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Autore: Redferne    07/06/2021    4 recensioni
Tra Nick e Judy sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo ed inaspettato.
E mentre Nick cerca di comprendere i suoi veri sentimenti nei confronti della sua collega ed amica, fa una promessa a lei e a sé stesso: proteggerla, a qualunque costo.
Ma fare il poliziotto a Zootropolis sta diventando sempre piu' pericoloso...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 82

 

 

THE FANTASTIC MR. FOX – FURBO, IL SIGNOR VOLPE!!

 

 

 

(PRIMA PARTE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ecco. THAT' S ALL, FOLKS” commentò laconico Finnick, emettendo un sonoro sospiro subito dopo quel commento. Per poi lanciarsi a canticchiare un motivetto facente parte della sigla sia di apertura che di chiusura di una ben nota quanto rinomata serie di show a cartoni animati.

Del genere dei corti, stra – pieni zeppi di gags fino all'osso e al midollo. E da morir dal ridere.

Sul serio.

“Eeee...questo é tutto, gente” ribadì subito dopo, caso mai ve ne fosse stato l'eventuale bisogno quando in realtà non ve n'era affatto. “Esto es todo. Es accussì 'cca fernesc'. Così se conclude la storia mia e de Cyrus, bella.”

Non ve n'era alcuna necessità di ripetere dato che al momento non erano che in due, da quelle parti.

Stava procedendo a passo lento lungo un ampio marciapiede. E il complimento appena formulato lo aveva ovviamente rivolto a Maggie, che gli teneva debita compagnia camminando al suo fianco. E cercando al contempo di tenere la sua andatura a dir poco soporifera.

Un'operazione, la sua, che costituiva l'esatto contrario del consueto. In quanto avrebbe dovuto aver luogo l'esatto vice – versa.

Avrebbe dovuto stare lei in testa, in quanto ufficiale di grado maggiore lì presente. E non lui.

Ed avrebbe pertanto dovuto lui accelerare, non certo decelerare lei.

E invece, come al solito...

Come al solito era il tappo a dettare il ritmo. Come sempre.

La vice – sceriffo avrebbe tanto ma proprio tanto voluto allungare la falcata, ma avrebbe corso il rischio di lasciarselo indietro. E non ci teneva affatto, a seminarlo.

Non se la sentiva di rimanersene da sola, fosse anche solo staccata di qualche metro da un suo partner o collega di lavoro o di servizio.

Dall'unico che aveva a disposizione al momento, tra l'altro.

Nemmeno di pochi centimetri. Nemmeno di pochi millimetri. Anche se il suo presunto collega in regola non doveva avere assolutamente NIENTE, come minimo. A partire dalla fedina.

Ormai lo si era capito. E lo aveva capito anche lei. Ma comunque...non poteva lo stesso fare a meno di lui, in ogni caso.

No. Non dopo quel che era successo, e che le stava quasi per succedere. E che non le era accaduto giusto giusto e puramente per un soffio, o poco più.

Non poteva ugualmente rinunciarci, nonostante tutto. Non anche a lui.

Quel che appariva e che pensava a riguardo di questa situazione avrebbe potuto come minimo sembrare ed sembrarle quanto meno assurdo, se osservato all'interno di tutto un altro contesto.

Ma adesso come adesso...adesso no.

Proprio no.

Ora come ora quel tipo a prima vista così strambo, strampalato e stralunato le dava e le forniva adeguata sicurezza e protezione, ecco la verità. Soprattutto in un momento del genere.

Soprattutto in una circostanza simile. Specie dopo che si aveva avuto a che fare con robe e tizi come quelli con cui aveva avuto a che fare lei. E soprattutto dopo averlo visto fare e fargli certe cose, che almeno fino ad un istante prima non ci si credeva mica che potesse e che fosse in grado di farle.

Quando si era resa conto per la prima volta, in vita sua e da quando lo aveva conosciuto, che quel nanerottolo infido e malandrino era DAVVERO in grado di fare quel che diceva di essere in grado di fare.

Non era come la maggior parte di questi casi.

Non erano leggende metropolitane, alimentate dalle fantasie di gente anche da poco che aveva cominciato a ricamarci sopra. Magari giusto col solo, unico e mica tanto innocente intento di riderci e scherzarci un po' su nel vedere le reazioni dei malcapitati a cui le raccontavano e narravano, con la speranza recondita che se la bevessero con tutta quanta la cannuccia, i cubetti di ghiaccio, il bicchiere e pure gli ombrellini di carta.

Niente di tutto questo. Non questa volta.

Qui era TUTTO VERO. Oppure, nel caso che non lo fosse in parte o del tutto...ci andava dannatamente e spaventosamente vicino.

E quello che aveva udito sino ad un attimo prima non era sta che l'ennesima riprova a definitivo supporto.

Ormai Maggie non aveva più alcun motivo lecito di dover dubitare o confutare.

E così, visto per come stava messa tutta quanta la maledetta faccenda...non le restava che FIDARSI.

Fidarsi di LUI.

Ora come ora quella piccola volpe del deserto costituiva per lei l'unica e sola garanzia disponibile.

L'unico su cui poter contare per intero, almeno per adesso..

Non gli restava che lui. Non gli era rimasto che lui, e nessun altro.

Era il solo su cui potesse fare affidamento. Il solo superstite della squadra e della compagine, ad eccezione sua. Anche se solo momentaneamente. Nell'attesa di poter serrare di nuovo i ranghi e le fila.

Ma quelli...quelli che erano chiamati ad affrontare anzi a ri – affrontare a breve, coloro che li stavano aspettando nell'oscurità bramando di saltare e di uscir fuori alla prima occasione disponibile o non appena gli fossero giunti a tiro, dato che ormai per come stavano messi e piazzati tanto valeva andarli a cercare prima che fossero loro a farlo, prima che si potessero riorganizzare ed imbastire così una nuova offensiva...

Quelli non aspettavano. Non avrebbero aspettato di certo. Men che meno i loro comodi.

Toccava darsi una mossa, nel frattempo. Ed intanto...

Intanto non le restava che Finn, con cui arrangiarsi. Non le restava che quello.

Le sue speranze erano risposte e riposavano sulle minuscole, fragili ed adunche spallucce di un emerito mentecatto.

Che poi tanto mentecatto non era, dopotutto. Anche se ad uno così non gli avrebbe affidato nemmeno la monetina per prendere a prestito e a nolo il carrello con cui andarsene a fare la spesa al supermercato, al centro commerciale oppure al Mall.

Proprio vero.

Era proprio vero, dunque.

In certi momenti, che siano di bisogno oppure di estrema necessità o particolarmente disperati e tragici...ci si finisce ad aggrappare a tutto. Ad ogni cosa.

Ad ogni cosa, pur di non perdere e di lasciare andare o decadere definitivamente la speranza.

Fosse anche solamente la speranza nella speranza, che é già qualcosa ed é pur sempre e comunque meglio di niente.

Ci si agrappa a tutto, nel momento del bisogno. Che non é quello per cui ci si ferma ad un angolo appartato o ad un crocicchio della strada particolarmente nascosto e celato, ci si si mette dietro ad un albero, un cespuglio o alla brutta anche alla fiancata della propria vettura, ci si slaccia o si calano le brache e ci si svuota la vescica o l'intestino del malloppo residuo che si ha nei reni o in pancia.

E la seconda la si potrebbe fare anche nel caso della prima. Si può arrivare a togliersi i pantaloni anche quando la diretta interessata é solo l'uretra e le zone prossime e limitrofe, nel caso si tratti di qualcosa di particolarmente grosso. Oppure se si appartiene ad una certa e specifica categoria del cielo. Quella occupata dalle femmine.

Maggie, da ragazzina, ci aveva provato qualche volta a farla in piedi, come già detto. Con risultati a dir poco catastrofici e nefasti per le sue estremità inferiori, tra l'altro. E già detto pure questo.

Chissà perché mai le era venuto quel pensiero.

Era assurdo. Ma vista la situazione, non poteva proprio fare a meno di associare la circostanza in sé a qualcosa di riconducubile ai liquami e alle deiezioni di stampo prettamente corporeo, fossero esse di natura più meno solida, e classificabile secondo vari gradi. Se non direttamente liquida.

Era assurdo, pensarci. Così come era a dir poco assurdo quel che stava facendo. Ma come già detto anche questo...non le era rimasto altro.

Ci si aggrappa a tutto, in frangenti come questo. Per non impazzire, o per non diventare apatici ed indifferenti a tutto. E sempre per non ammattire.

Perché il succo del discorso, di tutta quanta la dannata, dannatissima situazione, gira che ti rigira...é sempre quello.

Il non ammattire. Che in genere é quello che si fa, la fine e la sorte che si scelgono quando la realtà esterna e di tutte le cose diventa talmente terribile ed inaccettabile da non sopportarla più, neppure per un singolo istante o secondo.

In genere si fa così. O sennò...

Sennò ci si uccide, in genere.

Quella é l'alternativa. La sola alternativa.

Peccato però che la maggior parte degli esseri viventi e senzienti dotati di almeno un minimo di coscienza e di raziocinio non abbia in dotazione di serie né il fegato, né gli attributi per farlo.

E quindi, non si fa altro che scivolare in quello stato assente, catatonico. Quasi vegetale.

E la strada più facile e percorribile. Ed il più delle volte la si imobcca senza nemmeno accorgersene.

Ma Maggie se ne accorgeva, quando stava per succedere. E svoltava seduta stante per la prima deviazione o via che le si presentava, pur non sapendo il più delle volte dove essa potesse condurre. E se non ve n'erano a portata di zampa o disponibili...faceva una bella inversione ad U e se tornava seduta stante da dove se n'era venuta.

Che il già visto, il monotono ed il conosciuto era sicuramente preferibili a quello. Sempre.

Mai finire lungo quei sentieri o percorsi. Mai, nella vita. Per tutta la vita.

Qualunque cosa, pur di non terminare e finire così. A quel modo.

Ci si aggrappa a tutto, gente. Anche ai PAZZI.

Persino a loro.

Ai pazzi. Per non impazzire. Per tentare di non impazzire a propria volta.

Assurdo, no?

Eppure é proprio così.

E' proprio così che stanno, le cose.

Ed era proprio quel che Maggie aveva deciso di fare.

Appoggiarsi totalmente a quel tappo fuori di testa, in mancanza di meglio e di più valide alternative.

Non le era rimasto altro.

La cittadina era ancora immersa nel sonno.

Un po' perchè era da considerarsi come notte ancora fonda, dato che nonostante fossero già le prime ore del mattino ancora l'alba non si era decisa a fare capolino dalla linea dell'orizzonte per poi proiettare le sue lunghe dita e falangi rosa allo scopo di preparare il terreno, il palco e lo show al sole appena sorto e nascente con la sua bella corona di raggi dorati in testa, pronti ad estendersi e proiettarsi per ogni dove. Per avvolgere, illuminare e riscaldare chiunque entrasse in contatto con essi.

Era sempre generosa, la cara e vecchia nana gialla. Elios, per gli amici. Stretti e non.

Dava sempre tutto sé stesso per tutti e tutte, e senza mai chiedere nulla di particolare in cambio. Anche perché così enorme e gigantesco che era, a dispetto della terminologia scientifica con cui lo si denominava, caratterizzava e classificava, ed infuocato com'era...per quel semplice fatto non aveva mai richieste particolari di sorta.

Non chiedeva mai niente perché non c'era niente che potesse interessare, ad un tipo così.

L'universo non aveva praticamente nulla, che gli potesse offrire. Mentre lui aveva tanto, tutto da dare.

Non c'era nulla che gli potesse interessare, in tutto quel vuoto. A parte un poco di gelo e di radiazioni cosmiche da riscaldare e da far bollire ed evaporare. Però andava detto che quello faceva parte del suo lavoro, non certo di un qualche desiderio recondito da esaudire ad ogni costo, prima o poi.

Dava tutto, eppure in quel che dava non c'era il minimo amore. Solo assoluta e gelida indifferenza, nonostante tutta quell'incandescenza e quel calore pronti a disperdersi in continuazione, e per ogni dove.

Lo dava perché non se ne faceva nulla e non gli costava nulla.

Era composto di magma, puro plasma allo stato liquido ed eruzioni. Continue, spontanee, e più o meno intermittenti. Per lui era paragonabile ad un'inezia, o giù di lì.

Ma qualcuno poteva essere davvero così sciocco da credere che al Sole importasse qualcosa del fatto che gli altri corpi celesti, o la vita che si poteva trovare su di essi, potessero in qualche modo sfruttare le sue emanazioni luminose?

Ma per favore.

Per niente. Non gliene importava nulla. Per lui potevano viverci come potevano morire, dei suoi raggi. Non avrebbe fatto né costituito alcuna differenza. Nemmeno la minima.

Era lo stesso, gelido tipo di noncuranza che sembrava animare Haunted Creek, in quel momento.

Fatte le debite quanto dovute proporzioni in scala, ovviamente.

Era la stessa e medesima cosa, se pur più in piccolo.

Almeno in questo se la giocavano alla pari. Li stava ricevendo con lo stesso menefreghismo con cui, molto probabilmente, la gigantesca palla sorta da poco ma ormai quasi già accecante a fissargli addosso la vista gli stava cedendo le sue emanazioni luminose.

Era davvero pazzesco. Da non credersi.

Sembrava a momenti che non si rendessero conto, che non si fossero ancora resi conto che da poco, da appena pochissimo si era svolta e conclusa una battaglia all'ultimo sangue che aveva coinvolto per intero, o quasi, i paladini chiamati e preposti alla loro difesa. E che a momenti i paladini in questione erano stati, si erano trovati sul punto di pagare un prezzo altissimo e salatissimo, dato che il voler adempiere ai loro compiti ed al loro dovere sino in fondo era quasi costato loro la vita.

Ma la gente pareva non essersi accorta di niente.

Avrebbero dovuto scendere in strada, per sincerarsi dell'accaduto. E per prestare eventualmente soccorso, e contenere eventuali danni. E invece...

Invece no. Non avevano fatto una sola virgola, di tutto questo.

Tutto quello che avevano fatto sino ad ora non era stato altro che di rimanersene rintanati nelle loro case. Che più che case parevano tane, a giudicare da come stavano mezze sbrecciate, diroccate e malmesse.

Rintanati. A dormire. Forse a pregare. O a tapparsi le orecchie, insieme agli occhi e alle bocche e a qualche altro meno nobile e sicuramente più vile orifizio.

Rintanati. Quasi certamente a seguitare a farsi i fatti, gli affari e i comodi loro. E a far finta che andasse tutto come sempre.

Tutto bene? No, anzi. Tutto male. Ma a quelli...a quelli andava bene così.

A quelli le cose andavano bene come stavano, evidentemente.

Dovevano andargli bene così com'erano, non vi era e non vi poteva essere altra spiegazione di sorta. Anche se gli facevano sempre più ribrezzo e disgusto. Anche se non avevano il coraggio di ammetterlo, pur sapendo che la faccenda stava proprio così.

Continuavano a dormire. A dormire nonostante tutto.

Proprio vero.

Era proprio vero come aveva detto una persona di cui adesso Maggie non si ricordava affatto. O forse non si voleva e non ci teneva a ricordarsene.

In realtà la soluzione e la risposta a certe cose, ad un certo genere di grane e di rogne, sono molto più semplici di quanto si possa pensare o immaginare.

