondata dagli spagnoli verso la fine del 1700, aveva vissuto varie vicissitudini e poi era stata pesantemente coinvolta nella guerra civile. Ora aveva le caratteristiche di una tranquilla cittadina del sud. Case basse, capannoni, varie attività commerciali. Dopo aver attraversato l’abitato, arrivarono molto vicini alla riva del fiume il cui corso, che in quel punto, era  più largo di quanto veduto fino a quel momento perché, poco più a nord, riceveva il contributo di un grosso affluente proveniente dall’Ohio. Will fermò l’auto davanti ad un pontile che si protendeva per diversi metri sulle acque del fiume. Era in legno e di  un bel rosso mattone. In cima c’era una larga piattaforma  che permetteva l’osservazione  di una vasta zona. L’acqua era piuttosto torbida e la corrente era molto impetuosa. Sulla destra si vedevano alti silos, appartenenti ad una industria locale che vendeva sementi, mangimi, fertilizzanti e integratori farmaceutici. Davanti ai loro pontili, erano fermi dei grossi battelli fluviali, pronti a spingere delle larghe chiatte, una volta  caricate. Will indicò  al ragazzo un molo bianco sulla sinistra. Fu una grande sorpresa. Attraccato, c’era un  battello a ruota. A poppa, sopra alle pale dipinte in rosso, si leggeva il cartello con il nome, ‘American Queen’. Lo scafo molto largo, sorreggeva sette piani e nell’insieme era veramente notevole. Fra breve avrebbe ripreso le crociere per turisti lungo il fiume ma in quel momento era fermo per manutenzione. Faceva comunque una bellissima figura e il ragazzo fu molto contento di averne potuto vedere uno dal vero.  Fu all’improvviso che la situazione cambiò repentinamente. Il cielo si coprì di nuvole scure ed il sole sparì. L’acqua sembrò assumere un aspetto quasi minaccioso e la temperatura iniziò ad abbassarsi. Will fece segno di allontanarsi al più presto perché tra breve avrebbe iniziato a piovere. Nelle  vicinanze trovarono un locale piuttosto trasandato ma  comunque al coperto, dove avrebbero potuto mangiare qualcosa. La pioggia violenta li colse che avevano appena parcheggiato perciò percorsero gli ultimi metri di corsa. Appena entrati, si resero conto che forse sarebbe stato più consigliabile rimanere a prendere l’acqua sul piazzale. Un bancone piuttosto malridotto correva per quasi tutta la larghezza del locale. All’interno, c’erano una decina di tavoli coperti da tovaglie di incerata che dovevano aver visto tempi migliori. Le sedie sembravano venire ognuna da un posto diverso in quanto non ve ne erano due uguali. Il problema però non era presentato tanto dall’ambiente, quanto dai frequentatori. I tavoli infatti erano quasi tutti occupati da  uomini dall’aspetto poco rassicurante. Alcuni erano certamente marinai che lavoravano lungo il fiume, altri erano di più difficile collocazione. In comune però avevano l’aspetto di poco di buono. Will si rese conto della situazione ma sapeva che se si fossero girati e avessero fatto per andarsene  magari sarebbe stato peggio. Per cui i due presero posto ad un tavolo vicino alla porta e quando la cameriera si avvicinò, senza perdere tempo, ordinarono due panini con hamburger, patate ed una bottiglia di birra. La donna, una autentica megera sdentata, con i capelli grigi arruffati ed una divisa che doveva averne viste delle belle, non prese nemmeno nota di quello che era stato ordinato. Tornata dietro al bancone urlò qualcosa verso la vetrata della cucina. Poi tornò con le due birre e se ne andò senza aver portato nessun bicchiere. Fino a quel momento, tutti erano rimasti in silenzio per studiare i  nuovi venuti, di certo ognuno con una sua idea nella testa. Poi qualcuno iniziò: “Lo dico sempre io che questo posto non è più quello di una volta. Adesso un indiano entra, si siede e ordina. Dove arriveremo”.”Finchè paga, lascialo stare – rispose un avventore da un altro tavolo  – Se qui aspettassero di vedere il colore dei tuoi dollari, avrebbero chiuso da un pezzo!”. E tutti scoppiarono in una sonora risata. Il clima sembrava essersi disteso, ma Will, che sapeva come andavano le cose, era cosciente che quello era stato solo l’inizio. Sperò che nessuno si facesse troppo male e  sapeva che il ragazzo non aveva paura di menare le mani al bisogno. In quella tornò la cameriera con le ordinazioni. Maldestramente mise i piatti davanti ai due commensali. I panini con gli hamburger non avevano davvero un bell’aspetto e anche le patate erano mezze bruciate. L’indiano disse al suo compagno di mangiare in fretta che prima se ne fossero andati e meglio sarebbe stato. Il ragazzo, visto il livello di quello che era stato servito, avrebbe fatto addirittura a meno di mangiare ma una volta cominciato, si rese conto che il gusto non era poi così cattivo. Avevano quasi finito, quando due energumeni si avvicinarono al loro tavolo e cominciarono a prenderli in giro scherzando in modo volgare. Era chiaro che volevano provocarli. I due però conservavano la calma, riservandosi di reagire solo quando non avessero avuto altra scelta. Una rissa avrebbe con molta probabilità comportato il coinvolgimento della polizia e, vista la natura del loro attuale carico, ciò sarebbe stato poco opportuno. Il più grosso dei due provocatori stava cercando di ottenere una reazione da parte dell’indiano e per questo stava dando dei calci ad una delle gambe della sedia su cui l’altro era seduto. Alla fine Will balzò in piedi pronto a reagire ma immediatamente si udì una voce stentorea proveniente dalla cucina. “Ehi, voi due state fermi e fatela finita!”. Subito dopo, emerse da dietro il banco un colosso biondo sui 50 anni, con pantaloni chiari, più che altro macchiati di un po’ di tutto, una canottiera di colore indefinibile ed alla vita aveva allacciato un corto grembiule, anche questo pesantemente provato dal lavoro dietro ai fornelli. Era quasi calvo ma , a parte due enormi baffoni grigiastri, il viso appariva alquanto giovanile. Aveva ancora in mano la paletta per cuocere gli hamburger e senza esitazione la mise sotto il naso dell’uomo che aveva provocato Will, facendogli capire che doveva togliersi di torno. Anche l’altro, che era vicino al ragazzo, tornò a sedersi al proprio tavolo. “Dovete scusare i giovanotti qui – disse l’uomo con fare gioviale – ma è che, quando il tempo è brutto e non possono lavorare sul fiume, si annoiano e allora hanno voglia di scherzare. Ma non sono cattivi! Vero che non siete cattivi? Anzi, per dimostrarvi che sono dispiaciuti, vi offro a nome loro una birra e non ammetto rifiuti!”