“Bene,
bambini! Avete svolto delle prove di
matematica brillanti” – comunica la maestra Honey
alla classe.
Poi
è una biondina in prima fila ad alzare la
mano per richiedere la parola.
“Dimmi,
Betta!”
La
piccola, proveniente da una famiglia di
banchieri, iscritta appositamente in quella scuola illustre e per
pochi, mostra
la sua estrema educazione, laddove alcuni dei suoi compagni hanno
mancanze di
questo tipo.
“Ginevra
e Sebastìan sono assenti da tre
giorni ormai, signorina. Volevo chiedere se ci sono notizie”
Gli
occhi della docente si posano sul banco
vuoto dei due gemelli, in terza fila.
Poi
torna a guardare la piccola, rivoltasi
con evidente preoccupazione circa la situazione dei due che sono tra i
suoi più
cari amici.
“Presto
torneranno, stai tranquilla” – si limita
a dire la donna, sorridendole per rassicurarla –
“Hanno l’influenza. Il loro
papà ci ha informati e appena entrambi si sentiranno meglio,
rientreranno”
“E’
strano” – commenta la minore.
“Perché?
Può capitare” – risponde
l’adulta.
“Io
e Ginny ci sentiamo quasi sempre! Ma sono
tre giorni che sembra essere scomparsa nel nulla” –
riflette, mostrando la sua
tensione.
Eppure
la sua osservazione non ottiene
risposta ed è il suono improvviso della campanella a
chiudere la faccenda.
Tutti
gli alunni si alzano dalle loro sedie,
salutano la maestra e lasciano l’aula.
È
Betta l’ultima ad andare via e quando è
prossima ad uscire dalla stanza, viene trattenuta proprio dalla maestra
Honey.
“Devi
essere sinceramente legata a Ginevra,
vero?”
“Molto, è la mia migliore amica e mi manca tanto
non vederla né parlare con lei”
“Sei
andata a casa sua?”
“No,
i miei sono sempre troppo occupati per
accompagnarmi da qualche parte” – si incupisce la
bambina, sofferente alle poche
attenzioni della famiglia nei suoi confronti, una figlia unica
destinata a
rimanere tale per sempre.
“Se
vuoi vedere Ginny, ti porto io da lei, va
bene?” – le propone l’adulta, spiazzando
Betta che, senza esitare, accetta.
“Dammi
due minuti che faccio una telefonata e
a breve avremo l’auto che ci condurrà da
lei”
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Nairobi
ed Emilio, nel frattempo, sono
prossimi a raggiungere, Hanna, ancora seduta sulla stessa panca, da
ormai più
di un’ora.
Durante
il tragitto, Agata ha esposto al
figliastro i suoi dubbi sulla donna in questione, cercando di ricordare
di lei,
durante riunioni varie a cui partecipò come genitore dei
gemelli.
E
mentre parlava, parlava, parlava, in quei minuti
di viaggio, Yerevan non si è pronunciato in merito.
È rimasto in silenzio a
rimuginare su pensieri che si dissociavano totalmente con le
circostanze che
erano chiamati ad affrontare e vivere.
“Siamo
arrivati” – comunica la Jimenez al
ventisettenne, riportandolo con i piedi per terra.
“Ehi,
tutto bene?” – chiede lei, sorpresa
della sua scarsa partecipazione – “Scusami, magari
avresti preferito rimanere a
casa. Io ti ho trascinato qui…”
“No,
no, figurati! Sono contento che mi hai
considerato e hai ritenuto giusto che fossi al tuo fianco..”
si lascia andare
il giovane, nascondendo l’imbarazzo.
Ma
Nairobi più lo guarda più nutre per lui un
affetto smisurato, paragonabile, paradossalmente, a quello che sente
per i suoi
stessi figli. Non le è mai accaduto qualcosa del genere, con
nessuno!
E
questo, Emilio lo avverte e gli pesa
enormemente sul cuore.
“Adesso
andiamo da Hanna, e smascheriamo
questa maestra Honey” – così dicendo, i
due si avviano alla postazione, dove
Vienna è seduta.
“Che
ci fate qui?” –domanda la ragazza,
vedendoli avanzare.
“Ho
bisogno di vedere in faccia quella donna!”
– risponde la gitana, determinata ad agire ed indagare
esponendosi anche più
del dovuto.
“Sbaglio
o avevamo deciso che né tu né papà
dovevate mettere a rischio la vostra identità?” - replica la violinista,
infastidita dalle
interferenze di persone che evidentemente non si fidano del suo agire
– “Vi
avevo detto che c’avrei pensato io”
“Calmati,
sorellina! Siamo qui per altro, non
per criticare il tuo operato” – interviene Yerevan,
abbracciandola con la
solita dolcezza che è solito regalare alle due sole sorelle
adulte appartenenti
alla famiglia allargata. Quello basta a chetare la finlandese.
E
mentre i due figli di Bogotá si coccolano,
Nairobi siede sulla panca, e accavallando la gamba e incrociando le
braccia al
petto, si appresta a studiare l’esatto punto dal quale, da
lì a qualche minuto,
sarebbe uscita la maestra misteriosa.
A
proposito di Bogotá, il saldatore agitatosi
dopo aver ascoltato i turbamenti di Tokyo s’incammina verso
la scuola, seguito da
qualcuno di inatteso.
“Fermati,
ti prego! Dove pensi di andare!”
“Axel,
torna in casa. Sbaglio o non dovevi
lavorare con il computer?” – replica
l’uomo, accelerando il passo.
Il
gitano, infatti, accortosi dell’uscita del
patrigno, ha messo in sospeso quanto era impegnato a sistemare, e
raccomandando
i Dalì di non varcare i cancelli per precauzione,
è corso incontro al marito di
sua madre.