Terribilmente semplici. Persino spaventose, nella loro istintiva naturalezza così come nella loro attuazione.

A continuare a vivere in posti come questo, ed in situazioni come queste, ci si abitua. Ci si fa l'abitudine ed il callo a tutto. Specie ai problemi. Soprattutto se ti rendi conto ben presto di non poterli risolvere. Di non avere il coraggio oppure la forza di cambiare o modificare le cose, in modo permanente e definitivo.

Li si comincia a considerare come parte tipica dello scenario, dell'ambiente e del territorio, insieme a tutte quante le altre cose. Insieme alla nebbia, alla pioggia, al freddo, alla neve, alla solitudine, alla monotonia, al territorio impervio, al paesaggio sempre uguale e tutte le altre belle peculiarità che da sempre e da tempo ormai immemore contraddistinguevano quello schifo di posto. E l'ancor più schifosa valle dove la dannata zampa di qualche Dio maledetto doveva aver deciso di piazzarla ed incastonarla.

A seguito di chissà quale idea malsana, verrebbe automaticamente da dire. E causata da chissà quale genere di sbronza o di scalogna, verrebbe pure automaticamente da aggiungere.

Ci si abitua e ci si passa sopra a tutto. Diventa un'autentica specialità, da parte degli abitanti e di chi vi dimora. Fosse per amore, per qualunque tipo di ragione o anche solamente per forza.

Si diventa tolleranti ed impermeabili, disposti a far passare ogni cosa. E a farsi passare sopra da chiunque passi di lì con quell'intenzione. Al punto che anche se il tizio in questione in principio non non ne aveva la voglia e nemmeno gli passava per la testa e per l'anticamera del cervello, a vedere gente così squallidamente accondiscente la voglia c'é da stare pur e più che certi che gli viene di sicuro.

Si ingoia e si manda giù qualunque tipo di rospo. Anche il più grosso, ingombrante ed indigesto. Anche se, giù nello stomaco, resta ancora vivo perché i succhi e gli acidi gastrici non riescono a discioglierlo, dal tanto che é voluminoso. E continua quindi a zompettare e a saltellare regalando nausee, gonfiori addominali e bruciori sino all'ultimo. E anche dopo.

Perché alla fine si digerisce tutto. Anche a costo di strozzarsi, con quel boccone. Anche se può essere amaro oltre ogni dire.

Si fa finta di nulla. Si chiudono occhi e orecchie, come già detto. Ci si tappa e tura il naso e si mettono pezze e fette dove occorre. E last but not least, in ultimo ma non meno importante...come già opportunamente precisato in precedenza ci si infila un bel bastone là dove vi sia qualche foro o buco ancora libero e disponibile, per completare degnamente il tutto. E diventare ancora più fermi e rigidi sulle proprie posizioni.

Più di quanto non si fosse già prima. E più di quanto non si credeva possibile.

Si fa finta di non vedere, di non sentire e di non subire. Si fa il callo.

Alle violenze, alle devastazioni, alle prepotenze, agli assalti, alle angherie, alle minacce, agli abusi e alle intimidazioni di gente pazza, fusa, sclerata, ubriaca, fuori di sé, alterata, stressata, sfinita o più semplicemente malvagia.

Malvagia, intrisa e piena zeppa di cattiveria e malanimo fin dentro al morbido del midollo.

Quello é il punto di non ritorno. Dove da lì in poi si permette e si autorizza a fare e a dare il peggio di sé stessi. Ed é allora che succedono cose a dir poco inaudite.

Tipo quando uno é talmente una carogna marcia e schifosa da risolvere l'unico problema che lo ammorba e lo fa stare male, ma solo perché il problema in questione non gli permette di agire come vorrebbe e di fare i suoi porci comodi...con un delitto.

Quando uno in cuor suo é talmente bastardo e fetente da far piazza pulita di chi osa e ha come unico torto quello di infastidirlo...con un terribile assassinio. E di rifarsi vivo subito dopo, e continuare a farsi vedere in giro ad atteggiarsi e pavoneggiarsi come se nulla fosse successo. Quando invece dovrebbe aver come minimo la decenza di andare in giro solo di notte, quando nessuno può scorgerlo. E di far levare tutti quanti gli specchi da casa, altrimenti se vi passasse davanti dovrebbe come minimo sputare addosso alla sua immagine riflessa per la vergogna e l'indecenza.

Se non sputarsi addosso ed in faccia direttamente da solo e per proprio conto, dirigendo opportunamente la scatarrata verso l'alto per poi piazzarsi sotto ed attendere che ridiscenda.

Ma come fa a dormire, certa gente? Come fa a dormire, la notte?

Come fa, in nome di Dio?

Eppure...eppure ci riesce. Ci riesce benissimo.

Dormono benissimo. Tra quattro guanciali. Dormono come angeli.

Come se la vita che hanno tolto e levato di mezzo contasse pressoché NIENTE.

Meno di zero.

E infatti quello contava, per loro.

Proprio come se nessuna vita contasse, a questo mondo. Al di fuori e fatta debita, dovuta e vergognosa eccezione per la loro.

Anzi, non proprio come.

E' COSI' E BASTA, per alcuni.

Chi non dorme, chi non riesce a dormire più é invece chi l'ingiustizia l'ha subita, e non ha avuto nemmeno la vendetta. O un giusto quanto adeguato risarcimento. E ha visto il vero colpevole e responsabile continuare a rimanere fuori e ad essere libero e leggero come e più dell'aria.

A questo si é arrivati, a furia di non reagire mai. E a furia, a forza di lasciar sempre perdere.

A QUESTO.

“FIIIUUUIIITT! EHI, BAMBI!!”

Una voce che ormai conosceva e che era ben abituata a riconoscere la distolse da quel nugolo di pensieri vorticosi.

E per fortuna, anche se non ebbe nemmeno il coraggio di ammetterlo né di ringraziarlo. Per averla portata dritta dritta fuori da lì con una delle sue scemenze per cui ormai andava tanto rinomato, presso di lei.

Una delle tante. Una della solite. L'ennesima. Che però l'aveva condotta oltre quel marasma prima che iniziasse a martellarle e a martoriarle il cervello.

Ancora una volta. Una delle tante. Una delle solite. L'ennesima. Che però l'avrebbe ridotta ad uno straccio, puntualmente. E adesso come adesso non aveva proprio voglia di farsi ridurre a quel modo.

Proprio no. In un'altra occasione le avrebbe lasciato campo totalmente libero, lasciandole e lasciandosi fare tutto quel che avrebbe voluto, senza reagire.

Ma ora no. Assolutamente.

“Allora, Nuts?” Insistette la voce, querula e petulante. Ma che le era anche tanto, tanto utile. “Dime un poquito...que ti te s'es encantada, por caso? Tu es andada en loop, como se dise? Eeh, te compriendo. Te capisco mucho. El moi sottoscritto que poi sarei yo fa siempre questo effetto a todos le pupe y a todos los senoras y los senoritas muy guape. Y anco a quelle un poquito de meno guape. Y anca a quele no guape por nada. Ma yo a quele non ce bado, ahr ahr ahr! Però nun te onubliàr, nun te dimenticàr que ghe puro el mi socio. Nickybello, el pequeno zorrito del mi corazon! Dà retta un minemo puro a lui, si no se offiende! Y depuis caragna, dopo piange! Ma davvero vuoi farlo sofrir? Ma davvero vuoi redurlo en lagrime? Tu es sin alma, sienza anema, si tu fais insciì! Tu no ne tienes una!!”

“E piantala, una buona volta” gli fece lei, stizzita. “Dimenticarlo, dici? Dimenticarmi di lui? See, e come potrei? Con quel bel pelo rosso e con quei due occhi verdi che si ritrov...”

Si bloccò di colpo, ma non per impedire la fuoriuscita di una breve imprecazione a mezza bocca per poi zittirsi del tutto.

Era andata troppo oltre. Troppo in là, con le rivelazioni. E di quelle del tipo estremamente scottante, per giunta. E adesso...adesso gli aveva fornito l'imbeccata.

Era andata troppo in là. E gli aveva dato il La. E di ciò avrebbe avuto senz'altro a pentirsene, ed in fretta.

Da lì a poco, senz'altro e senza alcun dubbio.

“Aah!!” Esclamò raggiante Finn, mentre effettuava un piccolo balzo per la contentezza. “Tu has visto? Hai visto? Yo tenevo raisòn, Nocciolina! C'avevo ragione, al ciento po' ciento! Agg'nduvenat!! Del riesto, como te puede dar torto. Quando el me figlioccio te guarda con quel para de dos esmeraldos que tiene into ne le orbite al posto de su ojos...tu te vai en completa confusiòn. No te capisci più nada de nada! Nigòtt! Dovrebbero dechiararli illegàl en almeno cenquantadue stati, capish?!”

“Non mi risulta che arriviamo a così tanti, in questo paese” Chiarì Maggie, ritenendo opportuno precisarlo.

Non che cambiasse qualcosa, come ebbe a dimostrare la riga di dialogo successiva.

“Que emporta, chica? Melio abundare quam deficere, decevano i romanisti. Mejo stare larghi, se sa mai. Comunque...si yo fossi una hembras, una femmina, te giuro su la mi cabeza que me possa cascàr all'istante se miento, que un pensierino ce lo farei. Anzi, glie salterei derettamente addosso y glie strapperei i vestiti de dosso en men que non se dica!!”

Aveva persino recuperato dal suo immaginario armadio dei vestiti e degli abiti dismessi il paio di ciglione finte, giusto per l'occasione. E adesso le stava sbattendo con fare e sguardi complici, languidi ed oltremodo ammiccanti, intanto che se n'era uscito con quest'ultima scemenza.

“Y anca se fossi un masculo de quelli che de norma passeggiano y sculettano sull'altra riva del rìò.” aggiunse. “Ma...no se puede.”

“Peccato” disse con aria afflitta subito dopo. “Gran peccato.”

La vice lo guardò.

“Ehi! Come sarebbe a dire, scusa?” Gli chiese, perplessa.

“Quel che dico, muchacha. Es un gran peccato no poderne aprofitàr, ma por mi Nicky es como un hijo. E' come un figlio, te l'ho detto.Ed enoltre...es promiso a ti.”

“Cosa?!”

“Tu sas. Lo sai, tesoro. E' promesso a te. Y yo mantiengo siempre quel que digo. El sottoscritto que poi sarei mi mismo, me medesimo non se intromette en un coppia già formata. O que se sta por formare. O que es sul punto de formarse. O que se potrebbe formare. Es una questiòn de princìpio, por mi. Nun me ce metto mai de miezzo, en casi como esto. Quel che es giusto es giusto. Del resto, tu sasa com se dise...tra mujer y esposo, tra wife and husband, tra mugghiera e marito non metter mai el dito. Me que meno...L' EMPEDITO! AHR, AHR, AHR!!”

“E' promesso a te” le ripeté. “E tu sei promessa a lui. E così como yo non tocco ti, non tocco neanche lui. Nun me permetterei mai. Por qui me hai preso, escusame? Anca yo ho i miei limiti. Y so dove me devo fermare, quando occorre.”

“I patti songo clàros” proseguì. “Estàs limpidi. Sono chiari. Como el sol. Sei tu que ce devi combinare quelque chose, qualcosa ensemble, ensieme. Date da faire. Datte da fare. Ma sbrigate. C'é qualcuno que tiene ancora l'absoluta exclusiva, su de lù. Y quel qualcuno te sta encòra de davanti. De un solo passo. De seulemént un pasito, ma te sta ancora davanti a ti. Y te fa comér ancora la polvo! Te fa mangiare ancora la polvere! C' maaaan...cossa te aspetti? La befana, por caso? O Babbo natale? Spicciate. Muevete. Datte una bienedetta mossa una vuelta tanto, ragazza! Y altrementi...te lo soffiano por siempre!! Entiende?!”

“Intendo, intendo. Si, si. Ok. Vorrà dire che ci penserò su. E farò qualcosa, prima o poi.”

“Quelque chose non es suficiente, Magda. Y manco prima o poi. Que te sei scordata quello que ce siamo detti yo e ti, l'altra volta? Quando Nickybello se ne stava giù en cantina dientro ad uno sgabbiozzo de detenciòn, ubriaco marcio fradicio? El tipino de cui te parlavo no es de lo genere ques se ne sta fiermo ad aspettar le calende greche como ti. Girate, tentenna o dagli le espaldas, le spalle solo per giusto un attimo y te lo retrovi diritto diritto en quel p...”

“Finn!!”

“Sul serio! Y sienza che te fa puro la cortesia de trastullarte su del davanti per ricamb...”

“Ok, ok. Piantala. Ho detto. Ho capito, va bene? Mi deciderò a muovermi, come dici tu. E in fretta. Promesso.”

“Segura?”

“Hai la mia parola.”

“Ma...segura segura?”

“Te l'ho appena detto. Finn. Hai la mia parola. Di vice e di persona rispettabile.”

“Y anca...anca de femmina?”

“Anche di quello.”

“Brrava. Brava la mi querida. Ma me raccomanno, eh.”

“Hai la mia parola, ho detto” gli ribadì lei. “E giusto per la cronaca e perché tu lo sappia...non amo e non mi piace affatto ripetermi.”

“Ne ho una sola, per tutto” precisò. “Vedi di fartela bastare.”

“Jawhol, mein...”

“Non fare l'idiota” lo apostrofò la daina. “Piuttosto...levami una curiosità. Così, per sapere.”

“Anca dos.”

“Tranquillo. Me ne basta una, come quel che dico.”

“Sentimo.”

“A te sembrava il caso di tirare in ballo questi discorsi cretini proprio adesso? In un simile momento?!”

“Mia cara...ogne momiento es quelo muy bonito y giusto, por parler. Ogni momento é buono, por certas argomientos. Siempre. Recuerdatelo.”

“L'aamooouurrr...” smiagolò. “Es siempre la cosa plùs emportante, ne la vida. Siempre y comunque.”

“Giusto” rispose la vice. “Più che giusto, direi. E allora, visto che ci tieni tanto e che siamo in ballo...già che ci sei levamene un'altra, di curiosità. A te...andrebbe bene chiunque?”

“Cossa tu as dit, sorry? Che hai detto, scusa?”

“Nulla di trascendentale. Ma mi pare di capire che non disdegneresti la compagnia di genere prettamente MASCHILE, se si verificassero le corrette condizioni. E se ti capitasse sottozampa il tipo giusto...” insinuò lei, con una punta di malizia nemmeno tanto celata o nascosta.

“O magari chissà...a portata di LABBRA” buttò lì, già che c'era.

E lì si fermò, però. Perché aveva capito di essere andata di nuovo all'esterno dei binari e della carreggiata.

L'aveva fatta decisamente fuori dall'orinale. E non in piedi, giusto per citare un suo vecchio vizio di quand'era più piccola. E che si era fatto passare subito aver scoperto la sua totale inefficacia in merito. E direttamente a sue spese. E sui suoi piedi e zampe inferiori.

Ma era pressoché inutile continuare a divagare. Piuttosto era tempo di dare una decisa schiacciata al pedale del freno, prima che fosse troppo tardi e si finissse col deragliare fuori dai binari e dalla corsia. Per non voler dire l'intera strada.

Se ne accorse non appena vide il tappo mutare decisamente espressione.