. Poi, dopo aver osservato il parcheggio attraverso una delle finestre, andò a sedersi al tavolo dei due viaggiatori. “Allora, cosa vi porta da queste parti? – chiese l’uomo mentre prendeva tre birre portate dalla cameriera e le posava sul tavolo. “Ho chiesto al mio amico di accompagnarmi a Memphis, per visitare la casa di Elvis, Graceland – disse Paolo. “Ah, veramente bella, disse uno dei presenti, alzandosi e avvicinandosi al loro tavolo – Io ci sono stato un paio di anni fa. E’ stata organizzata proprio bene”. “Ma è vero che ti fanno entrare in tutte le stanze? – chiese un altro. “Certo – rispose il primo. “Prima c’era un jukebox qui. – disse il proprietario e sono sicuro di avere ancora i dischi da qualche parte. Ehi, voi due! – e con la testa fece cenno a due uomini seduti in fondo al locale – Andate nel ripostiglio e guardate se riuscite a trovarli”. I due, senza una parola, si alzarono e sparirono nel retro del negozio. “Se sei un esperto, avrai di certo qualche canzone preferita. Ti ricordi qualche titolo? – chiese al ragazzo. “Beh – rispose questi che qualcosa rammentava ma messo in allarme dal comportamento di Will che appariva molto nervoso, indubbiamente perché percepiva che qualcosa non andava – A me piacciono per esempio Suspicion Mind, Jailhouse Rock, Always in my Mind…”.”No, no,- disse il cuoco – vuoi mettere con Love me tender o Cant’help falling in love?”. Ehi, ma che tipo romantico – disse uno degli uomini seduto ai tavoli. Il clima era strano. Una condizione di apparente calma dove però ognuno sembrava recitare un ruolo preciso, come un copione già provato in passato. A cosa serviva tutto questo? La risposta venne all’improvviso. Nella  mente di Paolo e, vista la reazione anche in quella dell’indiano, arrivò come una fucilata:”Venite fuori, SUBITO!!”. I due si guardarono in faccia e poi, senza dare il tempo a chiunque di intervenire, si alzarono di colpo e si gettarono fuori del locale. All’esterno, uno dei due uomini, che erano usciti precedentemente dal locale, stava armeggiando con la serratura dello sportello del pickup mentre l’altro, che aveva alzato il telo disteso sul cassone, stava cercando di prendere qualcosa. “Fermi!  - urlò l’indiano, e, senza nemmeno pensarci un attimo, si gettò sull’uomo che stava cercando di forzare la serratura dello sportello. Paolo, osservata la posizione dell’altro che stava sporto sul bordo del cassone, arrivato alla giusta distanza, con un potente sgambetto, gli falciò entrambe le gambe. L’uomo  cadde pesantemente in avanti sbattendo violentemente la faccia sul bordo  del pickup, finendo in terra  privo di sensi. Intanto Will agendo con una rapidità ed una energia inaspettata, aveva ridotto l’altro all’impotenza. Passato il primo istante, Will ed il ragazzo si guardarono in faccia per vedere ognuno come se la fosse cavata l’altro. Dopodichè  guardarono verso il locale per capire cosa sarebbe successo, visto che certamente erano tutti d’accordo. Il padrone con le mani sui fianchi era uscito sul portico e gli altri stavano uscendo anche loro. Will fece segno al ragazzo di saltare sul pickup perché forse stava per mettersi male. Se avevano deciso di derubarli, non sarebbe finita lì. Vedendo che i due stavano salendo sull’auto, il padrone urlò alla loro volta: “Ehi! E’ così che si fa dalle vostre parti? Consumate e ve ne andate? E se chiamassi la polizia?”. “Questa vorrei proprio vederla! – disse il ragazzo. “Non sarei così ansioso di vederla arrivare – rispose l’indiano – ricorda che qui i forestieri siamo noi e loro sono almeno venti testimoni”. Mise una mano in tasca e ne estrasse un pugno di monete. Saranno stati una decina di dollari. Le lanciò in direzione degli uomini. “Tieni! – disse rivolto al padrone – Per quello che abbiamo mangiato è pure troppo. Magari ci scappa una mancia per quella strega!”. Poi, senza perdere tempo, uscì dal parcheggio, stando attento a non investire i due uomini a terra ancora mezzo svenuti e, senza correre, riprese la strada. Il ragazzo era rimasto attento che nessuno degli uomini si muovesse ed effettivamente erano rimasti tutti fermi. “Pensi che finirà qui? – chiese. “Speriamo. L’avevano studiata bene, però. Chissà quante volte hanno già fatto questo scherzo a qualche povero disgraziato capitato da queste parti. Se non fossimo stati in due e veloci, ci sarebbero riusciti anche questa volta”.”Io credo piuttosto che abbiamo ricevuto un aiuto inaspettato. L’hai sentito anche tu, vero?”. L’indiano rimase in silenzio e poi ammise: “Non lo so cosa ho sentito. Magari dei rumori da fuori, magari il mio istinto, tutto qui”. Il ragazzo non volle insistere. L’altro non avrebbe mai ammesso di aver avuto contatti con qualcosa di inspiegabile. Procedettero ancora lungo la 55 mentre il tempo era leggermente migliorato. La pioggia forte era cessata trasformandosi in  una rada pioggerella. Poco prima della  cittadina di Hayti, Will lasciò la strada e si diresse verso una zona indicata da cartelli su cui era scritto: ‘Gayoso Band Conservation Area’. Era un grande parco sulle rive del Mississippi, normalmente attrezzato per ospitare pescatori, cacciatori o semplici campeggiatori. L’indiano parcheggiò sotto un grosso salice piangente e scese. “Devo controllare cosa hanno combinato quei due alla mia macchina, specie quello che frugava nel cassone. Invece quello che aveva tentato di forzare lo sportello, fortunatamente non aveva procurato danni. Probabilmente aveva tentato di usare un semplice grimaldello. L’altro invece, per frugare meglio fra il carico, aveva reciso le corde che lo teneva fermo ed ora, con il procedere lungo la strada, si era spostato un po’ tutto. Il ragazzo osservò con attenzione i vari oggetti, temendo di vedere il contenitore che sapeva essere a bordo ma non lo vide. Certo Will l’aveva nascosto veramente bene. L’indiano aveva rimesso tutto a posto al meglio e stava risistemando le corde per fissare definitivamente il carico. Il ragazzo si accorse solo all’ultimo momento della macchina che stava arrivando a velocità piuttosto sostenuta e fece appena a tempo ad avvisare il suo compagno quando questa si fermò slittando leggermente, alla loro altezza. Si accorsero subito, dalle scritte che si notavano sulle fiancate, che quella era un’auto della polizia del posto. Un colpo di sirena attirò definitivamente la loro attenzione. Uno degli agenti scese senza cerimonie, impugnando la pistola, mentre l’altro era rimasto alla guida del veicolo. L’atteggiamento del poliziotto che era sceso  era previsto dalle regole di ingaggio, per il fatto che loro due erano in piedi, al di fuori  del veicolo e quindi potenzialmente pericolosi. Ma Paolo percepì qualcosa nel profondo dell’agente che risultò essere molto minaccioso. L’uomo era molto arrabbiato per qualcosa, qualcosa che li riguardava o almeno così lui credeva. “Avevate trovato un bel posticino per spartirvi la refurtiva, eh? Ma stavolta vi abbiamo beccati. Lo sapevo che venivate qui per rifugiarvi! E ora stendetevi a terra con le braccia e le gambe allargate e non fate scherzi. Dopo aver dato una veloce occhiata all’agente rimasto in macchina e che sembrava stesse comunicando in modo concitato per radio con qualcuno, l’indiano cercò di capire cosa stava accadendo. “Agente, non