“Ci
vuole un’eternità ad andare fin lì
senza
un’auto” – sostiene il moro.
“La
mia l’ha presa Nairobi…insieme a
Emilio…ha
preferito avere uno sconosciuto vicino”
“Aspetta!
Cosa stai cercando di dirmi?” – a quel
punto, Axel approfittando della sua agilità fisica raggiunge
l’adulto e gli si
pone davanti come barriera.
Lo
costringe a fermarsi – “Sei esausto, hai
il fiatone, sei agitatissimo. Non ti conviene rincasare? A breve avremo
notizie. Ricorda che Hanna ha il microchip e possiamo sapere tutto
quanto”
Bogotá
sospira e non risponde, si limita ad
ignorare quanto udito e riprende il passo.
“Se
vuoi davvero rischiare il tutto e per
tutto, puoi prendere l’automobile del Professore,
no?”
Cazzo,
certo! Pensa il saldatore – “Che
idiota!” – rivolge quel
“complimento”
a
se stesso per aver percorso un tratto lungo di strada sapendo che
invece aveva
il mezzo a portata di mano.
“Però,
riflettici su! Che senso ha andare
davanti la scuola di Ginevra? Serve solo ad alimentare possibili
sospetti su un
gruppo di cinque persone che fa la spia”
“Cinque?”
“Certo,
cinque! Non crederai che io ti lasci
da solo in questo stato?” – gli dà una
pacca sulla spalla, mostrandosi
volenteroso addirittura a guidare il veicolo, se proprio
Bogotá non avesse
ceduto ai suoi consigli.
“Sei
un bravo ragazzo”
“Me
l’hai già detto” – ridacchia
il giovane
Jimenez, desideroso di regalare al patrigno attimi di pace, e magari
anche
qualche risata.
“Allora?
Torniamo a casa?”
“Posso
chiederti un favore?” – domanda Bogotà,
deviando l’argomento centrale.
“Certo”
“E’
importante. Riguarda Emilio, mio figlio
maggiore”
“Che
succede?”
L’adulto
sospira di nuovo, profondamente, poi
dice – “Vorrei scoprissi cosa prova per
Nairobi”
“Hai
detto “Cosa prova..”!? Mi stai dicendo
che potrebbe essere interessato alla mamma?” – Axel
a bocca aperta, incredulo,
e spiazzato, reagisce sdrammatizzando – “Ok, mia
madre è una donna molto bella
e affascinante, però io mi butterei più su
coetanee!”
“Ti
prego, è un fatto preoccupante, non ci si
può ridere sopra! Se fosse come temo, la situazione si
complicherebbe e io
sarei costretto ad agire di conseguenza”
“Cosa
intendi dire?” – in quel momento, colta
l’estrema serietà del saldatore, il gitano smette
di giocare o banalizzare le teorie
dell’uomo.
“Vorrei
mi facessi questo piacere” –
ribadisce l’adulto.
“Ok,
farò del mio meglio”
Con
una stretta di mano, i due si promettono
a vicenda di tutelare la loro grande bella famiglia.
“Che
si fa ora?” – il ventunenne torna sulla
faccenda della scuola, di cui parlarono pochi minuti prima –
“Aspettiamo che
tornino tutti alla villa?”
Calmatosi
e assicuratosi dell’aiuto del
figliastro, Bogotá annuisce.
Come
padre e figlio, percorrono gli ultimi
metri che li separano dalla loro meta, facendosi spalla l’un
l’altro.
“Eccovi
di ritorno” – va loro incontro Tokyo.
Poi
si rivolge all’amico della Banda –
“Perdonami,
non era mia intenzione metterti in testa strane idee!”
“Non
ti preoccupare, è tutto passato” – con
quelle brevi parole, Bogotá liquida l’amica e si
dedica ad altro.
Avvicinandosi
al computer, collegato al
microchip di Hanna, si focalizza su quello che la telecamera mostra e
sulle voci
poco comprensibili dei tre Dalì ancora posizionati davanti
l’edificio
scolastico.
Ed
è proprio lì che finalmente qualcosa
sembra smuoversi.
La
figura di una donna, che ha per mano una
bambina, diventa oggetto focale del trio.
“E’
lei” – esclama Vienna, indicando la
persona in questione.
Nairobi
cerca di metterla a fuoco e, in quel
momento, le sembra un viso familiare.
“L’insegnante
di matematica, ecco chi è” –
giunge in pochi secondi alla soluzione del dilemma.
Cerca
di raggiungere la famosa signora Honey
ma le basta vedere la tipa salire a bordo di un’auto, assieme
alla piccolina di
cui è certa di conoscere l’identità,
per sospettare e temere il peggio.
“
Quella è Betta! Dove la sta portando?” –
preda di un miscuglio di emozioni, si dirige verso il mezzo, pronta ad
affrontare tutto, senza paure e infischiandosi di regole imposte dal
Professore.
Però,
una volta prossima alla verità,
qualcosa la immobilizza.
Anzi…qualcuno!
“Non
ci credo” – impallidisce quando scorge
l’autista
dell’automobile sul quale la docente è salita
assieme alla studentessa.
“Che
succede?” – chiede Hanna, raggiungendo, assieme
ad Emilio, la matrigna visibilmente scioccata.
“Dobbiamo
seguirli. Sto temendo seriamente
che la maestra Honey sia legata a una persona del passato che mi fa
fatto tanto
male” – e con quelle parole, Agata sembra
sprofondare nei vecchi ricordi e in
ferite che le pulsano ancora sulla pelle.