Quello spicchio di sguardo, scorto giusto giusto di profilo, lo ritenne più che sufficiente per convincerla a fare dietro – front. Insieme alla sua parte di pelliccia tonalità sabbia intorno alla zona della nuca e della parte superiore della schiena con zone e parti limitrofe ed annesse, che gli si rizzò di colpo come la criniera dorsale di una iena ridens quando in genere si mette sul chi va là o in posizione di guardia e cautela.

Forse per fuggire. O magari per attaccare.

Chissà. Ma quando a uno di quei zannuti mezzi dementi li si vede assumere questa posa...meglio ma mille volte meglio e senz'altro più saggio non rimanersene lì nei paraggi per vedere come va a finire.E cos'hanno deciso di fare. Dato che di solito finisce con l'essere l'ultima cosa che il malcapitato auto nominatosi curioso e spione scopre nel corso della sua esistenza.

Un'esistenza, la sua, miserrima, disgraziata quanto già giunta prematuramente al termine suo malgrado.

Vi è da crederci sulla parola. Senz'altro.

Quelli erano decisamente due chiari segnali di allarme. E di imminente pericolo. Proveniente da parte della piccola volpe del deserto.

Soprattutto il secondo. Perché al buon vecchio Finn di solito gli si rizzava qualcosa d'altro, quando si virava su certi argomenti. Tipo la fauna a cui gli sarebbe tanto piaciuto saltare e zompare addosso e sopra.

“I – io...scusami” balbettò lei, quasi incerta sulle parole da trovare con cui potersi adeguatamente giustificare. “Ti chiedo scusa. Non so cosa mi ha preso. Ho...ho esagerato. Come al solito.”

“Mi sa tanto che non dovevo, eh?” Gli chiese pur dovendo già conoscere in cuor suo la probabile e quasi certa risposta, mentre riprendeva a guardare dritto davanti a sé.

Qualsiasi cosa, pur di non dover re – incrociare di nuovo quell'occhiataccia. La SUA occhiataccia.

Qualunque cosa. Tipo la risposta. Che puntualmente e subito arrivò.

Come la morte. Come l'agenzia delle entrate e delle imposte.

Come un infarto. Come un ictus, O come le cartelle esattoriali e i controlli fiscali, che fossero di tipo incrociato oppure no.

Un malaccio cronico o incurabile, oppure un licenziamento in tronco e senza alcun preavviso magari dovuto a fallimento o bancarotta...quelli almeno no. Anche se non sono certo una passeggiata nemmeno quelli, pur sapendolo prima.

In genere di quelli ci si accorge, quando arrivano. A patto di stare abbastanza attenti, controllare ogni tanto e mettersi a fiutare su che genere di aria tira.

Basta ricordare di stare e di mettersi sottovento, indipendentemente da tutto. Almeno se arriva sotto alle narici o al tartufo la zaffata giusto ci si accorge. Specie se si tratta di lezzo o di tanfo lercio di spazzatura. O di escremento.

“Nah” sentienziò il tappo, spazzando via ogni dubbio relativo o inerente a quale genere e tipo di fragranza e profumino si trattasse, questa volta.

Decisamente uno di quelli prima elencati.

“No” le ribadì, secco. “Me sa que proprio tu no debiste. No era necesario. Por nada. Escuchame...forse el mi socio, tiempo fa y a de drio, addietro, me ha fatto la stessa pregunta, la misma domanda. O forse no. Adesso como ora nun me recuerdo, avéc precisiòn. Maldita confusiòn mental...comunque, nel caso me l'avesse detta glie avrei resposto prueprio come te sto por repondéz a ti ahora. Now. Y cioé...que fossi en ti, in te e nei tuoi panos y pelliccia, nun toccherei l'argomento. Nix . Non plùs. Ne maintenant, né jamais. Ne ora né adesso né mai, nella vita. En toda la vida.”

Più chiaro di così. Veniva da dire lapalissiano, proprio.

Del resto sia l'occhiataccia che la ciocca avevano parlato chiaro. Fin troppo chiaro. Così come fin troppo esplicitamente avevano espresso il suo pensiero.

“Ok, ok” disse la daina. “Mi scuso ancora. Come vuoi tu.”

“Anche perché...” proseguì, dopo un breve quanto lieve attimo di titubanza,“...a volerla dir tutta non so neanche perché ho voluto farlo. Non so perché ho tirato in ballo il discorso. Così come non so perché io e te ce ne dobbiamo stare qui a discutere di queste fesserie senza capo né coda, visto che ad occhio e croce avremmo anche cose ben più importanti di cui dover discutere. E ragionare. E cose ben più gravi per la testa, che non stupidaggini come queste. Cose del tipo E ADESSO CHE SI FA, tanto per intenderci. Cose inerenti a quello che é successo, e che ci succederà tra poco. Cose del tipo la tempesta che sta per abbattersi e venirci addosso tra capo e collo. E cosa possiamo fare per evitarla e per rimediare. E per limitare gli eventuali danni. Sempre ammesso che si possa fare ancora qualcosa. E che ci sia rimasto abbastanza tempo, per fare qualcosa.”

“Sigh...” sospirò. “Ti confesso che non so proprio cosa fare, Finn. Buio completo e totale. Non so davvero che pesci pigliare...”

Scosse la testa, ripetutamente.

“Se i pesci esistessero ancora...” precisò. Per poi rendersi subito conto della gaffe e dello strafalcione appena enunciati.

Certo che i pesci esistevano ancora. Esistevano eccome. E mica si erano estinti alla pari dei rettili e dei loro successori nonché cugini alla lontana comunemente denominati volatili.

I pesci, insieme ai molluschi e ai crostacei e agli insetti e agli anellidi, con una breve deviazione che girava attorno ai plancton e dintorni, oggigiorno costituivano la base portante della dieta e della catena alimentare dei predatori. E fornivano una diversa quanto discretamente gustosa ed invitante variante alle insipide e scipite pastiglie o polverine a base di integratori di stampo proteico o di qualunque catena sorretta da un'apposita sequenza e sequela di amminoacidi. Ed erano tuttora l'unica alternativa conosciuta ai mix di legumi e verdure necessari per rimediare ed ottenere le sostanze e i principi nutritivi che di norma servivano a campare. E per tirare a campare, sopraggiunta una certa età oppure un certo quantitativo di pessimismo cosmico ed esistenziale.

Senza quelli non si sopravvive. E non basta nemmeno un pizzico in più di mentalità positiva e di atteggiamento propositivo ed entusiasta verso il creato e ciò che ci circonda.

In ogni caso, sono ciò che impedisce agli ex – carinivori di ritornare tali seduta stante e di rimettersi a divorare chiunque non sia come loro. O anche quelli come loro ma più piccoli di di stazza e dimensioni, all'occorrenza e quando non vi era proprio altro con cui potersi sfamare.

Tuttavia la vice, nonostante il grossolano errore di dicitura appena commesso, non ritenne opportuno rettificare il refuso. E se ne rimase zitta.

Anche se, a voler essere sinceri e a fare i precisi, più che di un refuso si era trattato più che altro di utilizzare il termine sbagliato nel posto sbagliato. E al momento sbagliatissimo. Di aver scambiato di posto un termine che non c'era affatto con un altro che non c'entrava nulla.

Ma le era bastato mettersi ad osservare di nuovo Finn, anche solo per un istante, per rendersi conto che non si era minimamente accorto dello strafalcione che aveva appena commesso, se pur in maniera totalmente involontaria.

Il nanerottolo sembrava assorto, preso e perso per e dentro ai fatti suoi.

Come sempre, grossomodo. A parte quelle rarissime e sporadiche volte che si riusciva nell'autentica impresa di catturare ed accalappiare la sua attenzione pressoché saltuaria, aleatoria e ariosa. Per non stare a dire pressoché inesistente.

Proprio come adesso. Era come assente, con lo sguardo perso e la bocca che stava mormorando qualcosa che doveva sapere e conoscere soltanto lui, con il labbro sia di sopra che di sotto mossi da un lievissimo quanto frenetico e convulso tremolio.

Come una sorta di codice o di messaggio cifrato, anche se di stampo puramente e prettamente vocale.

Doveva essersi di nuovo collegato alle sue personalissime frequenze, criptate ed inaccessibili a chiunque altro che non fosse lui.

Non si riusciva nemmeno a capire cosa pensasse, in quei momenti. Piuttosto frequenti, a dirla tutta.

Sempre più frequenti.

Sembrava davvero partire per un'altra dimensione, quand'era così. E chissà quando vi avrebbe fatto ritorno.

Sempre ammesso che ce l'avrebbe fatta, a tornare. Perché l'impressione che dava era proprio quella che, uno di questi giorni, per quel viaggio avrebbe finito con l'ordinare e staccare dallo sgabbiozzo della ricevitoria un bel biglietto di sola andata.

Poco male, comunque. Dato che il suo svarione senza alcun tipo, genere o sorta di preavviso permise a Maggie di tornare a riflettere sulle sue faccende.

Su di un paio, in particolare.

Già. Perché gli aveva parlato a quel modo? E perché se n'era uscita con una simile cretinata?

Non era proprio il caso, accidenti.

No, proprio no.

In realtà sia la soluzione che la spiegazione all'arcano erano abbastanza semplici. Sin troppo.

Terrbilmente semplici. Persino spaventose, nella loro ovvietà.

Per lo stesso motivo per cui se n'era uscita con quella confessione scottante quanto compromettente e controproducente sulle iridi smeraldine e sul manto color della fiamma appartenenti al suo bel capitano.

Verde e rosso. Prato e torba. A cui ci sarebbe stato insieme a dir poco da favola un bel cielo azzurro.

Ma così azzurro da parer un mare, un oceano appeso e sospeso per aria.

Di quelli che si possono trovare solo nelle regioni e nei territori che Domineddio aveva stabilito di piazzare all'estremo Nord dell'emisfero e dell'equatore. Solo lì, e da nessun altra parte.

In nessun altro posto gliene erano usciti di così fantastici e meravigliosi. Chissà, forse per il fatto che nella sua infinita e sconfinata saggezza e conoscenza aveva già compreso e capito che solo in quel punto del globo anzi, dell'intero universo avrebbe potuto dare vita, essenza e consistenza a scenari e panorami così belli e meravigliosi.

Verde, rosso e azzurro gaelici. Di più pura Eire. Dove le sarebbe piaciuto e spesso altrettanto le gradiva immaginare di essere e di starci. Un bel giorno, in compagnia di Nick.

Sdraiati e vicini l'uno all'altra, l'una nell'altro. Lì nel mezzo di quel mare d'erba inframezzato da zolle rossiccie ad osservare un altro mare sopra alle loro teste con nuvole pregne, cariche e gravide a far la funzione di isole. E a sentire il fragore delle onde. Ma nei loro petti e toraci questa volta, mentre stavano alle prese con un gonfiore simile ma al contempo di tutt'altro genere qualche spanna più sotto, con le parti interessate gonfie, turgide ed in fiamme per la voglia. E con la risacca che aumentava col salire dell'eccitazione e della passione dovute ad una così reciproca vicinanza. Per poi voltarsi e mettersi ad osservarsi dritto e vicendevolmente negli occhi, e perdersi in tutto quell'oceano così acquoso e liquido...

Magari abbracciati. Magari allacciati. Magari n...

Eh, no. Basta. Basta così, davvero.

Oh, al diavolo.

Magari NUDI. E uniti solo in un punto. Un punto soltanto. Che però finiva con il coinvolgere anche tutto quanto il resto del corpo. Dei loro corpi.

Da sopra, oppure da sotto. Da davanti o da dietro, o di fianco. Non importava. O meglio ancora messi l'uno al contrario rispetto all'altra, in modo da garantirsi un certo grado di reciproco piacere e di soddisfazione a vicenda prima di passare al sod...

Ecco. Ci risiamo.

Un'altra volta.

Non c'era proprio niente da fare. Le volpi la scombussolavano.

Lo aveva scoperto suo malgrado, ormai. Era conclamato. E quell'ondata di pensieri piacevoli ma giusto giusto quell'attimo lievemente e leggerissimamente impuri ed impudichi non ne era che l'ennesima riprova.

Le volpi la scombussolavano. QUELLE DUE VOLPI la scombussolavano.

Una, in particolare. La prima. La volpe vera e propria. Ma pure la seconda, quella in scala e proporzioni ridotte, giusto per ritirare in ballo l'argomento per la seconda volta all'interno di un ipotetico capitolo. Anche se, a quanto sembrava, il suddetto discorso delle dimensioni non valeva per tutto. Stando almeno a detta della volpe in questione.

Anche lui. Anche quello, se pur per tutt'altro genere di motivi.

In ogni caso...meglio rimanersene ben concentrati e piantati con le zampe inferiori per terra.

Era molto meglio smetterla di divagare e decidersi attenersi alla realtà dei fatti.

La cruda realtà. La NUDA realtà.

Alé. Di nuovo.

Ma come già detto e adesso pure ripetuto...meglio non divagare.

Meglio ripartire dalle basi. Tipo il chiedersi cosa stavano facendo loro due lì, insieme e a quell'ora strana e assolutamente non convenzionale, tanto per cominciare. E poi perché, visto che c'erano.

E niente allusioni maligne o doppi sensi maliziosi, per favore.

Finn non era certo il destinatario di certi desideri. Ma nemmeno se fosse stato l'unico maschio rimasto sulla faccia della terra dopo l'apocalisse di un'esplosione atomica con tanto di deflagrazione e successivo fall – out di polveri e pulviscolo radioattivo, al termine di un conflitto nucleare.

No. Certo che no. Nella maniera più assoluta.

Se mai c'era qualcuno a cui si potevano rivolgere quelle fantasie, almeno da parte sua...beh, quello era senz'altro Nick.

Visto che si era deciso di ripartire dalle basi, anche in questo caso sia la soluzione che la risposta erano piuttosto semplici. Terribilmente semplici.

Persino spaventose, nella loro istintiva naturalezza.

Si trovavano lì perché stavano svolgendo un lavoro. Tutto qui.

Sì. Era davvero tutto qui.

Nient'altro?

Nient'altro, giusto per dare una replica ad una domanda con un'altra domanda, per poi rispondersi da soli.

L' abc della conferenza stampa. Lo si ricorda, no?

Funziona alla grande. Funziona praticamente sempre. Da sempre.

Erano in servizio. E si stavano dirigendo verso la stazione di polizia.

La loro centrale operativa, per vedere cosa ne era rimasto.

I tre giorni che Zed aveva concesso loro erano agli sgoccioli. Anche se il quel dato e preciso momento, per quanto si sforzasse, proprio non le riusciva di quantificare con esattezza quanto di preciso mancasse allo scadere dell'ultimatum.

Forse un giorno? O forse erano già al secondo dei tre giorni che ancora gli rimanevano?

Chissà. Difficile dirlo.

Non riusciva a pensarci. Non le riusciva di pensarci.

Ma invece a Nick senza veli e col solo costume adamitico che madre natura aveva provveduto a fornirgli sin dalla nascita le riusciva benissimo, di pensarci.

Così come a loro due entrambi nudi che si amavano furiosamente.

Quelle due immagini le venivano a meraviglia. Eccome.

Anche le loro copie illusorie venivano che era una bellezza, nella sua visione.

Si. Venivano proprio. In tutti i sensi conosciuti. Doppi e no.

Meglio lasciar perdere.

Ci si fissa e ci si picca proprio su strane cose, quando ci si ritrova agli sgoccioli e con l'acqua alla gola.