potrebbe dirci cosa sta succedendo? Noi siamo solo due campeggiatori che stanno facendo…”.”Silenzio! Vi faccio vedere io i campeggiatori, avanzi di galera. A terra! – e mentre diceva così, armò il cane della pistola che era puntata ora verso l’indiano. Paolo era estremamente nervoso e inquieto. La cosa poteva degenerare da un momento all’altro e loro nemmeno sapevano in cosa erano stati coinvolti. Sentì una enorme quantità di energia cominciare ad uscire dal suo corpo e in buona parte si dispose attorno a lui, come a creare uno schermo, e la parte restante, si diffuse nell’ambiente. Quasi contemporaneamente ci fu un intensissimo lampo a cui seguì un fragoroso tuono. “A terra, ho detto! – e questa volta, dal tono della voce, si capiva che l’agente non scherzava. I due non ebbero scelta che eseguire l’ordine. Ora si metteva davvero male perché, quand’anche avessero chiarito la loro situazione, una perquisizione del loro mezzo, avrebbe portato alla scoperta del loro insolito carico. “Allora, è qui che nascondete la refurtiva? Eh? Ditemi dove! O devo sparare a qualcuno”. Paolo percepiva ancora quello strano fenomeno, iniziato qualche minuto prima. In cielo le nuvole scure si accumulavano impetuosamente come sospinte da un vento intensissimo. Seguirono ancora a breve distanza due forti lampi seguiti immediatamente da tuoni assordanti, come se il fenomeno atmosferico si fosse manifestato da una brevissima distanza. In quella giunse l’altro agente correndo. “Si fermi capo, i dati non corrispondono, non sono loro che cerchiamo. Il loro pickup non risulta rubato!”.”Me ne frego io – rispose l’altro quasi fuori controllo – Due uomini, con un pickup in un parco chiuso che possono fare se non qualcosa di losco? E ora questi due ci diranno che ci facevano qui!”.”Ma capo, non gli hai nemmeno detto di cosa sono sospettati!”.”Mi vuoi insegnare il mestiere? Tu a me! Un pivello.. – e gesticolando, senza rendersene conto, fece partire un colpo dalla sua arma che andò a conficcarsi, per fortuna, a terra, vicino ad un braccio del ragazzo, spaventandolo davvero e facendogli desiderare che tutto ciò finisse al più presto. Come se rispondesse al suo desiderio, un fulmine si scaricò a terra, attratto dalla pistola dell’agente che, dopo aver sparato, era rimasto un attimo, paralizzato dalla gravità, dalla drammaticità di quanto era successo. Ci fu un grido, e l’uomo crollò al suolo, privo di sensi. La pistola era a terra, contorta e mezza fusa per il calore. L’agente, con la mano ustionata, era sdraiato, supino e in preda ad un tremito continuo. Subito, l’altro agente, si gettò in ginocchio accanto al corpo del suo collega e cercò di rianimarlo o quanto meno di ottenere un segno di coscienza. Apparentemente non c’era nulla da fare. “Agente – disse l’indiano – il suo collega ha bisogno di aiuto immediato. Le diamo una mano a caricarlo in macchina e  lei lo porti di corsa in ospedale”.”Si, si, - rispose l’uomo e, mentre caricavano il ferito, si sentì in dovere di spiegare – Scusate il mio capo, ma da un po’ di tempo c’è qui intorno una banda di delinquenti che rapina i campeggiatori, i turisti e le persone di passaggio. Non riusciamo nemmeno a capire chi sono e, proprio stamattina, il sindaco ha minacciato il capo di cacciarlo via se non avesse ottenuto qualche risultato in fretta”. “Stia tranquillo – disse il ragazzo – per adesso pensi a portare il suo collega in salvo”. Mentre guardava l’auto della polizia che si allontanava, Will disse al suo compagno: “Sei stato tu, vero? Lo sapevo che prima o poi ti saresti svegliato e avresti combinato qualcosa”. Il ragazzo si accorse improvvisamente di essere esausto e cadde a sedere pesantemente a terra. Poi, dopo essersi preso un po’ di tempo per pensare, rispose:”Io non lo so!  Io so solo che mi sono messo paura e che ho desiderato che tutto finisse. Si, mi sono sentito strano e, quando quello ha sparato, non so nemmeno io cosa è successo di preciso”.”L’avevo capito. Lo sentivo che eri speciale. Solo il cielo sa di cosa sei capace ora. Il controllo del tempo atmosferico! Ti rendi conto? Gli sciamani più esperti lo fanno, ma ci mettono anni. E tu ci sei arrivato in pochi giorni!”.”Il controllo del tempo? Ma io non ho controllato nulla. Ho cercato solo di mettere fine a quella cosa terribile”.”L’hai fatto. Istintivamente. Apparentemente controlli i fenomeni atmosferici ma soprattutto il vento, che agisce sulle nuvole e le fa muovere per ottenere i vari fenomeni meteorologici”.”E quindi, secondo te, cosa sarei capace di controllare?”.” A parte gli effetti sulle persone, di solito, il controllo si estende sulle forze e sugli elementi della natura. Ovviamente,  quindi, sugli elementi fondamentali, ossia l’aria, il fuoco, la terra e l’acqua”. Al ragazzo tornò immediatamente alla memoria un vecchio film che aveva visto anni prima, in cui si parlava di un ragazzino che stava imparando a dominare questi elementi per aiutare il popolo oppresso dalla ‘Nazione del Fuoco’. “Ma che diavolo! – pensò – Ci mancava solo questo adesso! Altro che trovare la mia pace. La mia pace l’ho perduta se quello che dice Will è vero!”. Quando espresse i suoi dubbi alla sua guida, questa rispose: “Innanzi tutto, tu non sei un essere malvagio e non useresti mai, credo, questi poteri per nuocere a qualcuno. Di norma, infatti sono usati solo a fin di bene e questo dovrebbe farti sentire meglio. Tu sei in grado di aiutare gli altri, se vuoi. Questo solo, è importante. Se il tuo dubbio è quello di essere diventato una specie di messia, di salvatore, che si sentirà obbligato a riparare tutti i torti del mondo, ti tranquillizzo subito. Non è facile, salvo eccezioni, usare queste capacità e, come ora sai bene, richiedono spesso una enorme quantità di energia. Gli sciamani anziani sanno dosare l’energia necessaria per i vari rituali, sanno dove andarla a prendere e soprattutto la sanno gestire. Si vede immediatamente che sei esausto e questo perché, per ottenere ciò che desideravi, hai impiegato tutte le tue riserve. Infine, e questa forse è la cosa più difficile da capire e gestire, a volte non è il caso di intervenire su situazioni che apparentemente si potrebbero risolvere. Ma questo lo capirai più avanti”. Malgrado fosse pomeriggio inoltrato, decisero di andare via da lì, nel caso che qualche poliziotto avesse pensato di ripassare per quei luoghi. In fin dei conti, da quello che avevano capito, era in corso in quel territorio una vera e propria caccia all’uomo, e non avevano la minima intenzione di esserci coinvolti. Per cui, risalirono sull’auto e partirono in tutta fretta, alla volta di Memphis. Il ragazzo, subito dopo la partenza, cadde in un sonno profondo da cui si svegliò solo quando l’indiano lo scosse alle porte della città. “Per Bacco – disse il ragazzo, stirandosi – Ma ho dormito per tutto il viaggio!”