E visto che lo si era tirato di nuovo in ballo...di Nick, almeno al momento, ancora nessuna notizia.

Né da parte del dottor Cooke, né di...

Si, insomma, nemmeno da parte di chi lo aveva chiamato e fatto entrare in azione, il buon dottore.

Non le riusciva neanche quello.

Non le riusciva nemmeno di nominarla. Lei più di chiunque altro o di qualunque altra cosa.

Il suo comandante doveva riprendersi, con tutta quanta la probabilità di questo mondo.

Si stava riprendendo. E gliene sarebbe servito di tempo, per riprendersi in pieno dalla brutta, bruttissima batosta che aveva subito e a cui era stato sottoposto.

Ma sfortunatamente, il tempo era un lusso che non potevano permettersi.

Giusto per ribadirlo ancora una volta...per adesso non vi era che Finn, su cui contare.

Non aveva che il piccoletto, in cui riporre la sua fiducia. Doveva quindi tenerselo buono, in qualche modo e maniera.

Ci sarebbe riuscita. E se lo sarebbe fatto senza alcun dubbio bastare, se non c'era altro. Visto che non c'era altro né di meglio, stando a quel che sembrava.

Suo padre gliel'aveva detto. Glielo diceva sempre.

Un vero maschio che si rispetti, e in quanto tale con gli attributi quadri e che gli fumano, si adatta e si arrangia con quel che c'é. E con quel che ha a disposizione.

Vive di quel che trova e rimedia.

Suo padre...

Papà...

“Ehi, zucchero!! Que te sei ammutolida todo d'un tratto? De nuevo? Ti nun me dise plùs nada de nada, n'artra vez! Un'altra vuelta!!”

L'unico su cui poteva contare in quel momento si doveva essere risvegliato all'imrovviso dal suo profondo quanto momentaneo torpore. Ma senza bisogno di un bacio, però. Che nel suo caso doveva essere ben poca roba.

Robetta.

Finn, in quei momenti, era fatto così. Il suo sonno da sveglio poteva durare mezze giornate come pochi minuti, ed era sensibile e suscettibile a qualunque e qualsisasi genere di stimolo. Anche il più flebile, debole, sommesso ed insignificante.

“Allora?!” Rincarò lui, con tono stupito. “Ma como? Como es posible? Con toda la història edificante y muy epica que te ho narado...tu te dise nada? Remani muda? Eh, yo puede capìr...ma tu habla lo stiesso quelque chose, dolcezza. Altrementi yo puede pienzar que nun t'é piasuda!! Que non ti ha piaciato? Dime, bellezza. Dime se te ha fatto schifìo. Yo no me ofiende. Peerò ce rimango muy mal, te avierto. A tu riesgo y pelìgro. A tuo rischio e pericolo, baby. Do you want really hurt me, querida? Ma davvero vuoi farglie del male, ad esto povero vecchietto como mi? Ma davvero vuoi farmi piangere?!”

Sembrava persino amareggiato. Davvero. E maggie si era promessa e ri – promessa a sé stessa di tenerselo buono.

Doveva tenerselo buono. Perché le poteva tornare utile. Le sarebbe tornato senz'altro utile.

Non aveva che lui. E non poteva che contare su di lui, adesso come adesso.

“Io...scusa, Finn. Non é che volevo ignorarti. E se ti ho dato quest'impressione, ti prego di perdonarmi. E solo che...io ti ascoltato, mi puoi credere. Puoi credermi sulla parola. Ma tutto quel che mi hai appena detto...”

Sembrò esitare, almeno per un attimo. Come se avesse paura di ciò che stava per dire.

“Coraggio” la esortò il fennec. “Anemo, ragazza mia. Dì pure quel che tu piensi. La senceridàd es siempre ben accietta, en mi casa. E mi casa es tu casa, recuerdalo.”

“Io...o – ok. E' solo che...quel che mi hai raccontato...tutto quel che hai appena finito di raccontarmi é semplicemente pazzesco” osservò lei. “Ti giuro che se non ti conoscessi abbastanza, e se non avessi visto la faccia che avevi mentre me ne stavi parlando avrei senz'altro pensato che ti sei inventato tutto quanto di sana pianta.”

“E ne sono tuttora tentata, credimi” aggiunse, subito dopo.

E in effetti era vero. Era proprio così che stavano, le cose.

Certo, la parte sul suo arrivo col naufragio e la lotta, peraltro vittoriosa, sui mostri marini provenienti dalle profondità degli abissi era ben difficile da credere. Ancora c'erano decine e decine di documentari di quart'ordine in televisione strapieni di sedicenti esperti e studiosi che cercavano prove valide e concrete che dimostrassero dell'esistenza dell' Architeutis, il piovrone gigante.

Quelli che si diceva che un tempo si battessero coi capodogli per la supremazia e il dominio dei fondali, in duelli senza esclusione di colpi a suon di mascelle, tentacoli, capate e beccate.

Ma su tutto il resto...su tutto quanto il resto non aveva motivo di dubitare, per quanto fosse incredibile.

L'aveva vista, la sua espressione. L'aveva vista chiaramente. E aveva conosciuto ed avuto a che fare con una discreta quanto sufficiente dose di canaglia e di deliquenti nel corso della sua vita e carriera da aver potuto imparare a dovere una cosa. E cioé a capire quando uno mentiva e quando invece non mentiva affatto.

E Finn...non aveva mentito. Non su quel punto, almeno.

Era stato sincero. Troppo sincero. Lo si vedeva.

Lei lo aveva visto. Aveva visto autentica emozione, nei suoi occhi. Insieme ad un recondito e pur vivo sentimento di...di rimpianto, quasi.

Ecco, sì. Rimpianto. Il cordoglio nascosto o che almeno si sta tentando sbadatamente, goffamente e malamente di celare, nonostante tutto. Nonostante la piena evidenza dei fatti.

Il profondo ma insieme tenue e sottile dispiacere di chi letteralmente sta morendo di nostalgia a rimembrare e ricordare certi momenti o avvenimenti del passato, mentre li rievoca parlando.

Perché capisce ogni volta, ogni santa e maledetta volta che lo fa, che lo sta facendo, che questo non é il suo posto. E che il tempo che sta vivendo non é il suo tempo.

Che vorrebbe tanto essere e trovarsi ancora là. Ancora laggiù. Ancora in quell'epoca.

Il periodo più felice di tutta quanta la sua lunga vita.

La consapevolezza che ci saranno magari altri momenti. Ma che non saranno mai come quelli, che sono e restano e rimangono per lui irrpetibili. Assolutamente unici.

Unicamente unici.

L'inizio non era stato un gran che. Non era stato poi degno di questa gran nota.

Ma il seguito, per fortuna, si era rivelato di tutt'altra pasta e fibra.

La seconda, la terza e financo la quarta parte dell'epopea che aveva appena terminato di udire dalla bocca del suo improvvisato e rimediato compagno di missione esplorativa l'avevano letteralmente catturata. Totalmente rapita.

L'avevano catapultata all'improvviso in un'epoca in un'epoca magica quanto sconosciuta.

Si era ritrovata, mediante l'ascolto di semplici parole, in un periodo spaventoso quanto affascinante.

Un tempo di cui non sapeva assolutamente nulla. E di cui era rimasta minima traccia sia nelle cronache dei quotidiani che nei libri di storia.

Giusto qualche trafiletto ed accenno sulla lotta e la guerra senza quartiere alla criminalità e alla violenza nelle vie cittadine da parte delle istituzioni, e l'abbattimento al suolo di quartieri degradati e malfamati con conseguente sgombero forzato di tutti gli occupanti, legittimi o meno che fossero.

Un tempo che nemmeno pensava potesse esistere. Che nemmeno esisteva, fino a quel momento.

Fino a quando non aveva scoperto che spesso sotto ad una spessa coltre e crosta, in mezzo alle tenebre e ai risvolti e alle pieghe degli anni e dei decenni si può trovare qualcosa di nuovo. Qualcosa di più. Qualcosa che neanche c'era.

Un'epoca fatta di violenza sfrenata, ma anche di codici d'onore. Di giuramenti fraterni e di patti e di legami imperituri di sangue. Di guerrieri della notte e dei vicoli, di cantine, di tunnel, di retrobotteghe e di terra e di asfalto. E di strade di fuoco e di rabbia. E di furia. E di gloria.

Di combattimenti finali e di vendette.

Un'epoca che si pensava potesse esistere soltanto nel Medioevo,

Chiunque lo avrebbe pensato. Chiunque al suo posto, sentendo così e sentendo quel che lei aveva sentito, si sarebbe trovato in condizioni o in obbligo di pensarla uguale, allo stesso medesimo modo. Una roba simile poteva risalire solo al Medioevo, davvero. O a tempi ancora più vecchi ed antichi. Non certo in quelli moderni.

Non certo in quelli di cui lei faceva parte e si ritrovava a vivere. Anche se la vicenda narrata da Finn, a conti fatti, non doveva risalire che a qualche decina di anni prima. Se pur parecchie decine.

Tante da sembrar secoli. Anche per il modo in cui si era svolta.

Ma chi l'avrebbe detto?

Ma chi lo avrebbe mai detto, accidenti?

Chi avrebbe mai potuto anche solo immaginare che una città come Zootropolis potesse sorgere da simili fondamenta? Da un simile fango? Da un humus così putrido?

Zootropolis.

La perla e la gemma dell'intero continente. La sua pietra più preziosa ed inestimabile che é insieme lapislazzulo, rubino, diamante, zaffiro, ametista, smeraldo, onice e ambra.

Il tutto, in una sola cosa.

Anche se ultimamente Maggie poteva dire di aver visto ed incontrato smeraldi ben più preziosi. Almeno a parer suo.

Oro, argento e platino.

Il suo vanto ed orgoglio. E la sua consolazione.

La città che incarna i miti, le mete, i principi e gli ideali del mondo, e a cui il resto di quello stesso mondo può solo aspirare e sperare di poter raggiungere. Un giorno. Forse. Poi.

La città che é diventata il modello a cui tutte si ispirano. E che tutte cercano di copiare ed imitare.

Forse nella forma, ma mai nella sostanza.

Perché nonostante tutti il tempo trascorso e tutto l'impegno profuso, per tutti gli altri Zootropolis non é ancora un punto di partenza da cui cominciare dopo averlo superato.

Nossignore. Ma nemmeno per sogno. Nemmeno lontanamente.

E' rimasto ancora un punto di arrivo. Un traguardo da raggiungere.

E così sarà e resterà. Ancora per parecchio.

Zootropolis.

Il paradiso in Terra. Dove regnano l'armonia e l'ordine. Ma anche la bizzarria e la follia più estreme.

Perché la diversità, laggiù, non diventa fonte di caos ma una ricchezza. A patto di saperla adeguatamente gestire ed incanalare in un sistema. Un sistema che permette a chiunque di entrare e di avere una possibilità, se sa stare alle regole.

E per il resto, una volta stabiliti chiaramente quei giusti quanto necessari quattro o cinque punti chiave...che ognuno faccia quel che più gli pare e piace. E che più gli aggrada. Ma pur sempre nel rispetto incondizionato di tutti e di sé stessi.

Zootropolis.

La città dove tutto il possibile esiste. Ed é lì che lo si trova. E dove l'impossibile può, potrebbe accadere ogni giorno davanti ai propri occhi quando meno ce lo si aspetta.

La città dove prede e predatori hanno finalmente superato le loro reciproche diffidenze, le loro paure, i loro timori, i loro sospetti ma soprattutto i loro pregiudizi. Ed ora vivono in pace e reciproco quanto mutuo rispetto, fianco a fianco.

Insieme.

Zootropolis.

Il posto dove ognuno può essere ciò che vuole.

O meglio...il posto dove ognuno é ciò che é. Almeno all'inizio. Ma che in futuro può essere ciò che vuole.

Un giorno. Forse. Poi.

Zootropolis.

La città dove anche Maggie avrebbe voluto andare, un giorno.

O meglio...visitare, anche per un solo giorno. Una sola giornata soltanto. In compagnia di chi ben sapeva.

Un giorno. Forse. Poi.

E chi poteva mai immaginare che un posto da favola e di meraviglia come quello fosse sorto da un simile inferno?

Incredibile. Davvero incredibile.

Eppure...anche un mondo bello e rigoglioso quale era il pianeta Terra, almeno all'inizio, era avvolto dalle fiamme. Dal fuoco primordiale di vulcani in eruzione e magma bollente che eruttava dalle viscere del sottosuolo.

Ma forse parte tutto da lì. Dal fuoco. Dal fuoco della fornace.

Un pezzo di roccia grezza e impura va gettato nella fucina ardente, se da esso si vuol ricavare un metallo lucido e splendente. Al punto che abbaglia ed acceca chi é tanto avventato da volerlo guardare e fissare.

O forse, più semplicemente...ogni fiore, anche il più bello, variopinto ed inebriante, nasce sempre da un'infinita distesa di letame e di liquami puzzolenti.

La vita, così come la sua beltà e bellezza, nascono sempre dallo schifo. E da liquidi vili.

Terribilmente semplice, in fondo. Persino spaventoso, nella sua ovvietà.

“Giàaaaaa” smiagolò inaspettamente Finnick, cogliendo e comprendendo sia il suo stupore che il suo disappunto, che dovevano risultargli entrambi alquanto evidenti in quel dato e preciso frangente. “C'est vraimént encrrroyyaaable, ma chérie. Et pour...c'est vrai.”

“Sul serio?” Gli fece lei.

“Sul serio” le confermò. “Yo sais. Es pazzesco. Eppure es todo vero, chica. Tuuutto vero. Ogne sengola palabra. Ogni parola. Te lo podarìa jurar, te lo potrei giurare su mia madre y sul suo buon nome. Peccato que...peccato que non so chi diamene sia. A parte que era de seguro un fennec como mi el mismo soto y scritto. Me ce puede jogàr ambedue gli ammennicoli, cadauno y cadadòs. O fuerse, forse...es plùs mejo de no. Meglio di no, que no estoy poi tanto seguro, de esto facto. Facciamo inscìi...te lo puede jiurar, te lo posso giurare su la mi cabéza. Almieno por quei quatros dineros, por quei quattro soldi sputati que vale.”

“Lascia stare, Finn. Non ce n'é bisogno. Ti ho già detto che con me la parola basta e avanza.

Ma se vuoi, e te la senti di volermi fornire un'ulteriore garanzia in aggiunta...potresti levarmi un'altra curiosità ancora. Così, giusto per darmi un'altra certezza in più.”

“Ancora?!” Le fece lui, spazientito. “Te avvierto que con esta stamos già a three. D'accord que tre es a number muy mahjiko segundo talunos, e que es el numero perfiecto segundo talotros. Ma no es que le spifferate adiesso se regalano accussì, a ufo y un tanto al kilo como se fosse nada!!”

“Perché no, dico io. Mi pare che tu sia in vena di confidenze particolarmente intime, stamane. E allora aiutami a capire meglio, visto che ci siamo. Dunque...se ho compreso bene Zed sarebbe il figlio legittimo e naturale di Cyrus, il tuo ex – comandante. Giusto? Non é forse così?”

“Exactemént, mein fraulein.”

“E Cyrus avrebbe affidato a te il compito di sistemarlo dopo la sua morte, nel caso si fosse fatto di nuovo vivo e avesse iniziato a creare nuovi problemi e grane. E di neutralizzarlo una volta per tutte, dico bene?”