.”Ne avevi bisogno e ti ho lasciato riposare in pace. D’altronde non hai perso granchè. Con il buio, specie su questa strada non c’è molto da vedere. Ora stiamo per attraversare  Memphis ed io non avrei l’intenzione di fermarmi, se non per mangiare qualcosa”.”D’accordo – rispose il ragazzo che si accorse di avere una gran fame”. Quando imboccarono il ponte Memphis Arkansas Bridge, ormai era buio ed erano accese tutte le luci che illuminavano le arcate di acciaio. A fianco, il ragazzo notò un treno, che stava percorrendo un ponte che correva parallelo a quello su cui si trovavano. Le acque del fiume erano visibili solo nelle immediate vicinanze delle luci. L’indiano gli fece notare che attraversando il ponte, sarebbero passati dall’Arkansas in Tennessee. Entrati in città, l’indiano lasciò presto la 55 per un tragitto meno trafficato e di certo meno controllato. Inoltre, lungo la strada che stavano percorrendo, sempre in direzione sud, la 51, c’era una cosa che valeva la pena di vedere. E infatti, poco dopo, sulla sinistra, sorpassarono la costruzione nota con il nome di Graceland, ossia la casa  di Elvis Presley. In realtà, per quanto Will rallentasse, non riuscirono a vedere granchè. Solo una villa con un ingresso a colonne ed un grande parco, ma parzialmente nascosti, purtroppo da un’altra costruzione che fungeva da centro accoglienza per gli eventuali visitatori. Certo, era un peccato essere venuti fin lì e poi non essersi potuti fermare, ma non era possibile, vista la natura del loro imprevisto percorso. Era chiaro che quella città avrebbe meritato una maggiore attenzione, sia per la sua storia che per le sue caratteristiche, ma sarebbe stato sempre possibile tornarci in seguito. Poco più avanti, sulla destra videro parcheggiati in un’area creata appositamente, due aerei, tutti e due appartenuti a Elvis. Uno più grande, un jet Convair 880, cui il cantante aveva dato il nome della figlia, Lisa Marie. Si diceva che dentro fosse  lussuosissimo, con tanto di rubinetti d’oro nei bagni. L’altro, un Locked Jet Star del 1962 che era stato usato un po’ più spesso, per gli spostamenti del divo. Will, alla fine si fermò presso un palazzetto con il tetto rosso e un ingresso vetrato  in mattoni chiari e che si chiamava Golden General Buffet e Grill. Entrando si sentiva un forte odore di cucina ma non sgradevole. Nella prima sala, molto illuminata, correvano lungo le pareti, decorate con colori allegri e vivaci, dei banconi in vetro che permettevano di vedere le vivande che erano esposte. Dietro il bancone, numerose postazioni di cucina, dove era impegnato un gran numero di addetti che rifornivano di continuo gli scomparti che restavano sguarniti o, eccezionalmente, eseguivano delle preparazioni li per li. In alto, erano appesi dei cartelloni colorati con indicazioni sui cibi, sulle bevande e  i prezzi. Paolo, che aveva una gran fame, partì senza pensarci e dopo aver adocchiato i cibi in offerta, prese un vassoio dalla pila all’ingresso e cominciò a rifornirsi. Aveva visto le fettuccine al sugo di pomodoro ed aveva deciso di rischiare. Poi aggiunse una pizza ‘tipo’ Napoli, una bistecca con patate, delle verdure miste, lesse e grigliate. Un boccale di birra completava la sua “cenetta”. Assieme al suo compagno, prese posto ad uno dei tavoli che era nella seconda sala. Anche Will non aveva scherzato con il cibo, ma aveva evitato la pasta. D’altronde, pensò il ragazzo che aveva ‘attaccato’ con voracità le sue fettuccine, trovandole più che passabili, lui non più di qualche ora prima, aveva scagliato dei fulmini. Non poteva crederci!! E infatti lo trovava molto difficile. Terminato il primo piatto e passato alla pizza, rallentando il ritmo, il ragazzo chiese alla sua guida: “Hai detto che gli sciamani gestiscono l’energia in modo giusto e sapiente. Ma innanzitutto, da dove la prendono?”. L’indiano rimase concentrato apparentemente sulla propria bistecca ma in realtà stava raccogliendo le idee per poter dare una risposta esauriente senza inutili giri di parole. “Gli sciamani sanno che l’energia è ovunque, intorno a noi. Il punto è  saperla prendere”.”Ha qualche cosa anche fare con quello che chiamano Prana?”.”Si, certo. La parola che deriva dal sanscrito può significare respiro ma anche vita e spirito. Se leghi questi tre concetti, ti farai un’idea del valore complesso della parola. E poi, anche nel vostro libro sacro, la Bibbia, si parla di una cosa simile. Solo che in quella occasione si definisce con la parola Mana. In realtà sembra che l’origine della parola sia malaisiana ma il punto è che è stata usata più volte per esprimere questo stesso concetto dai traduttori del vostro libro”.”Mi sorprendi sempre per la tua cultura, ti devo fare i miei complimenti”. Will in realtà non sembrò  prendere bene questo commento e rispose alquanto piccato: “Certo il viso pallido era sicuro che l’uomo rosso fosse un selvaggio, pratico di trappole, di bufali e magari espero di archi e frecce. Ma hai una lontana idea di cosa e quanto occorra studiare per procedere sulla via dello sciamanesimo? Ti assicuro che il nostro amico Sole Splendente non è affatto tenero con i suoi studenti. Anche perché lo sciamanesimo è un lungo, duro percorso non solo di danze tribali, come pensi tu, ma di pensiero, di meditazione, per raggiungere i gradi più alti che la mente è in gradi di ottenere. Ecco perché sono ancora meravigliato del suo comportamento nei tuoi confronti. Il punto è che forse la risposta sta nelle ultime parole che lui ti ha detto”. Il ragazzo non aveva mai riferito completamente al suo compagno cosa aveva detto di lui lo sciamano e, per cambiare argomento, riassunse: “Quindi, se io ho bisogno di forza, se trovo necessario intervenire in qualche modo, la prima cosa che dovrei fare è ‘caricarmi’ con la necessaria e giusta energia”.”Si e dopo, quello che conta è l’intenzione e, per la sicurezza dell’operatore stesso, le motivazioni. Ogni sciamano sa di dover rispondere delle azioni che svolge. Quando tratta energia sporca e corrotta, nel caso voglia nuocere a qualcuno con atteggiamenti deviati, sporcherà la propria anima e si corromperà, a rischio di perdersi”. “Ok. Allora ho recepito il messaggio. Praticamente se si agisce per il bene degli altri è tutto a posto e si cresce interiormente. Se si fa del male, contemporaneamente ci si danneggia perché ci si avvelena con energia sporca e malvagia, è così?”.”Esattamente. Come scoprirai, prima o poi, a volte è molto difficile trattenersi dall’agire in certi modi. A volte ci troviamo davanti persone cattive a cui si vorrebbe fare del male e che se lo meriterebbero ma occorre far i conti con sé stessi e capire se vale la pena di sporcare la propria anima”.”Ma allora? Quello che ho fatto con l’agente poco fa, nel parcheggio? – chiese preoccupato il ragazzo. – Gli ho fatto del male e ora ne devo pagare il prezzo!”.”No, non è così. In quel momento ti sei sentito minacciato, hai agito in condizione di legittima difesa”.”Ma resta il fatto che ero fuori controllo. Avrei potuto ucciderlo!”.”Ma non l’hai fatto. Il fulmine ha colpito la sua pistola e lui si è preso solo un bel colpo. Se  fossi stato una persona malvagia, l’avresti preso in pieno e l’avresti carbonizzato!”. “Questo in parte mi consola. E per l’energia?”.”In realtà, sei già in grado di procedere. Sotto la tenda essudativa, all’inizio della prova, lo sciamano vi ha invitato tutti ad eseguire una respirazione particolare che vi ha aiutato ad entrare nella opportuna condizione. Quello è il modo di recepire l’energia dall’esterno”. Paolo ricordò quella fase della cerimonia e capì come avrebbe dovuto procedere. Durante la importante conversazione, aveva ingollato i  che aveva preso. “Bene – disse il ragazzo, guardando l’ora, - adesso che si fa?”.”Adesso ci avvantaggiamo avvicinandosi alla nostra meta ma non voglio arrivarci di notte. Lo sa il cielo quello che ci può aspettare e non voglio affrontarlo con il buio. La notte gli spiriti sono più forti, te lo ha detto anche il nostro passeggero. E poi noi ci troveremo contro non solo lui, se ti ricordi, ma almeno altri dieci. Dieci spiriti inquieti, desiderosi di chissà quale rivincita e noi non avremo scampo”. “Io non percepisco questa minaccia, invece. Sento che dobbiamo stare attenti, come se qualcosa di malvagio ci stesse seguendo, ma non proviene da chi pensi tu”.”Motivo di più per stare attenti, allora. Partiamo da qui e proseguiamo fino ad un parco vicino ad un lago che si chiama Sardis Lake. Il parco è il John W Kyle State Park. Lì rizziamo una tenda e dopo esserci fatti un bel sonno , percorriamo gli ultimi 25 Km che ci separano dalla nostra meta e poi vediamo di finire questa cosa. Ma con tutte le attenzioni e le difese possibili”.”Ok – convenne il ragazzo – Mi sembra ragionevole”. Dopo che Paolo ebbe pagato il conto del ristorante, senza che Will facesse la minima obiezione, risalirono in macchina diretti al punto scelto dall’indiano per pernottare. Il ragazzo però si sentiva nervoso e non sapendo  cosa stesse succedendo, non vedeva l’ora di mettere fine a quella esperienza. Un presentimento sgradevole, le paure della sua guida, le parole misteriose dello sciamano… Sperava di riuscire a dormire in pace quella notte e poter essere in grado la mattina seguente di esaminare le cose con maggiore distacco e  raziocinio. Entrati nel parco proseguirono lungo la strada fino ad una piazzola di sosta vicino al lago. Grandi alberi a formavano una zona riparata e, lì, Will montò in fretta la solita tenda. Poi accese un bel falò e, assieme al ragazzo, decise di bersi una birra in santa pace prima di andare a dormire. Attraverso gli alberi si vedeva un cielo che era tornato sereno e pieno di stelle. Le acque del lago si muovevano appena. Un bel posto insomma. Malgrado quella gran calma apparente il ragazzo percepiva una profonda inquietudine che non riusciva a controllare anche se da un bel pezzo stava eseguendo una respirazione che gli aveva consigliato lo sciamano in questi casi. Era come se una parte di sé stesso stesse cercando di avvisarlo di un evento spaventoso ed un’altra tentasse di tranquillizzarlo. Nessuna delle due però riusciva a prevalere sull’altra. Sentiva comunque che si stava caricando di una grande energia. Fu comunque una sorpresa quando dal silenzio, improvvisamente, si udì una voce ironica e minacciosa. “Ma guarda chi si rivede! I nostri due amici!”. E da dietro un albero venne fuori la figura del padrone del locale da cui erano fuggiti quella mattina. “Ehi, ci sono anche io – disse un’altra voce e da dietro un albero venne fuori un altro uomo. “E anche io! – disse con una certa difficoltà una terza voce. Quando l’uomo emerse dall’ombra, il ragazzo lo riconobbe per quello che aveva fatto cadere nel parcheggio. Dalle condizioni del suo viso e da come aveva parlato si capiva che nella caduta doveva aver perduto alcuni denti. Altre tre voci si udirono e, per ognuna di esse, comparve un uomo. Il capo aveva in mano un lungo coltello e , a meno che non fosse una sorta di maniaco, appariva privo di fantasia perché sembrava proprio un coltellaccio da cucina. Gli altri avevano dei robusti bastoni e l’uomo dai denti rotti stringeva in mano l’estremità di una catena, di certo desideroso di vendicarsi. Per fortuna, apparentemente, nessuno di loro aveva delle armi da fuoco. “Pensavate veramente di cavarvela così, a buon mercato? Dopo che noi vi avevamo offerto la nostra ospitalità, il nostro cibo?”. Will si chiese se l’uomo scherzasse o se invece facesse sul serio.  Aveva contato in tutto sei uomini e anche se loro due erano disposti a lottare, erano in notevole svantaggio. L’unica possibilità era quella di raggiungere il pickup e riuscire ad afferrare il fucile che aveva messo nel cassone, dietro al sedile. L’unica cosa da fare, intanto, era di guadagnare tempo per pensare a soluzioni possibili. “Scommetto che siete voi le persone che i poliziotti stanno cercando. Dite la verità. Una bella organizzazione, non c’è che dire – continuò l’indiano avvicinandosi all’uomo con il coltello e contemporaneamente al suo mezzo. Al momento giusto avrebbe tentato di raggiungerlo con uno scatto veloce.  – O li derubate direttamente al locale o li seguite e poi li sistemate lungo la strada. Chiunque  vi capiti fra le mani, non ha scampo”. Gli altri aggressori, intanto, avevano iniziato a muoversi anche loro, stringendo il cerchio attorno ai due uomini. Sarebbe bastato un nulla, una reazione, una parola storta, un movimento sospetto a far precipitare la situazione. Will cercava di non perdere di vista nessun elemento, contemporaneamente, si arrovellava il cervello per trovare una soluzione. Ma la situazione era veramente difficile, specie perchè quelli non scherzavano. Non cercavano solo soldi ma anche la vendetta, la rivalsa per la figura che avevano fatto. Più che a sé stesso, l’indiano pensava al suo compagno, anche perché, in qualità di guida, se ne sentiva particolarmente responsabile. “Ma pensa un po’! – disse rivolgendosi all’omone che gli si avvicinava, con una calma che era lungi da provare –  siete un bel gruppo, non c’è che dire!”.”Sei intelligente, veramente – rispose l’altro sorridendo – siamo proprio noi e devo ammettere che la cosa ci ha reso molto bene. E non finisce certo qui”.”Ma capo – disse uno degli uomini con voce preoccupata – ma che gli hai raccontato? Adesso sanno di noi e ci conoscono tutti”.”E allora? – rispose l’altro – Per raccontare le cose bisogna essere vivi e dopo il trattamento che ho in mente per questi due, dubito fortemente che qualcuno possa ancora parlare!”