“Ti te dise bién. Dici bene. Sempre più brava, Nocciolina. Prueprio accussì. Es proprio così que stanno las cosas. Così como éstas proprio lì el punto de toda quanta la dannata facienda. De toda quanta la stra – dannatissema faccenda.”

“Non ti seguo.”

“No? Tu no me sigues, Faline? Eppure is simple, semplice. Very Vveeeerrryy simple” insistette il tappo, strascicando parecchio un nutrito gruppetto tra vocali e consonanti.

“Ma che vuoi dire?” Gli chiese di nuovo la daina.

“Voglio dire che lo farei anche, se potessi per davvero” le spigò prontamente lui. “Peccato seulemént que...peccato che le cose non stanno affatto come pensa Cyrus. Anzi, come pensava. Intendo solo dire che contro di lui, contro Zed...NON POSSO FARCELA.”

“Io non lo posso sconfiggere” le chiarì. “Non posso batterlo. E' troppo forte. Troppo forte, per me. Cyrus avrebbe fatto meglio a scegliersi qualcun altro. Qualcuno d'altro che non fosse il qui presente. Anche se il qualcun altro a cui me riferisco...NON ESISTE. Non é mai esistito. E né mai esisterà.”

“Allora...” Aggiunse, “Que tu te ne dise? Che ne dici, hm? Semplice, no? Non é forse come te avevo detto? Como te avevo appena appena fenito de dirte?!”

Già. Semplice. Più semplice di quanto si sarebbe potuto immaginare.

Terribilmente semplice. Persino spaventoso, nella sua ovvietà.

“Ma questo...questo non é vero, Finn!!” Saltò su Maggie, protestando e contestando quell'affermazione. “Non é assolutamente vero! Tu sei forte! Sei il tizio più forte che conosca! E io me ne intendo di tizi forti, credimi!!”

“Può darse, querida. Y te rengràcio parécio, por esto. Te soy muy reconosciente por quel que tu ha dito. Ma Zed...Zed é diverso. Zed se trova a todo un altro livello.”

“Ok” ammise lei. “Ma però...Cyrus ti ha affidato il compito. Ti ha dato la sua fiducia. E questo significa che lo sapeva. Sapeva benissimo quel che stava facendo. E sapeva benissimo che tu eri in grado di...”

“Bambi...”

“No! Sapeva benissimo che tu eri in grado di tenergli testa! Altrimenti perché diavolo lo avrebbe fatto, me lo spieghi? Significherà pure qualcosa! Altrimenti perché mai ti avrebbe scelt...”

“Cyrus era un grande” la interruppe il fennec. “Era il più grande di tutti. E rimarrà sempre il più grande. Ma bisognava comenciare a fare i conti y a guardar en faccia la realtà. O almeno...era quel che facevo io. Tutti gli altri non so. Per gli altri non parlo e non garantisco. Non l'ho mai fatto ne mai lo farò, por toda quanta la mi vida.”

“Cyrus era un grande” ripeté. “Ma era vecchio e malato, ormai. E da tempo. Era ridotto all'ombra di sé stesso. E yo ho emparato a non fidarme troppo delle capacità de juicio, de giudizio, da parte de qualcuno che se trovava en condizioni como le sue.”

“E se...e se ti sbagliassi? E se fossi tu, a sbagliarti? Ci hai pensato?”

“No way, tesoro. Ninguno error. Nessuno sbaglio. Zed era il più forte, tra tutti noi. Nessuno poteva riuscire ad avere la meglio su di lui, ad eccezione di suo padre. L'unico che poteva farcela era Cyrus. Ma...”

“In effetti potresti aver ragione, Finn” lo bloccò lei. “In fin dei conti stando al tuo racconto non é che gli restasse poi molto da vivere, purtroppo. Stando a quel che mi hai detto col tuo racconto il medico che lo aveva visitato non gli aveva dato che sei mesi, e...”

Finnick si fermò ancora e si voltò, guardandola dritta sul muso.

“Stame a sientir” le disse. “Ma stammi a sentire bene por que i casi sono due, bimba. O yo no me soy esplicado, non me sono spiegato a dovere...oppure tu no ha capito una svierza.”

“Che vuoi dire?”

“Chica...” proseguì lui dopo un breve attimo di pausa studiato ad hoc e a puntino. “Cyrus non é affatto morto sei mesi dopo quella nostra chiacchierata.”

“E...e quando sarebbe morto, allora?”

“Cyrus é morto TRE ANNI DOPO, cerbiatta.”

“T – TRE ANNI DOPO, DICI?!” Esclamò Maggie, decidendo di non far caso all'appellativo che aveva appena impiegato. “M – ma...ma come é possibile?!”

Quel CERBIATTA non aveva avuto alcun tipo di effetto.

Non le aveva fatto né caldo né freddo. Era troppo sbalordita, per sentire altro che non fosse il suo stesso stupore.

“E' stato possibile” le conferò prontamente Finnick. “Per lui era possibile. Per uno como lui TUTTO era possibile. Non aveva limiti. Ha tenuto tranquillamente duro sino all'ultimo. E si é spento...anzi, ha deciso di andarsene solo quando é stato completamente sicuro che di suo figlio non fosse rimasta nemmeno la puzza, lì nei dintorni. E fino a che ve fosse rimasto lui, Zed non avrebbe mai avuto el coraggio de refarsi vivo. Y tu pensa che comunque yo pensavo, tutti noi piensavamo che fosse schiattato defenetivamiente. Nessuno podeva pensàr que l'avesse potuta scampare, dopo una sémil batosta e con sémil ferite.”

“Cyrus era un grande” le ribadì. “Era talmente grande che persino la morte ha dovuto aspettare i suoi comodi. De solito non aspetta y no respecta ninguna anema viva, ma per lui persino la grande mietitrice ha dovuto arrendersi. La nera senora ha dovuto rassegnarse ad aspettare de avere el su permiso, il suo permesso, prima de portarselo via. Ha costretto persino la muerte a piegarsi al suo volere. Nemmeno la morte aveva potere su di lui.Ha sconfitto pure la morte! E' il primo, ad esserci mai riuscito!!”

“Incredibile...davvero incredibile. M – ma come...”

“Quella volta fu un autentico milagro, un miracolo. Il secondo, che gli vidi fare. Ma purtroppo, presto o tardi, dovette decidersi a rispondere all'appello. All'ultima chiamata, se pur a malincuore. E adesso...anche lui non é più parte di questo mondo. Te l'agg' ritt, te l'ho detto. Non era più lui. Già l'ultima volta non so nemmeno come abbia fatto. Non so come ci sia reuscito a remaner en piedi fino à la fin e a suonargliele de santissema raisòn, de santissima ragione, conciato como estava. Contro a un avversario simile s'é trattato de un autentico milegro. Ecco, si. Un miracolo. Se existono davvero i meracoli o roba anche solo que glie se avvecina, quel giorno gliene ho visto davvero fare uno. Con le pupille de entrambi i miei dos ojos, i miei due occhi. Un altro meracolo, de nuevo. Ed esto era el primero. El segundo...es quello de cui te ho hablado poco fa. Quello de sobravivìr alla sua stessa muerte. Quello habìa sido el segundo, era stato el secondo. Cyrus é stato l'unico und solo hombre ad aver compiuto non uno, ladies und gentlemammals and siore e siori, ma ben due miracoli davanti al sottoscritto Marion Proinsias Finnick, a memoria sua!!”

“E va bene, Finn. Supponiamo che sia davvero così. Che sia davvero come dici tu. E scusa anche se continuo a insistere sullo stesso e medesimo punto, ma...come puoi dire così? Come fai ad esserne così sicuro, di non poterlo battere?”

“Ma allora yo hablo al viento!!” Esclamò stizzito lui. “Yo parlo a vanvera! Ma quando ce siamo affrontati yo e ti vecino al mio van, el mi pobre Lobos Z – 1...”

“Veramente mi risulta che le ho solo prese, a parte l'ottimo inizio” specificò Maggie, ritenendo estremamente opportuno precisarlo.

“Quel che é” tagliò corto il piccoletto. “Quando te ho refilato quella giusto giusto piiiiccola leciòncita...hai prestato orejo a le mi palabras? Tu has escuchado le mie parole? Non hai imparato proprio niente, da quella volta? Tu no ha capito nada de quel che te ho detto?!”

“Dipende da cosa, Finn. Ne hai dette tante, quella volta...”

“Oook. Te le repeto. Ma que sia l'ultima vuelta. Last run and turn. Sai che cosa fa de un combatente un viero y autenteco combatente? Tu crees, tu credi forse que sia la fuerza, por caso? O l'agilidàd? Oppure la resistencia? Respondime.”

“Io...”

“Allora?! Dimmelo, por favor.”

“I – io...io non...io non lo so. Non lo so ancora. Credo...anzi, temo di non averlo ancora capito. Di non averlo ancora capito bene, purtroppo.”

“Allora te lo digo yo. Anze...te lo redigo. Es la capacidàd de valutàr chi hai y chi te sta de fronte. Del resto, una cosa es eficace proprio por que tu sas dove puedes o no puedes applicarla, no? Funziona così bene proprio perché tu sai, dove non funziona. Ho ragione o no?”

“Io...”

“E dai! Dico bene o dico giusto, a seconda de ti?”

“Io...io credo di sì. Credo che tu abbia ragione, Finn. Credo che sia come dici tu. Questo posso dirlo.”

“Ooh! E quindi te dico accussì por que già allora lo sapevo que se ce fossimo fronteggiati non avrei avuto la benché minema spieranza, contra de lù.”

“Ma allora si può sapere perché diavolo lo ha voluto sfid...oh!!”

La vice si zittì di colpo.

Aveva capito. Adesso aveva capito, questa volta.

Ma solo adesso.

“Muy bien” commentò la volpe. “Vedo que ce sei arrivata da sola esta vuelta, chica. Gut. Y sienza besogno que yo te responda. Almeno me eviti de continuare a sprecàr y a tràa via fiato. Que già ne tiengo muy poquito, ahora.”

“Vuoi...vuoi dire che...”

“Se. Es stato un bluff. Una burla. Seulemént una pantomima por gagnàr, por guadagnàr tiempo. Non podevo permeter que ve uccidesse, a ti y al i socio.”

“Io...io vorrei...io voglio chiedeti scusa, Finn.”

“Como? Como tu ha dito, prego?”

“Sì. Hai capito” gli confessò la daina, con tono contrito che lasciva trasparire un pentimento sincero quanto autentico. “Ti chiedo scusa, Finn. Per averti dato del vigliacco. E per tutto quel che ti ho detto. Per tutto quel che di brutto ti posso aver detto e anche solo pensato sul tuo conto. Ti prego di perdonarmi. Sul serio...perdonami, se puoi. Sembra proprio che io abbia davvero sbagliato a giudicarti.”

Pareva costarle davvero molto. E forse era la prima volta che si ritrovava a dover chiedere scusa a qualcuno, a giudicare da come si stava comportando.

Ma si sentiva di farlo. Sentiva davvero di doverlo fare.

“Aah, fa niente” minimizzò lui. “No te preocupe. Tanto sò Inoki.”

“Eh?!” Gli fece lei, guardandolo stranita.

“Lassa stare” Le consigliò il fennec. “Y comunque...de nada, chica. Te l'ho detto: empara a valutare bién y como se deve chi hai de fronte, como faccio siempre mi.”

“Seguirò il tuo consiglio, Finn. E vorrà dire che vedrò di imparare a farlo. E alla svelta, anche. Piuttosto, tornando al tuo ex – capo...ci sarebbe un'altra curiosità che mi dovresti proprio levare.”

“Amòo?!”

“Dimmi...” le chiese la daina, senza badare alla sua improvvisa reazione. “...a quale banda apparteneva, per la precisione? Di quale banda faceva parte?”

“Chi, lui? Nessuna. Aveva la sua personale. I RIFFS – BOMBERS.”

“Ma mi hai detto prima che era il vostro capo supremo! Hai appena finito di raccontarmelo!!”

“Yeah. C'est vrai. E' vero. Ma la questiòn es un pelo mas complexa. Deciamo que c'eravamo noi, con le nostre. Y depuis...y poi sopra tutti noi c'era lui, con la sua. I Riffs – Bombers, per l'appunto.”

“Intendi dire i Del – Bombers, per caso?”

“Nope.”

“A – allora erano i Bombers e basta, dico bene?”

“Nada. Cicca.”

“Bene. A questo punto mi arrendo. E mi dichiaro completamente persa” proclamò Maggie, abbassando e facendo cascare ambedue gli arti superiori in segno di cedimento.

“Te l'ho detto. Era un gran casino, coi nomi. Te ho detto puro esto. Eppure...ce entedavamo a maravilla.”

“E credo che mi stia per scoppiare un'emicrania coi fiocchi, amico” aggiunse la giovane. “Anzi, a volerla dir tutta mi sa che mi é appena partito un aneurisma...”

“Funziona così anche col crimine organizzato, bella mia. Allo stesso y medesimo modo. E nun te sto hablando de l'aneurisma, eh.”

“Non credo di capire. Continuo a non capire...”

“Ce sono i vari clan, e le famiglie. E poi ce stanno i REGOLATORI. Lo dice la parola istessa. Sono quelli que controllano che i giochi si svolgano sempre secondo le regole. Le regole que hanno stabilito loro e todos quelli come loro, da siempre. Por que stanno al di sopra delle parti. Se ne stanno nascosti e se annidano nell'ombra, ma di fatto sono loro a tirare le fila. Sanno tutto quel che accade y succede, ogne cosa. Y por que spesso sono proprio loro a farle succedere y accadere, le cose. Me soy esplicado, ahora? Mi sono spiegato?”

“Credo...credo di sì. Ora é...é un filo più chiaro.”

“Tu devi sapere che Cyrus ci teneva molto, alla rivalità tra le sue bande. Diceva che era una buona cosa, ed era il modo che aveva scelto per tenerci a freno y sotto controllo. Ce diceva que del sano spirito de competiciòn ayudava a migliorarce, y ce spronava a dar el maximo y el meglio da parte de ognuno de noi. Faceva gruppo. Faceva squadra. Y serviva a sfogare l'aggressivedàd, l'aggrressività. Ma se uno calcava troppo la zampa o approfittava del su podér, del potere que teneva en mano oppure usava la sua posiciòn por fare delle cose che non approvavamo, ecco che entervenivano lui e i suoi a sestemarlo. Y a sestemàr la situaciòn, defenetivamiente.”

“Pazzesco...”

“Que tu te crees, muchacha? Che ti credi? Noi si era tutti quanti dei duri, ai tempi. Eravamo tutti quanti tipi tosti y violenti, ma non eravamo certo dei barbari. O brutos sin servello. Non eravamo bestie, anca se siembravamo y facevamo todo por apparìr como tali. Avevamo delle leggi. Y delle regole. Regole que ce eravamo dati da soli, por conto nouestro. Ma funzionavano alla grande, credimi. Ed erano precise y severe quanto lo erano quelle che te potevi y que tu puedes trobàr sui codici penali y sui manuàl de diritto civile. Anca deppiù.”

“Tu...tu lo ammiravi molto. Vero, Finn?”

“Que dise?”

“Mi riferisco a Cyrus. Tu...tu lo ammiravi molto, mi sembra. E...e GLI VOLEVI BENE, non é vero?”