. Se i due avevano la speranza di cavarsela, nella peggiore delle ipotesi, con una sonora bastonatura, ora la gravità delle parole pronunciate dal capo dei banditi, non lasciavano spazio a dubbi. Li avrebbero ammazzati e si sarebbero divertiti a farlo, per giunta. L’indiano, con un guizzo improvviso, si gettò addosso all’omone che aveva davanti, dandogli un terribile pugno sul naso, con tutta la forza che aveva. Il naso scricchiolò e ne uscì un fiotto di sangue ma l’uomo sembrò non fare una piega. A sua volta, con una rapidità insospettabile, afferrò l’indiano per il collo e lo sollevò letteralmente dal terreno, usando un solo braccio. Nella mano libera stringeva il coltello da cucina. “Sai quante volte mi hanno rotto il naso sul ring? E tu pensavi che quel pugno potesse spaventarmi?”. Contemporaneamente gli uomini dietro al ragazzo, con un salto, gli piombarono addosso e immediatamente lo immobilizzarono con le braccia incrociate dietro la schiena. Paolo non riusciva più a muoversi. Gli si mise davanti uno degli uomini mettendogli  sotto il naso un pugno avvolto da una pesante catena. “Ti ricordi di me? – disse parlando in modo quasi incomprensibile e accennando un sorriso mostrò i denti anteriori spezzati e le labbra tumefatte – Quando avrò finito con te, io, a tuo confronto sembrerò bellissimo”. Will, sospeso in aria, si divincolava cercando di liberarsi dalla stretta al collo e, con la forza della disperazione, riuscì a dare un calcio violentissimo all’inguine dell’uomo che lo teneva. Questi accusò il colpo e si piegò in due ma senza mollare la presa. La sua faccia assunse un’espressione terribile e disse fuori di sé: “Adesso basta, non mi diverto più”. E senza nemmeno pensarci un attimo, affondò il grosso coltello nel fianco destro di Will, fino a mezza lama, provocando uno squarcio profondo. Paolo che aveva visto la feroce scena, dimenticò tutto. Dimenticò gli uomini che gli tenevano le braccia bloccate dietro la schiena, dimenticò il mostro che gli agitava la catena davanti al naso. All’improvviso, sapeva cosa fare. Chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro. Prese un respiro veloce e profondissimo. Con un forte grido e senza apparente sforzo, distese le braccia facendo volare a terra quelli che lo tenevano fermo. Aveva i palmi aperti e rivolti  verso il fuoco. Dai suoi palmi scaturirono due raggi di luce bianca e intensissima che costrinsero i presenti a coprirsi gli occhi e che andarono a colpire la base del falò al centro dell’accampamento. Il fuoco sembrò esplodere. Le fiamme si alzarono fino a tre metri di altezza. Poi una lingua di fuoco si protese velocissima ad avvolgere completamente l’uomo che ancora teneva l’indiano per la gola. All’inizio l’uomo rimase fermo, sorpreso per ciò che gli stava accadendo. Poi, il fuoco cominciò a bruciarlo e allora, Immediatamente lasciò andare l’indiano e si buttò a terra gridando e cercando di spegnere le fiamme ma senza riuscirci. Contemporaneamente altre lingue di fuoco andarono a colpire e incenerire i bastoni che gli uomini stringevano ancora fra le mani. Poi si estesero alle loro braccia e alle loro mani. E anche questi cercavano, a quel punto, di spegnere le fiamme ma senza risultato. Quel fuoco non si spengeva, come se le fiamme venissero alimentate di continuo. Nella radura si udivano le fortissime urla dell’uomo che si rotolava a terra in preda al dolore per le ustioni e degli altri che iniziarono a gridare: “Basta! Basta! Ci arrendiamo!”. Anche se non avevano capito come, si erano però resi conto che era stato il ragazzo a colpirli ed ora terrorizzati cercavano di ottenere la sua pietà. Fu Will che alla vista della scena, per un momento aveva dimenticato di essere a terra, ferito gravemente. E fu lui a chiamare il ragazzo. “Paolo! Paolo! Fermati, sono io Will! Fermati!Li farai morire tutti! Fermati! Non sono più un pericolo! E poi – aggiunse, sapendo che questo avrebbe avuto effetto sul ragazzo – poi devi pensare a me che sono ferito ed ho bisogno di soccorso immediato”. Paolo, come risvegliato da un sogno, lentamente lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, risollevò la testa  e lentamente riaprì gli occhi, come se si fosse svegliato in quel momento. Dalle sue mani non proveniva più nessun raggio ed il fuoco era tornato ad ardere normalmente. Però, a terra, rimaneva il capo dei banditi con tremende bruciature in tutto il corpo e che si lamentava debolmente, come gli altri che avevano profonde ustioni alle braccia e alle mani, che si rendevano conto di essersela cavata, per il momento, ma che non sapevano che fare, ancora terrorizzati da ciò che era accaduto. “E’ il demonio – sentì dire da uno degli uomini terrorizzati – E’ il demonio in persona, vi dico!”. Il ragazzo riaquistò subito il controllo, consapevole che, con il suo compagno in quelle condizioni, non aveva tempo da perdere. “Rialzatevi – disse loro con voce perentoria che non ammetteva repliche. Poi indicando il loro capo – Portate via anche quella spazzatura e sparite. Se solo risento la vostra puzza nel raggio di un miglio, vi incenerisco con tutte le vostre case e le vostre famiglie. Chi sono io, non ha importanza ma avete capito e visto con i vostri occhi di cosa sono capace. Via da qui!”. Gli uomini, pur soffrendo atrocemente, riuscirono a sollevare il corpo martoriato del loro capo e, terrorizzati, sparirono dalla vista. Dopo un paio di minuti, si sentì il rumore di un motore che si metteva in moto. Ora di certo si sarebbero diretti verso un ospedale  e una volta lì, difficilmente avrebbero raccontato ciò che gli era accaduto. Intanto, il ragazzo aveva delicatamente trascinato il suo compagno verso un albero, in modo che potesse stare comodamente appoggiato ad una delle radici. Il grosso coltello era ancora conficcato nella ferita e probabilmente era quello il motivo per cui l’uomo era ancora vivo. Dalla ferita dell’indiano usciva a fiotti del sangue, segno che era stata colpita un’arteria. La carogna che l’aveva colpito, aveva assestato il colpo con maestria, frutto di una indubbia pratica. Il ragazzo, sui campi di battaglia, di ferite ne aveva viste parecchie, ed aveva capito che, senza un valido soccorso immediato, non c’era speranza. Sarebbe servito un miracolo. Intanto, usando il maglioncino che si era sfilato, esercitava quanta più pressione poteva sulla lacerazione, tentando di arginare il sangue. Ma la presenza della lama non facilitava le cose. Will appariva pallidissimo e sudato, il respiro era corto e affannato e la sua temperatura stava scendendo. Stava andando in stato di shock. “Accidenti, che brutta ferita!”. La voce, proveniente dal nulla, ebbe il potere di richiamare l’indiano da una condizione di torpore e fece fare un salto al ragazzo. L’ombra! In tutta quella storia, nessuno ci aveva più pensato ed ora, era lì, a fianco a loro, nella solita forma indefinita ma perfettamente visibile. “Sei venuto a prendermi? – sibilò con rabbia l’indiano – dovrai attendere un pezzo, allora. Pur di non darti soddisfazione, sono capace di alzarmi da qui e andarmene in ospedale a piedi!”