Col passare e trascorrere dei minuti e delle parole reciproche anche un'altra cosa aveva iniziato a farsi ben chiara, nella mente di Maggie.

No. Non un embolo. E nemmeno un mal di testa.

Ma QUESTA.

Quella che, in fin dei conti e alla fin della fiera, era il vero motivo per cui aveva iniziato e dato vita a quel discorso assurdo e delirante.

Quello che era terminato con una ben precisa quanto impertinente, ben poco velata e per niente educata insinuazione riguardante possibili preferenze da parte della piccola volpe del deserto per individui facenti parte della sua stessa sfera e versante sessuale.

In realtà aveva sempre saputo che c'era un motivo, per cui lei aveva parlato così e si era espressa in quella maniera assai scarsamente garbata.

DOVEVA esserci un dannato, dannatissimo motivo. Doveva esserci per forza.

Maggie si definiva un tipo alquanto impetuoso e piuttosto impulsivo, all'occorrenza. Ma non era certo una persona da mettersi a parlare per niente o a casaccio, nemmeno nei momenti più concitati e convulsi.

Ed infatti c'era, il motivo. C'era eccome. Soltanto non le era riuscito di metterlo bene a fuoco.

Prima di adesso.

Questo, era il motivo per cui gli aveva parlato così. Questo.

Lo aveva espresso solo malamente, tutto qui.

Semplice. Terribilmente semplice. Persino spaventoso, nella sua ovvietà.

Com'é facile intuire le cosa, DOPO. Solo dopo.

Una coniglietta che tempo fa salvò un'intera metropoli da una minaccia che stava per scuoterla e travolgerla fino a distruggerne e dissolverne le stesse fondamenta, solo dopo si rese conto che con un minimo di attenzione in più avrebbe potuto stroncare quella stessa minaccia sul nascere, evitando così guai in seguito ben peggiori.

Ma certe cose si possono capire solo dopo. Soltanto dopo, purtroppo.

Tra quei due vi doveva essere un'alchimia piuttosto strana. Stranissima.

Tra Finnick e Cyrus, ovviamente.

Anche con Nick, Finn doveva provare dei sentimenti che trascendevano la pura e semplice amicizia.

Ma lì si trattava di affetto. Dell'affetto che potrebbe provare e che si potrebbe ritrovare in uno zio, naturale o più o meno acquisito che fosse.

O in un cugino.

O in un fratello.

O in un padre, persino.

Ma tra lui e Cyrus...con Cyrus, stando alle sue parole c'era, doveva esserci qualcosa di più.

E se era...e se fosse stato QUELLO? DAVVERO QUELLO?

Si poteva...se ne sarebbe potuto parlare, in quel caso?

Se ne sarebbe potuto parlare senza scadere nel ridicolo, nei doppi sensi maligni e nell'umorismo scurrile quanto fuori luogo?

Se ne sarebbe potuto parlare, tra loro due?

In fin dei conti, ci si può invaghire in tanti modi di una persona.

Ci si può invaghire della sua forza. O del suo coraggio. O della sua intelligenza. O della sua sensibilità.

E Cyrus sembrava possedere tutte queste cose. Insieme, contemporaneamente.

E non era affatto cosa rara che nelle grandi armate del passato e dell'antichita i soldati si invaghissero dei loro generali. Che vedevano così belli, forti, sicuri e potenti.

Si poteva usare dunque quella parola? Ci si poteva azzardare ad usarla, senza offendere o insultare?

Si poteva parlare di AMORE, tra quei due?

Sì. Amore. Anche se in senso tutto diverso. E speciale.

E quel che avvenne subito dopo aver pensato a quel termine quasi confermò la sua tesi.

Finnick, di colpo, rallentò il proprio passo fin quasi a fermarsi. Per poi mettersi a guardare e a scrutare il cielo, come se fosse alla ricerca di qualcuno.

Osservava con calma. Ma stando a quel con cui se ne uscì l'attimo successivo, dentro doveva covare un tumulto.

Dentro di sé era in tempesta. E doveva faticare non poco a tenerla, a tenersi a bada.

“Vedi...Cyrus non era solo il mio comandante. Era...era un amico. Un mio buon amico. Il mio migliore amico, a quei tempi. Il migliore che abbia mai potuto avere, e sperare mai di incontrare. Non ne troverò mai più, di così. Ero al suo fianco, sempre. Lo ero anche quando ha riportato l'ordine in tutta la città. A suo modo, s'intende. Ero lì, quando lo ha fatto. Prima del suo intervento risolutore...prima del suo arrivo eravamo tutti quanti come canidi randagi. Una masnada di gattacci selvatici senza collare, pronti e buoni solo ad azzuffarci e ad azzannarci per un cumulo di rifiuti e qualche osso mezzo spelacchiato di tanto in tanto. Degli sbandati senza capo né coda. Ci accontentavamo di poco, di nulla non perché fossimo umili. Ma perché non avevamo ambizioni.

Eravamo come scarafaggi bloccati, inchiodati e incastrati dentro a un muro che si limitavano a guardare il panorama che riuscivano a scorgere da una piccola crepa che gli stava giusto davanti, e senza che mai avessero provato a raggiungerlo una sola volta nelle loro vite, quel panorama così stupendo. Io stesso, prima di arrivare e di mettere piede a Zootropolis, non ero che un mercenario senz'arte né parte. Un soldato di ventura che aveva combattuto per questa o per quella o per quell'altra bandiera ancora...e che alle volte non ha fatto altro che inseguire un'ombra, convinto che fosse una bandiera. E invece l'ombra era soltanto quella del suo mantello che sbatteva, mosso dal vento. Ho solcato i sette mari e varcato e attraversato e marciato per i cinque continenti, senza mai trovare una sola volta quel che cercavo. Poi ho conosciuto lui...ho conosciuto Cyrus, e ho capito di averlo trovato. Ho capito di aver trovato ciò che cercavo, e di non aver più bisogno di nulla. Che non avrei mai più avuto bisogno di nulla.”

“Finn...”

“Dicono che una espada, una spada debba avere un proprietario che la usi e che la custodisca. Ogni spada deve averne uno, per considerarsi tale. Che la tenga e la impugni con ardore e con onore, e che non la sguaini e non la usi mai senza motivo e senza valore. E lo stesso vale per un guerriero. Un guerriero, ogni guerriero degno di questo nome, deve trovare qualcuno per cui levare e agitare la propria spada. Uno degno, per cui ne valga la pena. Ecco...Cyrus era la persona per cui ho trovato giusto e corretto levare e agitare la mia spada. Io, tutti noialtri inseguivamo il nulla. Un pugno, un nugolo di mosche, convinti che fosse qualcosa di grande quando invece non era che piccolo ed insignificante. Poi arrivò lui. Cyrus. E ce fece capire una cosa importantissima.”

“E cioé?” Gli chiese Maggie, sempre più incuriosita.

“Ci ha detto...”

 

COSA SIETE, VOI? E COSA SIAMO, NOI? DEI GUERRIERI, FORSE? E ALLORA, SE IN REALTA' LO SIAMO E LO SIETE PER DAVVERO COME POTETE ESISTERE, COME MAI POSSIAMO ESISTERE PER UNA COSA COSI' MINUSCOLA COME VOI E COME NOI STESSI? RICORDATEVI CHE QUANDO UN GUERRIERO PARLA, PENSA AGISCE E COMBATTE E' IN REALTA' L'INTERO UNIVERSO A FARE TUTTO CIO' TRAMITE LUI.

 

Finn ripensò a quella frase, proveniente direttamente dalla bocca di Cyrus.

E gliela ripeté, parola per parola. Parola dopo parola.

“Lui cambiò tutto. Capovolse ogni cosa. Ci ha dato qualcosa in cui credere, indipendentemente dalla situazione in cui saremmo potuti venire a trovare da lì in poi. In qualunque genere o tipo di situazione. Avevamo quelle sue parole, e nei momenti di difficoltà in esse ci rifugiavamo. Esprimevano un pensiero dalla durezza e dalla purezza scintillante pari a quella di un diamante. Ci trasformò in un esercito che non aveva più alcuna bisogno di comandare. E a cui non doveva assolutamente dare o abbaiare ordini, dato che eravamo disposti a dare la vita, per uno così. Persino a morire, e a farci uccidere. Ci ha resi un popolo. Una nazione. E io l'ho aiutato a costruire il suo sogno. Mattone dopo mattone, finché ho potuto. E fino a che lui ha potuto continuare a farlo. Il suo era un sogno come tutti i sogni: imperfetto, pieno de contraddizioni. Ma...era qualcosa. Era tutto, per noi. Tutto.”

Maggie lo guardò. Osò guardarlo.

A fare quel discorso gli occhietti del fennec si erano fatti lucidi. E qualcosa gli brillava all'angolo della palpebra destra.

Era forse...era forse una...

“Scusami ancora” gli disse. “Forse non dovevo evocati ricordi così dolorosi, per te.”

“Dolorosi? No, per niente” le disse lui, passandosi prima il pollice poi l'indice di una mano appena sotto alle sopracciglia. “E'...é stato bello parlare una volta tanto di tutto questo con qualcuno, dopo così tanto tempo. Il mio socio es l'unico oltre a ti, a sapere y a conoscere esta storia. Y nemmeno toda, dato que de Cyrus y de suo figlio non glie ne ho mai parlato.”

“Sul...sul serio?”

“Si. Tu es la priméra a cui la racconto. La priméra, a saberlo. Non gli ho mai detto nulla. Ma voglio dare a te lo stesso avvertimento che glie ho dato al mi figliastro, a Nickybello.”

Si mise una mano sul cuore. La stessa con cui un attimo prima si era deterso dal muso quelle che erano sembrate...anzi, che erano state proprio lacrime.

“Fame un favore. Custodisci questa storia qui dentro” le ordinò, battendosi il pugno chiuso sulla parte sinistra del costato. “Le leggende non sono adatte per essere raccontate a tutti e a chiunque, ma se narrano y se tramandano solamente a chi ne é degno. E tu LO SEI.”

“Finn, io...”

“Y ahora viénes aqui” le fece. “Avvicinati, adesso.”

“M – ma...”

“Forza! Non aver paura. Nun te mangio mica.”

La daina obbedì e si abbassò mettendosi su di un ginocchio.

Niente di più e niente di meno di quello che avrebbe fatto un vassallo in procinto di ricevere l'investitura a cavaliere da parte del suo signore, di cui non era ancora pari. Ma solo per poco.

Il tappo rifilò anche a lei un colpo di pugno all'altezza del seno, nello stesso punto in cui se l'era appena dato da solo e per suo conto. Ma triplice, questa volta.

Maggie non fece una piega. E nemmeno provò imbarazzo, nonostante la zona coinvolta in quella sorta di augurio di genere così fisico fosse alquanto equivoca.

Aveva percepito l'estrema importanza di quel momento.

Vi era un qualcosa di solenne, in quel gesto. Quasi sacro.

Non poteva profanarlo con dell'esitazione fuori luogo quanto inopportuna.

“Hai un animo impulsivo e temerario” le disse. “E un cervello ottuso e testardo. Ma il tuo cuore é coraggioso, e questo é quanto basta. E' già tanto, credimi. Alcuni miei amici nativi che bivaccano dalle parti delle Canyonlands e dintorni te direbbero che il tuo cuore é GRANDE E CORAGGIOSO COMO QUELLO DE UN ORSO, dato che per loro l'orso é l'animale più fortec he esista en natura. L'orso” replicò. “Non i leoni. Non le tigri. Non i leopardi. O le pantere, giusto por que Cyrus lo era. Al massimo i puma, che rispettavano e que respectano siempre, anche tuttora. O i lupi, dato che i nativi sono quasi en prevalencia tutti coyote e quindi li vedono como una sottospecie de zii o de cugini alla lontana. Ma l'orso, per loro, era superiore a todos. A chiunque altro. No tienes, non ha mai avuto l'agilità e la potenza dei felini, anche se é più forte di loro. E' grosso, lento e pesante. Ma la sua fuerza deriva da altro. Lo considerano forte perché é in grado di resistere y sobrevivir, de sopravvivere a qualunque cosa. A tutto quello che glie capita y glie finisce addosso. Anche se lo si colpisce e lo si contenua a colpire, non cade mai. Y una vuelta que lo se costringe a combattere, non c'é verso de farlo desistere. Né de arrestarlo. Non se ferma più.”

“Tu tiénes un corazòn muy valiente, muchacha” le ripeté, pur usando la lingua tutta sua che ormai lo caratterizzava. “Hai un cuore davvero coraggioso. E che brilla e splende come l'oro. Non lasciare che te lo portino via. Mai. Non fartelo mai portare via da nessuno, me raccomando. Portalo simeère con te, e abbine cura.”

“Grazie, Finn” gli rispose lei sorridendo, mentre si rimetteva in piedi sui propri arti inferiori. “Lo farò. Cercherò di fare del mio meglio. Ma visto che mi hai appena parlato del tuo passato...tu QUANTI ANNI HAI?”

“C – como?!”

“No, dico...te ne sono successe tante, di cose. Di sicuro non sei giovane, anche se la tua altezza e le tue dimensioni possono portare di sicuro ad ingannare, senza offesa. E Nick una volta mi ha detto che quando ti ha conosciuto per la prima volta doveva avere otto o nove anni, o giù di lì. Mentre tu ne avevi già VENTI. O giù di lì. Sempre ammesso che fosse vero. Quindi...QUANTI ANNI DOVRESTI AVERE, per la precisione? Ti confesso che é da un po', che me lo chiedo. E ci terrei a saperlo, sempre che non sia un problema.”

“Ma ti pare, Nuts? No ve es ninguno problemo. Es solo que...adiesso como adiesso NON ME LO RECUERDO.”

“C – cosa?!”

“No. Me desculpe. Ma non me lo recordo absoleutemént. Nella maniera più assoluta.”

“Ma...ma stai scherzando? Sei serio?!”

“Oh, sì. Soy serissimo. Mai stato più serio en toda la mi vida.”

Finn portò l'indice destro messo ad anello, col corrispettivo pollice piazzato appena sopra a racchiuderlo a guisa di tappo, appena sotto al mento in atteggiamento riflessivo.

“Hmm...aspietta, famece piensar...que en effetti es un bel pezzo que nun me ce metto a far los cuentas, i conti...dunque, ho smesso de contarli dopo que m'ero preso una spadata en plena panza da un tizio cobierto de pellicce dei suoi nemici uccisi y scuoiati. Y spellati. Molto probabilmiente puro da vivi. El tutto mientre i suoi compari predoni saccheggiavano y encendiaveno el mi villaggio de luride catapecchie. Y te posso assecuràr que nun ce ho visto più. Mais no por que fossi enfuriado, eh. Anca se fenìr enfelzado como en tuerdo non es que es la megliòr cossa que te puede capetàr nel corso de una jurnada. Sin contàr que los tuerdos, i tordi, già allora non existeveno mancoppiù. No viedevo y né sientivo plùs nada. Nulla Rién de rién. Era todo buyo y frio y silenxioso, entorno a mi. Sembravo muerto. Y forse lo ero puro. Kaputt. Schiattato. Poi de colpo me rialzo e me retruevo de dientro a la mi capanna mentre i miei famegliari e la mi gente me stanno cielebrando el funeràl. A quel punto me buttano de fuera dal vellaggio de luride catapecchie e me urlano y me ensultano y me sputano anca en faccia dicendome che agg'fatt' un patto avéc le diablo, un patto col diavolo. Y que yo soy posseduto dal dimonio. Vago en giro y en giringiro por un poquito, y poi me embatto en un tizio strano, persino un po' fru – fru all'apparencia, visto che puerta un abito fastoso ma recoverto de plùme, de piume che sono a dir pueco redicole. Ma però me rendo cuenta que es muy strano. Già non existavano più los volatiles, gli uccelli, y de reperti non se ne trovavano mica facìl. Per averciele addosso, quel tipo...doveva aver vissuto QUANDO GLI UCCELLI ANCORA GHEREN. QUANDO DE UCCELLI ANCORA GHE N' ERANO, capish? El tizio fru – fru me dice de chiamarsi JUAN SANCHEZ VILLA – LOBOS RAMIREZ HERMOSO DE CAYETANO MARTINEZ Y LOPEZ Y FERNANDEZ Y MORIENTES CICO DE QUANTORENA. En confidencia...Y.”

No, no, no” si corresse. “Gli ultemi ocho ce li aggiunti yo ahora. Dove eravamo remasti? Ah, si...con el tizio fru – fru que me dice de llamarse JUAN SANCHEZ VILLA – LOBOS RAMIREZ. Por todos los amigos ma anca por los nemicos RAMIREZ, y basta. E me dice que yo soy como lù. Me dice que yo soy IMMORTAL. Un IMMORTALE. And yo glie digo es simply, siempliciemiente loco. Que es un rencretinito col botto. Un matto da llegàr y avéc lo cappello de legno. Y quel tipo que fa? Beh...quel gran pezzo de farabutto d'un desgrazieo me refila una via de miezzo tra un patada y una espinta. Que la estàvas a metà perfecta tra un calcio y uno spentone. E me butta giù dalla rupe, visto que a furia de starlo a sientìr mentre blaterava le su ediozie nun m'ero accorto que eravmo feniti ambedòs de sovra a una scogliera. Un bel para de scogli. Due scoglioni que non te digo. Yo precipito en agua e me ne finisco sur le fònd de la mére. Yo ero dans la mére, bimba. Fino al collo. En fondo al mar. En fondo al mar, en fondo al maar...dove c'é una murena, che va in cancrena, en fondo al maar...ma nun divaghiamo. Yo soy lì que lo mando a quel paìs y anca da qualche altra parte, a quel tanghero. Con lo pensiero, anche por que con la bocca entanto encomincio a bere. Mai stado esto gran nadador. Y l'agua non es prueprio el maximo, por nos zorros. L'acqua no es stada mai el nuestro pundo de fuerza. Noi volpi nun semo este grandi nuotatrici. Ma con mia enormous sorpriesa...invece de anegàr, de affogare...me metto a caminàr con los pieds e me faccio tutto el fondale, avec calma. Y a riva, su la playa y la battigia, me retruevo lui. Ramirez. Que me fa TU HA VISTO? Y ride. Poi me dice que semo legati a double filo da esta REMINESCIENCIA, o quelque chose del genere. Semo remasti en contatto pur muchos anos, de allora. Ma poi...avimmo finito col smarrice de vista. Diciamo solo que...IL A PERDU' LA TETE. HA PERSO LA TESTA! AHR, AHR, AHR!!”

Maggie sgranò gli occhioni.

“Che...che cavolo stai dicendo, Finn?” Esclamò. “Ma si può sapere che diamine stai dicendo? Ti sei bevuto il cervello , per caso? O la roba che ti sei tracannato e inalato l'ultima volta che ti ho visto é ancora in circolo?”

“Aah...nun ce badare, Nocciolina. Tu priende siempre avec las muelles, con le molle quel che dico.”

“Mph. Tranquillo, Finn. Lo so. Ormai ti conosco. Così come so che con te tutto può essere il contrario di tutto. Quindi, per quanto ne so potrebbe anche essere vero, quel che hai appena detto. Vedi...é proprio perché ho imparato a conoscerti, che so bene che da uno del tuo calibro ci si può anzi, ci si deve aspettare qualunque cosa. Ed essere pronti a tutto. Non si sa mai.”

“E' questo el guaio, Magda. Y el tuo più grande errore, si nun te ne stai più que attenta en engarde, en guardia. Non credere y non piensàr mai de conoscerme, a mi. Mai, fino en fondo.”

“Ecco. Appunto. Come volevasi dimostrare. Con uno come te apettarsi di tutto é la regola. E in tal proposito, visto che si sta parlando di regole...mi puoi spiegare una buona volta cos'accidente era quel gesto che hai fatto a Zed? Quello schizoide aveva appena finito di massacrare Nick, e aveva schienato pure me. Me lo ricordo ancora adesso. Ed era sul punto di ucciderci a tutti e due. Poi sei arrivato in scena tu e stava per scagliartisi addosso pure a te. Ma poi...ha visto quel segno e si é fermato. Per poi andarsene via in fretta e furia piantando tutto lì in asso.”

“Ah!!” Gridò il nanerottolo. “Tu l'ha visto, no es vero? Te ne sei accorta, dunque. Congratulations! Maravillieus coup d'oeil. Gran bel colpo d'occhio, i miei very very compliments. Ottemo, devviero ottemo. E yo que credevo que te ne stavi completamiente persa de drio al tu nòvio.”

“Ovvio che lo ero. Nick mi pareva più morto che vivo, in quel momento. Ma ti garantisco che non ho perso di vista un solo dettaglio, dell'intera situazione. Non mi é sfuggito neanche un granello di polvere. Ho continuato a monitorare ogni cosa. E ho visto, dunque.”

“E anche sentito” specificò subito dopo.

“Ah, si?” le fece Finn. “E cosa, de gracia?”

“Zed ha detto qualcosa relativo ad un non ben precisato EDITTO DEI TRE GIORNI, o qualcosa del genere. Che cos'é?”

“Oh...nada. Niente que te possa enteressare, credime. E niente che possa fare poi esta gran defferencia, oramai.”

“Questo, se permetti...lascialo giudicare a me. Voglio saperlo, invece. Ne ho il diritto. Visto quel che stiamo per affrontare, devo sapere ogni cosa. Anche la più futile e priva d'importanza, almeno in apparenza. Devo sapere tutto. Di voi e di loro. E'...importante. O almeno potrebbe esserlo. O io credo che lo possa essere. Tutto può servire, giunti a questo punto. E' così che lavoro, io. E' così che mi hanno insegnato, ed é così che ho imparato ad esercitare questo mestiere. Quindi...dimmelo.Ora. Adesso. Domani...domani potrebbe essere già tradi. Potrebbe essere troppo tardi.”

“Ti rammento che sei un volontario” Gli ricordò. “Il mio comandante ti ha nominato agente ausiliario di supporto alle operazioni di polizia della contea.”

“Caspeta, che paroloni. Davvero squisiti. Tiengo de già l'aguolina en bocca. Tutta esta patafiatta por dirme que soy un siemplice ayudante.”

“Paroloni o meno...io sono un tuo superiore. Perciò...ti ordino di rispondermi. E' un ordine, chiaro?!”

“Ok, ok...calm down. In fin dei conti tu eres la vice anca prima que arrevassemo noi. El tu empiego y encareco yo lo cosidero autentico. Mica como quello farlocco y fasoulo del mi feglioccio. Quindi...reconosco y respecto la tu autoridad.”

“Bene. E allora muoviti. Parla!!”

“Right. Devi sapere che a quei timepi, quando ce se affrontava tra esponenti de diverse bande o de la istessa por regolàr un qualnque genre, genere di disputa oppuro nel tientativo de scalare le gerarchie del gruppo, era buena abitùd, abetudine dare allo sfedante un poquito de tiempo por prepararse” le spiegò. “Y a quel pundo tu que lo sfedavi o lui que et sfedava, no empuerta por que tanto xera iguàl, non se aveva que trés opcionés. Tre opzioni.”

Finn le mostrò tre delle sue dita, ripetendo così pari pari il gesto che aveva fatto con l'enorme felino in occasione del loro ultimo e più recente confronto.

“Ecco qua” annunciò. “Potevano essere trés dias. Tre giorni.”

Abbassò quindi il pollice facendone rimanere solo due, come a formare una V.

Il simbolo della vittoria, per gli sportivi. Anche se qui non vi era nulla di sportivo. E neanche di vittorioso, stando a come si stavano per mettere le cose per chi aveva appena compiuto quel gesto. E anche per chi gli stava vicino, non va dimenticato.

“Due settimane...”

Ed infine mandò a nanna anche il medio. E non rimase che l'indice, a sorbirsi l'ultimo turno di guardia.

“O adderittura un mese entiero. Y no es todo. Non é tutto: lo chiamavamo editto por que, fino a che non se resolveva la faccenda o el conto da regolàr todos las otras, tutte le altre venivano messe en sospeso.”

“Non ci credo!!” Sbraitò la daina. “E tu...tu vorresti darmi a bere che ve ne stavate e rimanevate buoni buoni soltanto perché lo avevano deciso due di voi facendosi dei segni con le dita? Veramente?!”

“Seguro. Proprio accussì. Era como nell'antichidad con los juegos de l'olimpeo, i giochi olimpici. Quando li promulgaveno, tutte le guerre que ce staveno en corso venivano bloccate fino alla loro conclusiòn.”

“M – ma...ma tutto questo é assurdo!!”

“Già. Dici bene. Assurdo, proprio. Davvero assurdo, a ripensiarce. Eppure funzionava que era una maravillia, una meraviglia. Alla perfezione. Forse proprio por que era una vera sciemenza, en fondo en fondo. Chissà. Magari lo trovavamo divertente, dopotutto. Sai, alle volte me sembrava que fosse todo un juego, nient'altro che un gioco de ninos. De bambini. De cuccioli. Y comunque te debo avertìr que non era affatto detto que lo sfidato era tienuto ad accettar. Ce se poteva iniziàr a riempirse de botte e de lorgné y de smataflàn anca da prima de subito. Ma veniva consederato didiscievole, da todos los guerreros. E quindi...lo respettavamo. Y lo applicavamo siempre, por qualunque tenzòn.”

“Sai...” le confidò, “No ero nemmieno cierto que Zed accettase. Yo glie ho proposto el minemo sindacàl. Ero più che seguro che a proporglie anche solo una delle altre dos soluzionés avrei finito por aprofetàr fin truepo de la su già escarsa paciencia.”

“E derei que me é andata puro bién” confessò, tranquillo. “Ho tienuto fortuna que non ha capito chi é che fossi veramiente. Altrementi non me avrebbe lasciato nemmeno mezzo segundo...me avrebbe ucciso all'istante, como minemo.”

“Mi sembrava, che non ti avesse riconosciuto...” dovette ammettere Maggie.

“No, que no me ha reconosciuto. Es solo por que all'epoca delle guerre tra bande eravamo abituati a vederci sempre con addosso le nuestre uneformas avec los colores de batallia. Le uniformi e i colori di battaglia, ognuno le sue. Era così che ci vedevamo. Ed era così che ci si retrovava tra de noi. Mai, in sembiancie o en abiti civili. Por nos otros la vita da civile no existeva. No es mai existida. E meno mal, aggiungo puro yo. Altrementi, se così no non fosse stato...Zed me avrebbe scannato derectamiente sul puesto, dove me trovavo. Sin darme el timepo de dire bah.”

“Già. Meno male davvero” gli rispose Maggie. “Ma adesso cos'é che conteresti di far...”

Non vi fu risposta. Il fennec aveva deciso altrimenti, ed era di nuovo partito per considerazioni tutte sue.

“Proprio vero...giravamo in giro todo el dia inscìì. Tutto il giorno conciati a quella maniera. En quel modo redicolo. Per noi non era altro che un gioco. Giàggìà, un gioco. Nient'altro che un gioco...”

Quando faceva così, gli si poteva continuare a parlare solo usando il suo stesso tipo di strampalato idioma. Oppure entrando di getto nei suoi stessi ed altrettanto strampalati argomenti.

E fu proprio così che fece la giovane vice – sceriffo.

Ormai lo conosceva, del resto. Forse non tanto quanto pensava o riteneva, ma abbastanza da saper quel che c'era da fare in simili momenti.

Sapeva cosa doveva fare. Ed agì di conseguenza.

“Sì, infatti” commentò. “Ma solo una cosa non mi é ancora del tutto chiara. Ho ancora dei dubbi da chiarire, in merito. E parecchi. Ad esempio...come mai Zed non si rifece vivo dopo la morte di suo padre, per reclamare ciò che pensava gli spettasse di diritto? Se ci pensi bene...nessuno avrebbe potuto fermarlo, se era davvero forte come dici!”

“Quien sabe, querida. Il nostro sogno é durato fino a que é durato Cyrus. Con la fine della sua vita es crollato ed é sparito tutto. Non durò un solo giorno. Ne in più, né di più. Forse Zed non lo ha mai saputo, della morte di Cyrus. Io, dal canto mio, mi sono ben guardato dal dirglielo. E penso che tutti gli altri abbiano fatto uguale, anche se ribadisco que per loro non garantisco. Né per loro, né por ninguno all'enfuori de loro. D'altro canto...d'altra parte te avevo già detto che tutti noi eravamo convinti che fosse bello che morto. E da un bel pezzo, anche. E forse deve aver retenuto anche lui che era più conveniente y opportuno continuare y seguitàr a spacciarsi y a far fenta de esser muerto.”

“Vattelapesca” fu la sua sentenza. “Magari ha deciso de allontanarse da Zootropolis. O nel frattempo doveva aver trovato qualcosa deppiù enteressante da far, y da un otra parte. Doveva aver stabelito de spostar altrove le sue mire y i su obiettivi, almeno por un poco. Almeno por qualche tiempo. Y magari...el giorno que aveva finalmiente deciso de far retuerno a Zootropolis, improvvisamente deve aver scoperto y saputo che ormai el regno de su padre no existeva plùs. E che non c'era remasto proprio più niente, da conquestar. No mas tripe. Niente più trippa por ninguno. Ghe n'era puù minga. Nada de nada. Più niente, nemmeno por lui. E a quel punto deve aver lasciato perdere. Definitivamente. Esto nun m'é dato de sabierlo. Nun c'é dato de saver. Ma te giuro que mai y poi mai avrei creduto de retrovarmelo aquì. Mai e poi mai avrei dovuto retrovarmelo davanti!!”

C'erano tante domande ancora in sospeso, su quella maledettissima storia. Ed era destino, così come era ormai più che evidente, che molte tra esse srabbero rimaste per il momento insolute.

Irrisolte.

Molte tra quelle tante domande non avrebbero trovato una risposta.

Non in quella mattinata almeno.

Ma su una si poteva ancora provare. Su quella che non gli aveva ancora fatto.

“E...e per quella faccenda che tu e lui...sì, insomma, che voi due sareste...che siete FRATELLI DI SANGUE?” Domandò Maggie. “Che sign...”

Ma anche quel quesito non ebbe che l'eco, a replicargli.

Un eco inudibile, frutto e figlio del silenzio privo di validi argomenti e tesi verosimili a sostegno.

C'era un altro motivo per cui il piccolo predatore si era fermato, oltre che per omaggiarla ed elogiarla per aver finalmente ottenuto e conquistato la sua fiducia e la sua stima. Ma a quanto pare lei non se n'era ancora accorta.

Se n'era resa conto solo adesso che ci si trovava davanti. Che si era ritrovata davanti.