.”Stai calmo, per favore – disse Paolo rivolto al suo compagno che agitandosi non migliorava certo la sua condizione. E poi, rivolto all’ombra, chiese – Che fai qui? Ci puoi dare una mano?”.”Non gli chiedere niente!- disse l’indiano iniziando a tossire – Non vedi che è dall’inizio che si voleva prendere gioco di noi? Di certo aveva un piano!”.”Allora – disse l’ombra, con un tono di chi parla con un bambino non molto sveglio – per prima, cosa non avevo nessun piano se non tornare a casa mia, si fa per dire. Questo imprevisto, semmai, aggrava le cose perché rende più difficile la fine del mio viaggio. Se io avessi voluto prenderti, come dici tu, l’avrei potuto fare a mio comodo, perché, e qui ti devo dare una gran brutta notizia, i tuoi giochetti, le tue collanine  di paglia, con me, non funzionano e non hanno mai funzionato – e per dimostrarglielo, lo toccò con il suo alone su una gamba – E il motivo per cui non hanno funzionato è che io non ho mai avuto cattive intenzioni nei vostri confronti, anzi. Te l’ho fatto credere solo perché  tu potessi pensare di avere un po’ di controllo su di me, ma nella realtà, non l’hai mai avuto. Ora – disse all’indiano – zitto, e vediamo con il tuo amico cosa si può fare”. “Come ti sembra? – chiese Paolo. L’altro, che aveva osservato la situazione, rispose senza preamboli, perché effettivamente non c’era tempo da perdere. “La ferita è brutta. La lama ha leso di certo almeno una delle arterie addominali, ha probabilmente danneggiato l’intestino e, da quello che vedo, potrebbe aver danneggiato anche il diaframma. Ai miei tempi, una ferita così, significava una condanna a morte. Ai tempi attuali, un rapido intervento mirato, una bella trasfusione ed il tuo amico potrebbe sperare di cavarsela. Ma qui siamo in mezzo al nulla. Se togli il coltello dalla ferita, il tuo amico morirà nel giro di secondi. Se non lo togli e provi a spostarlo, la lama creerà ulteriori danni irreversibili. Un bel problema!”.”Allora? – chiese Paolo quasi disperato per la prospettiva di perdere il suo compagno di viaggio. “Allora….. Io un’idea ce l’avrei. Ma prima, dimmi. Riguardo lo spettacolo che hai inscenato prima, come ci sei riuscito ? E come sei riuscito a resistermi nella casa?”.”Non lo so. So solo che durante una serie di riti indiani, qualche giorno fa, ho sviluppato delle capacità che non immaginavo nemmeno di possedere e che ancora non so controllare”.”A me sembra invece che te la cavi benino. Vedo che con certe procedure hai dimestichezza e quindi ti dico che, se te la senti di affrontarne una, piuttosto estrema  però, un metodo ci sarebbe. Ma ti avviso che non è uno scherzo. E’ pericolosa e rischi di morire, specie se non hai molta pratica in queste cose, come mi hai fatto capire”.”Di che stai parlando? – chiese il ragazzo che per salvare il suo compagno era pronto a tutto.. “C’è una sorta di cerimoniale, che solo gli sciamani più esperti osano seguire. Il cerimoniale, come di certo il tuo amico sa bene, si chiama ‘Iloho’ol aninhè’ oppure ‘Iloho’ol chahalemè’”. L’indiano sentendo quelle espressioni riaprì gli occhi e con grande agitazione gridò: “No! Non lo stare a sentire. Ti vuol portare nel mondo dei morti e non ti farà più tornare. Non lo fare! Non lo fa per me, lo fa solo per prendere la tua anima!”. Lo sforzo sembrò aver esaurito le sue risorse e cadde in una condizione di incoscienza. “E’ vero quello che dice? – chiese il ragazzo all’ombra. “Temo che in parte sia vero. Ti posso dare la possibilità di operare su di lui ma per fare questo, ti devo portare in una dimensione sospesa fra la vita e la morte. Solo in quella particolare dimensione potrai agire”.”E perché è così pericolosa?”.”Perché gli sciamani, che hanno bisogno dell’anima di un defunto per eseguirla, devono evocare uno spirito e non sanno mai se l’anima evocata è benevola o maligna. Nel secondo caso essa cercherà per tutta la cerimonia di sopraffare lo sciamano il quale, se dovesse perdere il controllo perderebbe la vita o comunque la ragione per sempre. Questo, per fortuna, non è il tuo caso. Io sono bendisposto nei tuoi confronti e, per quanto sembri strano, anche nei confronti del tuo amico. Il pericolo comunque c’è ed è relativo al tempo. Se accetterai, ti troverai in una diversa dimensione. Là giunto, saprai come per magia, cosa fare. Tuttavia, se la situazione del tuo amico è così disperata, ti servirà del tempo per intervenire. Io ti posso garantire solo una decina di minuti, non di più. Non possiedo una grande energia e tenere te, sospeso fra due realtà, me ne costerà parecchia. Se non finirai il lavoro nel periodo che ti ho indicato, non riuscirò più a tirarti fuori e riportarti nel mondo dei vivi. Rischi di rimanere prigioniero nel mondo delle ombre. Per sempre”. Il ragazzo guardò Will e quello che vide lo fece decidere immediatamente. “Facciamolo! – disse deciso – Cosa devo fare?”.”Tu mettiti in ginocchio esattamente a fianco del tuo amico e al resto penso io. Non ti spaventare qualsiasi cosa accada perché, a parte ciò che ti ho detto, non ci sono altri rischi”.”Uno scherzo – pensò il ragazzo – restare per sempre nel mondo degli spiriti”. Non ebbe tempo per pensare altro perché l’ombra gli si mise davanti e semplicemente, senza perdere tempo, si fuse con lui. Il ragazzo percepì un colpo tremendo e si sentì squassare per tre volte consecutivamente. Spalancò gli occhi sentendosi soffocare. Non riuscì a vedere nulla come se fosse avvolto da fitte tenebre. Ebbe l’impressione di non poter respirare perchè l’aria era divenuta solida. Per istinto iniziò a combattere contro questa condizione rendendosi anche conto di non riuscire a sentire nulla. Era paralizzato, cieco e stava soffocando. “Calmati! - sentì dire dalla voce dell’ombra – solo un altro secondo!”. Poi percepì come una carezza che, dalla testa discese ad una spalla e infine, lungo un fianco fino ai piedi. La sua rigidezza sparì. La sua respirazione tornò subito normale. Ma fu la vista che gli riservò le maggiori sorprese. Attorno a lui il mondo era presente come prima, ma in una forma totalmente diversa. Tutto gli appariva in modo trasparente, come se potesse osservare l’essenza delle cose che avevano perso la loro forma solida consueta. I colori apparivano sbiaditi. Aveva l’impressione di trovarsi su una lastra di ghiaccio sottilissimo da cui riusciva a vedere sotto di lui le radici delle piante che affondavano nel terreno a profondità diverse. Vedeva le rocce sottoterra e persino alcune tane di animali selvatici. Ebbe un leggero giramento di testa perché non riusciva ad avere riferimenti in quella trasparente e assurda realtà che lo circondava.“Se hai finito di osservare il panorama – disse l’ombra – c’è il tuo amico da salvare. Ti ho detto che non ho molto tempo. Sbrigati!”