Avanzando a passo lento ma spedito, e chiacchiera dopo chiacchiera, i due erano ormai giunti a destinazione.

Dove dovevano e si erano prefissati di arrivare. E dove avrebbero dovuto essere e trovarsi, e già da un bel po' di tempo.

Da un bel pezzo, a volerla dir tutta.

Davanti al posto destinato e riservato a loro e a quelli come loro. E a chiunque operasse nel loro stesso e medesimo settore, di passaggio e più o meno saltuario e provvisorio che fosse.

Davanti alla loro sede operativa. Al loro quartier generale.

Davanti alla centrale. O per lo meno, davanti a quel che ne rimaneva.

Davanti a quel che ne era rimasto. Sempre ammesso e non concesso che vi fosse rimasto ancora qualcosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Mi voglio scusare per il ritardo a dir poco ENORME, questa volta.

Sì, é vergognoso. E non ho attenuanti.

E di solito nemmeno ne cerco.

Solitamente ritengo che non vadano mai cercate scuse o giustificazioni, alle proprie mancanze.

Ma diciamo che...ho avuto un periodo alquanto incasinato.

La solita solfa, dirà qualcuno. E forse ha pure ragione.

Tra impegni vari ho fatto anche la prima dose di vaccino (Moderna, per la precisione). E tanto per cambiare due giorni dopo la puntura mi ha letteralmente steso, costringendomi a letto.

Ora va meglio. E speriamo che con la seconda dose non sia uguale.

Oltre a questo, la mia piccola si é quasi fratturata un braccio (quasi, per fortuna). E anche lì...corri a destra e a manca.

E poi la gente si chiede da dove uno tragga ispirazione per quel che scrive. Nel mio caso...da tutto quel che mi accade nella vita reale e autentica, che già basta e avanza!

Sul serio, non ho proprio bisogno di andarmi a cercare avventure.

Proprio vero quel che diceva qualcuno (forse il grande Charlie Chaplin, credo).

E cioé che qualunque cosa ti possa capitare nella vita, bella oppure brutta che sai, non puoi proprio fare a meno di viverla. Nemmeno se non vuoi.

Alla fine, ritengo che scrivere sia un buon modo per esorcizzare certe disavventure miste a sfighe.

Relativizzare, questo conta. Se nessuno si fa male o ha niente di rotto, e ce la si cava con un gran spavento e basta...forse trovare lo spunto per una buona storia può servire a farsi passare la paura di dosso. O qualcos'altro. O tutto il resto.

Può servire, insomma.

Ma adesso veniamo al capitolo.

Allora?

Che ve ne pare?

Lo considero un episodio un po' di transizione, e volerla dir tutta non sono molto convinto del risultato finale. Ma questo sarà meglio che lo stabiliate voi.

Non so.

Premetto che sto gettando le basi per la rivincita tra Nick e Zed. E sapete quanto mi piaccia partire da lontano, con certe cose.

Sto preparando le pedine ed il terreno. E quindi una fase di lieve stasi ci sta. Però...

Però resta il fatto che si parla tanto. Ma proprio tanto.

Pure troppo, parafrasando la battuta di un vecchio quanto celebre comico.

Specialmente un certo piccoletto di nostra conoscenza dà davvero il meglio (ed il peggio insieme), in tal senso.

Qui il nostro Finn dà pieno e libero sfogo alla sua logorrea congenita. Sfiorando il delirio bello e buono in più punti, a parer mio.

A me fa morire dal ridere, ma bisogna vedere che ne pensano gli altri.

Potrebbe anche far due scatole così, eh.

Per carità, non tutto é da scartare.

Le parti in cui lui e Maggie si giurano fiducia e collaborazione perenne e reciproca le ho trovate a dir poco STUPENDE.

Sono indice di un rapporto tra i due che migliora e si intensifica sempre di più, e che sta diventando sempre più profondo.

Proprio come quello che intercorre tra un maestro e la sua migliore allieva.

E pensare che all'inzio quasi si ignoravano. E Maggie, dopo aver assistito ad un certo comportamento, sembrava che avesse preso pure a detestarlo con tutte le sue forze.

Proprio vero, comunque. In casi estremi e disperati...bisogna saper fare di necessità virtù, e accontentarsi di chi si ha facendosi andar bene un po' tutto!

E in quanto alla nostra vice...ormai é conclamato.

Non solo é innamorata persa di Nick. Ma questo già lo sapevano anche i sassi, ormai.

Non solo. Le piace un casino, anche fisicamente. E SE LO VUOL FARE, punto.

Un giorno o l'altro lo butta davvero sulla scrivania, gli strappa i vestiti di dosso, gli monta sopra a cavalcioni e...

E.

Ma dimenticavo...mi sa tanto che non c'é più, una scrivania. E non ci sta più nemmeno un ufficio, a conti fatti.

Comunque, scherzi e scemate a parte...sono curioso di sapere che ne pensate.

E adesso, prima di chiudere vorrei aggiungere una cosa.

Ci tengo molto.

Ormai più di due settimane fa ci lasciava il maestro KENTARO MIURA.

Si. L'autore di BERSERK.

Dissezione aortica, stando al referto medico.

Stroncato da un infarto a 54 anni.

No, dico.

CINQUANTAQUATTRO ANNI. Ci rendiamo conto?

Ma facciamo un passo indietro.

Ripensare al suo manga mi dà una strana sensazione.

Mi fa ritornare con la mente ad un periodo in cui leggevo fumetti a quantità industriale, mi sparavo sessioni ai videogames della durata di interi pomeriggi e mi spaccavo letteralmente in due in palestra a furia di allenamenti, tra Thai – boxe e pesi.

E la sera uscivo. TUTTE LE SERE. E poi la mattina presto al lavoro.

Una macchina. Vivevo al 101% e a trecento miglia orarie.

Già lavoravo. E spendevo praticamente TUTTO, per soddisfare le mie passioni.

Questo prima di metter su famiglia e diventare papà.

Ma ritengo che non avrei mai avuto le ispirazioni giuste per scrivere, se non avessi vissuto quel periodo.

Ricordatevelo, ragazzi. Le passioni...NON SONO MAI INUTILI. E priam o poi ti ripagano sempre in qualche modo, per la dedizione e l'amore che si dedica loro.

Per usare una frase bellissima pescata in rete...ERAVAMO IN UN PICCOLO MONDO FATTO DI MOSTRI, DRAGHI, GUERRIERI CON IN MANO PEZZI DI FERRO TROPPO GRANDI E PESANTI PER ESSERE CHIAMATI SPADE, GUERRIERI METAFISICI, ALIENI BIO – CORAZZATI E MAGHI CHE PER FARE GLI INCANTESIMI CITAVANO PEZZI DI CANZONI DEI CELTIC FROST.

Di sicuro Berserk ha fatto parte della mia vita. Meno rispetto ad altri manga (LE BIZZARRE AVVENTURE DI JOJO su tutti, quello a parer mio rimane un'opera inarrivabile), ma ci metto anche lui.

Ricordo quando lo lessi la prima volta.

Era appena nata la Planet Manga della Panini, e tra le prime pubblicazioni c'erano BATTLE ANGEL ALITA di Yukito Kishiro (che sono stato ben felice di ritovare. E di leggere fino alla fine, questa volta), e poi proprio Berserk.

Ne avevo già sentito parlare, ed ero curioso. Ma nulla avrebbe mai potuto prepararmi a quel che vi ho trovato.

Un mondo fantasy. Ma non quello pieno di elfi, aitanti spadacini, ragazze bellissime e altre creature maestose in stile LODOSS WAR.

Uno quando pensava ai manga di genere fantasy immaginava quello.

Ma in Berserk non c'era niente del genere.

Era un mondo cupo e medievale, con fortissime influenze di artisti come Bruegel e Bosch. Bravissimi nel rappresentare mostri, demoni e inferni.

Un mondo fatto di miseria, sporcizia, storpi, deformi e poveri. Di bambini trucidati e brutalizzati in ogni modo, sin dalla più tenera età. E di soldataglia rozza, brutale e sanguinaria. E di estrema violenza. E ignoranza.

Un mondo di pezzenti oppressi e di nobili arroganti, caratterizzato dall'assoluto spregio, disprezzo e mancanza di qualsivoglia rispetto per la vita umana.

Un mondo davvero orribile. Una fotografia perfetta di quella che ritengo essere una delle pagine più buie ed oscure della nostra storia.

Non ci sarebbe stato neanche bisogno di mettere delle creature mostruose, che già faceva schifo così. Eppure...c'erano anche quelle.

Ed erano veramente una roba orrenda e ripugnante. Presa di peso dalle visioni di altri due grandi artisti dell'orrido che corrispondono ai nomi di H. R. Giger e Clive Barker. Rispettivamente gli ideatori dello xenomorfo di ALIEN e dei supplizianti di HELLRAISER.

Ed in mezzo a tutto questo si muoveva un tizio di nome Gatsu.

Un guerriero con degli evidenti problemi psichici, e di una cattiveria ai limiti del sadico.

Un uomo a cui doveva essere accaduto qualcosa di davvero orribile.

Il fumetto, fino ad un certo punto, é un autentico capolavoro.

Poi nell'ultima parte, almeno a parer mio, si é ammorbidito un po'. Un po' troppo, tradendo lo spirito iniziale.

A tutto questo aggiungiamo alcune scelte piuttosto discutibili, e...si, non é che recentemente mi convincesse molto. Mi sembrava giunto ad un punto morto.

Ma sono convinto che Miura stesse lavorando sodo per riuscire a districare la matassa. Così come credo che dentro di lui sapesse dov'é che la storia stesse andando a parare.

Ma un autore deve aver tempo, per sviluppare un racconto. E anche calma, pace e tranquillità. E invece spesso si ritrova con accordi, contratti, tempi di consegna e date di scadenza che non hanno alcuna considerazione della fatica che un autore compie per cercare di rispettarli.

Leo Ortolani (l'autore di RAT – MAN) diceva che il terrore più grande di un fumettista é di non vivere abbastanza a lungo per riuscire a raccontare ai lettori tutto quel che ha in mente.

Qui, purtroppo, é successo.

Come andrà a finire...non lo sapremo mai. Non lo sapremo più.

Forse qualcuno continuerà la sua opera, ma...non sarà la stessa cosa.

Fa impressione, comunque.

Stroncato da un infarto a 54 anni.

Ora, io ritengo che ognuno di noi abbia una data di scadenza. Una chiamata, un appuntamento a cui non può assolutamente mancare e a cui non può rifiutare, nemmeno volendo.

E se é stato quello il caso...non ci si può fare niente.

Ma poi sono ben conscio della realtà editoriale e lavorativa nel paese del sol levante, e non posso fare a meno di pensarci.

Del resto le note che lasciava a margine negli ultimi periodi, a margine, a rileggerle col senno di poi trasmettono un messaggio a dir poco agghiacciante.

Mostrano una persona che era sul punto di scoppiare da un momento all'altro, che dormiva sì e no quattro ore a notte e che sempre di notte lavorava perché faceva più fresco. E che per non perdere tempo teneva la coperta per dormire sotto al tavolo di lavoro. E che diceva di non vedere la luce del sole da mesi. E che aveva MEZZA GIORNATA DI FERIE ALL' ANNO.

MEZZA. GIORNATA.

E' inaudito.

Consumato dalla macchina produttiva. Dalle creature a cui lui stesso aveva dato vita. E da mostri ben più reali e pericolosi che affollavano il suo mondo.

Inghiottito, masticato e digerito dal sistema. Come una vittima sacrificale davanti ad un apostolo del suo fumetto più celebre.

E stiamo parlando di uno degli autori più rinomati di questi anni!

Ma come si é potuti arrivare a questo?

Un grosso sbaglio, secondo me, é stato di serializzare i manga.

La cosa bella dei manga e dei cartoni giapponesi in generale era che finivano.

Un tempo contava l'autore, non l'opera.

Un Toriyama finiva DR. SLUMP E ARALE e magari cominciava un DRAGONBALL.

Uno Tsukasa Hojo finiva OCCHI DI GATTO e partiva con CITY HUNTER.

E la Takahashi? E' partita con LAMU', poi ha fatto MAISON IKKOKU, poi RANMA ½ e poi ancora INUYASHA.

Non ci si fossilizzava su di un personaggio o su di un'opera, contrariamente a quanto fanno in America coi comics o qui da noi.

Oggi si é invertito il processo. Basti vedere opere come NARUTO (che grazie al cielo é finito) o ONE PIECE.

Per non parlare di autori come gli stessi Hojo e Toriyama (anche se lui ha affidato il lavoro a un assistente), Araki, Kurumada o Hara che hanno deciso (o dovuto, peggio ancora) riprendere in mano i loro personaggi più famosi, per mungere la fanbase.

Senza che ce ne fosse assolutamente bisogno, aggiungo.

Continuare a spillare quattrini proponendo mille versioni trite e ritrite della stessa zuppa, ecco cos'é.

E aggiungiamo che per me é semplicemente folle far durare un manga decenni, considerando i ritmi di lavoro infernali che ci sono da quelle parti.

E' da pazzi.

Di questo passo li uccideranno tutti.

Sarei curioso di sentire anche il vostro parere, se ve la sentite di fornirlo.

Senza obbligo né impegno, naturalmente.

Intanto...non so se questo sia uno dei miei capitoli migliori, o più riusciti. Ma penso che al maestro Miura sarebbe piaciuto. Lo vedo in linea con lo spirito dei suoi primissimi lavori, senza voler essere troppo presuntuosi.

Pertanto...voglio dedicarglielo. Di cuore.

Addio, sensei Kentaro.

Ha dato tanto. Ha dato tutto. Anche di più. Ed ora é giusto che si riposi.

Anche se ne avremmo fatto tutti qaunti volentieri a meno, maledizione.

Ho sentito di un mucchio di gente che ora vuol vendere la sua collezione di Berserk per il semplice fatto che, non avendo più un finale, di fatto per loro equivale a carta straccia.

Dal canto mio...giammai.

Da ora in poi la leggerò con ancor più rispetto e da ttenzione. E la custodirò ancor più gelosamente. Perché la considero un lascito.

Un lascito prezioso. Anche se le questioni tra Gatsu, Grifis e Caska saranno destinate a rimanere così, molto probabilmente.

Irrisolte.

Addio, senpai. E grazie di tutto.

Un giorno ci rivredemo.

Nel frattempo...non la dimenticherò.

Bene. Passiamo ora al ritorno dell' ANGOLO DELLA COLONNA SONORA.

Per questo episodio ho due proposte.

Una é EVERYTIME YOU GO AWAY di Paul Young. Mentre l'altra é BROKEN LAND degli Adventures.
Le ho trovate molto pertinenti ed in linea con lo spirito quasi nostalgico di certi passaggi. Specie quando la nostra volpe del deserto rievoca i tempi trascorsi al fianco del grande Cyrus.

Commuovendosi, tra l'altro.

Ed ora concludiamo coi ringraziamenti di rito.

Un grazie di cuore a Devilangel476, hera85, RyodaushitoraIT (a lui un grazie ulteriore anche per le recensioni ai capitoli 5 e 16, che rammento sempre volentieri. Specie il secondo, visto che é a dir poco fondamentale!) e Sir Joseph Conrard per le recensioni all'ultimo capitolo.

Ok, credo di aver messo tutti.

Grazie ancora e...alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

 

 

Roberto

 

   
 
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