. Richiamato all’ordine, il ragazzo, pur affascinato da ciò che aveva attorno, capì che non aveva tempo da perdere e si concentrò sul suo compagno a terra davanti a lui. Il suo corpo gli appariva come tutto il resto, semitrasparente e di una consistenza  eterea, molle. Vedeva il corpo ma anche gli organi interni e le ossa, come se fosse in grado di valutare contemporaneamente diversi livelli. Vide la gravità della ferita e capì che doveva muoversi e, all’improvviso, seppe cosa fare. Mise una mano sulla fronte dell’indiano e fermò il battito del cuore. Ebbe un attimo un contatto mentale profondo con l’altro e quello che percepì lo spaventò a morte ma non aveva tempo da perdere. Delicatamente, per non provocare ulteriori danni, estrasse il coltello che sembrava di vetro e lo gettò lontano. Capì che per prima cosa, doveva agire sull’arteria che era stata recisa di netto e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, inserì senza esitazioni le mani nell’addome del suo amico sentendo solo una minima resistenza come se il corpo dell’indiano fosse gelatinoso. Prese i due capi recisi e li unì, poi si concentrò ed essi furono di nuovo saldati assieme. Poi notò che anche un’altra piccola arteria vicina era stata incisa e, di nuovo, intervenne. Il fegato aveva riportato un danno lieve e anche quello si risolse. L’ileo era stato coinvolto e lo dovette riparare. Il diaframma era rimasto per fortuna intatto e, risolti i problemi più gravi, aveva sorprendentemente finito. Praticamente stava agendo come sembra che facciano, a loro dire, gli operatori filippini. Non riusciva a credere a quello che aveva visto fare alle sue mani. Da dove gli veniva quella conoscenza? Da dove gli provenivano quelle capacità? Possibile che veramente gli sciamani fossero in possesso di quelle straordinarie capacità? Poi si rese conto che probabilmente era l’ombra a dirigere il gioco . “Bene – sentì dire dalla voce dell’ombra – hai finito. Ora vieni fuori perché comincio a sentire lo sforzo di tenerti!”.”Un momento solo – rispose il ragazzo che voleva chiarire una questione. Riportò la mano sulla fronte dell’indiano e fece ripartire il cuore con ritmo normale. Per diversi secondi gli fornì energia per cercare di ovviare alla forte perdita di sangue. Poi, prima che l’ombra se ne rendesse conto, entrò nella mente di Will, dove poco prima aveva scoperto qualcosa che non poteva trascurare. Immediatamente l’ombra, con voce preoccupata gli gridò di lasciar perdere, di venire fuori, perché non riusciva più a trattenerlo. Il ragazzo chiese ancora cinque minuti poi, senza attendere risposte scavò a fondo nella mente di Will. E si ritrovò in un ambiente simile a quello in cui aveva incontrato il proprio incubo. Qui, però, la situazione sembrava peggiore. C’era solo una grande caverna semibuia, illuminata solo da torrenti di lava impetuosi che scorrevano fra strettissime spallette di roccia. La lava, nella sua irruenza, schizzava lapilli dappertutto. Al centro della caverna, un isolotto di circa tre metri di diametro, circondato da sbarre a cui si vedeva attaccata una figura apparentemente umana che gridava in modo quasi animalesco, riuscendo perfino a sovrastare il frastuono  circostante. Paolo si avvicinò a quella terribile figura e, con una relativa sorpresa, potè constatare che si trattava proprio di Will, o almeno una parte della sua anima. Ma in che condizioni! Era magrissimo, con uno straccio lurido e sfrangiato attorno ai fianchi. Era a piedi nudi e coperto di ustioni per le scintille incandescenti che volavano in aria in continuazione. La sua espressione, fra il dolore e la rabbia, era veramente spaventosa. Vedendolo, il prigioniero aveva smesso di gridare e gli chiese con ira: “Che ci fai qua? Vattene!! Vattene via!”. E riprese a urlare, in modo inumano, scuotendo le sbarre che però non si muovevano. “Ma che ci fai tu, qui! – rispose il ragazzo – Aspetta, che ti do una mano e ti faccio uscire!”.”Vattene via! Fatti i fatti tuoi! Non ti impicciare! Vattene ti dico!”. Paolo, passato il momento della sorpresa, dopo un veloce sondaggio della mente dell’altro, capì forse cosa stava succedendo. “Ma tu – disse all’indiano – non sei un prigioniero. Sei qui per tua volontà. E’ vero?”. In quella si sentì la voce agitata dell’ombra :”Presto! Non riesco più a tenerti”.”Fai quello che puoi perché non posso lasciare le cose così”.”Hai sentito? – disse l’indiano con rabbia – Vattene e lasciami in pace! Io merito di essere qui e tu non ti permettere di intervenire!”. “No, - rispose il ragazzo  che già aveva messo le mani sulle sbarre infischiandosene del fatto che erano quasi incandescenti e cercando di rimuoverle. “Lasciami stare – insistette l’altro. Questo è il mio posto e tu non hai il diritti di interferire”.”Lo devo fare! Non riuscirei più a guardarti senza pensare a questo. Non so cosa tu possa aver fatto ma lo sa il cielo da quanto sei quaggiù e credo che nessuno meriti una cosa simile”. “Vieni fuori – gridò l’ombra con voce strozzata – mi stai sfuggendo!”. “Hai sentito? – disse l’indiano – anche volendo non mi puoi aiutare. E’ destino che io resti qui. E’ giusto”.”No! Non ti lascio. Dammi una mano , invece sennò il mio sacrificio sarà stato inutile. Tu resterai qui ed io per te vagherò per sempre nel mondo delle ombre. Muoviti!”.”Ma io non mi merito di uscire. Io non riesco a perdonarmi per quello che ho fatto!”. “Non c’è più tempo, altrimenti resterei qui a cercare di convincerti ma non è possibile. Se tu non riesci a perdonarti, allora ti perdono io e prendo su di me le conseguenze di ciò che hai fatto - disse il ragazzo ed abbracciò stretto l’altro attraverso le sbarre. Ci fu una sensazione di uno strappo violento. Le sbarre svanirono ed i due si trovarono strettamente abbracciati in una condizione particolare, sospesi del nulla. L’ombra li aveva perduti. Ed ora si vedeva il varco di passaggio con il mondo reale che si allontanava e si rimpiccioliva. I due fluttuavano nel nulla. Restavano strettamente abbracciati. All’improvviso si manifestò il collaboratore del ragazzo in forma di orso. Si pose a lato dei due bloccandone il movimento di allontanamento dalla breccia. Poi apparve il delfino. Si mise a fianco a loro e l’orso afferrò una spalla del ragazzo e con l’altra zampa si avvinghiò alla pinna dorsale del delfino che, intanto, con potenti colpi di coda, stava nuotando in quella strana atmosfera, muovendosi verso il passaggio. Il delfino era instancabile e con estremo sforzo, riusciva ad avvicinarsi sempre di più al varco. Anche l’orso, pur sottoposto ad una grande fatica, non mollava la presa. Quando furono ormai prossimi all’apertura, l’ombra dell’indiano iniziò  lentamente a dissolversi, fino a scomparire del tutto. Appena ciò avvenne, Paolo, come libero da un peso enorme, subì uno strappo che lo riportò di colpo al di la della soglia. A quel punto,  una tremenda scossa gli attraversò il  corpo e perse conoscenza.
  
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